TAR LOMBARDIA, SEZ. DI BRESCIA – Sentenza 4 dicembre 2002 n. 2191 – Pres. Mariuzzo, Est. Morri – Gai (Avv.ti Zaniboni e Pagani) c. Ministero dell’interno e Capo della Polizia (Avv.ra Stato) e Farinella (n.c.) – (accoglie).
1. Giustizia amministrativa – Ricorso giurisdizionale – Atto impugnabile o no – Atti endoprocedimentali – Immediata impugnabilità – Solo ove gli atti stessi siano immediatamente ed autonomamente lesivi.
2. Pubblico impiego – Procedimento disciplinare – Singoli atti del procedimento – Non sono di regola da ritenere lesivi – Impugnazione – Va proposta avverso l’atto finale del procedimento.
3. Pubblico impiego – Agenti di P.S. – Ordini impartiti dal superiore gerarchico – Vanno eseguiti anche se appaiano illegittimi – Responsabilità disciplinare nel caso di omesso rispetto di un ordine – Sussiste.
4. Pubblico impiego – Procedimento disciplinare – Contestazione degli addebiti – Inviata a distanza di molto tempo dall’accertamento dei fatti – Illegittimità – Sussiste, a meno che il ritardo non sia dipeso dalla complessità degli accertamenti da compiere.
5. Pubblico impiego – Procedimento disciplinare – Termini – Termine di 10 giorni – Per la comunicazione del nominativo del funzionario istruttore – Ex art. 19 del DPR n. 737 del 1981 – Ha natura ordinatoria.
6. Pubblico impiego – Provvedimento disciplinare – Motivazione – Deve essere ampia e congrua – Proporzionalità tra addebito contestato e sanzione irrogata – Osservanza – Necessità – Fattispecie.
1. Ai fini dell’individuazione degli atti endoprocedimentali autonomamente ed immediatamente suscettibili di impugnazione il requisito della lesività va accertato con riferimento al concreto ed attuale pregiudizio che l'atto arreca all'interesse sostanziale dedotto in giudizio, e non già con riguardo alla sfera della possibile futura incidenza dell'atto sulla sfera giuridica del ricorrente (1).
2. I singoli atti del procedimento disciplinare non producono una lesione della posizione soggettiva dell’interessato, poiché questa si concretizza solo con l’irrogazione della sanzione (2); è infatti con la conclusione del procedimento disciplinare che si origina l’interesse del dipendente sanzionato a proporre impugnazione contro il provvedimento conclusivo, in quanto esso risente delle eventuali invalidità endoprocedimentali che sono intervenute nel corso della procedura.
3. Il particolare rapporto gerarchico sussistente nell’ambito dell’Amministrazione della pubblica sicurezza impone all'appartenente ai relativi ruoli di eseguire l’ordine impartito dal superiore gerarchico od operativo, e qualora ritenga lo stesso palesemente illegittimo, di farlo rilevare al superiore che lo ha impartito, dichiarandone le ragioni (art. 66 Legge n. 121 del 1981 e art. 8 DPR n. 782 del 1985). In caso contrario sussiste responsabilità disciplinare dell’agente per mancata esecuzione dell’ordine ricevuto (art. 66 u.c., Legge n. 121 del 1981 cit.).
4. La contestazione degli addebiti inviata al dipendente a lunga distanza di tempo dall'accertamento preliminare, può essere considerata illegittima se non è specificatamente giustificata dalla particolare situazione accertata o dalla particolare complessità delle eventuali necessarie acquisizioni istruttorie (3).
5. Il termine di 10 giorni, previsto dall’art. 19 del DPR n. 737 del 1981, per la nomina del funzionario istruttore va ritenuto ordinatorio, poiché la norma non prevede alcun effetto decadenziale al riguardo.
6. In materia di procedimento disciplinare, l'amministrazione ha il dovere di valutare, previo accertamento dei fatti, la gravità dell'infrazione commessa dal dipendente al fine di individuare, secondo criteri di proporzionalità e gravità, la giusta sanzione, all'uopo indicandone le ragioni con congrua motivazione (4). La congruità della motivazione va quindi valutata in ragione della gravità della sanzione inflitta (5) e la sanzione irrogata deve rispettare il principio di proporzionalità, in base al quale la sanzione, ancorché possa superare la soglia della necessità di reagire rispetto all’illecito compiuto dal dipendente, nonché della sua concorrente astratta idoneità a perseguire lo scopo, non può tuttavia superare quella della congrua ed equilibrata proporzione rispetto ai fatti ascritti, che vanno ponderatamente valutati (6).
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(1) Cfr. Cons. Stato, sez. V, 23 aprile 1998, n. 123; Sez. V, 13settembre 1994, n. 979.
(2) Cfr. Cons. Stato, sez. V, 6 giugno 1990, n. 490.
(3) Cfr. Cons. Stato, sez. V, 20 luglio 1999, n. 859.
(4) Cfr. Cons. Stato, sez VI, 6 maggio 1998, n. 645.
Sul principio di proporzionalità, nell’irrogazione delle sanzioni disciplinari, v. da ult. TAR Lombardia Brescia, 5 novembre 2002, n. 1842.
(5) Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 27 ottobre 1998, n. 1397.
(6) Alla stregua del principio nella specie è stato rilevato che, essendo stata comminata la più grave delle sanzioni previste dal vigente ordinamento (destituzione), il relativo provvedimento doveva essere assistito da una motivazione particolarmente rigorosa, puntuale e completa, pena l’illegittimità dello stesso per violazione dell’art. 3 comma 1 della legge n. 241 del 1990.
Violazione che è stata ritenuta sussistente, atteso che non si era nella sepcie tenuto conto di tutte le circostanze attenuanti, dei precedenti disciplinari e di servizio del trasgressore, del carattere, dell'età, della qualifica e dell'anzianità di servizio.
