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n. 4-2003 - © copyright.

TAR PIEMONTE, SEZ. I – Sentenza 9 aprile 2003 n. 529 - Pres. Gomez de Ayala, Est. Carlotti - Mascia (Avv.ti Adalberto Pasi e Giovanni Battista Bramard) c. Ministero dell’Economia e delle Finanze ed altri (Avv. Stato Carotenuto) - (accoglie).

1. Giustizia tributaria - Commissioni tributarie - Componenti - Situazioni di incompatibilità - Ex art. 8 del D.L.vo n. 545/1992 - Sono di stretta interpretazione - Potere del Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria di integrare la disciplina stabilita dal Legislatore - Non sussiste.

2. Giustizia tributaria - Commissioni tributarie - Componenti - Situazioni di incompatibilità - Ex art. 8, lett. m) del D.L.vo n. 545/1992 - Risoluzione del Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria n. 4/2002 - Nella parte in cui prevede una situazione di incompatibilità nel fatto che un parente del Giudice tributario sia iscritto in albo regionale diverso da quelli tenuti nel capoluogo, sede della Commissione Regionale, o che eserciti di fatto le attività surriferite esclusivamente presso una Commissione Tributaria Provinciale - Illegittimità.

1. L’art. 8 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 545, il quale prevede le ipotesi in cui sussiste una situazione di incompatibilità per i componenti delle Commissioni Tributarie, è solo suscettibile di stretta interpretazione (1), contemplando ipotesi di incompatibilità che devono stimarsi tassative, senza alcuna possibilità per le fonti non di rango primario (nel cui novero rientrano anche le deliberazioni a contenuto generale del Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria) di integrare la disciplina stabilita dal Legislatore.

2. E’ illegittima la risoluzione del Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria n. 4 del 9 luglio 2002, che ha configurato - quale ipotesi di incompatibilità dei componenti delle Commissioni Tributarie Regionali - la sussistenza di un rapporto di parentela, entro il secondo grado, con soggetto «[…] … iscritto in albo o elenco … di una sede della regione ed eserciti la professione sia pure sporadicamente o occasionalmente davanti … ad una delle Commissioni Tributarie Provinciali della regione»; così disponendo, il Consiglio di Presidenza ha di fatto introdotto un’ulteriore causa di incompatibilità non prevista dal d.lgs. n. 545/1992 (2).

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(1) Cfr. T.A.R. Lazio, Sez. II, 16 gennaio 2002, n. 404, punto 4 della motivazione in diritto.

V. anche T.A.R. Lombardia-Milano, Sez. III, 7 gennaio 2003 n. 1, in questa Rivista n. 1-2003 ed ivi ult. riferimenti.

(2) Dispone l’art. 8 del D.L.vo n. 545/1992, nella parte di interesse, che: «Non possono essere componenti delle commissioni tributarie, finché permangono in attività di servizio o nell'esercizio delle rispettive funzioni o attività professionali: … i) a decorrere dal 1º ottobre 2001, coloro che in qualsiasi forma, anche se in modo saltuario o accessorio ad altra prestazione, esercitano la consulenza tributaria, ovvero l'assistenza o la rappresentanza di contribuenti nei rapporti con l'Amministrazione finanziaria o nelle controversie di carattere tributario; … m) coloro che sono coniugi o parenti fino al secondo grado o affini in primo grado di coloro che sono iscritti negli albi professionali o negli elenchi di cui alla lettera i) nella sede della commissione tributaria o che comunque esercitano dinanzi alla stessa abitualmente la loro professione».

Ha osservato il T.A.R. Piemonte che, nonostante il patente difetto di coordinamento tra la lett. i) e la lett. m) (ascrivibile alla modifiche normative succedutesi nel tempo), si evince con sufficiente chiarezza dalla lettura della disposizione come la fattispecie descritta sub lett. m) contempli due distinte – ed alternative – ipotesi di incompatibilità e, segnatamente:

a) una di tipo "formale" (ossia derivante dalla mera iscrizione del parente del componente della commissione tributaria ad un albo od elenco che consenta l’esercizio di un’attività consistente nell’esercizio della «la consulenza tributaria, ovvero l'assistenza o la rappresentanza di contribuenti nei rapporti con l'Amministrazione finanziaria o nelle controversie di carattere tributario»);

b) una seconda di natura "discrezionale" (nel senso che viene riservato al potere di indagine e di vigilanza del Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria il compito di verificare l’eventuale ricorrenza dell’ipotesi di esercizio "abituale" della medesima attività professionale da parte di uno dei soggetti legati da particolari vincoli di coniugio, di parentela o di affinità con il singolo componente).

