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Giurisprudenza
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TAR PUGLIA-BARI, SEZ. I – Sentenza 11 settembre 2002 n. 3926 – Pres. ed Est. Ferrari - Azienda Ospedaliera "Di Venere-Giovanni XXIII" (Avv. Pappalepore) c. Gran Caffè di Ruggieri Maria Pia & C. s.a.s. (Avv.ti Spinelli e Vitone Ruggieri) – (accoglie il ricorso principale; dichiara inammissibili le istanze risarcitorie presentate dalle parti in causa).

1. Giustizia amministrativa – Ricorso giurisdizionale – Procura ad litem – Indicazione in essa dell’autorità giurisdizionale da adire – Non occorre.

2. Giustizia amministrativa – Giurisdizione esclusiva del G.A. – Controversia riguardante il rapporto tra un Ente pubblico ed il gestore di un bar-tavola calda che ha sede nei locali dell’Ente – Nel caso in cui il rapporto abbia natura concessoria – Sussiste.

3. Giustizia amministrativa – Ricorso giurisdizionale – Ricorso incidentale – Costituisce l’unico mezzo per proporre domande che ampliano l’oggetto del giudizio – Proposizione di domande riconvenzionali – Tramite ricorso incidentale notificato – Necessità – Tramite memoria depositata in segreteria – Inammissibilità.

1. Per la validità di una procura ad litem non occorre l'indicazione del giudice (ordinario od amministrativo) da adire, atteso che l’individuazione della autorità giudiziaria innanzi alla quale proporre l'azione rientra nella competenza professionale e nella responsabilità del difensore.

2. Rientra nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo prevista dall'art. 5 della L. 6 dicembre 1971 n. 1034, una controversia riguardante il rapporto, avente natura concessoria, intercorso un Ente pubblico (nella specie, una Azienda ospedaliera) ed un soggetto privato avente per oggetto la concessione da parte del primo al secondo della gestione esclusiva di un bar-tavola calda funzionante all’interno di una struttura di proprietà dell’ente pubblico (1).

3. Nel processo amministrativo il ricorso incidentale costituisce, ex artt. 23 L. n. 1034 del 1971 e 37 R.D. n. 1054 del 1924, l'unico strumento mediante il quale le parti resistenti possono proporre domande con le quali ampliano la materia del contendere, così come fissata nell'atto introduttivo del giudizio (2); è pertanto tramite un ricorso incidentale notificato alle altre parti che può essere proposta una domanda riconvenzionale nel giudizio amministrativo, dovendosi invece ritenere inammissibile la domanda riconvenzionale proposta mediante una memoria depositata in segreteria (3).

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(1) E’ stato rilevato in proposito che il rapporto de quo, per le modalità di svolgimento, conteneva una serie di elementi che, nel loro insieme, facevano assumere al rapporto stesso la natura di concessione avente ad oggetto la gestione di un servizio, con assunzione di ben definiti obblighi da parte del gestore; il rapporto stesso, viceversa, non poteva qualificarsi come un rapporto di locazione, naturalmente limitato al mero godimento di un immobile dietro corrispettivo.

In proposito è stato richiamato l'insegnamento della Corte di Cassazione, secondo cui "nell'ipotesi in cui sia stata affidata ad un privato la gestione del servizio bar all'interno di un ospedale pubblico, il rapporto fra la P.A. e il privato, avente ad oggetto un'attività da svolgersi all'interno di locali facenti parte della struttura immobiliare ospedaliera - come tale destinata a pubblico servizio e perciò rientrante fra i beni patrimoniali indisponibili ai sensi dell'art. 830 Cod. civ. - può trovare titolo solo in un atto concessorio, potendo tali beni essere trasferiti nella disponibilità di privati, per usi determinati, solo mediante concessioni amministrative" (Cass. civ., SS.UU., 21 luglio 1998 n. 7131 e 29 marzo 1994 n. 3075; III Sez. 19 maggio 2000 n. 6482).

(2) Cons. Stato, Sez. V, 31 gennaio 2001, n. 353. 

Sul ricorso incidentale v. da ult. in questa Rivista TAR TOSCANA, SEZ. II – Sentenza 22 luglio 2002, n. 1591 ed ivi ult. riferimenti.

