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TAR PUGLIA-BARI, SEZ. I – Sentenza 5 marzo 2003 n. 1070 Pres. Ferrari, Est. Spagnoletti – SOGEMI S.r.l. (Avv. N. Calvani) c. Regione Puglia (Avv.ti P. Quinto, L. Ancora, F. Paparella) e Congregazione Ancelle Divina Provvidenza (n.c.) - (dichiara improcedibile il ricorso).

1. Sanità pubblica – Servizio sanitario regionale – Piano regionale di riordino rete ospedaliera - Strutture sanitarie private accreditate – Determinazione dei posti letto in relazione al fabbisogno regionale complessivo - Legittimità.

2. Fonti - Legge regionale – Approvazione dell’assetto organizzativo del piano regionale di riordino della rete ospedaliera e della rete dei distretti sanitari – E’ legge provvedimento – Conseguenze – Assorbimento degli atti amministrativi nell’atto legislativo

3. Fonti - Legge regionale – Legge provvedimento - Sindacato di legittimità del giudice amministrativo sulle deliberazioni di Giunta regionale di approvazione del piano regionale di riordino e della rete distrettuale – Esclusione

1. Le strutture sanitarie private accreditate, in via provvisoria o definitiva, costituiscono parte integrante della rete regionale di assistenza ospedaliera, con la conseguenza che è legittima la considerazione dei posti letto attivati presso tali strutture nel fabbisogno complessivo dell’assistenza ospedaliera da erogare in ambito regionale, e quindi anche la rideterminazione dei posti letto esistenti nelle medesime in funzione degli indicatori fissati dalla legislazione statale e regionale per il riordino della rete ospedaliera (1).

2. La disposizione di una legge regionale che recepisce l’assetto organizzativo impresso alle strutture sanitarie pubbliche e private dal piano di riordino ospedaliero nonché la rete dei distretti sanitari, come definiti da atti approvati in via amministrativa con deliberazioni della Giunta regionale, si configura come legge provvedimento che, in assenza nell’ordinamento costituzionale di una riserva di amministrazione, "assorbe" i suddetti atti amministrativi (2).

3. In presenza di una disposizione di legge regionale qualificabile come legge provvedimento è precluso l’ordinario sindacato di legittimità del giudice amministrativo sugli atti amministrativi da essa approvati, con conseguente improcedibilità per sopravvenuta carenza d’interesse del ricorso giurisdizionale col quale gli stessi sono stati impugnati, salvo il solo sindacato "stretto" di legittimità costituzionale da parte del Giudice delle leggi (3).

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(1) Non constano precedenti in termini

(2) Sull’ammissibilità in generale delle leggi provvedimento e sull’inesistenza nell’ordinamento costituzionale nazionale di una riserva di amministrazione cfr., tra le tante, Corte Cost. 26 maggio 1998, n, 185, 29 maggio 1997, n. 153, 10 gennaio 1997, n. 2, 24 febbraio 1995, n. 63, 16 febbraio 1993, n. 62, 21 marzo 1989, n. 143.

Sul tema dell’assorbimento dell’atto amministrativo approvato nell’atto legislativo di approvazione, cfr. Mortati, Le leggi provvedimento, Milano, 1968, in particolare pp. 143 e 149.

(3) E’ minoritario, nella giurisprudenza costituzionale, l’orientamento secondo il giudice amministrativo conserverebbe il potere di annullare gli atti amministrativi approvati con legge provvedimento, che resterebbe privata del suo oggetto, per il quale cfr. Corte Cost., 11 giugno 1999, n. 225 e 226.

Breve commento di

LEONARDO SPAGNOLETTI
(Consigliere del T.A.R. Puglia-Bari)

Il giudice amministrativo pugliese, dopo la sentenza n. 5637 del 16 dicembre 2002 (pubblicata in Giust.it n. 12 – 2002), ritorna sulle problematiche del riordino della rete ospedaliera.

La Giunta regionale pugliese con deliberazioni nn. 1086 del 27 luglio 2002, 1087 del 2 agosto 2002 e 1429 del 30 settembre 2002 aveva, rispettivamente, adottato una prima rimodulazione, approvato in via definitiva e riapprovato con modifiche ed affinamenti il piano di riordino della rete ospedaliera; mentre con deliberazione n. 1161 dell’8 agosto 2002 aveva approvato la rete dei distretti sanitari.

Nei confronti delle predette deliberazioni sono stati proposti numerosi ricorsi, tra cui quelli di case di cura accreditate in via provvisoria, definiti con la sentenza in commento ed altre di analogo contenuto.

L’assetto organizzativo impresso alle strutture sanitarie pubbliche e private accreditate nonché la definizione della rete distrettuale sono stati recepiti, però, dall’art. 18 commi 3 e 7 della legge regionale 9 dicembre 2002, n. 20.

La sentenza annotata, dopo aver ricostruito il quadro di riferimento normativo statale e regionale sul riordino della rete ospedaliera, affronta il tema della natura, contenuto ed effetti della disposizione legislativa regionale, riconducendola alla species della legge di approvazione che, secondo la più autorevole dottrina in argomento, va ricondotta all’alveo delle leggi provvedimento; e, ribadita, con la giurisprudenza costituzionale (e la dottrina) assolutamente prevalente, l’assenza nell’ordinamento costituzionale di una riserva di amministrazione, e quindi l’ammissibilità in astratto delle leggi provvedimento, anche regionali, perviene, sempre nel solco della dottrina e della giurisprudenza costituzionale prevalente, a negare l’ulteriore sindacabilità degli atti deliberativi (con conseguente improcedibilità dei ricorsi per sopravvenuta carenza d’interesse) in quanto ormai "assorbiti" dall’atto legislativo e quindi assoggettabili, con l’atto legislativo di approvazione, al solo sindacato "stretto" di legittimità costituzionale del Giudice delle leggi.

 

(omissis)

per l’annullamento

- della deliberazione della Giunta regionale della Puglia n. 1087 del 2 agosto  2002, recante l’approvazione definitiva del piano di riordino ospedaliero;

- della deliberazione della Giunta regionale della Puglia n. 1086 del 27 luglio 2002, recante l’approvazione della prima rimodulazione del piano di riordino ospedaliero; 

- della deliberazione della Giunta regionale della Puglia n. 1429 del 30 settembre 2002, recante modifiche e affinamenti al piano di riordino ospedaliero;

- della deliberazione della Giunta regionale della Puglia n. 2087 del 27 dicembre 2001, recante l’approvazione  del piano sanitario regionale

(omissis)

F A T T O

Con atto notificato il 14 novembre 2002 e depositato in Segreteria il 4 dicembre 2002, la casa di cura ricorrente ha impugnato i provvedimenti in epigrafe meglio indicati.