Il Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria, ha esteso l’incompatibilità in questione anche all’ipotesi, assolutamente non prevista dalla disposizione, del componente di Commissione Tributaria Regionale che sia parente di un iscritto in albo regionale diverso da quelli tenuti nel capoluogo, sede della Commissione Regionale, o di un soggetto che eserciti di fatto le attività surriferite esclusivamente presso una Commissione Tributaria Provinciale (pur ricompresa entro i confini territoriali della circoscrizione regionale).

Ma siffatta incompatibilità, ad opinione del T.A.R. Piemonte, non poteva essere prevista in assenza di una preventiva, immancabile (seppur auspicabile) mediazione legislativa.

La decisione è di particolare interesse poichè il T.A.R. piemontese ha non solo annullato il decreto ministeriale che aveva dichiarato la decadenza di un giudice tributario, ma ha altresì disposto l'annullamento della risoluzione del Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria n. 4 del luglio 2002, che ampliava la portata della norma di cui al citato art. 8 lett. m).
 

 

(omissis)

per l’annullamento

previa sospensione dell’efficacia,

del decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze in data 22 novembre 2002, prot. n. 104926/2002/DPF/UAR/Rep. III, notificato al ricorrente il 18 febbraio 2003, con il quale è stata disposta la decadenza del Dott. Mario Mascia dall’incarico di Giudice Tributario presso la Commissione Tributaria Regionale per il Piemonte di Torino;

della delibera, prot. n. 10400/2002/C.D.P., del Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria adottata in data 8 ottobre 2002, con la quale è stata dichiarata la decadenza del Dott. Mario Mascia dall’incarico di Giudice Tributario presso la Commissione Tributaria Regionale per il Piemonte;

per quanto di ragione, della risoluzione del Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria n. 4 del 9 luglio 2002, avente ad oggetto «Integrazione della Risoluzione n. 1 de 1997 e n. 3 del 1998 in tema di cause di incompatibilità»;

degli atti tutti antecedenti, preordinati (in particolare della delibera del Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria prot. n. 4618/2002/C.D.P., adottata in data 26 marzo 2002), consequenziali e comunque connessi del procedimento;

(omissis)

Ritenuto in fatto

Con decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze (di seguito indicato con la sigla "MEF") specificato in epigrafe veniva disposta – giusta il combinato disposto degli artt. 8, comma 1, lett. m) e e 12, comma 1, lett. b), d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 545 (recante norme in tema di « Ordinamento degli organi speciali di giurisdizione tributaria ed organizzazione degli uffici di collaborazione in attuazione della delega al Governo contenuta nell'art. 30 della L. 30 dicembre 1991, n. 413») - la decadenza del ricorrente dall’incarico di componente della Commissione Tributaria Regionale per il Piemonte per le seguenti motivazioni (qui testualmente riferite nelle sole parti di interesse):

«[…] rilevato che nell’informativa riguardante l’attività svolta dal coniuge, parenti, o affini di cui all’art. 8, comma 1, lettera m), del decreto legislativo n. 545 del 1992, il dott. MASCIA ha dichiarato che la figlia … è iscritta all’albo professionale degli Avvocati di Cuneo ed esercita anche in modo sporadico o occasionale attività di assistenza o di rappresentanza del contribuente in sede giurisdizionale o amministrativa … atteso … che, con … risoluzione n. 4 del 9 luglio 2002, di integrazione delle precedenti n. 1/97 e 3/98 in tema di cause di incompatibilità, il predetto Consesso [ossia il Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria; nel prosieguo indicato con la sigla "CPGT"] ha ribadito che, per quanto concerne i componenti che esercitano le funzioni nelle Commissioni tributarie regionali, l’incompatibilità si verifica nel caso in cui il parente in primo grado sia iscritto in albo o elenco della Regione o di una sede della medesima ed eserciti la professione sia pure sporadicamente od occasionalmente davanti alla Commissione Tributaria regionale od una della Commissioni tributarie provinciali della regione stessa … rilevato che, come dichiarato dallo stesso dott. MASCIA nella propria memoria difensiva, la di lui figlia ha svolto attività di rappresentanza in quattro controversie presso la Commissione tributaria provinciale di Cuneo … ritenuto che la denunciata parentela con persona iscritta all’albo professionale determina la causa di incompatibilità, ai sensi dell’art. 8, comma 1, lettera m) del predetto decreto legislativo n. 545 del 1992».