Dal decreto del Capo della Polizia con il quale era stata inflitta la sanzione della destituzione, in particolare, emergeva soltanto la valutazione dei fatti oggetto di contestazione e dei precedenti disciplinari, mentre nulla risultava in relazioni agli altri elementi da tenere in considerazione nell’infliggere la sanzione e, in particolare, con riferimento ai precedenti di servizio, fra i quali risultavano, come da documentazione prodotta in giudizio, molteplici attestati di lode, note di elogio, di compiacimento e di distinzione nell’attività di polizia.
Il rilevato difetto di motivazione non rendeva, dunque, percepibile l’iter logico seguito dall’organo disciplinare, rendendo più marcata la violazione del principio di proporzionalità, in base al quale la sanzione, ancorché possa superare la soglia della necessità di reagire rispetto all’illecito compiuto dal dipendente, nonché della sua concorrente astratta idoneità a perseguire lo scopo, non può tuttavia superare quella della congrua ed equilibrata proporzione rispetto ai fatti ascritti, ponderatamente valutati nel complessivo quadro sopra delineato.
Sul controllo trifasico dell'esercizio della discrezionalità, che va operato sulla base dei criteri della necessità, idoneità e stretta proporzionalità al fatto da sanzionare ed in generale sul principio di proporzionalità v.:
TAR LAZIO, SEZ. III – Sentenza 27 novembre 2002 n. 10823;
TAR LOMBARDIA-MILANO, SEZ. III – Sentenza 30 ottobre 2000 n. 6158;
V. CERULLI IRELLI, Il negozio come strumento di azione amministrativa.
per l'annullamento
previa sospensione dell’esecuzione, del decreto 4.2.2002 con cui il Capo della Polizia ha disposto la destituzione dal servizio a decorrere dal 12.2.2002 e degli atti connessi, nonché del decreto del Capo della Polizia del 19.12.2001 con cui viene rigettata l’istanza di ricusazione del Presidente della Commissione provinciale di disciplina;
(omissis)
FATTO
1. Il ricorrente, in forza all’Amministrazione della Pubblica Sicurezza, è stato sottoposto a procedimento disciplinare per non aver ottemperato all’ordine di sottoporsi ad accertamenti sanitari presso il servizio operativo centrale di sanità, centro di neurologia e psicologia medica, fissati per il giorno 16.5.2000, nonostante avesse ricevuto notifica dell’ordine il giorno 19.4.2000.
2. Il procedimento disciplinare ha avuto un iter complesso e tormentato, i cui tratti salienti possono così essere riassunti:
con nota del 31.5.2000, il Dirigente del Compartimento della Polizia Postale e delle Comunicazioni per la Lombardia, comunicava al Questore di Mantova la mancanza sopra indicata, oltre a comportamenti scorretti tenuti nei confronti di colleghi in occasione del fatto predetto;
il Questore di Mantova, in data 15.6.2000, valutata la gravità dei fatti segnalati, avviava l’inchiesta disciplinare a norma dell’art. 19 del DPR 25.10.1981 n. 737 nominando, nel contempo, il Dott. Valerio Saitta funzionario istruttore, sul ritenuto presupposto che l’infrazione segnalata potesse comportare l’irrogazione della sospensione dal servizio o della destituzione;
il funzionario istruttore provvedeva, in data 22.6.2000, alla formale contestazione degli addebiti con riferimento al fatto della mancata presentazione alla visita medica del 16.5.2000 e ad alcune affermazioni di disprezzo esternate al momento della notifica dell’ordine al funzionario notificatore. La sanzione ipotizzata era quella della sospensione dal servizio, riferita all’ipotesi di cui all’art. 6 comma 3 n. 6 del DPR n. 737 del 1981 (atti contrari ai doveri derivanti dalla subordinazione);
dopo la chiusura dell’inchiesta istruttoria, caratterizzata anche da una fase supplementare, il Consiglio provinciale di disciplina di Mantova, in data 3.10.2000, ritenendo fondati i fatti contestati al ricorrente, costituenti l’illecito disciplinare della grave negligenza in servizio, proponeva l’applicazione della sanzione prevista dall’art. 4 punto 10) del DPR n. 737 del 1981 (pena pecuniaria);
il Capo della Polizia – Direttore generale della pubblica sicurezza – con decreto in data 29.12.2000, disponeva l’annullamento d’ufficio del procedimento disciplinare, a partire dalla contestazione degli addebiti, disponendo il rinnovo dello stesso dal citato atto. L’annullamento d’ufficio fu disposto per vizi della contestazione, che avrebbero limitato il pieno diritto di difesa del dipendente incolpato, oltre a vizi dell’attività istruttoria svolta dal funzionario incaricato dell’inchiesta;
la rinnovata contestazione degli addebiti porta la data del 26.4.2001, e risulta notificata il giorno 8.5.2001. Rispetto alla precedente del 22.6.2000, il funzionario istruttore ha ampliato i termini della contestazione, facendo riferimento anche alla reiterazione del comportamento "già sanzionato con la sospensione dal servizio per mesi due con decreto del Sig. Capo della polizia del settembre 1994" oltre ad un atteggiamento scorretto verso il funzionario responsabile della Sez. Polizia postale di Mantova (al quale il ricorrente avrebbe sottoposto per la firma un ordine di servizio per il 16.5.2000, in cui risultava comandato in ufficio proprio il giorno della visita, al fine di procurarsi una causa di giustificazione e, quindi, evitare di sottoporsi alla stessa). La nuova contestazione ha anche ipotizzato una trasgressione più grave, rispetto alla precendente contestazione, facendo riferimento all’ipotesi di cui all’art. 7 comma 2 n. 6) del DPR n. 737 del 1981 (destituzione per reiterazione delle infrazioni per le quali è prevista la sospensione dal servizio o per persistente riprovevole condotta dopo che siano stati adottati altri provvedimenti disciplinari);