Giova premettere (i dati sono desunti dal par. 11 della relazione illustrativa allegato A.1 della deliberazione di Giunta regionale n. 1087 del 2 agosto 2002, pag. 26) che:

- il piano di riordino ospedaliero (approvato in prima modulazione con la deliberazione di Giunta regionale n. 1086 del 27 luglio 2002, in via definitiva con deliberazione di Giunta regionale n. 1087 del 2 agosto 2002 e da ultimo riapprovato, con modifiche ed affinamenti, con deliberazione di Giunta regionale n. 1429 del 30 settembre 2002) indica in 1942 i posti letto funzionanti presso le case di cura provvisoriamente accreditate al 31 dicembre 2001;

- in base ai parametri utilizzati per il dimensionamento del sistema ospedaliero (pubblico e privato), il piano di riordino determina un fabbisogno di 1356 posti letto, relativi alle case di cura, distinti per disciplina  (cfr. allegato A.4 pagg. 193-194 alla deliberazione di Giunta regionale n. 1087 del 2 agosto 2002)

- tali posti letto vengono riconfermati salvo, nell’accreditamento definitivo, la loro redistribuzione per accorpare micro-strutture e anche per realizzare centri di eccellenza;

- la residua dotazione di posti letto rispetto a quelli esistenti, pari a 586, sarà incrementata di 258 posti letto relativi all’attività di assistenza indiretta e alla riconversione degli ex ospedali psichiatrici di Bisceglie e Foggia;

- il totale della residua dotazione (586+258=834 posti letto) sarà riassegnata in fase di attuazione del piano di riordino ospedaliero sentite le organizzazioni e associazioni rappresentative, detratti da tale cifra (e quindi dai 258 posti letto rivenienti dall’assistenza indiretta e dalla riconversione degli ex ospedali psichiatrici) 180 posti letto per riconversione degli ex ospedali psichiatrici  in favore della Congregazione delle Ancelle della Divina Provvidenza di Bisceglie e 20 posti letto per riabilitazione neurologica in favore dell’Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico “Nuova Famiglia” di Ostuni;

- in effetti però, in sede di riconversione e riassegnazione, sono previsti complessivi 2190 posti letto a regime, di cui 352 di riabilitazione, 78 di terapia intensiva e 1760 per acuti.

La casa di cura ricorrente, sul presupposto della lesività delle predette previsioni del piano di riordino ospedaliero, in quanto implichino una contrazione dei posti letto della struttura ed incidano sul livello delle prestazioni erogabili, impugna tanto i provvedimenti giuntali relativi al riordino della rete ospedaliera quanto la deliberazione n. 2087 del 27 dicembre 2001 di approvazione del piano sanitario regionale quale atto presupposto, deducendo le seguenti censure:

1) Violazione dell’art. 121 Cost. e dell’ art. 27 dello Statuto regionale - Violazione e falsa applicazione delle leggi regionali n. 7/1997 e n. 51/1985. Incompetenza. Eccesso potere per sviamento

Il P.R.O., quale atto di programmazione e pianificazione, rientra nella competenza del Consiglio Regionale ai sensi dell’art. 27 lettera d) dello Statuto regionale (piani generali e settoriali di intervento economico e finanziario nelle materie di competenza), mentre alla Giunta spetta solo di predisporlo e di curarne l’attuazione ai sensi dell’art. 41 lett. b), c) e d), dello stesso Statuto.

La competenza consiliare è riconducibile, d’altro canto anche alle previsioni dell’art. 9 comma 3 della legge regionale 30 maggio 1985, n. 51, in base al quale è, appunto, il Consiglio regionale che approva il programma di riorganizzazione della rete ospedaliera regionale.

Ove, peraltro, il piano di riordino ospedaliero sia configurato come atto regolamentare, esso rientra nondimeno ancora nella competenza del Consiglio poiché la sottrazione della competenza relativa nel nuovo testo della disposizione costituzionale dell’art. 121 comma 2, come novellata dall’art. 1 della legge costituzionale 22 novembre 1999, n. 1,  non si traduce, in difetto di disposizioni di legge o statutarie, in attribuzione diretta di competenza alla Giunta.

Il P.R.O. è viziato, altresì, per sviamento poiché sottrae al Consiglio regionale potestà regolamentare in materia di grande rilevanza sociale sia per i profili della programmazione sanitaria che per quelli di spesa, senza che sia consentito alla minoranza consiliare di interloquire al riguardo.

2)Violazione e falsa applicazione dell’art. 1 co. 14 del d.lgs. n. 502/1992 come modificato dal d.lgs. n. 229/1999. Eccesso potere per carente istruttoria

E’ stata del tutto obliterata la sottoposizione del piano al parere del Ministero della Sanità, cui vanno invece rimessi gli schemi o progetti di piani sanitari per valutarne la coerenza col piano sanitario regionale.

3)Violazione ed erronea applicazione dell’art. 2 co. 5 della legge 549/1995 come modificata dalla legge 382/1996 e dell’art. 1 co. 1 della legge n. 662/1996. Eccesso di potere per illogicità manifesta e irrazionalità. Violazione del principio generale di irretroattività ex art. 11 prel. Eccesso di potere per carenza di istruttoria

Non potevano, in ogni caso, applicarsi alle case di cura i parametri stabiliti per il dimensionamento della rete ospedaliera pubblica (e in particolare l’indice minimo di occupazione dei posti letto pari al 75%), tanto più che le relative disposizioni, riferendosi ad accorpamenti, disattivazioni, riconversioni e mobilità del personale intendono chiaramente disciplinare il solo riordino della rete ospedaliera pubblica.

Né vi può essere assimilazione e omologazione tra ospedalità pubblica e privata trattandosi di realtà disomogenee (le case di cura sono compensate con tariffe più contenute rispetto a quelle previste per le strutture pubbliche ed in base alle prestazioni rese e ai tetti di spesa).

La prevista riduzione dei posti letto delle case di cura ha, peraltro, ricadute occupazionali negative in difetto di meccanismi di salvaguardia dei livelli occupazionali.

La riduzione dei posti letto è correlata anche all’applicazione dei livelli essenziali di assistenza, recepiti solo con deliberazione di Giunta regionale n. 310 dell’8 aprile 2002, e quindi entrati in vigore dopo l’erogazione delle prestazioni considerate per il rilevamento dei dati relativi alla riorganizzazione della rete ospedaliera (concernenti il 2001).

Le case di cura non potevano conoscere nel 2001 il regime dei livelli essenziali di assistenza né svolgere prestazioni in day hospital o day surgery che avrebbero potuto incidere sull’indice di inappropriatezza poi rilevato, mentre si è operato il declassamento di numerosi ricoveri e conseguentemente dell’indice di occupazione e quindi la riduzione dei posti letto previsti.

4) Violazione dell’art. 41 Cost., degli artt. 3 e 97 Cost. Eccesso di potere per disparità di trattamento

Nell’ambito dei posti letto assegnati non sono precisate le discipline relative né vi sono garanzie circa il mantenimento dei posti letto assegnati nella successiva fase di redistribuzione, con invasione della sfera della libera iniziativa economica.

E’ irrazionale la prevista futura redistribuzione degli 834 posti letto in rapporto alla prevista attuale e immediata riserva di 120 posti letto in favore della Congregazione religiosa e dei 20 posti letto in favore dell’IRCCS “Nuova Famiglia”, con evidenti profili di disparità di trattamento.

5) Violazione e falsa applicazione degli artt. 7 e 8 della legge n. 241/1990, del principio di buona amministrazione ex 97 Cost., di economicità ed efficacia ex art. 1 della legge n. 241/1990, dell’art. 3 della legge n. 241/1990. Eccesso potere ed incongruità della motivazione

Il P.R.O. riducendo i posti letto assegnati costituisce anche revoca parziale del decreto di autorizzazione e del provvedimento di convenzionamento, onde era necessaria comunicazione di avvio del procedimento.

6) Violazione dell’art. 3 della legge n. 241/1990. Eccesso di potere per illogicità manifesta ed erronea presupposizione

Non è motivato perché dei 2190 posti letto riservati a regime alle case di cura solo 1760 saranno destinati alle acuzie a fronte degli attuali 1942 pure destinati alle acuzie.

E’ immotivata la scelta di attribuire i posti letto per la lungodegenza alle sole strutture pubbliche.

E’ irrazionale che per stabilire il fabbisogno di posti letto delle strutture private si sia considerato solo il 2001 e invece per quelle pubbliche tutte le prestazioni erogate nell’ultimo triennio.

E’ illogica la determinazione di 78 posti letto di terapia intensiva, che non costituisce disciplina autonoma e che sono quindi sottratti alla dotazione complessiva per gli acuti.

