TAR EMILIA ROMAGNA, SEZ. PARMA - Sentenza 20 dicembre 2001 n. 1049 – Pres. Cicciò, Est. Giovannini – Cristini (Avv.ti A. Andreoli e P. Piva), c. Comune di Parma (Avv. G. Saporito), Piccinini ed altri (n.c.).
1 – Pubblico impiego - Dipendenti enti locali - Avvocati facenti parte dell’ufficio legale - Ristrutturazione dell’ufficio legale - Legitimità.
2 - Pubblico impiego – Enti locali - Direttore generale – Potere di adottare provvedimenti vincolanti per i dirigenti – Legittimità.
3 – Pubblico impiego - Organizzazione del personale - Enti locali – Avvocatura – Attività di consulenza e jus postulandi – Legittimità – Collocamento in staff – Irrilevanza.
4 - Pubblico impiego – Organizzazione del personale – Enti locali – Indirizzi del Consiglio comunale - Attuazione da parte della Giunta mediante scelte di merito suggerite dal Direttore generale - Legittimità.
5 - Pubblico impiego – Dipendente enti locali - Organizzazione del personale - Uffici - Scelte ed impostazioni - Comunicazione di avvio del procedimento - Necessità – Esclusione.
6 - Pubblico impiego – Dirigenti – Enti locali - Principi per l’affidamento degli incarichi – Sufficiente determinatezza – Necessità di ulteriori criteri – Esclusione.
7 - Pubblico impiego – Dirigenti - Mansioni e funzioni – Enti locali – Ristrutturazioni degli uffici e dell’organigramma - Conseguente adattamento degli incarichi dirigenziali - Legittimità - Revoca di incarichi dirigenziali – Possibilità.
1 – È legittima la ristrutturazione degli uffici e dei servizi comunali, con riferimento a criteri di economicità, efficacia ed efficienza, che collochi le attività di patrocinio legale nonché di consulenza giuridico-amministrativa e di gestione degli affari legali, all’interno dell’Ufficio Studi Affari e Patrocini Legali, struttura a sua volta facente parte del “Servizio di Segreteria ed Affari Legali”. L’inserimento del servizio legale in un settore diverso da quello concernente gli “affari generali” esprime una scelta ampiamente discrezionale per l’Amministrazione e pertanto essa, ove non ricorrano determinazioni viziate da palese illogicità, non è sindacabile da parte del giudice amministrativo.
2 - Non vi è illegittima compressione dell’autonomia riconosciuta dalla legge al personale dirigenziale pubblico, qualora si preveda che il direttore generale di un Comune possa dettare "disposizioni" che i soggetti sottordinati sono vincolati ad osservare solo in caso di omissioni o ritardi nell’esercizio delle potestà di competenza degli stessi, nonché "direttive" che possono essere osservate o meno dai dirigenti nell’ambito della propria autonomia.
3 – È legittima la previsione organizzativa di un ente locale che, fermo restando il potere di organizzare i propri uffici rinunciando totalmente al patrocinio legale degli Avvocati dipendenti, prevede un’apposita ed autonoma struttura deputata all’assolvimento delle peculiari funzioni degli avvocati dipendenti, quando questi, pur operando quali dirigenti in posizione di staff, vedano garantita l’autonomia nell’esercizio dello jus postulandi e nelle fasi di impostazione, elaborazione e redazione delle consulenze in materia giuridica richieste dall’Ente di appartenenza.
4 - Legittimamente il Direttore Generale di un ente locale, nell’ambito e nei limiti dei criteri predisposti dall’Ente, opera scelte di merito sia riguardo all’impostazione da dare alla struttura burocratica comunale sia, in un momento successivo, riguardo alla collocazione del personale dirigenziale – del cui operato e rendimento egli è direttamente responsabile nei confronti degli organi politici comunali – sulla base dell’intuitus personae e, quindi, mediante l’instaurazione con i dirigenti posti a capo delle diverse strutture e servizi di un rapporto fiduciario.
5 - Riguardo agli atti con i quali un Comune ha regolamentato ed organizzato la generalità degli uffici e dei servizi comunali, non deve essere data ai dipendenti, ai sensi dell’art. 13 della L. n. 241 del 1990, comunicazione di avvio del procedimento ex art. 7 e segg. stessa legge.
6 - Qualora i principi previsti dall’art. 19 c. 1 e 2 del D. Lgs. n. 29 del 1993, nonché dall’art. 109 T.U.E.L. per l’affidamento degli incarichi dirigenziali, siano stati recepiti in regolamento e risultino sufficientemente determinati, non è richiesta una loro specificazione attraverso l’ulteriore individuazione di criteri.
7 - Poichè l’art. 19 del D. Lgs. n. 29 del 1993 prevede che per il conferimento e modifica di incarichi dirigenziali, si debba tenere conto, innanzitutto, della natura e delle caratteristiche dei programmi da realizzare, in ipotesi di ristrutturazione o di modifiche incisive degli uffici e dell’organigramma, è legittimo l’adattamento degli incarichi dirigenziali ai nuovi programmi che l’ente intende realizzare. Ciò può avvenire, in attuazione dell’ art. 109 T.U. Enti Locali, anche con possibilità di revoca degli incarichi al personale dirigenziale …negli altri casi disciplinati dai contratti collettivi di lavoro", in coerenza con l’art. 13 del C.C.N.L. Dirigenza Comparto Regioni Autonomie Locali 1998 – 2001, il quale prevede espressamente che "…la revoca anticipata dell’incarico rispetto alla scadenza, può avvenire solo per motivate ragioni organizzative e produttive…". In conseguenza, è altresì legittima la norma regolamentare che preveda la possibilità di revoca dell’incarico dirigenziale in caso di "ristrutturazioni organizzative e/o esigenze di servizio".