Avverso il decreto impugnato e le deliberazioni del CPGT in esso richiamate insorgeva il ricorrente lamentando:

1) violazione e/o falsa applicazione di legge, con riferimento agli artt. 2 e 3 Cost.; agli artt. 6 ed 8 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 545 e s.m.i.; agli artt. 3 e 7 della legge 7 agosto 1990, n. 241 e s.m.i.; nonché all’art. 63 del decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 10; violazione del diritto di opzione entro un congruo termine; eccesso di potere per travisamento dei fatto ed erronea valutazione dei presupposti; difetto e/o insufficienza di istruttoria e motivazione; ingiustizia grave e manifesta; contraddittorietà; disparità di trattamento; illogicità; perplessità, sviamento;

2) illegittimità di tutti i provvedimenti impugnati per illegittimità costituzionale degli artt. 8 e 12 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 545 e s.m.i., per contrasto con gli artt. 3, 25, 51, 101, 102, 105 e 108 Cost., nonché con il principio di ragionevolezza.

Si costituivano le Amministrazioni intimate eccependo l’inammissibilità del gravame e deducendone, nel merito, l’infondatezza.

Alla Camera di Consiglio del 9 aprile 2003 il ricorso era ritenuto per la decisione immediata.

Considerato in diritto

Il Collegio – non ravvisando la necessità di disporre alcuna ulteriore attività istruttoria – ritiene di poter decidere ai sensi dell’art. 3 della legge 21 luglio 2000, n. 205 (Consiglio di Stato, sez. VI, 22 ottobre 2002); non vi è luogo, dunque, ad alcuna pronuncia sull’invocata tutela cautelare.

In via preliminare occorre esaminare l’eccezione di inammissibilità sollevata dalla difesa fiscale. Rilevano sul punto le Amministrazioni evocate in giudizio che il ricorrente ebbe a proporre una precedente impugnazione (accolta in parte dalla Sezione con sentenza n. 15 del 15 gennaio 2003) avverso la delibera CPGT dell’8 ottobre 2002.

Ad avviso del Collegio la circostanza, assolutamente veritiera in punto di fatto, non determina alcun effetto preclusivo della odierna cognizione giurisdizionale. Ed invero, come correttamente osserva la stessa Avvocatura erariale nella memoria datata 8 aprile 2003, il precedente ricorso venne dichiarato in gran parte inammissibile (in quanto diretto contro un atto endoprocedimentale di per sé non lesivo degli interessi fatti valere dal Mascia) ed accolto limitatamente ad un unico profilo concerne la denunciata illegittimità dell’invito, rivolto dal CPGT al Presidente della Commissione Regionale per il Piemonte, di escludere il ricorrente dalla composizione dei collegi in attesa della successiva adozione del provvedimento ministeriale di decadenza.

Da siffatte premesse si traggono agevolmente due conclusioni: a) nel precedente giudizio non vi è stato alcun sindacato sulle censure all’epoca formulate, se non limitatamente ad una questione che, nell’atto introduttivo emarginato, non è stata fatta nuovamente oggetto di impugnativa;

b) non sussiste alcuna identità oggettiva tra le due impugnative sia perché le censure in precedenza formulate (ed allora dichiarate inammissibili) sono ora rivolte contro un atto distinto e successivo alla ridetta delibera (ossia il d.m. specificato in epigrafe) sia perché l’unico motivo accolto, comunque relativo ad un contenuto "atipico" della stessa deliberazione, non è stato riprodotto.