Costituitasi in giudizio, la Regione Puglia ha, a sua volta, dedotto:

a) l’inammissibilità del ricorso per sopravvenuto difetto di interesse in relazione all’emanazione dell’art. 18 comma 7 della legge regionale 9 dicembre 2002 n. 20 (pubblicata sul BUR 156 del 9.12.2002 ed in vigore dalla data di pubblicazione) che prevede che:

“Il livello di assistenza ospedaliera è garantito dalle aziende ospedaliero-universitarie, dagli IRCCS pubblici e privati, dalle strutture ospedaliere private e dai presidi ospedalieri delle aziende sanitarie locali, costituiti da uno o più stabilimenti funzionalmente accorpati, così come individuati con delib. G.R. n. 1087/2002 modificata con delib. G.R. n. 1429/2002, dotati delle discipline ivi previste…”.

In sostanza, secondo la regione, il contenuto delle deliberazioni gravate è stato “fatto proprio” e “assunto” a “livello di prescrizioni aventi forza di legge”.

Quindi non potrebbe con l’annullamento dei provvedimenti gravati porsi nel nulla l’efficacia di tale disposizione legislativa che ha conferito forza di legge alle scelte organizzative compiute.

D’altra parte l’art. 18 avrebbe implicitamente abrogato per incompatibilità (assumendo come legittimo l’esercizio di competenza giuntale estrinsecato negli atti gravati) le disposizioni (tra cui anche l’art. 9 della legge n. 36 del 1994) che assegnavano al Consiglio specifica competenza all’adozione di una serie di atti di pianificazione sanitaria, ciò che trova giustificazione nella devoluzione della competenza regolamentare alle Giunte regionali (se ed in quanto gli atti impugnati abbiano natura regolamentare);

b) l’irricevibilità dell’impugnativa della deliberazione di Giunta regionale n. 2087 del 27 dicembre 2001 per tardività, trattandosi di atto immediatamente lesivo della sfera di attribuzioni del Consiglio, con la conseguente inammissibilità delle censure d’incompetenza riferite agli atti di approvazione del piano di riordino della rete ospedaliera (in quanto esecutivi dell’attribuzione di competenza contenuta nella deliberazione di approvazione del piano sanitario regionale, avverso la quale andava anzitutto rivolta la censura e prospettandosi l’incompetenza all’approvazione del piano di riordino ospedaliero come invalidità derivata);

c) l’inammissibilità del ricorso per carenza d’interesse attuale all’annullamento degli atti impugnati in relazione all’assenza di lesività immediata delle previsioni del piano di riordino ospedaliero concernenti le case di cura private: infatti, il numero dei posti letto non è stato affatto ridotto sebbene, ed all’opposto, incrementato (da 1942 a 2190) e la differenza tra i 1356 p.l. confermati e quelli previsti “a regime” è solo oggetto di redistribuzione; né vi è immediata dismissione o eliminazione di posti letto, essendo tutto rinviato alla fase successiva di riassetto che potrebbe condurre anche ad una conferma dei posti letto già esistenti; l’individuazione delle discipline e strutture private con posti letto in esubero e con posti letto carenti era già contenuta nel piano sanitario regionale (pag. 465 e s.), sicché sotto tale profilo le relative censure sono comunque tardive;

d) l’inammissibilità del ricorso per omessa notifica ai controinteressati (ed in realtà all’I.R.C.C.S. “Nuova Famiglia”) ed all’A.U.S.L. che intrattiene il rapporto di accreditamento con la casa di cura ricorrente, che riveste posizione qualificata ed è portatrice di interesse proprio e diretto in ordine all’assetto dei servizi sanitari nel proprio ambito territoriale;

e) l’infondatezza del ricorso:

e.1) quanto all’incompetenza della Giunta regionale perché:

- l’invocato art. 21 dello Statuto regionale riserva al Consiglio solo i piani e programmi d’intervento economico e finanziario, mentre il piano di riordino ospedaliero è, al più, un piano settoriale attuativo della programmazione finanziaria;

- comunque tardiva è l’impugnativa del piano sanitario regionale attributivo della competenza giuntale,  onde la censura d’incompetenza nei confronti degli atti di approvazione del piano di riordino ospedaliero si pone come invalidità derivata, di tal ché essendo irricevibile la prima impugnativa è inammissibile anche la seconda, e ciò vale anche per la dedotta violazione dell’art. 9 della legge regionale n. 51/1985, disposizione inapplicabile perché  assorbita e superata dalla normativa successiva;

se il piano di riordino ospedaliero è riguardato come atto regolamentare, la competenza alla sua emanazione spetta ormai alla Giunta regionale;

e.2) affatto generica, e come tale infondata oltre che inammissibile, è la denuncia di sviamento, e comunque il piano di riordino ospedaliero è stato successivamente illustrato e discusso in Consiglio regionale;

e.3) il parere del Ministero è richiesto solo per il piano sanitario regionale, stante l’esigenza di verificarne la conformità al piano sanitario nazionale, e per esso è stato acquisito;

e.4) il riordino ospedaliero riguarda anche la ospedalità privata perché attiene nel complesso al sistema sanitario regionale e si articola in due momenti: riorganizzazione dell’intera rete ospedaliera (pubblica e privata) nel rispetto dei parametri normativamente individuati; interventi di razionalizzazione (accorpamenti, soppressioni, disattivazioni) per il solo settore ospedaliero pubblico; nè si può confondere tra tetti di spesa (che riguardano la remunerazione delle prestazioni) e fabbisogno di assistenza ospedaliera; l’indice del 75% è stato utilizzato non per singola casa di cura ma solo per determinare il fabbisogno complessivo del settore privato, fermo restando che la ripartizione e assegnazione dei posti letto corrispondenti a tale fabbisogno (comunque stabiliti in misura superiore, pari a 2190, rispetto a quelli esistenti, pari a 1942) avverrà in sede di accreditamento definitivo; non vi è alcuna applicazione retroattiva dei livelli essenziali di assistenza perché questi erano stati già individuati con deliberazione di Giunta regionale n. 1392 del 4 ottobre 2001 e con la legge regionale n. 32/2001; il riferimento ai D.G.R. e ai L.E.A. è solo uno dei criteri utilizzati per stabilire il fabbisogno complessivo di posti letto della spedalità privata, ma i posti letto esistenti non sono stati in effetti ridotti, prevedendosi solo la redistribuzione della differenza;

e.5) la possibilità di accorpamento di micro-strutture e creazione di centri d’eccellenza  non  configura alcun obbligo per le case di cura; il mantenimento dei posti letto dipenderà dall’accreditamento definitivo; la Congregazione religiosa e l’I.R.C.C.S. “Nuova Famiglia” non assorbono posti letto della spedalità privata ma posti aggiuntivi rivenienti dalla riconversione delle strutture psichiatriche;

e.6) è insostenibile che il piano di riordino ospedaliero costituisca revoca dell’accreditamento provvisorio, ancorché parziale, perché è atto attuativo a contenuto generale;

e.7) la motivazione è nel contesto del piano sanitario regionale, nella relazione illustrativa, nelle schede allegate al piano di riordino ospedaliero; le riduzioni di posti letto per acuti sono proporzionali nel settore pubblico e in quello privato; la determinazione del fabbisogno di posti letto è stata condotta con gli stessi parametri, onde non sussiste disparità di trattamento; i posti letto di terapia intensiva non vengono sottratti al settore privato; la scelta di assegnare la lungodegenza al solo settore pubblico è ampiamente discrezionale e comunque è settore di minore remunerazione.

Con memoria difensiva depositata il, la società ricorrente ha insistito nelle dedotte censure.

All’udienza pubblica straordinaria del 29 gennaio 2003, il ricorso è stato discusso e riservato per la decisione.