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Commento di
GIOVANNI BUONO
Ristrutturazione degli uffici e dei servizi e limitazioni dello ius postulandi degli avvocati degli enti locali.
Le massime 4, 5, 6 e 7 sono presenti anche nella coeva sentenza n. 1050/2001 (http://www.giustamm.it/private/tar/taremiliaparma_2001-12-20-1.htm), relativa a dirigenti comunali non avvocati. Valgono quindi le osservazioni riportate in nota alla predetta sentenza n. 1050, a firma di G. Buono e di L. Oliveri
Sulla posizione dell’avvocatura in un Comune di medie dimensioni come quello in lite, si segnalano invece le massime n. 1 e 3, che affrontano il problema dell’autonomia dei legali interni nelle nuove strutture.
Va altresì ricordato che nel caso in esame vi è stato un provvedimento cautelare emesso dal Giudice del lavoro, inedito ma conforme a Tribunale Parma, 28 marzo 2001 n. 125 (in questa rivista, n. 3/2001, pag, http://www.giustamm.it/private/ago/tribparmalav_2001-125.htm, con nota di L. Olivieri).
Questa circostanza consente di limitare il commento ad alcuni aspetti specifici del settore legale degli enti pubblici, settore che attualmente coinvolge oltre 3000 figure.
La sentenza TAR esclude che la posizione di staff posa ritenersi, anche per un avvocato, una capitis deminutio, se l’avvocato stesso non subisce poteri di ingerenza o limiti all’autonomia decisionale.
Altre volte si è dubitato dello stesso diritto del legale alla dirigenza: TAR Umbria, 5 giugno 2001, n. 318, esclude un’automatica qualifica dirigenziale per l’avvocato dipendente che rivesta il ruolo di responsabile dell’ufficio legale. Tale qualifica, infatti, dipende dalle scelte organizzative compiute dall’amministrazione al momento della formazione della pianta organica.
Nel caso esaminato dal TAR Umbria, la ricorrente, unica addetta dell’ufficio legale di un comune di medie dimensioni, si era vista negare il diritto ad essere inquadrata nella fascia dirigenziale perché, secondo il TAR, non è previsto un obbligatorio inserimento nella posizione dirigenziale degli avvocati assunti presso un ente locale.
Peraltro, osservano i giudici umbri, l’accesso alla categoria dirigenziale rientra nella discrezionalità di cui l’ente gode nell’organizzazione degli uffici, discrezionalità che a sua volta è condizionata da criteri che devono valutare, per esempio, le dimensioni territoriali del comune, la complessità dell’ufficio, il livello medio del contenzioso.
Più complesso è il discorso generale sul rapporto tra ius postulandi e attività interna: la riorganizzazione può infatti incidere su aspetti importanti dell’attività legale quali appunto la attività di difesa esterna.
Sul punto, va ricordato che Cass. Sez. Un., 24.04.1990, n. 3455, ritiene legittimo che al professionista possano essere “affidati compiti interni di consultazione e di studio non direttamente comportanti forme di difesa processuale”.
In altri termini, in un contesto particolarmente motivato sarebbe possibile escludere lo ius postulandi, in quanto “nell’ipotesi, consentita dalla legge, di espletamento dell’attività forense in regime di subordinazione, è la disciplina giuridica del rapporto di lavoro la fonte primaria del rapporto ed invero è l’essenza propria della subordinazione che legittima, non solo forme d’inquadramento che sono per l’appunto tipiche del lavoro subordinato, ma altresì la possibile limitazione dei contenuti dell’attività forense e perciò anche dello ius postulandi”.
Altro problema è quello della permanenza dell’iscrizione all’Albo speciale (art. 3 r.d. l. 27.11.33 n. 1578) del legale cui l’amministrazione sottragga lo ius postulandi.
Le Sezioni Unite della Cassazione riconoscono la compatibilità dell’iscrizione in elenco speciale di chi espleta “differenti compiti, di contenuto ed importanza diversa purché abbiano attinenza con la professione legale“. Infatti, “per uffici legali devono intendersi quelli ai quali, indipendentemente dalla loro denominazione, sono affidati compiti di consulenza ed assistenza, giudiziale e stragiudiziale, in controversie coinvolgenti detti enti. ..la formulazione della norma lascia intendere che la deroga presuppone che l’espletamento dell’attività legale deve essere completa, nel senso cioè che deve essere prevista la possibilità, in base alla disciplina applicabile all’ente di appartenenza, che il dipendente possa, sempre nell’interesse di questo, svolgere sia l’attività giudiziaria (cause), che quella stragiudiziaria (affari): Cass. civ. sez. un. 19.10.98 n. 10367 in Giust. civ. 1999, I, 83; Id., 11.12.79 n. 6439, ivi, 1980, I, 920.
Con le nuove organizzazioni degli enti locali, tornano quindi in discussione i principi elaborati dalla Corte Costituzionale (28 luglio 1988 n. 928; id.,10 giugno 1988 n. 624) secondo cui “l’avvocato-funzionario, in quanto professionista ed in ragione dell’attività giuridico-legale in tale veste esercitata – con riflessi anche all’esterno dell’Ente per cui opera e da cui dipende – deve godere di ampi margini di autonomia e d’indipendenza, pur restando tuttavia costretto all’osservanza degli obblighi connessi con il suo status di pubblico dipendente con conseguente necessità di inserimento nella struttura organizzativa dell’Ente stesso, tendenziale assoggettamento ad un orario di lavoro e rispetto degli altri doveri d’ufficio”.
Può anche ridiscutersi l’orientamento del TAR Bologna (sez. II, 17.02.96 n. 10, in Foro amm. 1996, 2998), secondo il quale “..la libertà della funzione deve esplicarsi nella più ampia autonomia possibile dall’apparato burocratico”, ma, altresì, che ciò deve avvenire “compatibilmente con l’imprescindibile inserimento dell’avvocato nella struttura per cui opera”.