dopo la chiusura della nuova inchiesta istruttoria, il Consiglio provinciale di Disciplina di Mantova, in data 25.7.2001, ritenendo fondati i fatti contestati al ricorrente, costituenti l’illecito disciplinare previsto e sanzionato dall’art. 7 comma 2 punto 6) del DPR n. 737 del 1981, proponeva l’applicazione della destituzione;
il Capo della Polizia – Direttore generale della pubblica sicurezza – con decreto in data 18.10.2001, dava corso nuovamente all’annullamento d’ufficio del procedimento disciplinare, a partire dalla trattazione orale svolta il giorno 25.7.2001 davanti al Consiglio Provinciale di disciplina (seconda riunione), disponendo il rinnovo dello stesso a partire dalla prima riunione. L’annullamento d’ufficio è stato fondato sul rilievo che il Collegio disciplinare si sarebbe limitato a riportare la sanzione decisa in sede di seconda riunione, omettendo di esporre, sia pure sinteticamente, i fatti che avevano dato origine alla relativa proposta; inoltre nel verbale di trattazione e nella successiva deliberazione dello stesso Consiglio non sarebbero state evidenziate le ragioni che, in sede di ponderazione comparativa con tutti gli interessi concorrenti nella fattispecie, avevano indotto a considerare la fondatezza della contestazione;
nella riunione del 18.12.2001 il Consiglio Provinciale di disciplina esaminava anche l’istanza di ricusazione di tutti i membri dello stesso, compreso il Presidente, con riferimento alle ipotesi previste dall’art. 149 del DPR 10.1.1957 n. 3; nel verbale si dà atto che il Presidente ha respinto tutte le istanze di ricusazione dei membri del collegio, rimettendo alla decisione del Capo della Polizia l’istanza di ricusazione avanzata contro lo stesso;
anche l’istanza di ricusazione del Presidente del Collegio è stata poi respinta dal Capo della Polizia come da comunicazione in data 19.12.2001, per mancato contrasto con l’art. 149 del DPR n. 3 del 1957;
dopo il rinnovo della fase annullata, il Consiglio provinciale di disciplina di Mantova, in data 20.12.2001, ritenendo fondati i fatti contestati al ricorrente, confermava la proposta sanzionatoria di cui all’art. 7 comma 2 punto 6) del DPR n. 737 del 1981.
3. Detta proposta è stata, poi, applicata con decreto del Capo della Polizia – Direttore generale della pubblica sicurezza – in data 4.2.2002, con decorrenza dal giorno 12.2.2002.
4. Contro il decreto di destituzione ed il relativo procedimento disciplinare ricorre il Sig. Giovanni Gai proponendo le seguenti censure:
4.1 violazione dell’art. 120 del DPR n. 3 del 1957 per avvenuta estinzione del procedimento disciplinare, in quanto sarebbero trascorsi più di 90 giorni dal primo decreto del Capo della Polizia in data 29.12.2000 (che ha disposto l’annullamento d’ufficio del procedimento disciplinare, a partire dalla contestazione degli addebiti) e il primo atto procedurale successivo;
4.2 violazione dell’art. 19 del DPR n. 737 del 1981 e dell’art. 103 del DPR n. 3 del 1957, ed eccesso di potere per tardività della seconda contestazione degli addebiti (notificata il giorno 8.5.2001) in quanto attinente ad un nuovo e diverso procedimento disciplinare rispetto a quello annullato in data 29.12.2000;
4.3 violazione dell’art. 19 del DPR n. 737 del 1981, ed eccesso di potere per avvenuta notifica della seconda contestazione degli addebiti oltre 10 giorni dopo la nomina del funzionario istruttore (avvenuta in data 23.4.2001);
4.4 violazione dell’art. 19 del DPR n. 737 del 1981, per mancata formulazione delle osservazioni di competenza del Questore di Mantova in occasione della trasmissione del fascicolo disciplinare al Consiglio provinciale di disciplina avvenuta in data 5.7.2001;
4.5 violazione degli artt. 1 e 7 del DPR n. 737 del 1981; dell’art. 70 della Legge n. 121 del 1981; dell’art. 68 del DPR n. 3 del 1957; eccesso di potere per sproporzione della sanzione irrogata rispetto ai fatti contestati anche in relazione alla pretesa illegittimità dell’ordine di servizio del 17.4.2000, n. 333/D/1238; difetto di motivazione del provvedimento conclusivo;
4.6 violazione dell’art. 13 del DPR n. 737 del 1981, ed eccesso di potere per non aver tenuto conto, nell’applicazione della sanzione, dei lodevoli precedenti di servizio del ricorrente e delle altre circostanze attenuanti;
4.7 violazione dell’art. 7 comma 9 della Legge n. 300 del 1970, ed eccesso di potere per aver tenuto conto di sanzioni disciplinari irrogate da altre 2 anni;
4.8 violazione dell’art. 149 comma 3 del DPR n. 3 del 1957 e dell’art. 16 comma 14 del DPR n. 737 del 1981, per incompetenza, avendo deciso sulla ricusazione del Presidente del Consiglio provinciale di disciplina di Mantova il Capo della Polizia anziché il Ministro;
4.9 violazione dell’art. 32 comma 4 del DPR n. 395 del 1995, per non aver, la Questura di Mantova, adempiuto l’obbligo di comunicazione in occasione della notifica della contestazione degli addebiti all’amministrazione centrale e, da questa, alla Segreteria nazionale dell’organizzazione sindacale interessata;
4.10 violazione dell’art. 3 della Legge n. 241 del 1990 per difetto di motivazione del provvedimento impugnato in relazione alla gravità della sanzione inflitta;
4.11 violazione dell’art. 2 della Legge n. 241 del 1990, eccesso di potere per violazione della circolare 6.7.2001 n. 333, A/9808, B.3.1, per eccessiva durata dell’intero procedimento disciplinare e contraddittorietà tra gli atti dell’amministrazione.
5. Resiste al ricorso il Ministero dell’Interno, tramite l’Avvocatura distrettuale dello Stato di Brescia, eccependo l’inammissibilità delle censure sollevate per tardività e richiedendone, nel merito, la reiezione per infondatezza.
6. All’udienza del 22.10.2002 la causa è stata trattenuta per la decisione.
DIRITTO
1. Occorre prendere le mosse dalle eccezioni di irricevibilità, delle censure dedotte dal ricorrente contro gli atti del procedimento disciplinare.
