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TAR LOMBARDIA-MILANO, SEZ. III – Sentenza 7 gennaio 2003 n. 1 - Pres. Giordano, Est. Anastasi - Martinotti (Avv.ti Battagliese e Lopez) c. Ministero dell’Economia e delle Finanze (Avv.ra Stato) - (accoglie).

1. Pubblico impiego - Magistrati - Componenti delle commissioni tributarie - Situazioni di incompatibilità - Ex art. 8 del D.L.vo n. 545/1992 - Obbligo di diffidare l’interessato a far cessare la situazione di incompatibilità - In ipotesi diverse da quelle previste dalle lettere a) e b) del 1° comma dell’art. 8 cit. - Sussiste.

2. Pubblico impiego - Magistrati - Componenti delle commissioni tributarie - Situazioni di incompatibilità - Ex art. 8 del D.L.vo n. 545/1992 - Per l’esercizio in qualsiasi forma di attività di consulenza tributaria - Interpretazione - Presupposti che l'attività incompatibile deve possedere - Caratteri della professionalità, dell’abitualità e della continuatività - Necessità - Attività esercitata in forma saltuaria e quale ausiliario del giudice - Non determina incompatibilità - Fattispecie.

3. Pubblico impiego - Magistrati - Componenti delle commissioni tributarie - Situazioni di incompatibilità - Ex art. 8, lettera m), del D.L.vo n. 545/92 - Per i giudici tributari che sono coniugi o parenti fino al secondo grado o affini in primo grado di coloro che sono iscritti negli albi professionali - Presupposti - Requisito dell’iscrizione all'albo della medesima sede della Commissione cui appartiene il giudice tributario - Insufficienza - Svolgimento di attività di assistenza o rappresentanza del contribuente, anche se anche in modo sporadico od occasionale attività - Necessità - Fattispecie.

4. Giurisdizione e competenza - Risarcimento del danno - Per lesione di interessi legittimi - Domanda di risarcimento - Correlata all’annullamento di un provvedimento amministrativo che ha dichiarato la decadenza dalla nomina - Giurisdizione amministrativa - Sussiste ex art. 35, 4° comma, del D.L.vo n. 80/98, novellato dall’art. 7 L. n. 25/2000 - Circostanza che si tratti di un rapporto di parasubordinazione - Irrilevanza.

1. Nelle ipotesi in cui, nei confronti di un soggetto nominato componente di una Commissione tributaria, venga contestata la sussistenza di cause incompatibilità diverse da quelle contemplate nell’art. 8, 1° comma, lettere a) e b), del D.lgs. 31 dicembre 1992 n. 545, sussiste l’obbligo della previa adozione di apposito atto di diffida, con prefissione di un termine per la cessazione della causa di incompatibilità; l’obbligo di contestare l’incompatibilità con una previa diffida risulta direttamente discendente da un principio avente portata generale nell'ordinamento, desumibile dall'art. 63 del D.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3, il quale implica, fra l'altro, l'impossibilità di accordare all'atto di accertamento costitutivo della decadenza effetto retroattivo (1).

2. L'art. 8 D.Lgs. 31 dicembre 1992 n. 545, nel testo introdotto dalla L. 27 dicembre 1997 n. 449, indica, tra le cause di incompatibilità con la funzione di giudice tributario, l'esercizio in qualsiasi forma della consulenza tributaria; il concetto di "consulenza tributaria" – che costituisce una delle principali estrinsecazioni dell’attività del commercialista - deve tuttavia essere interpretato strictu sensu, in funzione delle finalità di salvaguardia dell’equità e dell’imparzialità del giudizio del professionista e può assurgere a causa di incompatibilità soltanto quando presenta gli indefettibili caratteri della professionalità, dell’abitualità e della continuatività (2); di converso l’esercizio occasionale e sporadico della consulenza fiscale non integra gli estremi della situazione incompatibile, proprio perché non costituisce un fatto idoneo ad incidere significativamente sulla formazione intellettuale del professionista, in modo da condizionarne l’attività di giudizio (alla stregua del principio nella specie è stato ritenuto che non determinava incompatibilità le attività di curatore fallimentare, di commissario giudiziale, di amministratore giudiziario e di consulente tecnico del giudice; tali attività espletate talora nelle qualità di ausiliario del giudice e talora con incarichi di curatela del fallimento, secondo il T.A.R. Lombardia non erano tali da determinare una forma mentis idonea a ledere l'attitudine all’imparzialità ed alla terzietà dell’interessato).

3. Affinchè la incompatibilità prevista dall’art. 8, lettera m) del D. Lgs. n. 545/92 (per "coloro che sono coniugi o parenti fino al secondo grado o affini in primo grado di coloro che sono iscritti negli albi professionali o negli elenchi di cui alla lettera i nella sede della commissione tributaria o che comunque esercitano dinanzi alla stessa abitualmente la loro professione"), possa ritenersi sussistente è necessario, oltre che il requisito dell’iscrizione all'albo della medesima sede della Commissione cui appartiene il giudice tributario, anche che l'iscritto all'albo compia - almeno in modo sporadico od occasionale - attività di assistenza o rappresentanza del contribuente in sede giurisdizionale od amministrativa (alla stregua del principio è stato ritenuto illegittimo un provvedimento che aveva ritenuto sussistente dell’incompatibilità ex art.8, lettera m) del D.Lgs. n.545/92, facendo esclusivo riferimento alla mera iscrizione all’albo dei Ragionieri da parte della sorella della ricorrente, non accompagnata dall’espletamento di alcuna attività, anche se sporadica od occasionale, di rappresentanza e di difesa presso la Commissione tributaria).