D I R I T T O

1.) Il Tribunale deve esaminare, in limine, le eccezioni pregiudiziali spiegate dalla Regione Puglia, delle quali quella attinente alla sopravvenuta carenza d’interesse all’annullamento degli atti impugnati collegata al contenuto ed agli effetti della disposizione dell’art. 18 comma 7 (e 3) della legge regionale 9 dicembre 2002, n. 20 riveste carattere assorbente anche rispetto alle altre, di analoga natura processuale, concernenti la dedotta irricevibilità (parziale) del ricorso in riferimento alla tardività dell’impugnazione della deliberazione di Giunta regionale n. 2087 del 27 dicembre 2001, di approvazione del piano sanitario regionale (cui si riconnette l’altra di inammissibilità delle censure d’incompetenza avverso gli atti di approvazione del piano di riordino ospedaliero), nonché di inammissibilità del ricorso in rapporto al dedotto difetto di immediata lesività delle previsioni del piano di riordino relative alle case di cura private, e quindi alla carenza d’interesse attuale all’impugnativa (mentre risulta infondata l’altra eccezione di inammissibilità del ricorso perché notificato almeno ad uno dei controinteressati -la Congregazione religiosa- e perché l’A.U.S.L. con cui la ricorrente intrattiene il rapporto di accreditamento non riveste posizione giuridica di controinteressata).

Infatti, per un verso la predetta eccezione riguarda, a differenza di quella di irricevibilità del ricorso, l’impugnativa nel suo complesso (tenuto conto che l’interesse al gravame avverso la deliberazione giuntale di approvazione del piano sanitario regionale si radica in funzione della natura di tale provvedimento quale atto presupposto delle deliberazioni di approvazione del piano di riordino ospedaliero) e, per altro aspetto, essa opera, per così dire, su di un piano assolutamente oggettivo, che prescinde da ogni indagine sull’eventuale sussistenza di un interesse sia pure strumentale all’annullamento di atti almeno potenzialmente lesivi in quanto comunque preordinati all’emanazione di provvedimenti implicanti eventuale riduzione dei posti letto da assegnare in sede di accreditamento definitivo.

1.1) Peraltro, ai fini dell’esame della predetta eccezione pregiudiziale appare utile riproporre il quadro di riferimento normativo e provvedimentale come già delineato in precedente sentenza di questo Tribunale n. 5637 del 16 dicembre 2002 (relativa ad altra impugnativa del piano di riordino ospedaliero), integrandolo con la specifica considerazione dei profili del riordino concernenti le strutture sanitarie private, onde ricostruire il contesto nel quale deve collocarsi l’indagine sulla natura, sul contenuto e sugli effetti della disposizione di cui all’art. 18 commi 3 e 7 della legge regionale 9 dicembre 2002, n. 20.

1.1.1)  L’art. 53 della legge 23 dicembre 1978, n. 833 (istitutiva del servizio sanitario nazionale) ha introdotto quale strumento fondamentale di programmazione sanitaria il Piano sanitario nazionale, inteso a definire “Le linee generali di indirizzo e le modalità di svolgimento delle attività istituzionali del Servizio sanitario nazionale…in conformità agli obiettivi della programmazione socio-economica nazionale e tenuta presente l’esigenza di superare le condizioni di arretratezza socio-sanitaria che esistono nel Paese, particolarmente nelle regioni meridionali” (comma 1).

Il piano, predisposto dal Governo su proposta del Ministro della sanità, sentito il Consiglio sanitario nazionale (ora la Conferenza permanente per i rapporti fra lo Stato, le regioni e le province autonome) e sottoposto al Parlamento ai fini della sua approvazione con atto non legislativo (commi 2 e 3), è accompagnato da disegno di legge “…contenente sia le disposizioni precettive ai fini della applicazione del piano sanitario nazionale, sia le norme per il finanziamento pluriennale del servizio sanitario nazionale, rapportate alla durata del piano stesso, con specifica indicazione degli importi da assegnare al fondo sanitario nazionale ai sensi dell’articolo 51 della presente legge e dei criteri di ripartizione alle regioni” (comma 4).

Il piano, che ha durata triennale ed è modificabile con le stesse procedure previste per la sua formazione (comma 7) definisce, tra l’altro, per quanto qui interessa e rileva (comma 10):

“a) b) d) f), g), h), i), l) omissis

c) gli indici e gli standards nazionali da assumere per la ripartizione del fondo sanitario nazionale tra le regioni, al fine di realizzare in tutto il territorio nazionale un’equilibrata organizzazione dei servizi prevedendo in particolare gli indici nazionale e regionali relativi ai posti letto e la ripartizione quantitativa degli stessi…Il piano prevede inoltre la sospensione di ogni investimento (se non per completamenti e ristrutturazioni dimostrate assolutamente urgenti ed indispensabili) nelle regioni la cui dotazione di posti letto e di altri presidi e strutture sanitarie raggiunge o supera i suddetti indici” tenuto conto che “ai fini della valutazione della priorità di investimento il piano tiene conto anche delle disponibilità, nelle varie regioni, di posti letto, presidi e strutture sanitarie di istituzioni convenzionate”  e) i criteri e gli indirizzi ai quali deve riferirsi la legislazione regionale per la organizzazione dei servizi fondamentali previsti dalla presente legge e per gli organici del personale addetto al servizio sanitario nazionale”.

Il successivo art. 55 della legge n. 833 del 1978 ha disposto che le Regioni provvedano “all’attuazione del servizio sanitario nazionale in base ai piani sanitari triennali, coincidenti con il triennio del piano sanitario nazionale, finalizzati alla eliminazione degli squilibri esistenti nei servizi e nelle prestazioni nel territorio regionale” (comma 1), uniformati a contenuti e indirizzi del piano sanitario nazionale e predisposti dalla giunta regionale “secondo la procedura prevista nei rispettivi statuti per quanto attiene alla consultazione degli enti locali e delle altre istituzioni ed organizzazioni interessate.” (comma 2); quanto ai rapporti con  le strutture sanitarie convenzionate, l’art. 44 della legge n. 844 del 1978 demanda al piano sanitario regionale di “accerta(re) la necessità di convenzionare le istituzioni private…tenendo conto prioritariamente di quelle già convenzionate”.

I piani sanitari regionali, sempre in base all’art. 55 comma 2, dovevano essere approvati con legge regionale e, in forza del successivo comma 3, ai medesimi dovevano uniformarsi gli atti e provvedimenti emanati dalle regioni.

1.1.2) Disposizioni innovative sui contenuti del piano sanitario nazionale e dei piani regionali sono state però introdotte dall’art. 1 del d.lgs. 19 giugno 1999, n. 229, recante “Norme per la razionalizzazione del Servizio sanitario nazionale, a norma dell’art. 1 della legge 30 novembre 1998, n. 419”, che ha sostituito l’art. 1 del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502.