(3) E’ stato in proposito ricordato che, secondo la giurisprudenza (v. in part. T.A.R. Umbria 24 marzo 1999, n. 218), l’art. 37 R.D. n. 1054 del 1924, nel disciplinare le forme e i termini per la proposizione del ricorso incidentale ad iniziativa sia dell'Autorità contro la quale è proposto il ricorso principale che delle controparti private, nulla dice riguardo al petitum e alla causa petendi dell'eventuale ricorso incidentale. Ciò comporta che la relativa disciplina processuale si applica a qualsiasi domanda introdotta dalle parti resistenti (pubbliche o private) per ampliare l’oggetto del giudizio, e cioè ad ogni domanda riconvenzionale - nella misura in cui sono concepibili domande riconvenzionali nel giudizio amministrativo - quali che siano il petitum e la causa petendi, costituendo problema distinto ed ulteriore, "attinente non più alla forma ma alla sostanza", verificare se una domanda, caratterizzata da quel petitum e da quella causa petendi, è proponibile innanzi al giudice della legittimità.

Poiché quindi ricorso incidentale costituisce l’unico mezzo tecnico per proporre domande riconvenzionali innanzi al giudice amministrativo ed essendo quello della notificazione degli atti il principio che regge il contraddittorio nel giudizio amministrativo e che vale non solo per l’atto introduttivo del giudizio, ma anche per la proposizione di motivi aggiunti e, appunto, per il ricorso incidentale, nella specie è stata ritenuta inammissibile la domanda riconvenzionale proposta da una delle parti resistenti tramite una memoria di costituzione non notificata e, quindi, in violazione della regola della pienezza del contraddittorio.

Sulle condizioni per la proposizione di domande riconvenzionali nel giudizio amministrativo ed in particolare nel senso di ritenere che la domanda riconvenzionale non è soggetta ai limiti temporali previsti per la proposizione del ricorso incidentale v. in questa Rivista TAR MARCHE, sentenza 11 febbraio 2000, n. 290.

 

 

per l’accertamento

della natura concessoria del rapporto intercorrente fra l’Azienda ospedaliera e la s.a.s. "Gran Caffè di Maria Pia Ruggieri" e, per l’effetto, per la declaratoria: a) dell’avvenuta scadenza del termine della concessione alla data del 31 Luglio 2001, con relativa detenzione senza titolo delle attrezzature esistenti nei locali nei quali viene gestito il servizio bar-tavola calda oggetto di concessione; b) dell’avvenuto passaggio in proprietà dell’Azienda Ospedaliera delle suddette attrezzature e

per la condanna

della signora Maria Pia Ruggieri, in proprio e nella qualità di legale rappresentante della s.a.s. "Gran Caffè Riviera di Ruggieri Maria Pia & C.": a) al rilascio dei locali di proprietà dell’Azienda ospedaliera, nonché delle attrezzature ivi esistenti, divenute di proprietà di quest’ultima, con interruzione della relativa attività di gestione e b) al risarcimento di tutti i danni patiti e patendi, con quantificazione da effettuarsi in corso di causa o, in mancanza, da determinarsi equitativamente.

(omissis)

FATTO e DIRITTO

1. Con atto (n.1203/2002) notificato in data 19 luglio 2002 e depositato il successivo 24 luglio l’Azienda ospedaliera "Di Venere - Giovanni XXIII" ha proposto ricorso a questo Tribunale affinché, previa declaratoria dell’intervenuta cessazione – per scadenza del termine prestabilito - del rapporto concessorio intercorso con l’intimata società ed avente ad oggetto la gestione del servizio bar – tavola calda in locali all’interno della struttura ospedaliera, sia ordinato alla stessa società il rilascio dei suddetti locali e delle attrezzature in essi esistenti, ormai di proprietà dell’Azienda ospedaliera, con condanna al risarcimento dei danni patiti e patendi e al pagamento delle spese di giudizio.

Premessa una breve ricostruzione dei fatti che hanno dato origine alla controversia la ricorrente sostiene, con puntuale richiamo a decisioni della Corte di Cassazione, che il rapporto da essa instaurato con la Ruggieri non è affatto riconducibile ad un contratto di locazione commerciale - come la resistente pretenderebbe – bensì ad un rapporto di concessione di beni pubblici, atteso che il suo oggetto è costituito dalla "gestione in esclusiva di un bar – tavola calda c/o il presidio ospedaliero "Di Venere – Carbonara, in locali di proprietà di questa U.S.L." (contratto di affidamento per la sistemazione, arredamento e gestione di un bar – tavola calda del 21 luglio 1992).