4. Sussiste la giurisdizione del Giudice amministrativo in ordine ad una domanda risarcitoria avanzata in seno ad un ricorso con cui si contesta la legittimità di un provvedimento che ha dichiarato la decadenza dalla nomina per incompatibilità, atteso che l’art. 35, IV comma, del D.L.vo n. 80/98, nel testo modificato dall’art. 7 della legge n. 205/2000, demanda espressamente alla cognizione del Giudice amministrativo le questioni patrimoniali consequenziali, nelle controversie devolute alla sua giurisdizione (3). Nè, per escludere tale giurisdizione nell’ipotesi in parola, rileva il fatto che il rapporto che lega il soggetto dichiarato decaduto all'Amministrazione, non è di pubblico impiego, bensì di servizio onorario, riconducibile alla categoria della c.d. "parasubordinazione", con conseguente competenza del giudice del lavoro.

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(1) Conf. T.A.R. Lazio sez. II, 25 marzo 1986 n. 727, in tema di incompatibilità del giudice della Commissione Tributaria Centrale; T.A.R. Lombardia-Milano, Sez. III, ord. 8 giugno 2000, n. 1914.

V. anche in questa Rivista T.A.R. Lombardia-Milano, Sez. III , sent. 29 giugno 2000 n. 4652.

Ha aggiunto il T.A.R. Lombardia che la comunicazione di avvio del procedimento, ai sensi dell’art. 7 della legge n. 241/90, non può costituire un atto equipollente rispetto alla diffida, giacchè, mentre la comunicazione ex art. 7 riguarda l’avvio dell’iter procedimentale sanzionatorio fondamentale, comprensivo anche del previo accertamento della sussistenza di fatti solo ipotizzati od oggetto di segnalazione, la necessità della diffida sorge in un momento successivo, in conseguenza dell’avvenuto accertamento dei fatti con esito positivo e, perciò, riguarda l’avvio del sub-procedimento, contenente la prefissione di un termine certo, cui ancorare la volontà dell’interessato di voler o non voler rimuovere le già accertate cause di incompatibilità, cui potrebbe seguire o l’archiviazione del procedimento o la sua definizione con la declaratoria della decadenza.

(2) Cfr. Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria, risoluzioni nn. 3 e 7 del 1998, secondo cui l’attività di consulenza tributaria può assurgere a causa di incompatibilità soltanto quando presenta gli indefettibili caratteri della professionalità, dell’abitualità e della continuatività.

Con le medesime risoluzioni, il suddetto organo di autogoverno ha chiarito che l’esercizio occasionale e sporadico della consulenza fiscale non integra gli estremi della situazione incompatibile, proprio perché non costituisce un fatto idoneo ad incidere significativamente sulla formazione intellettuale del professionista, in modo da condizionarne l’attività di giudizio.

Ne deriva, secondo il T.A.R. Lombardia, che la consulenza fiscale diventa suscettibile di assurgere a causa di incompatibilità allorquando il professionista non si limiti ad una semplice individuazione degli elementi costituitivi, modificativi ed estintivi del rapporto di imposta, ma formuli l’interpretazione della normativa primaria e secondaria complessa alla valutazione delle conseguenze fiscali delle diverse scelte rimesse al contribuente nella gestione della sua attività contabile, commerciale ed aziendale e, infine, al consiglio circa la strategia più conveniente per la realizzazione degli interessi del cliente.

In sintesi, l’attività incompatibile va identificata con quella che presuppone l’esercizio di un’attività intellettuale per certi versi creativa ed innovativa e che miri direttamente alla tutela, in via sostanziale, degli interessi del contribuente, cioè a quella che, in definitiva, viene a risolversi nella difesa della posizione soggettiva di una delle parti del rapporto d’imposta.

E’ infatti evidente che, in relazione a tale modalità di espletamento dell’attività di consulenza, l’abituale e continuativa difesa degli interessi dei contribuenti, in contrapposizione con quelli pubblici perseguiti dall’amministrazione, determina nel professionista un "habitus" mentale ed un modo di ragionare che possono condurlo naturalmente ad accordare preferenza agli interessi ed alle ragioni di una delle parti abituali del processo tributario, con grave nocumento dell’imparzialità del giudizio e, in definitiva, della stessa credibilità del sistema tributario.

(3) Alla stregua del principio nella specie è stata accolta la domanda risarcitoria in relazione agli emolumenti fissi mensili non percepiti in dipendenza della dichiarata decadenza, nonché con riferimento ai compensi relativi al lavoro giudiziario non svolto, ragguagliati al numero dei ricorsi chiamati per la discussione in pubblica udienza o in camera di consiglio, con riferimento alle udienze previste dal calendario annuale, cui l'interessata non abbia senza sua colpa partecipato, detratto quanto eventualmente già versato a tale titolo, oltre interessi, ai sensi dell’art. 429 c.p.p. e dell’art. 150 disp. att. cod. proc. civ., secondo il decreto del Ministero del Tesoro 1 settembre 1998 n. 352, dalla data dalla data di maturazione di ciascun rateo sino a quella del soddisfo.

Gli emolumenti accessori, è stato precisato, vanno calcolati soltanto sul "quantum" effettivamente erogato, al netto delle somme non corrisposte per ritenute fiscali e contributive, cioè al netto di quella parte di credito certamente sottratto alla disponibilità del creditore (conf.: Cons. Stato, Sez. VI, 10 luglio 1996, n. 931; Cons. Stato, Sez. IV, 16 gennaio 1993 n. 54; Cons. Stato, parere della III Sez., 24 ottobre 1989 n. 1505; T.A.R Sicilia-Catania, Sez. III, 13.10.1998 n. 1694; T.A.R. Sicilia-Palermo, Sez. I, 24 gennaio 1997 n. 57).