2. Secondo l’Avvocatura distrettuale tali censure si sarebbero dovute far valere impugnando tempestivamente i singoli atti del procedimento intervenuti successivamente al sorgere del preteso vizio. Per conseguenza il motivo di ricorso indicato al n. 4.1 delle premesse di fatto avrebbe dovuto essere fatto valere impugnando tempestivamente la nuova contestazione degli addebiti o il decreto del Capo della Polizia del 18.10.2001; analoghe censure di irricevibilità sono state poi sollevate con riguardo ai motivi indicati ai nn. 4.2, 4.3, 4.8, 4.9 e 4.11 delle premesse di fatto.
2.1 Tali eccezioni non possono essere condivise.
2.2 Ai fini dell’individuazione degli atti endoprocedimentali autonomamente ed immediatamente suscettibili di impugnazione il requisito della lesività va accertato con riferimento al concreto ed attuale pregiudizio che l'atto arreca all'interesse sostanziale dedotto in giudizio, e non già con riguardo alla sfera della possibile futura incidenza dell'atto sulla sfera giuridica del ricorrente (C.d.S. Sez. V, 23.4.1998, n. 123; C.d.S Sez. V, 13.9.1994, n. 979). I singoli atti del procedimento disciplinare non producono una lesione della posizione soggettiva dell’interessato, poiché questa si concretizza solo con l’irrogazione della sanzione (C.d.S. Sez.V, 6.6.1990 n. 490). È con la conclusione del procedimento disciplinare che si origina, quindi, l’interesse del dipendente sanzionato a proporre impugnazione contro il provvedimento conclusivo, in quanto esso risente delle eventuali invalidità endoprocedimentali che sono intervenute nel corso della procedura.
3. Il ricorrente, seppure rivolga le proprie censure contro i provvedimenti indicati in epigrafe, impugna espressamente anche il provvedimento del 17.4.2000, n. 333.D/1238, notificatogli il 19.4.2000 (punto III, pag. 13, del ricorso), con il quale gli è stato ordinato di sottoporsi ad accertamenti sanitari presso il servizio operativo centrale di sanità, centro di neurologia e psicologia medica, fissati per il giorno 16.5.2000.
3.1 Ai fini della decisione è necessario, quindi, partire dalla predetta impugnazione, poiché è proprio l’inottemperanza a tale ordine che ha dato luogo all’avvio del procedimento disciplinare, quale fatto principale oggetto di contestazione.
3.2 Sul punto deve essere accolta l’eccezione di inammissibilità sollevata dall’Avvocatura di Stato.
3.3 Il particolare rapporto gerarchico sussistente nell’ambito dell’Amministrazione della pubblica sicurezza impone all'appartenente ai relativi ruoli di eseguire l’ordine impartito dal superiore gerarchico od operativo, e qualora ritenga lo stesso palesemente illegittimo, di farlo rilevare al superiore che lo ha impartito, dichiarandone le ragioni (art. 66 Legge n. 121 del 1981 e art. 8 DPR n. 782 del 1985). In caso contrario sussiste responsabilità disciplinare dell’agente per mancata esecuzione dell’ordine ricevuto (art. 66 u.c., Legge n. 121 del 1981 cit.).
3.4 Occorre altresì evidenziare che il personale delle Forze di polizia, in ragione dell’art. 3 del D.Lgs. 30.3.2001 n. 165, è sottratto alla privatizzazione del rapporto di pubblico impiego, da cui consegue la particolare connotazione formale e provvedimentale degli atti di gestione del personale, fatta eccezione per la categoria degli atti paritetici. In particolare, quanto alla materia degli accertamenti sanitari, l’Amministrazione dispone di specifici poteri che le consentono di sottoporre agli stessi il proprio personale per accertare l’attitudine dell’agente ai fini dell’impiego in particolari settori di attività (ex art. 64 DPR 782 del 1985) o in relazione a specifiche circostanze rilevate d’ufficio (ex art. 9 DPR n. 904 del 1983) a tutela dell’interesse pubblico al regolare svolgimento del servizio.
3.5 Dagli atti del giudizio non emerge che il ricorrente abbia contestato l’ordine ricevuto, nei termini e nei modi prescritti dalla normativa richiamata al precedente punto 2.3. Al contrario, nella presentazione delle proprie giustificazioni in data 8.7.2000, in riscontro alla prima contestazione degli addebiti, egli ammette di non aver adempiuto l’ordine ricevuto per "mera dimenticanza", muovendo solo in questa sede, denotando pertanto anche una certa contraddittorietà, osservazioni in merito alla legittimità dello stesso, che avrebbero invece dovuto confluire in una tempestiva impugnativa contro detto ordine, poiché immediatamente lesivo ed autonomo rispetto al successivo procedimento disciplinare o ad altri procedimenti che sarebbero potuti conseguire in caso di esito sfavorevole degli accertamenti sanitari effettuati.
4. Fra le censure di natura procedimentale sollevate dal ricorrente, si colloca, in ordine logico preliminare, la pretesa violazione dell’art. 32 comma 4 del DPR n. 395 del 1995, per non aver, la Questura di Mantova, adempiuto l’obbligo di comunicazione in occasione della notifica della contestazione degli addebiti all’amministrazione centrale e, da questa, alla Segreteria nazionale dell’organizzazione sindacale interessata.
4.1 Indipendentemente dall’accertamento in ordine alla conoscenza, in capo all’Amministrazione, del fatto che il ricorrente fosse componente della Segreteria provinciale del LI.SI.PO. (fra gli atti del ricorso è stata prodotta copia della nota datata 3.11.2000, indirizzata, fra l’altro, anche alla Questura di Mantova, con la quale la Segreteria nazionale comunicava la composizione della locale segreteria, sebbene non ne sia stata dimostrata l’effettiva ricezione), il Collegio ritiene che la censura sia priva di fondamento giuridico, nonostante diverso avviso espresso al riguardo dal TAR Trentino A.A. (Trento, 13.12.2001, n. 704), citato dal ricorrente.