Tale disposizione, dopo aver demandato al piano sanitario nazionale la definizione dei “…livelli essenziali e uniformi di assistenza…nel rispetto dei princìpi della dignità della persona umana, del bisogno di salute, dell’equità nell’accesso all’assistenza, della qualità delle cure e della loro appropriatezza riguardo alle specifiche esigenze, nonchè dell’economicità nell’impiego delle risorse” (comma 2), “…contestualmente all’individuazione delle risorse finanziarie destinate al Servizio sanitario nazionale, nel rispetto delle compatibilità finanziarie definite per l’intero sistema di finanza pubblica nel Documento di programmazione economico-finanziaria” (comma 3), e assicurando il coinvolgimento delle regioni nella predisposizione del piano (comma 4), e aver definito ambiti e limiti dei c.d. l.e.a. (comma 6); ha ridefinito i contenuti del piano sanitario nazionale, come di seguito indicati al comma 10:

“a) le aree prioritarie di intervento, anche ai fini di una progressiva riduzione delle diseguaglianze sociali e territoriali nei confronti della salute;

b) i livelli essenziali di assistenza sanitaria da assicurare per il triennio di validità del Piano;

c) la quota capitaria di finanziamento per ciascun anno di validità del Piano e la sua disaggregazione per livelli di assistenza;

d) gli indirizzi finalizzati a orientare il Servizio sanitario nazionale verso il miglioramento continuo della qualità dell’assistenza, anche attraverso la realizzazione di progetti di interesse sovraregionale;

e) i progetti-obiettivo, da realizzare anche mediante l’integrazione funzionale e operativa dei servizi sanitari e dei servizi socioassistenziali degli enti locali;

f) le finalità generali e i settori principali della ricerca biomedica e sanitaria, prevedendo altresì il relativo programma di ricerca;

g) le esigenze relative alla formazione di base e gli indirizzi relativi alla formazione continua del personale, nonchè al fabbisogno e alla valorizzazione delle risorse umane;

h) le linee guida e i relativi percorsi diagnostico-terapeutici allo scopo di favorire, all’interno di ciascuna struttura sanitaria, lo sviluppo di modalità sistematiche di revisione e valutazione della pratica clinica e assistenziale e di assicurare l’applicazione dei livelli essenziali di assistenza;

i) i criteri e gli indicatori per la verifica dei livelli di assistenza assicurati in rapporto a quelli previsti”.

Il comma 13 dell’art. 1 del d.lgs. n. 502 del 1992, come introdotto dall’art. 1 del d.lgs. n. 299 del 1999, ha ridefinito il piano sanitario regionale come “…piano strategico degli interventi per gli obiettivi di salute e il funzionamento dei servizi per soddisfare le esigenze specifiche della popolazione regionale anche in riferimento agli obiettivi del Piano sanitario nazionale”.

Il piano sanitario regionale, a norma del comma 14 del citato art. 1 è trasmesso, il schema o progetto, al Ministro della Sanità per acquisirne il parere “…per quanto attiene alla coerenza…con gli indirizzi del Piano sanitario nazionale”:  ciò che dà conto (peraltro) dell’infondatezza della censura dedotta dalla ricorrente nel motivo di ricorso sub 2) imperniata sull’erroneo assunto che l’acquisizione del parere obbligatorio riguardi il piano di riordino ospedaliero.

Mette conto di ricordare che, ai sensi dell’art. 8 bis del d.lgs. n. 502 del 1992, come introdotto dall’art. 8 del d.lgs. n. 229 del 1999, l’erogazione dei livelli essenziali di assistenza, come definiti dal piano sanitario nazionale, è assicurata “…avvalendosi dei presidi direttamente gestiti dalle aziende unità sanitarie locali, dalle aziende ospedaliere, dalle aziende universitarie e degli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, nonché di soggetti accreditati ai sensi dell’articolo 8 quater…”.

Ed a sua volta l’art. 8 quater del d.lgs. n. 502 del 1992, pure aggiunto dall’art. 8 del d.lgs. n. 229 del 1999 e ulteriormente modificato dall’art. 8 del d.lgs. 8 luglio 2000, n. 254, dispone che l’accreditamento istituzionale è rilasciato, tra l’altro, anche alle strutture private  “…subordinatamente…alla loro funzionalità rispetto alla programmazione nazionale e regionale…”, in relazione al “…fabbisogno di assistenza secondo le funzioni sanitarie individuate dal Piano sanitario regionale per garantire i livelli essenziali e uniformi di assistenza…”.

Tali rilievi valgono a dar conto che già nella legislazione nazionale (oltre che, come si vedrà, ed ovviamente, in quella regionale) le strutture sanitarie private (già convenzionate, e quindi accreditate, in via provvisoria o in via definitiva) non si sottraggono (né potrebbero logicamente ritenersi estranee) al processo di programmazione sanitaria ed alla valutazione di rispondenza ai fabbisogni di assistenza, ivi compresi quelli definiti dalla dotazione dei posti letto, ciò che denota anche l’infondatezza delle censure dedotte dalla ricorrente nel motivo sub 3).

Tornando all’esame delle disposizioni generali relative ai contenuti del piano sanitario regionale, deve osservarsi che scomparso il riferimento all’adozione con legge regionale, in relazione all’evidentemente acquisita consapevolezza da parte del legislatore nazionale dell’impossibilità giuridica di vincolare, in materia di legislazione concorrente, le regioni all’adozione di un mezzo tipico per l’adozione del piano sanitario regionale (tenuto conto che nemmeno il piano sanitario nazionale è adottato con atto legislativo); è stato invece previsto il coinvolgimento, nella predisposizione del piano sanitario regionale, delle autonomie locali, delle formazioni sociali private non aventi scopo di lucro impegnate nel campo dell’assistenza sociale e sanitaria, delle organizzazioni sindacali degli operatori sanitari pubblici e privati e delle strutture private accreditate dal Servizio sanitario nazionale (comma 13).

1.1.3) Mette qui conto rilevare che il legislatore nazionale, in progresso di tempo, ha dedicato diretta e crescente attenzione alla individuazione di specifici limiti dimensionali e indici di utilizzazione delle strutture sanitarie ospedaliere, in funzione, evidentemente, della loro sempre maggiore incidenza sulla spesa pubblica sanitaria in un contesto caratterizzato, secondo la comune esperienza, dalla “polverizzazione” delle strutture sanitarie pubbliche (e dall’incidenza sulla spesa anche delle strutture sanitarie private) e, quindi, dalla presenza di unità operative (o per usare l’ormai desueta e superata terminologia della legge 12 febbraio 1968, n. 132, di sezioni e divisioni) esponenti bassi indici di ricovero e di prestazioni.

1.1.3.1) Infatti, già con l’art. 10 della l. 23 ottobre 1985, n. 595, recante “Norme per la programmazione sanitaria e per il piano sanitario triennale 1986-88”, erano state dettate “disposizioni particolari in materia di organizzazione degli ospedali”, in base alle quali:

- i piani sanitari regionali e delle province autonome di Trento e Bolzano dovevano contenere (comma 1) “…indicazioni vincolanti finalizzate alla utilizzazione ottimale dei servizi e dei posti letto in conformità ai seguenti parametri tendenziali:

a) dotazione media dei posti letto nell’ambito della regione o provincia autonoma del 6,5 per mille abitanti, di cui almeno l’1 per mille riservato alla riabilitazione…;

b) tasso medio di spedalizzazione: 160 per mille;

c) tasso minimo di utilizzazione dei posti letto compreso tra il 70 e il 75 per cento;

d) durata media della degenza: undici giorni.”

Il comma 2 dell’art. 10 imponeva poi a regioni e province autonome di provvedere a:

“a) la ristrutturazione, nel triennio 1986-88…delle degenze ospedaliere in aree funzionali omogenee afferenti alle attività di medicina, di chirurgia e di specialità, che, pur articolate in divisioni, sezioni e servizi speciali di diagnosi e cura, anche a carattere pluridisciplinare, siano dimensionate in rapporto alle esigenze assistenziali…;

b) la soppressione, l’accorpamento e la trasformazione in servizi speciali di diagnosi e cura…delle divisioni o sezioni autonome con tasso di utilizzazione dei posti letto, con esclusione di quelli adibiti a ricoveri diurni, mediamente inferiori al 50 per cento nel triennio 1982-84…;

c) omissis”

Il comma 6 dell’art. 10 stabiliva, infine, che gli spazi liberati per effetto delle operazioni di soppressione, accorpamento e trasformazione fossero destinati con priorità all’apertura di “…specifiche sezioni di degenza per la riabilitazione di malati lungo-degenti e ad alto rischio invalidante (e) ad attività di spedalizzazione a ciclo diurno”.