L’eccezione, pertanto, deve essere respinta.

Nel merito è a dirsi che il Tribunale ritiene manifestamente fondata una lagnanza dedotta nel primo articolato mezzo di gravame laddove il ricorrente lamenta l’illegittimità per violazione di legge delle delibere del CPGT (e, segnatamente, della Risoluzione n. 4 del 9 luglio 2002, espressamente richiamata nel provvedimento ministeriale) che hanno configurato - quale ipotesi di incompatibilità dei componenti delle Commissioni Tributarie Regionali - la sussistenza di un rapporto di parentela, entro il secondo grado, con soggetto «[…] … iscritto in albo o elenco … di una sede della regione ed eserciti la professione sia pure sporadicamente o occasionalmente davanti … ad una delle Commissioni Tributarie Provinciali della regione». In particolare, il Mascia assume che, così disponendo, il CPGT avrebbe di fatto introdotto un’ulteriore causa di incompatibilità non prevista dal d.lgs. n. 545/1992; aggiunge altresì che l’art. 8 d.lgs. cit. è norma di stretta interpretazione, che prevede casi tassativi non suscettibili di integrazione praeter legem.

Lo scrutinio della censura richiede una breve premessa di carattere generale.

La disciplina degli ordinamenti di tutte le magistrature repubblicane è presidiata da una chiara riserva di legge (art. 108 Cost.). È, peraltro, discutibile se si tratti di riserva "assoluta" o soltanto "relativa" (e, probabilmente, la questione va esaminata distinguendo la tutela "rafforzata" di cui gode la Magistratura Ordinaria - in ragione della posizione centrale occupata da tale potere diffuso nell’ambito dell’ordinamento - da tutti gli altri corpi magistratuali) ma, in ogni caso, è indiscutibile che una copertura legislativa risulti indispensabile per le norme volte a disciplinare i requisiti per l’accesso alle funzioni magistratuali (siano esse onorarie o professionali, inquirenti o giudicanti) ed altresì per quelle che prevedano ipotesi di incompatibilità o, in generale, di estinzione del relativo officium. È evidente, infatti, che siffatte disposizioni sono poste a presidio del delicato status di ogni magistrato (precisandone le fattispecie acquisitive ed estintive) e la loro applicazione interferisce con più di un valore primario dell’ordinamento (quali, tra gli altri, a mero titolo di esempio, l’uguaglianza dei cittadini sotto il particolare aspetto dell’accesso agli uffici pubblici, anche onorari – art. 51 Cost. – e l’assicurazione delle precondizioni soggettive funzionali all’imparzialità ed alla terzietà del giudice – art. 111 Cost.).

Ne consegue che l’art. 8, comma 1, lett. m), d.lgs. cit. è esclusivamente suscettibile di una stretta interpretazione (in tal senso e con specifico riferimento all’art. 8, si veda anche la decisione del T.a.r. per il Lazio, Roma, sez. II, 16 gennaio 2002, n. 404, punto 4 della motivazione in diritto) contemplando esso ipotesi di incompatibilità che devono stimarsi tassative, senza alcuna possibilità per formanti non di rango primario (nel cui novero rientrano anche le deliberazioni a contenuto generale del CPGT, sempre che si aderisca alla tesi – non incontroversa - della titolarità in capo a tale Organo di Autogoverno di un potere propriamente normativo in aggiunta a quello esclusivamente interpretativo) di integrare la disciplina stabilita dal Legislatore.

Da queste premesse si desume con evidenza l’illegittimità dell’esegesi "integrativa" adottata dal CPGT. Vale, invero, ricordare che l’art. 8, nella parte di interesse, recita: «Non possono essere componenti delle commissioni tributarie, finché permangono in attività di servizio o nell'esercizio delle rispettive funzioni o attività professionali: … i) a decorrere dal 1º ottobre 2001, coloro che in qualsiasi forma, anche se in modo saltuario o accessorio ad altra prestazione, esercitano la consulenza tributaria, ovvero l'assistenza o la rappresentanza di contribuenti nei rapporti con l'Amministrazione finanziaria o nelle controversie di carattere tributario; … m) coloro che sono coniugi o parenti fino al secondo grado o affini in primo grado di coloro che sono iscritti negli albi professionali o negli elenchi di cui alla lettera i) nella sede della commissione tributaria o che comunque esercitano dinanzi alla stessa abitualmente la loro professione».