Documenti correlati:

TAR LOMBARDIA-MILANO, SEZ. III – Sentenza 29 giugno 2000 n. 4652

TAR PUGLIA-BARI, SEZ. I - Sentenza 4 ottobre 2000 n. 3887

TAR FRIULI VENEZIA GIULIA - Sentenza 12 giugno 2000 n. 508

 

PER L’ANNULLAMENTO

1) della delibera del Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria del 5.2.2002, comunicata alla ricorrente in data 29.3.2002, che ha deliberato la decadenza della ricorrente dall’incarico di giudice della Commissione Tributaria Provinciale di Pavia e, comunque, di ogni altro atti connesso, presupposto e /o conseguente e, in particolare, del provvedimento di esclusione dalla composizione della Commissione oralmente comunicato;

2) CON I MOTIVI AGGIUNTI NOTIFICATI IN DATA 11.10.2002: del decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze (Dipartimento per le Politiche Fiscali e Ufficio Amministrazione delle Risorse) del 6.8.2002, comunicato in data 2.10.2002, che ha deliberato la decadenza della ricorrente dall’incarico di giudice della Commissione Tributaria Provinciale di Pavia e, comunque, di ogni altro atto connesso presupposto e/o conseguente e, in particolare, del provvedimento del 31.7.2002 comunicato in data 22.8.2002, che nega alla ricorrente il chiesto trasferimento;

E PER L’ACCERTAMENTO

del diritto e/o legittimo interesse della ricorrente a coprire l’ufficio di componente della Commissione Tributaria Provinciale di Pavia e, per la condanna dell’Amministrazione resistente, in persona del suo legale rappresentante pro-tempore, al pagamento dei compensi relativi al lavoro giudiziario non svolto, ragguagliati al numero dei ricorsi chiamati per la discussione in pubblica udienza o in camera di consiglio, con riferimento alle udienze previste nel calendario annuale, cui l’interessata non abbia senza sua colpa partecipato o di altra diversa misura ritenuta equa, con interessi e rivalutazione monetaria dal dovuto al saldo.

(omissis)

FATTO

Con atto notificato in data 24.5.2002, la ricorrente premetteva di aver ricoperto la carica di Giudice Tributario dal 1982 nonché di essere iscritta all’Albo dei Dottori Commercialisti dall’anno 1981 e spiegava i fatti da cui scaturisce l’odierna controversia.

Esponeva che il Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria, quale organo di autogoverno, già con lettera del 9.3.1999, la aveva invitata a fornire chiarimenti in ordine all’attività svolta e che ella aveva risposto con lettera del 20.4.1999, nella quale precisava di svolgere l’attività "di collaboratore di giustizia quale Curatore Fallimentare (Fallimento), Commissario Giudiziale (Concordato Preventivo), Amministratore Giudiziario (ex art.2409 c.c.), Consulente Tecnico del Giudice", facendo altresì presente, contestualmente, che la propria sorella –Rag. Claudia Martinotti- era iscritta presso l’Albo dei Ragionieri di Pavia, con studio in Mirandola Terme.

La ricorrente precisava che, a seguito di questi chiarimenti, il Consiglio di Presidenza, in data 10.4.2001, deliberava di avviare il procedimento finalizzato alla declaratoria della sua decadenza dalla carica di Giudice Tributario per incompatibilità, poiché, da informazioni assunte dal Direttore Regionale dell’Agenzia delle Entrate della Lombardia presso vari Uffici Finanziari, era emerso che la ricorrente svolgeva attività di consulenza fiscale e di rappresentanza e, inoltre, che anche la di lei sorella svolgeva "attività di assistenza e rappresentanza", per cui, contestualmente, l’organo di autogoverno invitava il Presidente della Commissione Tributaria ad escludere la ricorrente dalla composizione dei collegi, con provvedimento orale.

Il suddetto provvedimento era stato gravato con il ricorso R.G. n.2245 del 2001, concluso con la sentenza n.4846/01 del 12.7.2001, con cui veniva dichiarata la cessazione della materia del contendere, poiché, nelle more del giudizio, il Consiglio di Presidenza aveva provveduto ad annullare in autotutela l’invito al Presidente della Commissione Tributaria di Pavia ad escludere la ricorrente dai collegi giudicanti.

La ricorrente lamentava che, però, successivamente, il Consiglio di Presidenza, nella seduta del 2.10.2001, provvedeva a riattivare il procedimento di decadenza per incompatibilità, assegnando alla ricorrente il termine di giorni 30 (trenta) per la presentazione delle memorie e, successivamente, convocava la ricorrente per la seduta del 5.2.2002, nonostante ella già avesse provveduto in precedenza a precisare la propria posizione, con le memorie difensive presentate nel corso del procedimento.

Dopo aver ascoltato la ricorrente, il Consiglio di Presidenza, con delibera assunta nella stessa seduta, definiva il procedimento così avviato, dichiarandone la decadenza dall’incarico di Giudice della Commissione Tributaria di Pavia, per le cause di incompatibilità di cui all’art.8, comma 1°, lettere i) e m) del D. Lg.vo n.545/92.

Avverso l’impugnato provvedimento, la ricorrente insorgeva con l’odierno ricorso, fondato sui seguenti motivi di diritto:

-violazione e/o erronea interpretazione e applicazione dell’art.8 lett.i) e m), 12 e 18 D. L. ggs. 545/92 e ss. Mod.- eccesso di potere per scadenza del Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria – violazione e/o erronea interpretazione e applicazione della Risoluzione del Consiglio di Presidenza n.17 del 22.12.1998- Eccesso di potere per violazione del diritto di opzione e ad un congruo termine per rimuovere la causa di incompatibilità –violazione del principio di tassatività delle sanzioni disciplinari –violazione delle norme e dei principi in tema di astensione e/o ricusazione e/o costituzione del giudice- violazione art.17 delibera 156/99- violazione del diritto di difesa e del contraddittorio- eccesso di potere per erronea interpretazione dell’attività di consulenza ex art.8 lett. I) D.lg.vo 545/92- Eccesso di potere per travisamento dei fatti, sviamento della causa, irrazionalità e contraddittorietà manifesta –violazione e/o erronea interpretazione e applicazione dell’art.3 L.241/90 – eccesso di potere per difetto, illogicità e contraddittorietà delle attività istruttoria e della motivazione.

Secondo la ricorrente, il Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria avrebbe adottato l’impugnata delibera quando ormai era scaduto e, quindi, non più nel pieno dei propri poteri.