2. Si è costituita in giudizio la signora Maria Pia Ruggieri, legale rappresentante della s.a.s. "Gran Caffè di Ruggieri Maria Pia e &", la quale ha eccepito: a) la nullità del mandato ad litem perché non sorretto da valida deliberazione dell’Ente e, in via gradata, perché sottoscritto da soggetto privo del potere rappresentativo dell’Ente; b) il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo atteso, che al contrario di quanto sostenuto ex adverso, il rapporto in contestazione non ha natura di concessione di bene pubblico, ma di semplice locazione urbana, con la conseguenza che la relativa controversia appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario.

Contestualmente la resistente società, per l’ipotesi che l’adito Tribunale dovesse disattendere l’eccezione di difetto di giurisdizione, ha proposto domanda riconvenzionale di condanna dell’Azienda ospedaliera al risarcimento del danno da essa subito in conseguenza dell’avvenuta installazione nei locali dell’ospedale di un distributore di bevande calde e di un distributore di bibite a prezzi inferiori a quelli praticati nel bar, in violazione dell’obbligo contrattualmente assunto dalla stessa Azienda di vietare l’ingresso di persone o ditte che possano vendere, in concorrenza, generi di cui il bar-tavola calda dispone, con estensione del suddetto divieto anche ai distributori automatici.

3. Con note di udienza depositate nel corso della camera di consiglio la ricorrente ha replicato alle eccezioni dell’avversario ed ha a sua volta eccepito l’inammissibilità della domanda riconvenzionale da questi proposta.

4. Visti gli atti di causa, il Collegio rileva innanzi tutto la palese infondatezza e pretestuosità delle eccezioni preliminari proposte dalla società resistente. Ed invero:

a) il mandato rilasciato dall'Azienda ospedaliero al suo difensore reca la chiara e puntuale indicazione del suo oggetto, e cioé "adire le vie legali per ottenere il rilascio del locale" di proprietà della stessa Azienda. Risulta pertanto per tabulas che si tratta di procura ad litem, avente ad oggetto un'attività di chiara natura processuale e che non richiede affatto, come condizione di validità, l'indicazione del giudice (ordinario a amministrativo) da adire, trattandosi di compito che rientra nella competenza professionale e nella responsabilità del difensore prescelto;

b) è in atti la delibera direttoriale 19 giugno 2002 n.450, recante conferimento al direttore amministrativo dott. Vito Michele Zambetta, ex art. 3, co. 6, D.L.vo 30 dicembre 1992 n. 502, della delega all'esercizio delle funzioni di direttore in caso di vacanza o di assenza o impedimento del titolare. Detta delibera è richiamata nel mandato ad litem, steso in calce al ricorso introduttivo del giudizio, nel quale si fa anche puntuale riferimento all'assenza del Direttore generale in carica;

c) contrariamente all’assunto della società resistente, sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo nella controversia in esame, atteso che il rapporto intercorso fra l'Azienda ospedaliera e la stessa società ha per oggetto la "concessione" da parte della prima alla seconda della gestione esclusiva del bar-tavola calda funzionante all’interno della struttura ospedaliera, nei locali di proprietà di quest’ultima.

Trattassi di conclusione che emerge con assoluta evidenza dalla documentazione versata in atti: il "contratto di affidamento per la sistemazione, arredamento e gestione di un bar-tavola calda", stipulato il 21 luglio 1992 a seguito della delibera dell' Amministratore straordinario n.1870 dell'11 giugno 1992, assegna al dante causa dell'odierna resistente la qualifica di "gestore" del servizio; limita la "concessione" alla sola gestione del bar e della tavola calda; prevede la possibilità per l’Amministrazione di revocare la "concessione" al verificarsi di determinati presupposti; definisce l'orario e le modalità di svolgimento del servizio per quanto attiene all'abbigliamento del personale alle dipendenze della società, al comportamento al quale quest'ultimo è tenuto nei confronti degli avventori e alla qualità dei generi oggetto di consumazione; fissa i prezzi di questi ultimi; impone al "gestore" il pagamento di un canone soggetto a revisione annuale, l'esecuzione delle opere di ristrutturazione dei locali e l'installazione a proprie spese di nuove attrezzature, analiticamente indicate e destinate a diventare di proprietà dell'Azienda ospedaliera alla scadenza del rapporto concessorio; assegna allo stesso gestore la responsabilità esclusiva per qualsiasi infrazione alle norme di commestibilità e di igiene, eventualmente rilevate dai competenti organi sanitari; riserva al direttore sanitario il controllo, sotto il profilo igienico, sia dei locali che dei generi di consumo e delle attrezzature.