4.2 La comunicazione dell’avvenuta notifica della contestazione degli addebiti è rivolta, in primo luogo, all’Amministrazione centrale, sia per le valutazioni di propria competenza, sia per il monitoraggio dell’andamento complessivo delle procedure disciplinari. A sua volta l’Amministrazione centrale ne dà comunicazione alla Segreteria nazionale dell’organizzazione sindacale interessata. L’onere informativo si colloca, pertanto, nell’ambito delle generali relazioni sindacali fra le parti rappresentative degli interessi sottostanti, quali, da un lato, l’Amministrazione centrale e, dall’altro, la Segreteria nazionale interessata. L’eventuale violazione di tale onere può, pertanto, assumere rilevanza solo in questa dinamica generale, quale comportamento antisindacale censurabile nelle sedi opportune, tanto è vero che l’art. 32 del DPR n. 395 del 1995 non dispone alcunché con riguardo alle possibili ripercussioni sullo specifico procedimento disciplinare.
5. Con il primo motivo di gravame indicato in ricorso il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 120 del DPR n. 3 del 1957, per avvenuta estinzione del procedimento disciplinare, in quanto sarebbero trascorsi più di 90 giorni dal decreto del Capo della Polizia in data 29.12.2000 (che ha disposto l’annullamento d’ufficio del procedimento disciplinare, a partire dalla contestazione degli addebiti) e il primo atto procedurale successivo (seconda contestazione degli addebiti notificata in data 8.5.2001).
5.1 La censura è infondata e deve essere respinta.
5.2 In materia di procedimento disciplinare si ritiene, in generale, che lo stesso abbia inizio con la notifica della contestazione degli addebiti, che serve a definire preventivamente l’illecito riferito all’inquisito ed a permettere il contraddittorio procedimentale (C.d.S. Sez. V, 26.7.1999, n. 888). Per quanto attiene lo speciale procedimento nei confronti del personale dell’Amministrazione di pubblica sicurezza, è stato ritenuto, ai sensi e per gli effetti di cui agli art. 9 comma 4 e 19 del DPR n. 737 del 1981, che la procedura debba considerarsi iniziata nel momento in cui viene portato a conoscenza del trasgressore il compimento di una qualsiasi delle attività procedimentali previste dal citato art. 19, e non dunque, necessariamente, solo con la contestazione degli addebiti prevista dal comma 4 (C.d.S. sez. IV, 30.4.1999, n. 762). Nel caso in esame, il primo atto portato a conoscenza dell’incolpato, risulta sia stata, comunque, la prima contestazione degli addebiti datata 22.6.2000 e notificata il medesimo giorno.
5.3 Con il decreto Capo della Polizia in data 29.12.2000, è stato disposto l’annullamento d’ufficio del procedimento disciplinare iniziato proprio con la prima contestazione, travolgendo quindi l’intero procedimento, a partire dal suo atto iniziale.
5.4 Nel caso di specie la seconda contestazione assume rilevanza giuridica quale atto iniziale di un procedimento del tutto autonomo, ancorché sia stata disposta in ottemperanza al citato decreto Capo della Polizia in data 29.12.2000. Fra i due procedimenti disciplinari, sorretti da autonome contestazioni di addebiti, sussiste solo un mero collegamento in forza della relazione causale fra il decreto di annullamento adottato il 29.12.2000, che ha estinto la procedura iniziata con la prima contestazione del 22.6.2000, e la seconda contestazione di addebiti, adottata in ottemperanza al decreto del Capo della Polizia che incarica il Questore di Mantova di rinnovare la procedura a partire dalla prima contestazione ritenuta viziata.
5.5 La mera connessione fra le due procedure, e in particolare fra l’atto conclusivo della prima (decreto del Capo della Polizia del 29.12.2000) e l’atto iniziale della seconda (contestazione degli addebiti del 26.4.2001 notificata l’8.5.2001), rende, tuttavia, inapplicabile l’art. 120 del DPR n. 3 del 1957, richiamato attraverso l’art. 31 del DPR n. 737 del 1981, in quanto termine decadenziale previsto all’interno, e non all’esterno del procedimento disciplinare. Tale termine risulta, infatti, applicabile con riferimento alla cadenza dei soli atti tipici della procedura, ossia quelli esplicitamente e obbligatoriamente contemplati dalla legge ed idonei ad interromperne il decorso (Cons.giust.amm. Sicilia, 27.5.1997, n. 176; 14.10.1997, n. 412).
5.6 L’obiezione che questa ricostruzione priverebbe l’incolpato di una norma di garanzia diretta ad evitare che il procedimento disciplinare, nella sua interezza e complessità, possa protrarsi oltre un ragionevole limite di tempo con evidenti conseguenze negative sia per l’interesse pubblico sia per lo stesso dipendente sottoposto a procedura, offrendo nel contempo all’Amministrazione procedente un comodo escamotage per evitare che la sua inerzia sia sanzionata con l’estinzione del procedimento e della conseguente azione punitiva, trova smentita nei termini che assistono l’avvio della procedura disciplinare (in questo caso in sede di rinnovo), ossia quelli stabiliti per la contestazione degli addebiti, come si dirà nel punto successivo.
6. Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 19 del DPR n. 737 del 1981 e 103 del DPR n. 3 del 1957, ed eccesso di potere per tardività della seconda contestazione degli addebiti (notificata il giorno 8.5.2001), in quanto attinente ad un nuovo e diverso procedimento disciplinare rispetto a quello annullato in data 29.12.2000.
6.1 Sebbene la contestazione degli addebiti costituisca atto iniziale di un procedimento disciplinare, il Collegio ritiene di non poter condividere le censure del ricorrente.
6.2 Il rinnovo della contestazione ha dato luogo ad un nuovo ed autonomo procedimento disciplinare, rispetto a quello avviato con la prima contestazione del 22.6.2000. Come si è visto in precedenza, fra le due procedure sussiste comunque un collegamento in ragione dell’atto conclusivo della prima (decreto del Capo della Polizia del 29.12.2000) e l’atto iniziale della seconda (contestazione degli addebiti del 26.4.2001 notificata l’8.5.2001). Questo collegamento rende legittimo il successivo iter procedurale, avviato con la seconda contestazione, proprio perché il primo annullamento ha inciso sull’atto iniziale del procedimento e, quindi, in sede di rinnovazione di questo non può negarsi una sia pur circoscritta modificabilità dell’illecito disciplinare, in ragione proprio di quegli approfondimenti istruttori il cui difetto ha dato causa al provvedimento di autotutela adottato dal Capo della Polizia; il che comporta, conseguentemente, la possibile prefigurazione di una diversa sanzione, anche più grave di quella originariamente contestata.