Secondo l’esponente, il Consiglio di Presidenza non sarebbe competente a deliberare nella materia relativa alla declaratoria di incompatibilità del giudice tributario, poiché siffatta competenza sarebbe attribuita dalla legge al Ministero delle Finanze e, inoltre, il procedimento di decadenza per incompatibilità risulterebbe viziato perché, in sostanza, sarebbe stata omessa la fase caratterizzata dall’invio di una diffida, intesa ad assegnare un congruo termine all’interessata, al fine di rimuovere le cause dell’incompatibilità.

Ad avviso della ricorrente, poiché la nuova formulazione dell’art.8 lett.i) del D. Lgs. n.545/92, nel testo introdotto dal d.l.vo 342/2000, sancisce la sua applicabilità a decorrere dal 1.10.2001, nel sistema si sarebbe verificato una sorta di "vuoto normativo", in assenza di una norma transitoria atta a disporre per il periodo intercorrente fra il 10.12.2000 ed il 30.9.2002, con la conseguenza che il procedimento avviato nell’aprile 2001 sarebbe illegittimo perché non ricadente nella fattispecie in questione.

Nel merito, la ricorrente insisteva nel dimostrare che né la propria posizione né quella della sorella ricadrebbero, per la natura e la quantità delle attività svolte, nel divieto sancito dall’art.8, rispettivamente con le lettere i) ed m).

2) illegittimità costituzionale dell’art.8, lett. i) D. lg.vo 545/92 e ss. mod., per violazione degli art.3, 4, 33, 51, 97, 108 Cost.

La ricorrente riteneva altresì che la norma applicata, ove interpretata nel senso attribuito dal Consiglio di Presidenza, si porrebbe in contrasto con i fondamentali principi contenuti nelle norme costituzionali indicate.

Concludeva per l’accoglimento del ricorso, con vittoria di spese.

Con memoria depositata in data 25.10.2002, si costituiva l’intimata amministrazione e, con successiva memoria depositata in data 27.6.2002, controdeduceva puntualmente alle deduzioni di parte ricorrente, concludendo per la reiezione del gravame, con vittoria di spese.

Nelle more del presente giudizio, la ricorrente, con lettera del 1.7.2002, chiedeva al Consiglio di Presidenza di poter essere trasferita presso altra sede di Commissione Tributaria Provinciale e, in particolare, dichiarava d voler preferire la sede di Lodi.

Con nota del 31.7.2002, il Consiglio di Presidenza rispondeva alla ricorrente che l’ordinamento non prevede il trasferimento di sede del giudice tributario, ma la copertura dei posti mediante concorso.

Successivamente, interveniva il decreto del Ministero delle Finanze prot. 74130 del 12.8.2002, dispositivo della decadenza della ricorrente dall’incarico di Giudice della Commissione Tributaria.

Con atto notificato in data 11.10.2002, la ricorrente proponeva motivi aggiunti avverso i sopravvenuti atti ed insisteva, in modo particolare, nella declaratoria di illegittimità costituzionale della normativa applicata dal Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria, evidenziando altri rilievi di incostituzionalità.

Con memoria depositata in data 31.10.2002, la difesa erariale riassumeva i punti salienti della propria tesi difensiva, insistendo altresì nella manifesta non fondatezza delle questioni di legittimità costituzionale sollevate dalla parte ricorrente.

Concludeva per la reiezione del ricorso, con ogni consequenziale statuizione anche in ordine alle spese.

Alla pubblica udienza del 14.11.2002, il ricorso passava in decisione.

DIRITTO

1. Con il primo motivo di gravame, la ricorrente deduce: violazione e/o erronea interpretazione e applicazione dell’art.8 lett. i) e lett. m), 12 e 18 D. Lgs. 545/92 e ss. mod.- eccesso di potere per scadenza del Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria – violazione e/o erronea interpretazione e applicazione risoluzione del Consiglio di Presidenza n.17 del 22.12.1998- Eccesso di potere per violazione del diritto di opzione e ad un congruo termine per rimuovere la causa di incompatibilità – violazione del principio di tassatività delle sanzioni disciplinari – violazione delle norme e dei principi in tema di astensione e/o ricusazione e/o costituzione del giudice - violazione art. 17 delibera 156/99- violazione del diritto di difesa e del contraddittorio- eccesso di potere per erronea interpretazione dell’attività di consulenza ex art.8 lett. I) D.lgs. 545/92- Eccesso di potere per travisamento dei fatti, sviamento della causa, irrazionalità e contraddittorietà manifesta –violazione e/o erronea interpretazione e applicazione dell’art.3 L.241/90 – eccesso di potere per difetto, illogicità e contraddittorietà delle attività istruttoria e della motivazione.

1.1. Secondo la ricorrente, il Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria avrebbe adottato l’impugnata delibera quando ormai era scaduto e, quindi, in carenza di potere.

La questione sollevata dalla parte ricorrente risulta destituita di fondamento giuridico, giacchè, a seguito dell’entrata in vigore dell’art.1, comma 2°, del D.L. 30 ottobre 2000, n.311, convertito nella legge L. 23 dicembre 2000, n.386, è stato disposto il differimento della decorrenza dei termini per il rinnovo del Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria, per cui -come correttamente rilevato dalla difesa erariale- l’organo di autogoverno della Giustizia Tributaria, nel caso di specie, ha operato nella pienezza dei propri poteri.

1.2. Ad avviso dell’esponente, nel caso di specie, il procedimento di decadenza per incompatibilità sarebbe viziato a causa del mancato intervento di una diffida, intesa a fornire un termine all’interessata, al fine di rimuovere l’incompatibilità ed al fine di non incorrere nella comminatoria della decadenza.

L’art.8 del D.lgs. 31 dicembre 1992 n.545, con il comma 1°, elenca le varie cause di incompatibilità del giudice tributario e, con il comma 4°, stabilisce che "i componenti delle commissioni tributarie, che vengano a trovarsi in una delle condizioni di cui al comma 1, lettere a) e b) o che siano nominati giudici costituzionali, sono sospesi dall'incarico fino alla data di cessazione dell'incompatibilità".