Tali previsioni erano ribadite, ponendo a carico delle uu.ss.ll. specifici adempimenti, dall’art. 2 del d.l. 8 febbraio 1988, n. 27 recante “Misure urgenti per le dotazioni organiche del personale degli ospedali e per la razionalizzazione della spesa sanitaria”, convertito nella legge 8 aprile 1988, n. 109.

1.1.3.2) Intanto, con il d.m. 13 settembre 1988, intitolato alla “Determinazione degli standards del personale ospedaliero” erano state dettate ulteriori disposizioni per la rideterminazione dei posti letto.

L’art. 1 del d.m., infatti, fermi i “…parametri tendenziali della legge 23 ottobre 1985, n. 595, richiamati dalla legge 8 aprile 1988, n. 109…” (dotazione di posti letto non eccedente il 6,5 per mille abitanti, di cui almeno l’1 per mille riservato alla riabilitazione; tasso medio di spedalizzazione non superiore a 160 per mille; tasso minimo di utilizzazione dei posti letto compreso tra il 70 e il 75 per cento), aveva stabilito termini precisi ai fini della formulazione da parte delle uu.ss.ll. di proposte, indirizzate alle regioni e alle province autonome, per “…la riorganizzazione dei presidi ospedalieri” con conseguente rideterminazione degli organici del personale, fissando termini perentori alle stesse regioni e province autonome per provvedervi anche in assenza di proposte delle uu.ss.ll., salvo esercizio in via sostitutiva del potere, e con l’obbligo di “…programmare la disattivazione, entro il termine massimo di due anni, dei presidi con meno di centoventi posti letto, tenuto conto che al di sotto di tale limite l’attività ospedaliera, con riferimento agli standards stabiliti dal presente decreto, risulta economicamente improduttiva e funzionalmente carente”, con possibilità di riconversione dei “presidi disattivati…in strutture di riabilitazione o in residenze sanitarie assistenziali per anziani e disabili non autosufficienti…o in poliambulatori o in presidi sanitari interdistrettuali operanti a ciclo diurno”, e con esclusione della disattivazione dei detti presidi solo “…in zone particolarmente disagiate, obiettivamente verificabili sulla base di indicatori di accessibilità…”.

Nel provvedimento di riorganizzazione dei presidi ospedalieri, sempre ai sensi dell’art. 1 del d.m. in esame, dovevano essere individuate le strutture da disattivare parzialmente, per “…ricondurne il livello di produttività entro i valori parametrici prescritti”, quelle “…che debbono essere totalmente disattivate, concentrandone l’attività presso altro presidio ospedaliero, in quanto presentano valori di utilizzazione tanto bassi da pregiudicare non solo la conduzione economica delle strutture stesse, ma anche la stessa funzionalità sanitaria per i cittadini che debbono servirsene”, quelle da attivare “…relative a specialità non presenti nell’ambito regionale, o presenti in misura inadeguata…”, nonché gli spazi da destinare “...alle attività assistenziali a ciclo diurno, favorendone l’aggregazione alle unità operative di degenza e considerando i posti letto di ospedale diurno come posti letto equivalenti a quelli di degenza ai fini del rispetto dei parametri di dotazione previsti dalla legge 23 ottobre 1985, n. 595”.

L’art. 3 del d.m. definiva poi le “unità operative di degenza” quali moduli organizzativi costituenti ad un tempo “…la soglia minima al di sotto della quale la gestione dell’unità operativa diviene antieconomica ed è, quindi, opportuno che sia riveduta e ottimizzata, ed una indicazione parametrica per la determinazione della dotazione organica del personale delle divisioni, sezioni o servizi”.

Per quanto qui rileva, in ordine alle indicazioni dimensionali delle unità operative, deve rammentarsi che esse sono state così individuate:

- 8 posti letto per unità di terapia intensiva e subintensiva (grandi ustionati; terapia intensiva cardiologica; terapia intensiva neonatale; terapia intensiva post-trapianto; attività dialitica ospedaliera);

- 20 posti letto per unità di specialità ad elevata assistenza (cardiochirurgia; ematologia con trapianto; nefrologia con trapianto ed emodialisi; neurochirurgia; neonatologia; malattie infettive; psichiatria, salvo un minimo di 16 p.l.; unità spinali);

- 20 posti letto per le specialità a media assistenza (cardiologia; chirurgia maxillo facciale; chirurgia pediatrica; chirurgia plastica; chirurgia toracica; chirurgia vascolare; ematologia; nefrologia; neurologia; neuropsichiatria infantile; oncologia; pediatria; urologia pediatrica);

- 32 posti letto per le specialità di base (chirurgia generale e astanteria; medicina generale e astanteria; ortopedia e traumatologia; ostetricia e ginecologia);

- 32 posti letto per la lungodegenza relativa alla fase di convalescenza, di primo trattamento di rieducazione funzionale o di fase terminale.

1.1.3.4) L’art. 4 comma 3 della legge 30 dicembre 1991, n. 412, recante “Disposizioni in materia di finanza pubblica” (legge finanziaria 1992) rideterminava gli standards di cui alla legge 23 ottobre 1985, n. 595 (tasso di utilizzazione dei posti letto “…non inferiore al 75 per cento in media annua…”; “…dotazione complessiva di 6 posti-letto per mille abitanti, di cui lo 0,5 per mille riservato alla riabilitazione o alla lungodegenza post-acuzie…”) ribadendo il tasso di spedalizzazione del 160 per mille e l’esigenza di riconversione degli ospedali “…che non raggiungono lo standard minimo di 120 posti-letto” e l’obbligo delle regioni di provvedere con apposito “atto programmatorio…(relativo tra l’altro alla eventuale declaratoria di decadenza delle convenzioni in atto per la specialistica esterna e le case di cura convenzionate) a ristrutturare la rete ospedaliera operando le trasformazioni di destinazione, gli accorpamenti e le disattivazioni necessari per conseguire il raggiungimento dei parametri sopra indicati, fermo restando che il finanziamento del livello assistenziale corrispondente terrà conto solo dei posti-letto e del tasso di utilizzazione prescritti”.

1.1.3.5) Con altra disposizione, evidentemente intesa all’apprestamento delle più urgenti misure per il contenimento della spesa sanitaria ospedaliera, l’art. 3 comma 9 della legge 23 dicembre 1994, n. 794, recante “Misure di razionalizzazione di finanza pubblica” (legge finanziaria 1995), imponeva alle regioni di definire, mediante aggiornamenti dei rispettivi piani sanitari regionali, “…il tasso minimo di occupazione dei posti letto per singole tipologie di reparto”, con obbligo dei direttori generali delle aziende ospedaliere o delle unità sanitarie locali di ridurre i posti letto in dotazione ove eccedenti il 5% rispetto al tasso regionale così definito, con connessa riduzione degli organici e attivazione della mobilità del personale.

1.1.3.6) Con l’art. 2 comma 5 della legge 28 dicembre 1995, n. 549, recante “Misure di razionalizzazione della finanza pubblica” (legge finanziaria 1996), come sostituito dall’art. 1 del d.l. 17 maggio 1996, n. 280, convertito con modificazioni nella legge 18 luglio 1996, n. 382, veniva nuovamente ribadito l’obbligo delle regioni di provvedere “…entro il 31 dicembre 1996, con apposito atto programmatorio di carattere generale anche a stralcio del piano sanitario regionale,a ristrutturare la rete ospedaliera…”, tenendo fermo il tasso di utilizzazione dei posti letto “…non inferiore al 75 per cento in media annua”, ma modificando la dotazione media di posti letto (da 6 a “…5,5 posti letto per mille abitanti, di cui l’1 per mille riservato alla riabilitazione ed alla lungodegenza post-acuzie), fermo il tasso di spedalizzazione del 160 per mille.