6.3 Con la rinnovata contestazione degli addebiti, datata 26.4.2001, il funzionario istruttore ha, rispetto alla precedente del 22.6.2000, riformulato i termini della contestazione, facendo espresso riferimento anche alla reiterazione del comportamento "già sanzionato con la sospensione dal servizio per mesi due con decreto del Sig. Capo della polizia del settembre 1994" oltre ad un atteggiamento scorretto verso il funzionario responsabile della Sez. Polizia postale di Mantova (al quale il ricorrente avrebbe sottoposto per la firma un ordine di servizio per il 16.5.2000, in cui risultava comandato in ufficio proprio il giorno della visita, al fine di procurarsi una causa di giustificazione e, quindi, evitare di sottoporsi alla stessa). La nuova contestazione ha anche ipotizzato una trasgressione più grave, rispetto alla precedente contestazione, facendo riferimento all’ipotesi di cui all’art. 7 comma 2 n. 6) del DPR n. 737 del 1981 (destituzione per reiterazione delle infrazioni per le quali è prevista la sospensione dal servizio o per persistente riprovevole condotta dopo che siano stati adottati altri provvedimenti disciplinari).
6.4 Giova al riguardo premettere, che la contestazione, a lunga distanza di tempo dall'accertamento preliminare, può essere considerata illegittima se non è specificatamente giustificata dalla particolare situazione accertata o dalla particolare complessità delle eventuali necessarie acquisizioni istruttorie (C.d.S. sez. V, 20.7.1999, n. 859).
6.5 Nel caso in esame il collegio ritiene che il quid novi, rispetto alla prima contestazione, possa trovare legittimazione sia con riferimento ai fatti desumibili dal fascicolo personale dell’incolpato, poiché già entrati nel precedente procedimento disciplinare attraverso la relazione del funzionario istruttore dell’8.9.2000 prot. 8527/B.1 (reiterazione del comportamento "già sanzionato con la sospensione dal servizio per mesi due con decreto del Sig. Capo della polizia del settembre 1994"), sia con riferimento alla contestazione di fatti coevi all’infrazione contestata inizialmente (atteggiamento scorretto verso il funzionario responsabile della Sez. Polizia postale di Mantova, al quale il ricorrente avrebbe sottoposto per la firma un ordine di servizio per il 16.5.2000), in quanto facenti parte del medesimo contesto fattuale.
6.6 Anche la stessa la contestazione di una trasgressione più grave, rispetto alla precedente contestazione, facendo riferimento all’ipotesi di cui all’art. 7 comma 2 n. 6) del DPR n. 737 del 1981 (destituzione per reiterazione delle infrazioni per le quali è prevista la sospensione dal servizio o per persistente riprovevole condotta dopo che siano stati adottati altri provvedimenti disciplinari), non viola il principio dell’immediatezza, in quanto coerente con il legittimo ampliamento dei fatti oggetto di contestazione. Del resto giova rammentare che l'apprezzamento sulla gravità dei fatti, al fine di individuare la sanzione prevedibilmente applicabile alla fattispecie, precede di norma, su un piano logico e cronologico, la contestazione degli addebiti, anche se, tuttavia, non significa che tale gravità non possa essere concretamente percepita nella sua completezza anche dopo l'iniziale contestazione, a seguito di più precisa configurazione del contesto in cui essi vanno collocati (C.d.S. sez. IV, 1411.1997, n. 1277).
7. Con il terzo motivo di gravame indicato in ricorso, il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 19 del DPR n. 737 del 1981, ed eccesso di potere per avvenuta notifica della seconda contestazione degli addebiti oltre 10 giorni dopo la nomina del funzionario istruttore (avvenuta in data 23.4.2001).
7.1 Anche detta censura non può essere accolta.
7.2 In materia di procedimento disciplinare, regolato da norme di diritto pubblico, la giurisprudenza ha adottato la distinzione fra termini perentori e termini ordinatori, rilevando questi ultimi ogni qual volta non sia previsto espressamente un effetto decadenziale per la loro inosservanza o l'inefficacia degli atti compiuti dopo il decorso dei termini stessi (T.A.R. Veneto sez. II, 21.7.1999, n. 1340).
7.3 Il termine di 10 giorni, previsto dall’art. 19 del DPR n. 737 del 1981, non può sottrarsi a questa regola, e va, pertanto, ritenuto ordinatorio, poiché la norma non prevede alcun effetto decadenziale al riguardo. La stessa, tuttavia, va interpretata in raccordo con l’art. 103 comma 2 del DPR n. 3 del 1957, secondo cui la contestazione deve avvenire "subito" dopo la conclusione degli accertamenti preliminari. Il citato termine di 10 giorni rappresenta, quindi, il tendenziale parametro di riferimento per verificare il rispetto del principio dell’immediatezza di cui si accennato al precedente punto 5.4. Nel caso in esame il collegio non ritiene che un ritardo di 5 giorni, fra la nuova nomina del funzionario istruttore (avvenuta in data 23.4.2001) e la notifica della seconda contestazione degli addebiti (avvenuta in data 8.5.2001), violi il principio testé citato, nei limiti in cui quest’ultima può ritenersi legittima come chiarito al punto 5.2.
8. Con il quarto motivo di gravame indicato in ricorso, il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 19 del DPR n. 737 del 1981, per mancata formulazione delle osservazioni di competenza del Questore di Mantova in occasione della trasmissione del fascicolo disciplinare, al Consiglio Provinciale di disciplina, avvenuta in data 5.7.2001.