Le lettere a) e b) del precitato comma 1° dell’art.8 del D. Lgs. n.545/92 si riferiscono, rispettivamente, ai membri del Parlamento nazionale e del Parlamento europeo, ai consiglieri regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali e gli amministratori di altri enti che applicano tributi o hanno partecipazione al gettito dei tributi indicati nell'art. 2 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n.546, nonché a coloro che, come dipendenti di detti enti o come componenti di organi collegiali, concorrono all'accertamento dei tributi stessi.

La sospensione dall'incarico, predeterminata ex lege fino alla data di cessazione dell'incompatibilità, con riferimento alle ipotesi contemplate dalle lettere a) e b), trova la sua ragione giustificativa nel notevole rilievo istituzionale delle situazioni ivi rappresentate, tanto da spingere il legislatore a paralizzare immediatamente l’efficacia della nomina, riconnettendone la necessità in via presuntiva al mero dato della obiettiva sussistenza delle cariche ricoperte.

Diversamente, per le altre fattispecie, che richiedono altresì l’espletamento di istruttoria al fine di accertare la sussistenza dei fatti, il legislatore ritiene di non dover paralizzare immediatamente la nomina del giudice tributario e postula la risoluzione dei conflitti di interesse contemplati, in via induttiva. Tale scelta del legislatore di disciplinare diversamente le varie ipotesi di incompatibilità, in ragione della graduazione della loro gravità, tuttavia, non può essere considerato un dato sufficiente ad indurre l’interprete a ritenere che, in relazione alle ipotesi diverse da quelle contemplate nelle lettere a) e b), non sussista l’obbligo della previa adozione della diffida nei confronti del giudice tributario, con prefissione di un termine per la cessazione della causa di incompatibilità.

Un siffatto obbligo appare indipendente rispetto alla scelta del legislatore sopra menzionata e risulta direttamente discendente da un principio avente portata generale nell'ordinamento, desumibile dall'art.63, D.P.R. 10 gennaio 1957 n.3, il quale implica, fra l'altro, l'impossibilità di accordare all'atto di accertamento costitutivo della decadenza effetto retroattivo (conf. T.A.R. Lazio sez. II, 25 marzo 1986 n. 727, in tema di incompatibilità del giudice della Commissione Tributaria Centrale; T.A.R. Milano, Sez.III° ord. n. 1914 del giorno 8 giugno 2000).

Né può ritenersi che la comunicazione di avvio del procedimento, ai sensi dell’art.7 della legge n.241/90, possa costituire un atto equipollente rispetto alla diffida, giacchè, mentre la comunicazione ex art.7 riguarda l’avvio dell’iter procedimentale sanzionatorio fondamentale, comprensivo anche del previo accertamento della sussistenza di fatti solo ipotizzati od oggetto di segnalazione, la necessità della diffida sorge in un momento successivo, in conseguenza dell’avvenuto accertamento dei fatti con esito positivo e, perciò, riguarda l’avvio del sub-procedimento, contenente la prefissione di un termine certo, cui ancorare la volontà dell’interessato di voler o non voler rimuovere le già accertate cause di incompatibilità, cui potrebbe seguire o l’archiviazione del procedimento o la sua definizione con la declaratoria della decadenza.

Pertanto, il rilievo svolto dalla parte ricorrente al riguardo appare meritevole di adesione.

1.3. Secondo l’esponente, la competenza ad adottare l’atto di dichiarazione di incompatibilità non apparterrebbe al Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria, ma al Ministero delle Finanze, ai sensi dell’art.122 del D.Lgs. n.545/1992.

La superiore osservazione, svolta a pag.11 del ricorso introduttivo, risulta superata dall’intervento, nelle more del giudizio, del provvedimento ministeriale prot.74130 del 12.8.2002, pure impugnato dalla ricorrente con i motivi aggiunti notificati in data 11.10.2002.

Va precisato al riguardo che la deliberazione del Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria, prevista dall'art.12, comma 2°, D.L. vo 31 dicembre 1992 n. 545, ai fini della dichiarazione di decadenza da effettuarsi con decreto del Ministro delle Finanze, costituisce un parere obbligatorio, privo di carattere vincolante (T.A.R. Friuli-Venezia Giulia 30 gennaio 2001 n.21) e, quindi, un atto endoprocedimentale.

Ne deriva che, nel caso di specie, essendo intervenuto l’atto conclusivo del procedimento di decadenza, la ricorrente non ha più interesse ex art.100 c.p.c. alla coltivazione del suddetto profilo di censura.

1.4. Ad avviso dell’esponente, nel caso di specie, non potrebbe trovare applicazione l’art.8, lett.i) del D. Lgs. n.545/1992, nel testo sostituito dall’art.84 della legge n.342/2000, giacchè i fatti contestati alla ricorrente si sarebbero svolti in data anteriore a quella del 1° ottobre 2001, a decorrere dalla quale espressamente trova applicazione la disposizione suddetta.

Ciò in quanto, manca nel nostro ordinamento una disposizione transitoria disciplinante il periodo intercorrente fra la data di entrata in vigore dell’art.84 della legge 21.11.2000 n.342 -cioè la data del 10.12.2000- e la data del 30.9.2001.

L’assunto di parte ricorrente non appare condivisibile, poiché, dalla mancata espressa previsione in ordine alla vigenza dell’art.8, lett.i) nella pregressa formulazione fino al 29.9.2001, non è dato desumere conclusioni in palese contrasto con i canoni interpretativi della ragionevolezza, della conformità alla Costituzione ed ai principi generali dell’ordinamento giuridico, attribuendo al legislatore l’aberrante volontà di voler rimuovere, per un periodo di dieci mesi, ogni causa di incompatibilità di natura professionale del giudice tributario.

Appare infatti conforme ai principi generali dell’ordinamento (oltre che logico e ragionevole) ritenere – in assenza altresì di alcun altro riferimento nel contesto normativo di cui all’oggetto, che consenta di ancorare sistematicamente l’interpretazione data dalla ricorrente alle intenzioni del legislatore di voler creare una sorta di "vuoto normativo"- che fino alla data del 30.9.2001 trova applicazione l’art.8, lettera m) del D. Lgs. n.545/1992, nella formulazione introdotta dall’art.31 della legge 27.12.1997, che commina l’incompatibilità per "coloro che esercitino in qualsiasi forma la consulenza tributaria con la rappresentanza dei contribuenti".