Quindi, proprio perchè “il dipendente, incaricato della cura dei particolari interessi dell’ente datore di lavoro non si trova in quella condizione di autonomia che costituisce il presupposto della libera professione” (Cass. sez. un. 26.03.81 n. 1750), non si può “individuare nello status giuridico ed economico dell’avvocato libero professionista un criterio per la differenziazione di chi eserciti la professione alle dipendenze di un ente pubblico” (Corte Cost. 624/1988).
Occorre invece “tener conto delle radicali differenze intercorrenti, invece, fra lavoratore dipendente e lavoratore autonomo; libero il secondo da qualsivoglia vincolo organizzativo ed esposto, correlativamente al rischio economico inerente ad una libera attività economica, vincolato il primo dalla dipendenza ed appartenenza ad un’organizzazione ed esente, viceversa dal rischio professionale.
Il tertium comparationis (posizione del libero professionista) non è, dunque, omogeneo alla posizione asseritamente discriminata”.
Sullo status dell’avvocato-dipendente pubblico si segnalano altresì TAR Campania, Napoli, IV Sez. 16.05.1996 n. 330, nonché TAR Lazio, II sez. 24.02.1999 n. 737, secondo le quali“per gli avvocati e procuratori degli uffici legali istituiti presso gli Enti pubblici, di cui all’art. 3 comma 2 R.D.L. 27 novembre 1933 n. 1578, iscritti in un elenco speciale annesso all’albo di categoria, non sussiste la medesima autonomia che è presupposto per l’esercizio della libera professione e non è escluso l’inserimento nella struttura gerarchica dell’Ente, con vincolo di subordinazione da coordinare con la disciplina professionale sotto ben precisi profili”.
La particolare condizione di dipendente pubblico dell’avvocato dell’ente locale può quindi determinare l’assoggettamento dello stesso ai limiti e vincoli, che l’amministrazione pone nell’esercizio della propria potestà organizzatoria, in funzione della realizzazione degli obiettivi stabiliti.
“L’imposizione di limiti e vincoli, eventualmente anche procedimentali, all’attività dei propri dipendenti al fine di razionalizzare, coordinandola, l’azione amministrativa, costituisce tipico esercizio di potestà organizzatoria devoluta a ciascuna Amministrazione, che non viene meno, di regola, neanche nel caso in cui l’Amministrazione stessa utilizzi personale altamente qualificato specializzato ed addirittura abilitato all’esercizio della professione forense ed iscritto nel relativo albo speciale, quale quello generalmente utilizzato negli uffici legali” (TAR Sicilia-Palermo, Sez. II, 7.4.1994 n. 343, a proposito di limiti e controlli circa la presenza in ufficio nelle ore lavorative; sul principio, vedi anche Cons. Stato, Sez. IV, 30.04.98 n. 703).
Le incertezze che contraddistinguano l’avvocatura di enti pubblici, del resto, sono parallele al movimento che, partendo da Corte Cost. 11.6.2001 n. 189 (in questa rivista, pag. http://www.giustamm.it/corte/ccost_2001-189.htm) vede avvicinarsi l’eliminazione di barriere al part time: si vedano in proposito (nel sito http://www.agcm.it/) il parere dell’Autorità Antitrust sul disegno di legge (S 223) che sottrae le professioni legali alla regola del part time nel pubblico impiego (parere 6.12.2001), nonché (nel sito http://www.oua.it/) il documento 4.1.2002 della Giunta dell’Organismo unitario avvocati contrario al parere Antitrust e quindi contrario alla libera professione svolta nel tempo libero dagli avvocati pubblici.
Mentre gli avvocati dipendenti vogliono autonomia e responsabilità, il libero foro vuole evitare loro i rischi della concorrenza (G. Buono 15.1.2002).
per l’annullamento
1) -della deliberazione della Giunta Comunale di Parma n.2216 del 7/12/2000 con la quale è stato approvato il regolamento comunale sull’ordinamento degli uffici e dei servizi, nonché la macrostruttura del Comune di Parma, nella parte in cui ha soppresso l’Avvocatura Municipale;
2) - della deliberazione della Giunta Comunale n.2444 del 28/12/2000, di integrazione del funzionigramma del regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi;
3) - della deliberazione della Giunta Comunale n.8 del 5/1/2001, nella parte in cui si approva il piano operativo della nuova struttura organizzativa dell’ente;
4) - del provvedimento del Sindaco e del Direttore Generale prot. n.1828 del 8/1/2001, con cui sono state attribuite le funzioni ex art. 19 del Regolamento degli uffici e dei servizi all’Avv. S. CAROPPO;
5) - del provvedimento del Direttore Generale e del Vice Sindaco prot. n.4826 del 15/1/2001, con cui è stato disposto che la ricorrente, a far tempo dal 15/1/2001, svolga determinate attività;
E con motivi aggiunti di ricorso depositati in data 19/2/2001 e 16/7/2001per l’annullamento:
6) – del decreto del Sindaco del Comune di Parma prot. n.17144/1/6 n/3 racc. n.6/ED/1 del 6/2/2001, recante modifica parziale al decreto di assegnazione del personale dirigente non titolare di attività gestionale di struttura;
7) – del decreto prot. n.17162 del 6/6/2001, con cui il Sindaco e il Direttore Generale hanno specificato le funzioni ex art. 19 Reg. sull’ordinamento degli Uffici alla posizione dell’attuale ricorrente;
8) – della deliberazione della Giunta Comunale n.417 del 29/3/2001, con la quale è stato approvato “un nuovo testo del regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi”, sostitutivo di quello precedentemente adottato con deliberazione della G.C. n.2216 del 7/12/2000;
(omissis)
FATTO
Con il ricorso n. 50 del 2001, notificato il 21/1/201 e depositato il 1/2/2001, nonché con ricorsi per motivi aggiunti ritualmente notificati e depositati in data 19/2/2001 e in data 16/7/2001, la ricorrente chiede l’annullamento dei provvedimenti e degli atti indicati in epigrafe.