Trattasi di una serie di elementi che, nel loro insieme, connotano in modo inequivocabile il rapporto de quo come rapporto concessorio avente ad oggetto la gestione di un servizio, con assunzione di ben definiti obblighi da parte del gestore, e non come rapporto di locazione, naturalmente limitato al mero godimento di un immobile dietro corrispettivo.

Sempre in punto di fatto merita rilevare - affinché sia chiara la palese infondatezza della tesi del rapporto di locazione commerciale, prospettata dalla società resistente con evidente intento dilatorio - che la concessione-contratto di cui si discute si autodefinisce "rinnovo" di una precedente concessione, avente il medesimo oggetto e rilasciata il 10 maggio 1971 dalla struttura sanitaria pubblica al dante causa della società resistente. Detta concessione formò oggetto di esame da parte dalla II Sez. civile del Tribunale di Bari che, adita dall'Amministrazione sanitaria a seguito del rifiuto da parte del concessionario-gestore di rilasciare i locali e le attrezzature in esso contenute alla scadenza prestabilita, dichiarò (n. 1184 del 30 maggio 1981) la infondatezza della tesi del resistente intesa a ricondurre il rapporto ad un contratto di locazione commerciale e, con ampia e puntuale motivazione, chiarì le ragioni per le quali si trattava invece di un "appalto di servizi, cioé di una concessione contratto'' avente ad oggetto un determinato servizio con assunzione, da parte del gestore, di una serie di obblighi palesemente incompatibili con quelli ricadenti sul mero conduttore di un immobile.

Contro detta sentenza il dante causa della società ora resistente propose appello, al quale successivamente rinunciò con atto notificato in data 3 dicembre 1981, nel quale dichiarò di "accettare integralmente la sentenza...nonché le relative statuizioni" (id est la natura concessoria del rapporto in contestazione).

Questo in punto di fatto.

In punto di diritto appare utile richiamare anche l'insegnamento della Corte di Cassazione, la cui giurisprudenza è nel senso che "nell'ipotesi in cui sia stata affidata ad un privato la gestione del servizio bar all'interno di un ospedale pubblico, il rapporto fra la P.A. e il privato, avente ad oggetto un'attività da svolgersi all'interno di locali facenti parte della struttura immobiliare ospedaliera - come tale destinata a pubblico servizio e perciò rientrante fra i beni patrimoniali indisponibili ai sensi dell'art. 830 Cod. civ. - può trovare titolo solo in un atto concessorio, potendo tali beni essere trasferiti nella disponibilità di privati, per usi determinati, solo mediante concessioni amministrative" (Cass.civ., SS.UU., 21 luglio 1998 n. 7131 e 29 marzo 1994 n. 3075; III Sez. 19 maggio 2000 n. 6482).

5. Nel merito il ricorso è fondato, essendo documentato che il contratto di gestione del bar - tavola calda è scaduto il 31 luglio 2001, sicchè da tale data la società resistente occupa sine titulo i locali di proprietà dell'Azienda ospedaliera, ne utilizza le attrezzature e, in palese dispregio degli obblighi contrattualmente assunti, continua nella gestione di un servizio che non è più nella sua disponibilità

Di conseguenza deve darsi ordine alla suddetta società di rilasciare all'Azienda ospedaliera ricorrente, nel termine massimo di giorni 30 (trenta) dalla notificazione o comunicazione in via amministrativa della presente sentenza, i locali di proprietà della stessa Azienda e le attrezzature in essi esistenti divenute di proprietà della struttura sanitaria ed indicate nella concessione-contratto del 21 luglio 1992, con cessazione della relativa attività di gestione.

Al tempo stesso, al fine di assicurare effettività alla pronuncia di questo Tribunale e di mettere l'Azienda pubblica in condizione di provvedere al nuovo affidamento del servizio a conclusione della prescritta procedura di evidenza pubblica, appare opportuno disporre sin da ora la nomina di un commissario ad acta, nella persona del Questore della provincia di Bari o dì un suo delegato, affinché, ove il suddetto termine decorra inutilmente, assuma su richiesta dell'Azienda ospedaliera, nei successivi quindici (15) giorni, le iniziative legali necessari perché la stessa Azienda acquisisca la piena disponibilità dei locali e delle attrezzature di sua proprietà, in essi allocate.