La disposizione prevedeva che la regioni procedessero “…alla ristrutturazione della rete ospedaliera operando le trasformazioni di destinazione, gli accorpamenti, le riconversioni e le disattivazioni necessari, con criteri di economicità ed efficienza di gestione…” e completassero la ristrutturazione della rete ospedaliera “…entro il 31 dicembre 1999”, con organizzazione di tipo dipartimentale “…al fine di consentire a servizi affini e complementari di operare in forma coordinata per evitare ritardi, disfunzioni e distorto utilizzo delle risorse finanziarie”.

Scompariva, dunque, il vincolo relativo alla disattivazione degli ospedali con meno di 120 posti letto, mentre veniva chiarito come il provvedimento di ristrutturazione della rete ospedaliera avesse valenza di specifico atto programmatorio adottato anche a stralcio del piano sanitario regionale (e quindi tendenzialmente anche al di fuori delle procedure previste per l’approvazione di quest’ultimo).

1.1.3.7) Con l’art. 1 della legge 23 dicembre 1996, n. 662, recante “ Misure di razionalizzazione della finanza pubblica” (legge finanziaria 1997), venivano indicati obiettivi intermedi da perseguire direttamente e obbligatoriamente dalle aziende ospedaliere e dalle aziende sanitarie locali con provvedimenti dei relativi direttori generali.

A questi ultimi veniva imposto l’obiettivo di procedere “nell’ambito della ristrutturazione della rete ospedaliera…non oltre il 30 giugno 1997, alla riduzione del numero dei posti letto nelle singole unità operative ospedaliere che nell’ultimo triennio hanno mediamente registrato un tasso di occupazione inferiore al 75 per cento, fatta eccezione per la terapia intensiva, la rianimazione, le malattie infettive, le attività di trapianto di organi e di midollo osseo nonché le unità spinali, in misura tale da assicurare il rispetto di detto tasso di occupazione”, ed in ogni caso di ridurre i posti letto in misura non inferiore al 20% per ciascuna unità operativa ospedaliera, con obbligo di rideterminare, di conseguenza, le dotazioni organiche, salva la possibilità per le regioni di fissare “…un tasso di occupazione dei posti letto superiore al 75 per cento destinando una quota parte dei risparmi derivanti dalla conseguente riduzione dei posti letto all'assistenza domiciliare a favore di portatori di handicap gravi, di patologie cronico-degenerative in stato avanzato o terminale nonché degli anziani non autosufficienti”, oppure di stabilire “…un tasso di occupazione di posti letto inferiore al 75 per cento negli ospedali situati nelle isole minori e nelle zone montane particolarmente disagiate”.

La disposizione imponeva inoltre alle regioni, sempre nell’ambito della ristrutturazione della rete ospedaliera, e nello stesso termine del 30 giugno 1997, di “…incrementare i posti letto equivalenti di assistenza ospedaliera diurnafino ad una dotazione media regionale non inferiore al 10 per cento dei posti letto della dotazione standard per acuti prevista dalla normativa vigente”.

1.1.3.8) Va ricordato, peraltro, che con il d.l. 17 maggio 1996, n. 280 (“Disposizioni urgenti nel settore sanitario”) convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 18 luglio 1996, n. 382, dopo aver dettato, al comma 2 quater dell’art. 1, disposizioni per la mobilità del personale in esubero a seguito della ristrutturazione della rete ospedaliera, era prevista la decurtazione delle quote del fondo sanitario nazionale nei confronti delle regioni che entro il 31 dicembre 1996 non avessero ancora adottato “l’atto programmatorio” di ristrutturazione della rete ospedaliera (in misura pari al 2% della quota da ripartire dall’anno 1997, e nella misura da stabilire con la legge finanziaria del 2000 nell’ipotesi di perdurante inerzia oltre la data del 31 dicembre 1999, ai sensi del successivo comma 2 quinquies).
1.1.3.9) Sempre nell’ambito delle disposizioni di specifico interesse, deve rammentarsi che l’art. 3 comma 4 del d.l. 18 settembre 2001, n. 347, convertito con modificazioni nella legge 16 novembre 2001, n. 405 (recante “Interventi urgenti in materia di spesa sanitaria”) ha modificato la percentuale delle dotazioni medie di posti letto, stabilendo che:

Nell’ambito della ristrutturazione della rete ospedaliera prevista dall'articolo 2, comma 5, della legge 28 dicembre 1995, n. 549, e successive modificazioni, le regioni adottano lo standard di dotazione media di 5 posti letto per mille abitanti di cui l'1 per mille riservato alla riabilitazione ed alla lungodegenza post-acuzie…”.

La disposizione ha, poi, previsto il riassorbimento degli esuberi di personale conseguenti alla ristrutturazione “…nell’ambito delle strutture realizzate in sede di riconversione di quelle dismesse, per assicurare la sostituzione del personale cessato dal servizio nell’ambito della stessa azienda e per realizzare servizi medici ed infermieristici domiciliari per malati cronici e terminali”, salva l’applicazione delle disposizioni in materia di mobilità collettiva e di gestione del personale in disponibilità di cui agli artt. 33 e 34 del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165.

1.1.3.10) Per completare il quadro sommario della normativa statale di riferimento, occorre far menzione anche del d.m. 12 dicembre 2001 recante “Sistema di garanzie per il monitoraggio dell'assistenza sanitaria”, che ha fissato un “insieme minimo di indicatori e di parametri di riferimento finalizzato al monitoraggio del rispetto, in ciascuna regione, dei livelli essenziali ed uniformi di assistenza nonché dei vincoli di bilancio delle Regioni a statuto ordinario” (art. 1 comma 1), articolati in:

“a) indicatori: informazioni selezionate allo scopo di conoscere fenomeni di interesse, misurandone i cambiamenti e, conseguentemente, contribuendo ad orientare i processi decisionali dei diversi livelli istituzionali;

b) dati di base: dati elementari utilizzati in forma aggregata per la costruzione degli indicatori. Comprendono dati correnti già parte dei vigenti flussi informativi e dati raccolti ad hoc, rilevati e trasmessi con la specifica finalità di predisporre idonei indicatori in aree di valutazione in cui siano carenti i dati correnti;

c) parametri di riferimento: valori numerici espressi come misure di posizione o di dispersione, con i quali confrontare il valore numerico dell'indicatore; sono individuati sulla base dei valori nazionali o di indicazioni ed esperienze internazionali o di indicazioni normative e programmatorie;

d) criteri di selezione: criteri in base ai quali l'indicatore viene inserito nell'insieme minimo; sono rappresentati dalla validità, utilità, misurabilità e capacità discriminante;

e) classificazione: raggruppamento degli indicatori sulla base dei livelli uniformi ed essenziali di assistenza;

f) standardizzazione: aggiustamento del dato grezzo sulla base di variabili che ne condizionano i risultati; la più comune forma di standardizzazione è effettuata per le caratteristiche della popolazione di riferimento (sesso e struttura per età);

g) qualità dei dati di base: insieme della caratteristiche che rendono valido e affidabile un dato; comprende la correttezza, la completezza, l'accuratezza e la precisione;

h) rappresentazione dei dati: modalità statistiche che misurano la tendenza e la dispersione dei dati;

i) validazione dei dati: approvazione definitiva, convalida e riconoscimento ufficiale dei dati di base a seguito dei meccanismi di controllo e della valutazione della qualità dei dati”.

L’art. 4 del d.m. precisa che la raccolta dei dati di base “…segue le modalità vigenti esistenti nell’ambito del sistema informativo sanitario…(mentre)…La rilevazione dei dati non attualmente disponibili viene effettuata ad hoc dalle aziende sanitarie ed ospedaliere e da queste trasmesse alle Regioni”.