8.1 La censura è priva di pregio. Le osservazioni del Questore, da svolgere in questa sede, rappresentano un atto meramente interno, volto ad offrire al Collegio di disciplina elementi di analisi per l’attività valutativa rimessa alla sua competenza. L’omissione non può quindi influire sulla legittimità del procedimento e del relativo provvedimento finale, poiché della stessa può tenere conto solo il Collegio per le sue valutazioni, comunque supportate dagli atti e dalla relazione conclusiva dell’inchiesta disciplinare svolta dal funzionario istruttore.
9. In ordine logico, rispetto alla diversa articolazione dei motivi del ricorso, si colloca la censura di violazione dell’art. 149 comma 3 del DPR n. 3 del 1957 e dell’art. 16 comma 14 del DPR n. 737 del 1981, per incompetenza, avendo deciso sulla ricusazione del Presidente del Consiglio provinciale di Disciplina di Mantova il Capo della Polizia – Direttore generale della pubblica sicurezza – anziché il Ministro.
9.1 La censura in questione deve essere respinta.
9.2 La normativa citata dal ricorrente è stata emanata in epoca antecedente alla riforma del pubblico impiego e dell’organizzazione delle pubbliche amministrazioni statali, intervenuta organicamente con il D.Lgs. n. 29 del 1993 ed attualmente disciplinata dal D.Lgs. n. 165 del 2001, recante "Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche".
9.3 In forza della normativa sopravvenuta, sono oggi attribuite agli organi di governo le sole funzioni di indirizzo politico-amministrativo, che si concretizzano attraverso la definizione degli obiettivi e dei programmi da attuare, con l’adozione degli altri atti rientranti nello svolgimento di tali funzioni, e con la verifica della rispondenza dei risultati dell'attività amministrativa e della gestione agli indirizzi impartiti. Ai dirigenti è invece riservata la c.d. attività gestionale, attraverso l'adozione degli atti e provvedimenti amministrativi, compresi tutti gli atti che impegnano l'amministrazione verso l'esterno, nonché la gestione finanziaria, tecnica e amministrativa mediante autonomi poteri di spesa, di organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controllo (art. 4 D.Lgs. 165 cit.). Le attribuzioni dirigenziali sono state poi oggetto di riserva di legge in quanto possono essere derogate soltanto espressamente ad opera di specifiche disposizioni legislative (art. 4 comma 3 D.Lgs. 165 cit.). Nell’organizzazione delle amministrazioni dello Stato, l’art. 16 comma 1 lett. h) del D.Lgs. 165 cit. attribuisce ai dirigenti di uffici dirigenziali generali i compiti e i poteri afferenti le attività di organizzazione e gestione del personale e di gestione dei rapporti sindacali e di lavoro, fra cui è compresa l’emanazione degli atti del procedimento disciplinare prima attribuiti agli organi politici.
10. Con l’ultimo motivo di gravame indicato in ricorso, da trattare in quest’ordine per ragioni logiche, il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 2 della Legge n. 241 del 1990, eccesso di potere per violazione della circolare 6.7.2001 n. 333, A/9808, B.3.1, per eccessiva durata dell’intero procedimento disciplinare, eccessiva penalizzazione rispetto all’interesse pubblico perseguito, contraddittorietà tra gli atti dell’amministrazione.
10.1 Parte delle censure sono state già analizzate nei punti precedenti. Le restanti non risultano fondate nei termini di cui si dirà di seguito.
10.2 La pretesa eccessiva durata del procedimento non è altro che la conseguenza di un iter estremamente complesso, caratterizzato da due annullamenti in via di autotutela, da ripetuti atti di accesso dell’incolpato e del suo difensore, da un’istanza di ricusazione e da altri atti tipici della procedura disciplinare. Del resto non esiste una norma che imponga la conclusione del procedimento entro un termine perentorio, in quanto sia l’art. 120 del DPR n. 3 del 1957 sia il principio di immediatezza della contestazione sono stati ritenuti sufficienti dall’ordinamento per garantire l’incolpato contro l’inerzia dell’amministrazione. In questi termini la censura deve essere respinta.
10.3 Quanto alla pretesa contraddittorietà degli atti dell’amministrazione, già si è detto, a proposito delle due contestazioni degli addebiti, nei precedenti punti nn. 5 e ss. In merito alla pretesa contraddittorietà fra l’ipotesi sanzionatoria ritenuta sussistente (art. 7 comma 2 punto 6 del DPR n. 737 del 1981, relativo alla destituzione per reiterazione delle infrazioni per le quali è prevista la sospensione dal servizio o per persistente riprovevole condotta dopo che siano stati adottati altri provvedimenti disciplinari) e quanto riportato nelle conclusioni della relazione finale del funzionario istruttore in data 12.06.2001 (in cui si legge: "Rispetto alla contestazione degli addebiti, non si è riusciti a provare la reiterazione della mancata presentazione presso il Centro sanitario per carenza di elementi probatori"), la stessa non appare rilevante ai fini del decidere, anche in relazione al vizio di carenza di motivazione già rilevato dal Collegio ai punti 9.2 e ss., in quanto la norma sanzionatoria fa riferimento alla reiterazione di tutte le infrazioni per le quali è prevista la sospensione dal servizio. Dagli atti emerge che al Gai è stata inflitta, nell’ano 1994, la sospensione dal servizio per mesi due, per essersi rifiutato di svolgere il turno di servizio a seguito di un’emergenza.
11. Infine, le censure riguardanti le dedotte violazioni degli artt. 1 e 7 del DPR n. 737 del 1981, dell’art. 70 della Legge n. 121 del 1981, dell’art. 68 del DPR n. 3 del 1957 nonché i vizi di eccesso di potere per sproporzione della sanzione irrogata rispetto ai fatti contestati anche in relazione alla pretesa illegittimità dell’ordine di servizio del 17.4.2000, n. 333/D/1238, il difetto di motivazione del provvedimento conclusivo, la violazione dell’art. 13 del DPR n. 737 del 1981, eccesso di potere per non aver tenuto conto, nell’applicazione della sanzione, dei lodevoli precedenti di servizio del ricorrente e delle altre circostanze attenuanti, la violazione dell’art. 7 comma 9 della Legge n. 300 del 1970 per aver tenuto conto di sanzioni disciplinari irrogate da oltre 2 anni, la violazione dell’art. 3 della Legge n. 241 del 1990 per difetto di motivazione del provvedimento impugnato in relazione alla gravità della sanzione inflitta, possono essere definite congiuntamente in quanto connesse fra loro afferendo alla motivazione del provvedimento applicativo della sanzione disciplinare.