Dopo avere illustrato le principali circostanze di fatto afferenti la controversia in esame, parte ricorrente deduce, a sostegno dell’impugnativa, i seguenti motivi in diritto.
1) – Eccesso di potere per contraddittorietà, illogicità manifesta, falso presupposto di fatto;
La deliberazione di Giunta n.2444 del 28/12/2000 è illegittima per i vizi indicati in rubrica, poiché vi è palese contraddizione tra le premesse ed il dispositivo del suddetto atto, in quanto, alla dichiarata volontà di affidare alla Direzione Servizi di Segreteria ed Affari Legali “il contenzioso amministrativo e speciale” ed al Settore Contratti e Provveditorato “il contenzioso giurisdizionale ordinario”, fa seguito un dispositivo in cui vengono attribuite indifferentemente alle due strutture la “cura diretta interna dell’assistenza giurisdizionale e di patrocinio legale dell’ente su incarico della Giunta”.
In ogni caso la soluzione adottata è in aperta contraddizione con i criteri generali per l’ordinamento degli uffici e dei servizi dettati dal Consiglio Comunale con deliberazione n.76 del 24/3/1999 e richiamati nella delibera impugnata.
Con tale deliberazione, infatti, si è disgregata una struttura esistente, riconducendone le funzioni nell’ambito di due diverse strutture, con oggettiva difficoltà di definizione delle rispettive competenze, inevitabile aggravio di costi per sdoppiamento delle risorse umane e dei supporti logistici, il tutto a scapito dei criteri di efficienza ed economicità dettati dal consiglio comunale con deliberazione n. 76del 1999.
Poiché alle due strutture di nuova istituzione sono passate anche le funzioni precedentemente svolte dal Servizio Avvocatura Municipale, appartenente al Settore Affari Generali, è a quest’ultima struttura che si sarebbe dovuto fare riferimento anziché alla Segreteria Generale, all’Area degli Organi Istituzionali ed al Settore Contratti, che nulla avevano a che fare con l’Avvocatura.
2) – Violazione dell’art. 3 RDL n.1578 del 1933; Eccesso di potere per illogicità; Violazione del principio di buon andamento della P.A.;
La norma rubricata prevede che i dipendenti pubblici, in deroga al generale divieto, loro imposto, di esercitare la professione forense, possano espletare quest’ultima, con iscrizione in un apposito elenco speciale annesso all’albo degli avvocati degli uffici legali istituiti presso gli enti pubblici.
Condizione per l’iscrizione a tali albi è che l’Ente di appartenenza abbia costituito al proprio interno un’autonoma struttura operativa che valga, da una parte, ad inserire il professionista nell’assetto dell’Ente e, dall’altra, a consentire ed assicurare il libero esercizio delle sue peculiari funzioni, in assenza del quale verrebbe meno la natura professionale dell’attività svolta.
È illegittima, pertanto, la deliberazione 7/12/2000, con la quale la Giunta ha definitivamente sacrificato l’Avvocatura Municipale, trasferendone le residue funzioni a due strutture caratterizzate da assenza di autonomia ed indipendenza e ponendo i due avvocati municipali in posizione c.d. di staff alle dipendenze di direttori dotati di incisivi poteri di supremazia gerarchica, mentre sarebbe stato necessario e, in termini di legittimità doveroso, mantenere le funzioni di patrocinio e di consulenza già svolte dall’Avvocatura nell’ambito di una struttura apicale, posta alle dirette dipendenze dei soli vertici politici dell’Ente, riconoscendone peculiarità e specifiche esigenze di autonomia.
Diversamente ragionando, si dovrebbe concludere che la struttura stessa non ha le caratteristiche per consentire agli avvocati dell’ente di rimanere iscritti all’albo speciale e, quindi, di svolgere attività di patrocinio.
3) – Eccesso di potere per difetto di motivazione, sviamento di potere e illogicità manifesta; Violazione dell’art.13 c.2 CCNL 23/12/1999, art. 3 L. n.241 del 1990 e art. 28 D. Lgs. n.29 del 1993 e CCNL 1998/2001;
L’unica motivazione contenuta nella deliberazione del 7/12/2000 è che la riorganizzazione è stata l’ineluttabile conseguenza della nomina del nuovo Direttore Generale avvenuta in data 25/10/2000.
L’impugnato provvedimento non da conto di altre ragioni che giustifichino lo stravolgimento di una macrostruttura adottata poco più di un anno prima e che, proprio per questo fatto necessitava di un’esposizione precisa e puntuale delle ragioni – di natura organizzativa e produttiva – che hanno indotto la Giunta Comunale a sopprimere sia il Settore Affari Generali che il Servizio Avvocatura.
4) – Violazione dell’art. 7 della L. n.241 del 1990;
La revoca implicita dell’incarico da ultimo conferito alla ricorrente in data 7/6/1999 è avvenuto senza previa comuniczione di avvio del procedimento.
5) – Violazione art. 13 CCNL 1998/2001; Eccesso di potere per difetto di motivazione;
L’art. 16 del Regolamento così come l’art. 19 del D. Lgs. n.29 del 1993, stabiliscono unicamente i principi che devono essere rispettati dall’amministrazione nella determinazione dei criteri di cui all’art.22 del CCNL in esame.
Questi ultimi devono necessariamente essere più specifici dei principi, con specifica determinazione, direzione per direzione, dei titoli di studio e professionali richiesti, dei metodi di valutazione delle capacità ed attitudini e della scelta della procedura da seguire nell’eventuale previsione di una pluralità di candidati a ricoprire un medesimo posto.