Pertanto, va respinta la tesi di parte ricorrente al riguardo.

1.5.Nel merito, la ricorrente contesta che possano costituire causa di incompatibilità le attività dalla medesima svolte, che, come risulta dagli atti di causa, consistono in collaborazione di giustizia, nelle qualità di Curatore Fallimentare (fallimento), Commissario Giudiziale (Concordato Preventivo), Amministratore Giudiziario (ex art.2409 c.c.), Consulente Tecnico del Giudice, revisore presso gli enti pubblici.

L'art.8 D.Lgs. 31 dicembre 1992 n.545, nel testo introdotto dalla L. 27 dicembre 1997 n. 449, indica, tra le cause di incompatibilità con la funzione di giudice tributario, l'esercizio in qualsiasi forma della consulenza tributaria.

La risoluzione su "incompatibilità e decadenza dei Giudici tributari", approvata dal Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria nella seduta del 18 marzo 1997, stabilisce che: "quanto alle ipotesi previste dalla lettera i), si deve ritenere che la causa di incompatibilità derivante dall'iscrizione agli albi ivi indicati sussista nel caso di esercizio -in qualsiasi forma- anche sporadico dell'assistenza o rappresentanza di contribuenti nelle controversie tributarie o, comunque, nei rapporti con l'Amministrazione finanziaria" (pag. 3).

L’apparente antinomia delle disposizioni legislative di cui all’art.4 del D. L.g.vo n.545/82 -che prevede la possibilità di nominare i giudici tributari anche fra coloro che sono iscritti all'albo dei dottori commercialisti ed hanno esercitato per almeno dieci anni le rispettive professioni- ed all’art.8, lett.i) -che pone il divieto ai componenti dei predetti organi di svolgere la consulenza tributaria, definendola quale causa di incompatibilità- è stato risolto da questa Sezione, che, con varie pronunce (ex multis: la sentenza n.6389/02, del 14.11.2000), ha dimostrato come le due norme possano essere interpretate in modo armonico, tale da pervenire ad un’esegesi che possa eliminare in via ermeneutica i sospetti di irragionevolezza della disposizione, pure invocata in via subordinata dalla ricorrente, che solleva questione di legittimità costituzionale.

Questa Sezione ha, infatti, ritenuto che il concetto di "consulenza fiscale" –che costituisce una delle principali estrinsecazioni dell’attività del commercialista- debba essere interpretato "strictu sensu" ed in funzione delle finalità di salvaguardia dell’equità e dell’imparzialità del giudizio del professionista.

Del resto, già l’organo di autogoverno della Giustizia Tributaria, con le Risoluzioni nn.3 e 7 del 1998, ha precisato che l’attività di consulenza tributaria può assurgere a causa di incompatibilità soltanto quando presenta gli indefettibili caratteri della professionalità, dell’abitualità e della continuatività.

Contestualmente, il suddetto organo di autogoverno ha chiarito che l’esercizio occasionale e sporadico della consulenza fiscale non integra gli estremi della situazione incompatibile, proprio perché non costituisce un fatto idoneo ad incidere significativamente sulla formazione intellettuale del professionista, in modo da condizionarne l’attività di giudizio.

Il rilievo quantitativo della consulenza, e le caratteristiche della abitualità, della professionalità e della continuatività, per le suddette Risoluzioni dell’organo di autogoverno della Giustizia Tributaria -intervenute in vigenza dell’art.8, lett.i), D.Lgs.n.545/92, nel testo introdotto dalla legge n.449/1997- costituiscono, quindi, criteri discretivi da applicare al caso concreto, al fine di valutare la sussistenza o meno delle cause di incompatibilità dell’attività svolta del professionista nonché al fine di evitare di pervenire all’inaccettabile conclusione di ritenere che la funzione di giudice tributario possa in concreto essere preclusiva dell’espletamento di una qualsivoglia attività.

Ne deriva che la consulenza fiscale diventa suscettibile di assurgere a causa di incompatibilità allorquando il professionista non si limiti ad una semplice individuazione degli elementi costituitivi, modificativi ed estintivi del rapporto di imposta, ma formuli l’interpretazione della normativa primaria e secondaria complessa alla valutazione delle conseguenze fiscali delle diverse scelte rimesse al contribuente nella gestione della sua attività contabile, commerciale ed aziendale e, infine, al consiglio circa la strategia più conveniente per la realizzazione degli interessi del cliente.

In sintesi, l’attività incompatibile va identificata con quella che presuppone l’esercizio di un’attività intellettuale per certi versi creativa ed innovativa e che miri direttamente alla tutela, in via sostanziale, degli interessi del contribuente, cioè a quella che, in definitiva, viene a risolversi nella difesa della posizione soggettiva di una delle parti del rapporto d’imposta.

E’ infatti evidente che, in relazione a tale modalità di espletamento dell’attività di consulenza, l’abituale e continuativa difesa degli interessi dei contribuenti, in contrapposizione con quelli pubblici perseguiti dall’amministrazione, determina nel professionista un "habitus" mentale ed un modo di ragionare che possono condurlo naturalmente ad accordare preferenza agli interessi ed alle ragioni di una delle parti abituali del processo tributario, con grave nocumento dell’imparzialità del giudizio e, in definitiva, della stessa credibilità del sistema tributario.

Ciò posto, non risulta che, nel caso di specie, l’attività espletata dalla ricorrente, talora nelle qualità di ausiliaria del giudice e talora con incarichi di curatela del fallimento, possa contenere le suddette caratteristiche intrinsecamente idonee a determinare una "forma mentis", tale da ledere la sua attitudine all’imparzialità ed alla terzietà.

Anche la modesta attività consistente nella tenuta di tre scritture contabili in relazione agli incarichi di curatela fallimentare suddetta non può costituire un fatto quantitativamente e qualitativamente idoneo a determinare l’incompatabilità della ricorrente con l’espletamento della funzione di giudice tributario, alla stregua dei criteri suddetti, emergenti dalle stesse Risoluzioni dell’organo di autogoverno della Giustizia Tributaria n.3 e n.7 del 1998.