6. Deve essere invece dichiarata l'inammissibilità dell'istanza risarcitoria proposta dalla ricorrente, atteso che quest'ultima, nonostante l'espressa riserva formulata nell'atto introduttivo del giudizio, non ha offerto alcun elemento idoneo a quantificare il danno patrimoniale che assume di aver sofferto per effetto dell'illegittimo comportamento tenuto nella vicenda dalla società resistente.

7. Come si è detto in narrativa la resistente società, per l'ipotesi che questo Tribunale riconoscesse la propria giurisdizione nella controversia in esame, ha proposto nella memoria di costituzione domanda riconvenzionale finalizzata al risarcimento del danno economico che assume aver subito in conseguenza dell'avvenuta installazione nei locali dell'ospedale, ad opera dell'Azienda, di un distributore di bevande calde e di un distributore di bevande a prezzi inferiori a quelli praticati nel bar, in violazione dell'obbligazione contrattualmente assunta di vietare l'ingresso nell'ospedale e persone o ditte che possano vendere, in concorrenza, generi di cui il bar - tavola calda dispone.

Trattasi di domanda inammissibile in quanto proposta mediante memoria depositata in Segreteria, anziché nella via del ricorso incidentale notificato.

E' infatti principio noto che nel processo amministrativo il ricorso incidentale notificato costituisce, ex artt. 23 L. n. 1034 del 1971 e 37 R.D. n. 1054 del 1924, l'unico strumento mediante il quale soggetti, contro i quali si rivolge il ricorso di primo grado, possono proporre domande con le quali ampliano la materia del contendere così come fissata nell'atto introduttivo del giudizio (Cons. Stato , V Sez., 31 gennaio 2001 n. 353).

A questo riguardo è stato esattamente rilevato (T.A.R. Umbria 24 marzo 1999 n.218) che il cit. art. 37 R.D. n. 1054 del 1924, nel disciplinare le forme e i termini per la proposizione del ricorso incidentale ad iniziativa sia dell'Autorità contro la quale è proposto il ricorso principale che (come nel caso in esame) delle controparti private, nulla dice riguardo al petitum e alla causa petendi dell'eventuale ricorso incidentale. Ciò comporta che la relativa disciplina processuale si applica a qualsiasi domanda introdotta dalle parti resistenti (pubbliche o private) per ampliare l’oggetto del giudizio, e cioè ad ogni domanda riconvenzionale - nella misura in cui sono concepibili domande riconvenzionali nel giudizio amministrativo - quali che siano il petitum e la causa petendi, costituendo problema distinto ed ulteriore, "attinente non più alla forma ma alla sostanza", verificare se una domanda, caratterizzata da quel petitum e da quella causa petendi, è proponibile innanzi al giudice della legittimità.

Segue da ciò che - costituendo il ricorso incidentale di cui al cit. art.37 l’unico mezzo tecnico per proporre domande riconvenzionali innanzi al suddetto giudice, ed essendo quello della notificazione degli atti il principio che regge il contraddittorio nel giudizio amministrativo e che vale per l’atto introduttivo del giudizio, per la proposizione di motivi aggiunti e, appunto, per il ricorso incidentale - la domanda proposta dalla resistente nella memoria di costituzione non notificata e, quindi, in violazione della regola della pienezza del contraddittorio è palesemente inammissibile.

8. Il ricorso principale deve pertanto essere accolto, con condanna alle spese del giudizio a carico della società resistente.

Devono invece essere dichiarate inammissibili, per le diverse ragioni innanzi esposte, le istanze risarcitorie proposte da ambedue le parti in causa.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia - Sede di Bari, Sez. I, accoglie il ricorso principale proposto dall’Azienda ospedaliera "Di Venere-Giovanni XXIII" nei termini di cui in motivazione.

Dichiara inammissibili le istanze risarcitorie presentate dalle parti in causa.

Condanna la s.a.s. Gran Caffè di Ruggieri Maria & C. al pagamento, in favore dell’Azienda ospedaliera succitata, delle spese e degli onorari del giudizio, che liquida in EURO 5.000,00 (cinquemila/00).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Bari, nella camera di consiglio del 28 agosto 2002, dal T.A.R. per la Puglia - Sede di Bari, Sez. I, con l'intervento dei signori:

Gennaro

Ferrari, est.

Presidente

Amedeo

Urbano

Consigliere

Leonardo

Spagnoletti

Consigliere

Depositata in cancelleria in data 11 settembre 2002.

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