6) – Violazione dell’art. 19 D. Lgs. n.29 del 1993 e art. 109 D. Lgs. n.267 del 2000; Eccesso di potere per difetto di motivazione;
L’art. 19 del Regolamento adottato dal Comune con l’impugnata deliberazione prevede che i dirigenti siano tenuti, “su richiesta del Sindaco o degli Assessori da esso delegati – a svolgere – funzioni ispettive, di consulenza, di studio e ricerca od altri specifici incarichi di volta in volta determinati”.
Nessuna motivazione è stata posta a fondamento della scelta di assegnare alla ricorrente una posizione del tutto marginale all’interno della macrostruttura, attribuendo immotivatamente ad altri dirigenti le funzioni – nonché le risorse umane e finanziarie – prima facenti capo alla stessa quale responsabile dell’Avvocatura Municipale e questo costituisce un comportamento in contrasto con le disposizioni sopra rubricate.
Con ricorso per motivi aggiunti depositato in data19/2/2001:
7) – Violazione dell’art. 3 lett. B del R.D.L. n.1578 del 1933, convertito in legge n.36 del 1934; Violazione dell’art. 97 Cost.
Anche con i provvedimenti in data 8/1/2001 prot. n.1828 e in data 15/1/2001 prot. n.4826, l’Amministrazione Comunale si è posta in contrasto con le norme sopra rubricate, posto che non vengono rispettate le condizioni di autonomia nell’esercizio della funzione di assistenza tecnico giuridica dinanzi agli organi giurisdizionali a favore dell’Ente da cui il professionista dipende, affinché la ricorrente possa rimanere iscritta all’albo speciale dei dipendenti pubblici esercitanti la professione forense.
Ed invero, anche a seguito di detti provvedimenti di nomina ed assegnazione funzioni, la ricorrente è stata assegnata all’Ufficio Studi, affari e patrocinio legale, ma sempre in posizione di totale dipendenza oltre che dal Direttore Generale, da cui gerarchicamente dipendono in forza dell’art. 5 del Regolamento degli uffici e servizi, anche dal Direttore dei Servizi di Segreteria e dal Segretario Generale.
In conclusione, pertanto, quanto meno per l’attività di consulenza, la ricorrente non risulta avere alcuna libertà ed indipendenza d’azione, essendo vincolata ad una stretta sottoordinazione alle sopra elencate figure professionali.
Sono inoltre inconciliabili con l’esercizio della professione forense l’attribuzione alla ricorrente di “funzioni istruttorie…dei procedimenti amministrativi dell’Ente” non meglio definite.
8) – Violazione dell’art. 109 T.U. Enti Locali e dell’art. 19 del D. Lgs. n.29 del 1993 e dell’art. 13 CCNL Area Dirigenza Regioni – Autonomie Locali 1998 – 2001; Eccesso di potere per illogicità manifesta ed irrazionalità; violazione del principio di buon andamento; sviamento di potere;
Alla ricorrente è stato implicitamente revocato l’incarico di responsabile dell’Avvocatura Municipale, in conseguenza della soppressione di quest'ultima.
Senza motivazione alcuna la ricorrente è stata privata della responsabilità dell’Avvocatura ed è stata posta in posizione di staff prima alla Direzione Generale (decreto sindacale 22/12/2000) e dopo alla Segreteria Generale (decreto sindacale 6/2/2001).
Il tutto è avvenuto in applicazione dell’art. 16 del Regolamento per gli Uffici e Servizi che, all’art. 16, ha previsto un ipotesi di revoca e conferimento degli incarichi diversa ed ulteriore e quindi illegittima rispetto a quelle contemplate dall’art. 109 T.U. Enti Locali n.267 del 2000 e dall’art. 19 D. Lgs n.29 del 1993.
In sede regolamentare si è infatti previsto che la revoca degli incarichi dirigenziali possa avvenire anche a seguito di ristrutturazioni organizzative e/o esigenze di servizio che richiedono il trasferimento del dirigente ad altro incarico.
9) – Violazione dell’art. 7 L. n. 241 del 1990;
Anche in relazione agli ultimi due provvedimenti impugnati non è stata data alla ricorrente comunicazione dell’avvio del procedimento.
10) – Violazione dell’art. 13 Statuto dei Lavoratori;
La ricorrente è avvocato del Comune di Parma ed anche nei suoi confronti deve essere applicato il principio di cui all’art. 13 dello Statuto dei Lavoratori assegnando alla medesima l’attività che l’ordinamento delle professioni di avvocato e procuratore riservano agli iscritti negli albi forensi.
11) – Eccesso di potere per contraddittorietà tra atti e falso supposto di fatto;
L’Amministrazione nella delibera approvativa del P.E.G. cita come esistente l’Avvocatura Comunale, mentre la stessa è stata soppressa con deliberazione n.2216 del 2000.
Il comportamento dell’Amministrazione Comunale è pertanto contraddittorio.
Con ricorso per motivi aggiunti depositato in data 16/7/2001:
12) – Violazione di legge; falso presupposto di fatto; illogicità manifesta, contraddittorietà eccesso di potere per sviamento, difetto di motivazione;
Il nuovo regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi, approvato con deliberazione n.417 del 29/3/2001, nelle parti immutate rispetto al regolamento precedente si espone alle medesime censure già ampiamente svolte coi precedenti motivi di ricorso.
- Con memorie depositate in data 2/4/2001 e in data 26/10/2001, parte ricorrente, ribadite le considerazioni esposte nei predetti ricorsi, conclude con richiesta di accoglimento del gravame, vinte le spese.
§ § §
L’Amministrazione Comunale resistente, con la comparsa di costituzione e con successive memorie depositate in data 31/3/2001 e in data 26/10/2001, ritenendo infondato il ricorso, ne chiede la reiezione, vinte le spese.