Invero, dagli atti del giudizio, non è emerso che gli incarichi giudiziari di natura genericamente consultiva o gestionale svolti dalla ricorrente siano idonei a costituire un’attività propriamente valutativa e di indirizzo delle scelte aziendali societarie e commerciali in relazione alle loro conseguenze di natura fiscale, tale da integrare il concetto di consulenza incompatibile con l’attività di giudice tributario, alla stregua delle stesse Risoluzioni precitate.

La ricorrente ha altresì precisato che l’attività di consulenza dalla medesima svolta presso gli enti locali ha avuto luogo in modo sporadico e limitato alla semplice interpretazione della norma.

Al riguardo, giova precisare che la natura eccezionale della norma di cui all’art.8, lett.i) impedisce una lettura analogica od estensiva delle ipotesi ivi espressamente e tassativamente contemplate ed impone, quindi, un’esegesi letterale delle relative prescrizioni.

Invero, mentre l’art. 8 lett. i) D.lg.vo n.545/92 definisce la situazione di incompatibilità con specifico riferimento alla rappresentanza od assistenza dei contribuenti nei rapporti con l’Amministrazione Finanziaria o dinanzi alle Commissioni Tributarie, nell’ipotesi di consulenza agli enti locali, qui indicata, si verte in relazione a fattispecie del tutto estranea, inerente la consulenza agli enti locali come enti impositori, cioè fatti radicalmente diversi e, quindi, assolutamente inidonei a ledere l’imparzialità del magistrato, a causa della natura pubblica ed istituzionale della parte e degli interessi assistiti come attività consultiva.

Conclusivamente, va affermato che, in difetto dei già precisati indici, significativi ed univoci, si deve escludere che, nel caso di specie, sussista la situazione di incompatibilità, non potendosi pervenire in via presuntiva ma solo per via induttiva all'accertamento dell'esercizio di un'attività di fatto vietata dall'ordinamento.

Ne deriva che le doglianze di parte ricorrente, in ordine ai vizi denunciati per la ritenuta incompatibilità dell’attivita dalla medesima svolta, si appalesano meritevoli di accoglimento.

1.6. La disposta decadenza dalla carica di giudice tributario viene altresì fondata sulla circostanza secondo cui la sorella della ricorrente, rag. Claudia Martinotti, risulta iscritta al Collegio dei Ragionieri di Pavia dal 1998.

L’art. 8, lettera m), del D. Lgs. n.545/98 dispone la incompatibilità per "coloro che sono coniugi o parenti fino al secondo grado o affini in primo grado di coloro che sono iscritti negli albi professionali o negli elenchi di cui alla lettera i) nella sede della commissione tributaria o che comunque esercitano dinanzi alla stessa abitualmente la loro professione".

La risoluzione su "incompatibilità e decadenza dei Giudici tributari", approvata dal Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria, nella seduta del 18 marzo 1997, quanto alla ipotesi di cui alla lettera m), prevede due distinte fattispecie, a seconda che il coniuge, il parente o l'affine sia o non sia iscritto all'albo della sede della commissione cui appartiene il giudice tributario: nel primo caso, perché si verifichi l'incompatibilità è necessario e sufficiente che l'iscritto all'albo compia anche in modo sporadico od occasionale attività di assistenza o rappresentanza del contribuente in sede giurisdizionale od amministrativa (non potendosi applicare una regola più rigorosa di quella stabilita per il giudice della lettera i); invece nel secondo caso -se, cioè, il coniuge, il parente o l'affine sia iscritto in albo di una diversa sede -l'incompatibilità ricorre nel caso di esercizio abituale di assistenza o rappresentanza.

La sorella della ricorrente, rag. Claudia Martinotti, risulta svolgere attività professionale di ragioniere collegiato in provincia di Pavia, in modo autonomo e distinto rispetto alla ricorrente ed altresì in luogo diverso, cioè in Mirandola Terme, mentre la ricorrente risulta svolgere la propria attività in Stradella.

Dagli atti istruttori prodotti al presente giudizio nonché dai provvedimenti impugnati, non risulta provato che la sorella della ricorrente abbia svolto attività di rappresentanza e difesa presso gli Uffici amministrativi di Pavia o presso la Commissione Tributaria di Pavia, anzi dall’atto prot. n.591/2002/CDP del 20.3.2002 del Consiglio di Presidenza della Commissione Tributaria, e, dallo stesso provvedimento ministeriale prot. n.74130 del 12.8.2002 (pag.2), risulta che la ricorrente abbia espressamente dichiarato al riguardo: "Mia sorella, Claudia, è iscritta al Collegio dei Ragionieri di Pavia, e svolge una modesta attività, credo che in due anni abbia esercitato sette o otto difese davanti alla Commissioni Tributarie, chiaramente non davanti alla Commissione Tributaria di Pavia".

La suddetta dichiarazione della ricorrente non risulta contraddetta da altre risultanze istruttorie, per cui non è quindi, in alcun modo, in contestazione la circostanza secondo cui la sorella della ricorrente non abbia mai svolto attività di rappresentanza davanti alla Commissione Tributaria di Pavia, ma davanti a Commissioni Tributarie di altre Province ed in modo sporadico.

Appare perciò del tutto erroneo l’aver individuato la suddetta dichiarazione della ricorrente, quale presupposto per la declaratoria di incompatabilità, ai sensi della lettera m) dell’art.8, come effettuato dal Consiglio di Presidenza, nel verbale prot. n.591/2002/CDP del 20.3.2002, in cui si afferma "ritenuto che la sorella della dott.ssa Martinetti svolge attività di assistenza ed anche di rappresentanza tributaria (come dichiarato dalla stessa)" e come altresì implicitamente confermato anche nel precitato provvedimento ministeriale.