Orbene, nonostante il patente difetto di coordinamento tra la lett. i) e la lett. m) (ascrivibile alla modifiche normative succedutesi nel tempo), si evince con sufficiente chiarezza dalla lettura della disposizione come la fattispecie descritta sub litt. m) contempli due distinte – ed alternative – ipotesi di incompatibilità e, segnatamente, una di tipo "formale" (ossia derivante dalla mera iscrizione del parente del componente della commissione tributaria ad un albo od elenco che consenta l’esercizio di un’attività consistente nell’esercizio della «la consulenza tributaria, ovvero l'assistenza o la rappresentanza di contribuenti nei rapporti con l'Amministrazione finanziaria o nelle controversie di carattere tributario») ed una seconda di natura "discrezionale" (nel senso che viene riservato al potere di indagine e di vigilanza del CPGT il compito di verificare l’eventuale ricorrenza dell’ipotesi di esercizio "abituale" della medesima attività professionale da parte di uno dei soggetti legati da particolari vincoli di coniugio, di parentela o di affinità con il singolo componente).

È indiscutibile che il CPGT goda di una certa "discrezionalità ermeneutica" nel fissare – con propri atti generali - l’ambito semantico del concetto di "abitualità" e, pertanto, deve considerarsi certamente consentito a quel Consesso, pur sempre entro i limiti imposti dall’indefettibile logicità di ogni interpretazione, di restringere o ampliare, per tale via, la casistica delle situazioni riconducibili al concetto elastico in questione.

Diverso è invece il caso della incompatibilità definita "formale" laddove tale potere di interpretazione "estensiva" e, a fortiori, quello "integrativo" della norma primaria è sicuramente inesistente in capo al CPGT.

Una volta calati tali principi nella vicenda che occupa il Collegio, deve rilevarsi come il Legislatore, nel testo del ridetto art. 8, abbia posto quali saldi termini "geografici" dell’incompatibilità in questione le parole "sede" (della Commissione) e "commissione".

Entrambe sono espressioni usate in senso tecnico-giuridico dal momento che lo stesso d.lgs. n. 545/1992 definisce il primo concetto e, consequenzialmente, anche il secondo. Chiarisce, invero, l’art. 1, comma 1, primo periodo, che: «Gli organi di giurisdizione in materia tributaria previsti dal decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 636, sono riordinati in commissioni tributarie provinciali, aventi sede nel capoluogo di ogni provincia, ed in commissioni tributarie regionali, aventi sede nel capoluogo di ogni regione». Ragioni di coerenza inducono l’interprete ad applicare i medesimi concetti di "sede" e di "commissione" anche alla previsione di cui all’art. 8; si perviene così alla conclusione che l’incompatibilità prevista dalla lett. m) ricorre, per i componenti delle Commissioni Tributarie Regionali, nelle sole ipotesi in cui il parente del componente sia iscritto in un albo od elenco del capoluogo di regione od, alternativamente, eserciti di fatto ed «abitualmente» le attività sopra indicate avanti alla stessa Commissione Tributaria Regionale.

Al contrario la Risoluzione CPGT n. 4/2002, seppure ispirata – sia consentita la digressione incidentale - a preoccupazioni del tutto condivisibili (dacché la stessa immagine dell’imparzialità, ancor prima dell’imparzialità in sé, esige tutela financo rispetto al semplice rischio dell’insorgenza di sospetti lesivi del prestigio di cui deve godere ogni magistratura), è andata al di là del dato legislativo contenendo una limitazione esorbitante rispetto al tenore precettivo dall’art. 8. In effetti, sovrapponendo i distinti concetti di "sede" e di circoscrizione, il CPGT ha esteso l’incompatibilità in questione anche all’ipotesi, assolutamente non prevista dalla disposizione, del componente di Commissione Tributaria Regionale che sia parente di un iscritto in albo regionale diverso da quelli tenuti nel capoluogo, sede della Commissione Regionale, o di un soggetto che eserciti di fatto le attività surriferite esclusivamente presso una Commissione Tributaria Provinciale (pur ricompresa entro i confini territoriali della circoscrizione regionale).