§ § §
Alla pubblica udienza del 6/11/2001, la causa è stata chiamata ed è stata trattenuta per la decisione, come da verbale.
DIRITTO
Con l’atto introduttivo del presente giudizio e con successivi due ricorsi per motivi aggiunti, un dirigente – avvocato del Comune di Parma impugna gli atti con i quali la suddetta Amministrazione Comunale ha proceduto ad una profonda ristrutturazione degli uffici e dei servizi, a seguito dell’approvazione, con deliberazione della Giunta Comunale n.2216 del 2000 e con successiva deliberazione n. 417 del 2001, sostitutiva della precedente, del nuovo regolamento sull’ordinamento degli uffici, dei servizi e della macrostruttura comunale.
Il Collegio deve innanzitutto rilevare l’improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza d’interesse riguardo ai mezzi d’impugnazione rilevanti l’illegittimità del regolamento approvato con la deliberazione n.2216 del 2000, stante, come si è detto, l’avvenuta sostituzione di tale atto col nuovo regolamento approvato con deliberazione della Giunta Comunale n. 417 del 2001.
Peraltro occorre rilevare che, in virtù del dodicesimo mezzo d’impugnazione, introdotto con il secondo ricorso per motivi aggiunti, la ricorrente ha riproposto, in concreto, le stesse censure avverso il nuovo regolamento, per cui tali doglianze devono essere puntualmente vagliate dal Collegio con riferimento al testo del più recente atto regolamentare approvato dalla Giunta Comunale di Parma.
Con il primo motivo, la ricorrente, dirigente – avvocato - del Comune di Parma, lamenta che la ristrutturazione degli uffici e dei servizi comunali non avrebbe rispettato i criteri di economicità, efficacia ed efficienza sanciti dalla stessa Amministrazione Comunale con deliberazione consiliare n.76 del 24/3/1999, avendo essa, di fatto, soppresso il servizio di Avvocatura Comunale, con suddivisione delle relative competenze tra due distinti uffici e con conseguente difficoltà di definizione, tra questi ultimi, delle rispettive attribuzioni ed inevitabile aggravio di costi.
Il motivo risulta infondato, poiché esso, mentre poteva contenere considerazioni condivisibili riguardo al regolamento approvato con deliberazione di Giunta n.2216 del 2000 – in quanto, effettivamente, lo sdoppiamento in due diversi uffici dell’attività svolta in precedenza dal Servizio di Avvocatura Comunale, non pareva conforme ai succitati criteri di economicità ed efficienza stabiliti dalla deliberazione consiliare del 1999 - risulta invece inconsistente in riferimento alle nuove disposizioni regolamentari, sostitutive delle precedenti, che collocano nuovamente tutte le attività di patrocinio legale dell’Ente su incarico della Giunta, nonché di consulenza giuridico – amministrativa e di gestione degli affari legali, all’interno dell’“Ufficio Studi Affari e Patrocini Legali”, struttura a sua volta facente parte del “Servizio di Segreteria ed Affari Legali” (v. schema macrostruttura – funzionigramma – prospetto relativo al Servizio di Segreteria ed Affari Legali).
Quanto poi alla pretesa illegittimità del nuovo Regolamento in quanto esso inserisce detto servizio in un settore diverso da quello concernente gli “affari generali”, occorre rilevare che tale scelta è ampiamente discrezionale per l’Amministrazione che procede alla riorganizzazione dei propri uffici e che pertanto essa, ove non ricorrano determinazioni viziate da palese illogicità (vizio insussistente riguardo al regolamento in esame), non è sindacabile da parte del giudice amministrativo.
Parimenti infondata è la censura che lamenta esservi stata una “deminutio” nelle attribuzioni della ricorrente ed, in generale, di tutto il personale dirigenziale, per effetto di quanto disposto dall’art. 9 parte 3^ del Regolamento approvato con delibera n.2216 del 2000; atto che conferiva al Direttore Generale ampi poteri sui Dirigenti ad esso gerarchicamente subordinati mediante la incondizionata facoltà, per il primo, di adozione di direttive, disposizioni e provvedimenti vincolanti per i secondi, nonché di avocazione di qualsiasi provvedimento di competenza di questi ultimi.
Nel nuovo testo di Regolamento licenziato dalla Giunta Comunale nel 2001, infatti, mentre non è più previsto il potere di avocazione da parte del Direttore Generale, le disposizioni da quest’ultimo impartite sono vincolanti per i dirigenti solo in caso di omissioni o ritardi nell’esercizio delle potestà di competenza degli stessi, mentre le direttive possono essere osservate o meno dai dirigenti, nell’ambito della propria autonomia, dovendosi assumere, questi ultimi, la responsabilità della loro azione (Reg. pag. 20 p.6).
In tale mutato quadro normativo, pertanto, il Collegio ritiene che, riguardo al suddetto divisato profilo, non sussista alcuna illegittima compressione delle attribuzioni proprie della figura professionale dirigenziale.
Con il secondo e con il settimo motivo di ricorso, la ricorrente ritiene illegittimi gli atti organizzatori posti in essere dal Comune perché gli stessi risulterebbero in contrasto con le disposizioni di cui all’art. 3 lett. B del R.D.L. n. 1578 del 1933, convertito nella legge n.36 del 1934 (Ordinamento della professione forense).
La ricorrente, Dirigente – Avvocato del Comune di Parma, ritiene, in sintesi, che la posizione e le attribuzioni ad ella assegnate, unitamente all’altro Avvocato Comunale: Dirigente in posizione di staff dell’Ufficio Studi, Affari e Patrocinio Legale, sia incompatibile con la permanenza della sua iscrizione nell’elenco speciale - allegato all’Albo degli Avvocati - dei dipendenti pubblici esercitanti la professione forense.
Il Collegio deve rilevare l’infondatezza di tale censura.