11.1 Occorre preliminarmente esaminare la censura relativa alla pretesa violazione dell’art. 7 comma 8 della Legge n. 300 del 1970. La stessa è infondata non potendo, infatti, applicarsi al personale delle forze di polizia di Stato il disposto della normativa citata, il quale prevede che non può tenersi conto ad alcun effetto delle sanzioni disciplinari decorsi due anni dalla loro applicazione, essendo questo applicabile solo nei confronti dei dipendenti pubblici il cui rapporto è disciplinato dalle norme privatistiche (T.A.R. Lombardia Sez. I, Milano, 2.9.1998, n. 2062).
11.2 Risultano invece fondate le altre censure inerenti la violazione del principio di proporzionalità e il difetto di motivazione del provvedimento finale in relazione alla gravità della sanzione inflitta.
11.3 Premette, in proposito, il Collegio che, in materia di procedimento disciplinare, l'amministrazione ha il dovere di valutare, previo compiuto accertamento dei fatti, la gravità dell'infrazione commessa dal dipendente al fine di individuare, secondo criteri di proporzionalità e gravità, la giusta sanzione, all'uopo indicandone le ragioni con congrua motivazione (C.d.S. Sez. VI, 6.5.1998, n. 645). La congruità della motivazione va quindi valutata in ragione della gravità della sanzione inflitta (C.d.S sez. IV, 27.10.1998, n. 1397). Il principio di proporzionalità, nell’irrogazione delle sanzioni disciplinari, è stato recentemente applicato anche da questa Sezione (TAR Lombardia Brescia, 5.11.2002, n. 1842) ed esprime un coerente indirizzo anche della sede di Milano.
11.4 Nel caso in esame, essendo stata comminata la più grave delle sanzioni previste dal vigente ordinamento (destituzione), il provvedimento che la infligge deve essere assistito da una motivazione particolarmente rigorosa, puntuale e completa, pena l’illegittimità dello stesso per violazione dell’art. 3 comma 1 della legge n. 241 del 1990. Del resto di tale necessità è apparso ben consapevole il Capo della Polizia in occasione del secondo annullamento degli atti del procedimento disciplinare (Decreto del 18.10.2001), disposto proprio per vizi di motivazione rilevati nei verbali del Consiglio provinciale di disciplina.
11.5 Tuttavia, a ben guardare, anche la deliberazione del Consiglio Provinciale di disciplina in data 20.12.2001, allegata al decreto del 4.2.2002 conclusivo del procedimento disciplinare, non appare assistita da una sufficiente motivazione nei termini sopra indicati. L’art. 13 del DPR n. 737 del 1981, stabilisce che l'organo competente ad infliggere la sanzione deve tenere conto di tutte le circostanze attenuanti, dei precedenti disciplinari e di servizio del trasgressore, del carattere, dell'età, della qualifica e dell'anzianità di servizio. Dal decreto del Capo della Polizia in data 4.2.2002, e allegata delibera del Consiglio provinciale di disciplina in data 20.12.2001, emerge soltanto la valutazione dei fatti oggetto di contestazione e dei precedenti disciplinari, mentre nulla risulta in relazioni agli altri elementi da tenere in considerazione nell’infliggere la sanzione e, in particolare, con riferimento ai precedenti di servizio, fra i quali risultano, come da documentazione prodotta in giudizio, molteplici attestati di lode, note di elogio, di compiacimento e di distinzione nell’attività di polizia.
11.6 Il rilevato difetto di motivazione non rende, dunque, percepibile l’iter logico seguito dall’Organo disciplinare, rendendo più marcata la violazione del principio di proporzionalità, in base al quale la sanzione, ancorché possa superare la soglia della necessità di reagire rispetto all’illecito compiuto dal dipendente, nonché della sua concorrente astratta idoneità a perseguire lo scopo, non può tuttavia superare quella della congrua ed equilibrata proporzione rispetto ai fatti ascritti, ponderatamente valutati nel complessivo quadro sopra delineato.
11.7 Il ridetto conclusivo vaglio, condotto alla stregua di una valutazione trifasica della misura adottata dall’Amministrazione, conduce peraltro alla conclusione che, sia pure rispetto ad una infrazione di non secondaria gravità, resa ancora più evidente dalla consapevole volontà del dipendente di sottrarsi alla prescritta visita medica, la destituzione da ultimo pronunciata non trovi una solida base argomentativa e giustificativa alla luce sia della pregressa condotta di servizio del soggetto, sia del rilievo meramente interno dell’inappropriato e pur biasimevole comportamento, sia, infine, della non secondaria possibilità che dette circostanze potessero trovare anche soltanto concorrente conferma nella stessa ipotesi sulla cui scorta l’Amministrazione aveva stabilito di dar corso alla visita psichiatrica: il che avrebbe potuto rappresentare dunque una opzione potenzialmente esimente per un soggetto che pure non aveva demeritato negli anni del precedente servizio in Polizia.
P.Q.M.
il T.A.R. per la Lombardia - Sezione staccata di Brescia – definitivamente pronunciando accoglie il ricorso in epigrafe e, per l’effetto:
annulla il decreto in data 4.2.2002 con cui il Capo della Polizia ha disposto la destituzione dal servizio del Sig. Giovanni Gai a decorrere dal 12.2.2002;
condanna il Ministero dell’Interno, al pagamento, a favore del ricorrente, della somma di Euro 2.300 a titolo di spese, competenze ed onorari di difesa, oltre ad oneri di legge.
La presente sentenza sarà eseguita dall’Amministrazione ed è depositata presso la Segreteria del Tribunale che provvederà a darne comunicazione alle parti.
BRESCIA, li 22 Ottobre 2002
Depositata in data 4 dicembre 2002.