Invero, come precisato dalla suddetta Risoluzione del Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria su "incompatibilità e decadenza dei Giudici tributari", approvata nella seduta del 18 marzo 1997, affinchè la fattispecie di incompatibilità di cui alla lettera m) dell’art.8 del D.l.g.vo possa trovare applicazione nel caso di coniuge parente o affine iscritto all’Albo della Commissione Tributaria in cui presta servizio il giudice, occorre, oltre che il requisito dell’iscrizione all'albo della medesima sede della Commissione cui appartiene il giudice tributario, anche "che l'iscritto all'albo compia anche in modo sporadico od occasionale attività di assistenza o rappresentanza del contribuente in sede giurisdizionale od amministrativa, al fine di evitare l’applicazione, per la suddetta ipotesi, di una regola più rigorosa rispetto a quella stabilita per il giudice della lettera i)".

E ciò, quindi, anche in relazione ad una corretta applicazione del principio di eguaglianza, garantito dall’art.3 della Costituzione, e del principio di proporzionalità.

Pertanto, appare evidente l’illegittimità in cui è incorso l’organo di autogoverno per aver ritenuto, quale presupposto indefettibile per la sussistenza dell’incompatibilità ex art.8, lettera m) del D.Lgs. n.545/92, la mera iscrizione all’albo dei Ragionieri da parte della sorella della ricorrente, non accompagnata dall’espletamento di alcuna attività –benchè sporadica od occasionale- di rappresentanza e di difesa presso la medesima Commissione Tributaria.

Pertanto, anche questa doglianza merita accoglimento.

2.1. Poiché l’accoglimento delle censure di carattere sostanziale comporta la rimozione "ab origine" di tutti i provvedimenti comminatori della decadenza della ricorrente per incompatibilità ai sensi dell’art.8, lettere i) ed m) del D.L gs. n.545/1992, ne deriva la inefficacia del diniego di trasferimento impugnato con i motivi aggiunti e la conseguente carenza di interesse della ricorrente ex art.100 c.p.c. ad ottenere una decisione su di esso.

Conseguentemente, possono dichiararsi assorbiti gli ulteriori profili di gravame svolti dalla ricorrente con i motivi aggiunti, ivi comprese le dedotte questioni di legittimità costituzionale, che non assumono rilevanza ai fini della decisione della presente controversia.

3.1. Quanto infine alla pretesa risarcitoria, va premessa la sussistenza della giurisdizione di questo giudice, ai sensi dell’art.35, I° comma, del D.lg.vo n.80/98, nel testo modificato dall’art.7 della legge n.205/2000, che demanda espressamente alla sua capacità cognitoria le questioni patrimoniali consequenziali, nelle controversie devolute alla sua giurisdizione.

Non rileva, invero, a tal uopo, la circostanza secondo cui il rapporto che lega il giudice tributario all'Amministrazione, non e' di pubblico impiego, bensi' di servizio onorario, riconducibile alla categoria della c.d. "parasubordinazione", con conseguente competenza del giudice del lavoro.

3.2. La domanda risarcitoria va accolta in relazione agli emolumenti fissi mensili non percepiti in dipendenza della dichiarata decadenza, nonché con riferimento ai compensi relativi al lavoro giudiziario non svolto, ragguagliati al numero dei ricorsi chiamati per la discussione in pubblica udienza o in camera di consiglio, con riferimento alle udienze previste dal calendario annuale, cui l'interessata non abbia senza sua colpa partecipato, detratto quanto eventualmente già versato a tale titolo, oltre interessi, ai sensi dell’art.429 c.p.p. e dell’art.150 disp. Att. Cod. proc. civ., secondo il decreto del Ministero del Tesoro 1 settembre 1998 n.352, dalla data dalla data di maturazione di ciascun rateo sino a quella del soddisfo.

Giova, a tal uopo, precisare che gli emolumenti accessori, determinati secondo i criteri di cui sopra, vanno calcolati soltanto sul "quantum" effettivamente erogato, al netto delle somme non corrisposte per ritenute fiscali e contributive, cioè al netto di quella parte di credito certamente sottratto alla disponibilità del creditore (conf.: Consiglio Stato sez. VI, 10 luglio 1996, n. 931; Cons. Stato, IV° Sez., 16 gennaio 1993 n.54; Cons. Stato, parere della III Sez., 24 ottobre 1989 n.1505; T.A.R Catania, Sez. III° 13.10.1998 n.1694; T.A.R. Palermo Sez.I°, 24 gennaio 1997 n.57).

In conclusione, il ricorso si appalesa FONDATO, e, per l’effetto, gli atti impugnati vanno ANNULLATI, FACENDO OBBLIGO all’amministrazione resistente di corrispondere alla ricorrente gli emolumenti, detratto quanto eventualmente già versato a tale titolo, oltre interessi dalla data dalla data di maturazione di ciascun rateo sino a quella del soddisfo, come già precisato in motivazione.

La complessità della questione consiglia di disporre l’integrale compensazione delle spese di lite e degli onorari del presente giudizio, ai sensi dell’art.92, I° cp.v., c.p.c..

P.Q.M.

IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LA LOMBARDIA -

MILANO (SEZIONE III°), definitivamente pronunciando sul ricorso di cui in epigrafe, lo ACCOGLIE e, per l’effetto, ANNULLA gli impugnati provvedimenti, FACENDO OBBLIGO all’amministrazione resistente di corrispondere alla ricorrente gli emolumenti, detratto quanto eventualmente già versato a tale titolo, oltre interessi dalla data dalla data di maturazione di ciascun rateo sino a quella del soddisfo, come già precisato in motivazione.

Dispone l’integrale compensazione delle spese e degli onorari del presente giudizio, ai sensi dell’art.92, I° cpv. c.p.c..

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.

Così deciso in Milano, nella camera di consiglio del giorno 14.11.2002, con l’intervento dei signori:

dott. DOMENICO GIORDANO Presidente

dott.ssa CONCETTA ANASTASI Cons. Rel. est.

dott. RAFFAELLO SESTINI Primo Ref.

L’ESTENSORE IL PRESIDENTE

Depositata in Segretaria in data 7 gennaio 2003.

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