Con provvedimento in data 6/2/2001, adottato dal Sindaco e dal Segretario Generale, è stato disposto che “il dirigente avv. Marina CRISTINI, assegnata all’Ufficio Studi. Affari e Patrocinio Legale dovrà svolgere funzioni di studio e ricerca, consulenza e istruttorie concernenti i profili giuridico legale dell’attività e dei procedimenti amministrativi dell’Ente che, di volta in volta, in relazione alle specifiche necessità, saranno esplicate dall’organo dirigente titolare della Segreteria Generale – con l’ulteriore precisazione che – in particolare, l’avv. Cristini assicurerà l’istruttoria e la gestione giuridico amministrativa delle attività riferibili ai profili giuridici degli atti e provvedimenti, comprensivi dell’iter procedimentale degli stessi, del contenzioso comunale (fino alla formulazione delle proposte definitive da sottoporre al responsabile gestionale della struttura), dei rapporti con gli avvocati incaricati per il contenzioso affidato a legali del libero foro e per il recupero, eventuale, dei crediti ed esecuzione sentenze”.
Con altro provvedimento in data 6/2/2001, inoltre, il Comune specificava ulteriormente le attribuzioni della ricorrente, chiarendo che essa deve svolgere, con ampia autonomia e senza vincoli di subordinazione, le funzioni di patrocinio legale e difesa del Comune nei contenziosi giurisdizionali, ordinari, amministrativi, tributari e contabili, secondo le specifiche determinazioni adottate dalla Giunta Comunale.
Ritiene il Collegio che l’esercizio da parte della ricorrente delle sopra riportate attribuzioni, comprensive sia dello jus postulandi per conto dell’Ente di appartenenza, sia dell’attività di consulenza ed assistenza giuridica, sia compatibile con la normativa di cui la ricorrente assume erroneamente la violazione.
Il Collegio ritiene di dover precisare, al riguardi, che la questione in trattazione, per la sede in cui essa deve essere esaminata (impugnazione di atto organizzatorio adottato da una P.A.), va valutata dal giudice amministrativo in relazione alla legittimità dell’esercizio del potere, da parte della pubblica amministrazione comunale, di organizzare i propri uffici ed il proprio personale.
In quest’ottica, risulterebbe viziato, ad esempio, per violazione della normativa sopra riportata, quell’atto organizzatorio che, pur affermando di volere mantenere l’affidamento – almeno per una parte non trascurabile del contenzioso – del patrocinio legale dell’Ente agli Avvocati – dirigenti comunali, in realtà non prevedesse espressamente l’attribuzione di tali funzioni a questi ultimi o comunque sottoponesse l’attività degli avvocati comunali a poteri d’ingerenza da parte degli organi loro sovraordinati che ne annullassero o limitassero apprezzabilmente l’autonomia decisionale.
Nel caso in esame, invece, vi è l’espresso riconoscimento, da parte dell’Amministrazione Comunale, di ampia autonomia per entrambe le principali attività (patrocinio e consulenza) inerenti le peculiari attribuzioni dagli avvocati comunali.
Per quanto riguarda l’attività di consulenza ed assistenza giuridica, in particolare, occorre precisare che l’avvocato comunale è pur sempre un dirigente e, quindi, un dipendente pubblico, per cui – specie se egli opera, come nel caso degli avvocati del Comune di Parma, - in posizione di staff – l’autonomia e l’indipendenza da ingerenze dei superiori di cui egli gode, al pari degli altri dirigenti, investe necessariamente ed esclusivamente le fasi di preparazione, elaborazione e stesura di proposte che, comunque, al momento della loro redazione definitiva, dovranno essere sottoposte al vaglio del dirigente responsabile del servizio o della struttura.
D’altra parte, valgono anche in riferimento al presente divisato motivo, le considerazioni espresse in sede di esame del precedente mezzo d’impugnazione relativamente all’essere venuti meno o largamente ridimensionati, con il nuovo regolamento approvato nel 2001, i poteri di avocazione e di ingerenza del Direttore Generale del Comune nei confronti dei dirigenti.
In conclusione, pertanto, il rispetto della normativa sopraindicata, fermo restando il potere dell’Ente di organizzare i propri uffici rinunciando totalmente al patrocinio legale degli Avvocati posti alle proprie dipendenze, può dirsi verificato in concreto, non solo quando sussista un’apposita ed autonoma struttura deputata all’assolvimento delle peculiari funzioni degli avvocati dipendenti di enti pubblici, ma anche quando, come nel caso in esame, a questi ultimi, pur operando quali dirigenti in posizione di staff, sia comunque garantita l’autonomia nell’esercizio dello “jus postulandi” e nelle fasi di impostazione, elaborazione e redazione delle consulenze in materia giuridica richieste dall’Ente di appartenenza.
Il Collegio osserva che risulta infondato anche il terzo motivo di ricorso, poiché riguardo ad un atto di pianificazione ed organizzazione del personale di tale portata, non risulta richiesta una particolare motivazione circa l’assegnazione del personale dirigente a capo delle diverse strutture o all’inserimento del medesimo in posizione di staff.
A tale proposito, occorre rilevare che la volontà dell’Ente di avvalersi di un Direttore Generale – e, quindi, di una figura professionale che istituzionalmente costituisce il “trait d’union” tra gli organi politici del Comune e gli organi amministrativi – implica che tale soggetto, pur nell’ambito e nei limiti dei criteri predisposti dall’Ente, collochi il personale dirigenziale – del cui operato e rendimento egli è direttamente responsabile nei confronti degli organi politici comunali – sulla base dell’”intuitus personae” e, quindi, mediante l’instaurazione con i dirigenti posti a capo delle diverse strutture e servizi di un rapporto fiduciario.
Tali scelte, pertanto, se, come nel caso in esame, non travalicano i precisati limiti, non necessitano di particolare motivazione.