È, quindi, opinione del Tribunale che il CPGT non avrebbe potuto stabilire siffatta incompatibilità in assenza di una preventiva, immancabile (seppur auspicabile) mediazione legislativa.

In conclusione, il problema delle eventuali interferenze tra l’attività svolta dal parente del Mascia e le funzioni da questi ricoperte nell’ambito della Commissione Tributaria Regionale del Piemonte andava ricondotto, allo stato della legislazione vigente, al tradizionale alveo degli istituti richiamati dall’art. 6 d.lgs. n. 546/1992.

Il decreto del MEF è affetto dal medesimo vizio della Risoluzione citata, avendone recepito integralmente i contenuti surriferiti e va, dunque, annullato.

Non conduce a diversa soluzione l’esame delle controdeduzioni dell’Avvocatura Distrettuale. In primo luogo corre l’obbligo di segnalare come il precedente della Sezione citato nelle difese erariali (relativo al caso «I.M. c. CPGT e MEF», deciso con sentenza n. 185 del 31 gennaio 2001), lungi dal confortare le tesi sostenute dalle Amministrazioni, affermi principi assolutamente coerenti con quanto testé divisato. La Difesa statale omette, invero, di valorizzare il contenuto degli stralci motivazionali, pur testualmente riportati nella comparsa di costituzione. Nel contesto della decisione in argomento la Sezione ebbe, infatti, a rilevare puntualmente come la decadenza dalla nomina a componente della Commissione Tributaria Regionale discendesse (in quel caso) dalla circostanza che il coniuge del componente della Commissione Tributaria Regionale risultava iscritto in un albo tenuto «nel luogo ove il giudice tributario esercit(ava) la sua attività» (pag. 4 della sentenza cit.), ovvero in Torino. Si trattava, appunto, di un’ipotesi espressamente prevista dall’art. 8, lett. m); completamente differente è invece la fattispecie concreta che interessa il Mascia il cui parente è iscritto in albo tenuto in una sede ricompresa nella circoscrizione giurisdizionale della Commissione Tributaria Regionale del Piemonte ma in luogo diverso dalla sede della Commissione medesima; dunque, per quanto sopra argomentato, si tratta di fattispecie concreta non sussumibile nella previsione dell’art. 8.

Infine nessun rilievo concreto può attribuirsi all’osservazione della natura temporanea ed onoraria dell’incarico rivestito dai componenti delle Commissioni Tributarie: non soltanto perché tale considerazione afferisce ad aspetti del rapporto del tutto indipendenti dalle condizioni stabilite dalla legge per l’acquisto e la perdita della nomina magistratuale ma altresì perché, pur non versandosi in materia di pubblico impiego, si è comunque in presenza di un "pubblico ufficio" il cui accesso (nel cui ambito semantico rientrano funzionalmente anche i casi di decadenza) è tutelato da riserva di legge.

L’argomentazione secondo cui l’art. 108 Cost. concernerebbe la sola Magistratura Ordinaria è smentita litteris dal tenore della norma e, sul punto, non vi è alcunché da aggiungere.

In conclusione il ricorso merita accoglimento in relazione a quanto testé argomentato, mentre delle altre sub-valenti doglianze può dichiararsi l’assorbimento.

Sussistono giustificati motivi per compensare integralmente tra le parti le spese di lite del grado.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte, Prima Sezione, accoglie il ricorso emarginato (Ricorso n. 477 del 2003) nei sensi e nei limiti di cui in motivazione e, per l’effetto, annulla il decreto specificato sub 1) dell’epigrafe.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.

Così deciso in Torino, nella Camera di Consiglio del 9 aprile 2003, con l’intervento dei Magistrati:

Alfredo Gomez de Ayala Presidente

Bernardo Baglietto Primo Referendario

Gabriele Carlotti Referendario

Il Presidente L’Estensore

f.to A. GOMEZ de AYALA f.to G. CARLOTTI

Depositata in Segreteria il 9 aprile 2003.

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