È da rilevare, infine, che la disposizione di cui all’art.17 del Regolamento (Procedure per il conferimento degli incarichi dirigenziali) pare estranea al contenuto dell’art. 28 del D. Lgs. n.29 del 1993 (Accesso alla qualifica di Dirigente), con conseguente inconferenza dell’argomentazione che rileva la violazione dell’ultima disposizione menzionata da parte della norma regolamentare comunale.
Sono infondati, inoltre, il quarto ed il nono motivo d’impugnazione, poiché riguardo agli atti impugnati, con i quali il Comune di Parma ha regolamentato e organizzato la generalità degli uffici e dei servizi comunali, non doveva essere data ai dipendenti, ai sensi dell’art. 13 della L. n.241 del 1990, comunicazione di avvio del procedimento ex art. 7 e segg. stessa legge.
Parimenti infondato è il quinto motivo di ricorso, atteso che i principi previsti dall’art. 109 T.U.E.L. per l’affidamento degli incarichi dirigenziali, sono stati recepiti dal nuovo regolamento (v. pag. 16 sub “La Dirigenza” e pag. 18 sub “Gli incarichi di Direzione”, nonché parte 3^ art. 16 ) ed essi risultano sufficientemente determinati così da non richiedere una loro specificazione attraverso l’ulteriore individuazione di criteri.
Il sesto, il decimo e undicesimo motivo si appalesano inammissibili per difetto di giurisdizione, in quanto, con essi, la ricorrente censura specificamente, nel merito, sia la revoca “implicita” delle funzioni di dirigente dell’Avvocatura Comunale sia il conferimento, da parte dell’Amministrazione Comunale dell’incarico dirigenziale in posizione di staff, sia infine il mancato conferimento, alla medesima, in concreto, di incarichi di difesa in giudizio.
Secondo quanto previsto dall’art. 68, 1° comma, D. Lgs. n.29 del 1993, come modificato dal D. Lgs. n.80 del 1998 e dal D. Lgs. n.387 del 1998, le controversie in materia di pubblico impiego e, pertanto, anche quelle relative al conferimento e alla revoca degli incarichi dei dirigenti della pubblica amministrazione, sono attualmente devolute alla giurisdizione dell’Autorità Giudiziaria Ordinaria , quale giudice del lavoro.
Con l’ottavo mezzo d’impugnazione, invece, la ricorrente censura il potere organizzatorio del Comune in materia di revoca degli incarichi, assumendo che l’ente, con la norma di cui all’art. 16 del Regolamento approvato nel 2000, ha previsto – a suo dire illegittimamente - un’ipotesi di revoca degli incarichi non contemplata dall’art. 109 del T.U. degli Enti Locali – D.Lgs. n.267 del 2000 – e dall’art. 19 D. Lgs. n.29 del 1993.
La censura è infondata.
Invero, la disposizione regolamentare ritenuta illegittima dalla ricorrente non pare contrastare con le norme sopraindicate, dal momento che lo stesso art. 19 del D. Lgs. n.29 del 1993 prevede che per il conferimento di ciascun incarico di funzione dirigenziale e per il passaggio ad incarichi di funzioni dirigenziali diverse, si debba tenere conto, innanzitutto, della natura e delle caratteristiche dei programmi da realizzare.
Pertanto, risulta evidente che, in ipotesi di ristrutturazione o di modifiche incisive degli uffici e dell’organigramma, l’Ente debba adattare anche gli incarichi dirigenziali ai nuovi programmi che l’Ente intende realizzare attraverso la riorganizzazione della struttura.
Sotto un diverso profilo, il Collegio deve osservare che lo stesso art. 109 del T.U.E.L. prevede la possibilità di revoca degli incarichi al personale dirigenziale “…negli altri casi disciplinati dai contratti collettivi di lavoro.”, per cui risulta legittima la disposizione contenuta nell’art. 16 del regolamento comunale, dal momento che l’art. 13 del C.C.N.L. Dirigenza Comparto Regioni Autonomie Locali 1998 –2001 prevede espressamente che “…la revoca anticipata dell’incarico rispetto alla scadenza, può avvenire solo per motivate ragioni organizzative e produttive…”.
È evidente, in conclusione, che la citata norma regolamentare, nel prevedere la possibilità di revoca dell’incarico dirigenziale in caso di “ristrutturazioni organizzative e/o esigenze di servizio”, non si pone in contrasto con la normativa statale richiamata, ma riporta, in sede di regolamento comunale un’ipotesi di revoca già contemplata da quelle disposizioni contrattuali alle quali la disciplina statale fa espresso rinvio.
Il ricorso dev’essere quindi respinto “in parte qua”.
Il Collegio ritiene che sussistano giusti motivi per compensare integralmente, tra le parti, le spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia-Romagna, Sezione di Parma, definitivamente pronunziando sul ricorso n.50 del 2001 di cui in epigrafe:
a) in parte lo dichiara improcedibile per sopravvenuta carenza d’interesse, riguardo ai motivi avverso il Regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi del Comune di Parma, approvato con delibera della Giunta Municipale n.2216 del 2000;
b) in parte lo dichiara inammissibile per difetto di giurisdizione, riguardo al nono, decimo e undicesimo motivo di cui al primo ricorso per motivi aggiunti;
c) in parte lo respinge, riguardo al dodicesimo motivo, proposto con il secondo ricorso per motivi aggiunti, che ripropone avverso il Regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi del Comune di Parma approvato dalla Giunta Comunale n. 417 del 2001, sostitutivo del precedente testo regolamentare, i motivi di gravame dal primo al sesto (proposti con l’atto introduttivo del giudizio), nonché settimo ed ottavo (proposti con il primo ricorso per motivi aggiunti).
d) spese compensate.
Depositata il 20 dicembre 2001.