Tra gli indicatori di specifico interesse per l’assistenza ospedaliera, l’allegato 3 al d.m. enumera i seguenti:

- Tasso standardizzato di ospedalizzazione per degenza ordinaria e per day hospital;

- Indice di attrazione;

- Indice di fuga;

- Posti letto per 1.000 abitanti;

- Giornate di degenza (ordinaria e di day hospital) sulla popolazione residente pesata;

- Costo percentuale del livello di assistenza ospedaliera;

- Costo pro-capite dell'assistenza ospedaliera;

- Incidenza percentuale del costo del personale ospedaliero sul costo totale del personale;

- Incidenza percentuale del costo del personale ospedaliero sul costo del livello di assistenza ospedaliera;

- Percentuale di dimessi da reparti chirurgici con DRG medici;

- Percentuale di parti cesarei;

- Peso medio del ricovero degli anziani;

- Peso medio del ricovero dei bambini;

- Tasso di utilizzo;

- Degenza media standardizzata per case-mix;

- Percentuale di ricoveri brevi;

- Percentuale di ricoveri lunghi;

- Tasso di ospedalizzazione (nella popolazione anziana) per particolari procedure chirurgiche: cataratta, sostituzione dell'anca e by-pass coronario e angioplastica.

L’allegato 4 al d.m. precisa poi che i dati vanno desunti da quelli trasmessi al Sistema informativo sanitario, i ricoveri vanno intesi come “…i dimessi rilevati attraverso le schede di dimissione ospedaliera” (S.D.O.), le tipologie di assistenza considerate sono gli “acuti” (in cui rientrano tutti i casi trattati, ad eccezione di quelli afferenti alle unità spinali, al recupero e riabilitazione funzionale, alla neuroriabilitazione, a ipotesi residuali manicomiali, alla lungodegenza), la “riabilitazione” e la “lungodegenza”.

1.1.4) La legislazione regionale pugliese, per quanto consta, non ha dettato specifiche disposizioni in ordine ai contenuti del piano di ristrutturazione (o riordino) della rete ospedaliera, aggiornate ai parametri di riferimento come modificati e integrati dalla normativa statale dianzi esaminata (dalla percentuale di dotazione media dei posti letto -da ultimo fissata al 5 per mille, di cui l’1 per mille riservato alla riabilitazione e alla lungodegenza; al tasso di spedalizzazione -fissato a 160 posti letto per mille abitanti; al tasso di occupazione dei posti letto -non inferiore al 75 per cento; al numero dei posti letto di assistenza ospedaliera diurna -day hospital o day surgery: pari al 10% della dotazione di posti letto per acuti; agli standards dimensionali minimi delle varie unità operative; ai dati di base, indicatori e parametri di riferimento, come testé richiamati).

Si comprende quindi come non abbia avuto alcuna attuazione il piano di riordino ospedaliero approvato con deliberazione di Consiglio regionale n. 379 del 2 e 3 febbraio 1999, sulla base dell’art. 32 della legge regionale 28 dicembre 1994, n. 36 in funzione della sua rapida obsolescenza a fronte della richiamata variazione dei parametri di riferimento dinanzi ricordata.

Cionondimeno, la legge regionale 28 dicembre 1994, n. 36 ha fissato alcuni punti essenziali del processo di programmazione sanitaria regionale, dei relativi contenuti e procedure.

Mette conto anzitutto rilevare che, all’art. 3, la legge regionale in esame ha ricompreso espressamente, tra i c.d. soggetti concorrenti del servizio sanitario regionale, di cui alla rubrica (ovvero, tra quelli che “concorrono alle finalità del servizio sanitario regionale”) oltre alle comunità montane e province (i comuni, al pari della regione, delle AA.UU.SS.LL., delle università e delle aziende ospedaliere sono individuate come “soggetti istituzionali” dal precedente art. 2) anche “…le istituzioni sanitarie pubbliche -ivi compresi gli ospedali militari- e private e i professionisti convenzionati”.

Il successivo art. 4 della legge regionale ha poi disposto che (comma 2) “la regione definisce i rapporti tra le Unità sanitarie locali e le istituzioni sanitarie pubbliche e private e i professionisti convenzionati attraverso gli strumenti, le procedure e i vincoli della programmazione regionale”.

D’altro canto, ai sensi dell’art. 5 comma 2, l’azienda unità sanitaria locale “…assicura ai cittadini l’erogazione delle prestazioni previste dai livelli uniformi di assistenza stabiliti dal piano sanitario nazionale e dal piano sanitario regionale, avvalendosi (oltre che delle proprie strutture, aziende, istituti ed enti di cui all’art. 4 del d.lgs. n. 502 del 1992) delle istituzioni sanitarie pubbliche -ivi compresi gli ospedali militari- o private, sulla base di criteri di integrazione con il servizio pubblico”.

L’art. 9 della legge regionale n. 36 del 1994 ha, poi, definito gli strumenti della programmazione sanitaria regionale, indicati, rispettivamente (comma 1):

a) nel piano sanitario regionale;

b) nei programmi di intervento di area  specifica a tutela della salute;

c) nei piani settoriali;

d) nelle azioni programmatiche

nonché quali strumenti attuativi della programmazione regionale (comma 2):

a) i piani generali attuativi delle singole unità sanitarie locali ed i loro aggiornamenti annuali;

b) i singoli programmi di intervento.

Il comma 4 dell’art. 9 definisce tanto i programmi di intervento di area specifica quanto i piani settoriali come “…strumenti per l’attuazione degli obiettivi previsti dalla legge di piano sanitario regionale (che) fissano, per i periodi non superiori al triennio, i contenuti delle azioni finalizzate a tale situazione, le condizioni organizzative e le risorse necessarie con la previsione delle relative fonti di finanziamento”.

Si delinea, così, un modello “a cascata” (frequente nella strutturazione della pianificazione regionale), al cui vertice si colloca il piano sanitario regionale, che a sua volta si articola in programmi d’intervento di area specifica e piani settoriali, ulteriormente articolati nei piani generali attuativi di ciascuna aa.uu.ss.ll. e nei singoli programmi d’intervento (che costituiscono la programmazione attuativa locale prevista dall’art. 1 comma 2 quater del d.lgs. n. 502 del 1992, come sostituito dall’art. 3 del d.lgs. 7 dicembre 1993, n. 517 e poi modificato dall’art. 2 del d.lgs. n. 229 del 1999 e dall’art. 8 del d.lgs. n. 254 del 2000).

Soltanto per questi ultimi, peraltro, è prevista l’approvazione diretta da parte della Giunta regionale (comma 6).

Peraltro, benché la legge regionale n. 36 del 1994 non definisca affatto i contenuti dei piani settoriali, deve rammentarsi che l’art. 3 della legge regionale 30 dicembre 1994, n. 38, recante norme sull’assetto programmatico, gestionale e di controllo delle aa.uu.ss.ll., equipara il piano generale attuativo triennale ai piani di settore, disponendo che entrambi devono uniformarsi ai contenuti del piano sanitario regionale e degli altri atti della programmazione sanitaria regionale e tener conto dei piani di zona approvati dal comune, dalla conferenza dei sindaci o dai presidenti delle circoscrizioni di riferimento territoriale.

Da tale circostanza è agevole dedurre che i piani settoriali, non per caso contemplati unitamente ai programmi d’intervento di area specifica, non hanno il contenuto di strumenti di pianificazione di organizzazione generale del sistema sanitario, e quindi che al novero dei medesimi non può ricondursi il piano di riordino (o ristrutturazione) della rete ospedaliera.

Quest’ultimo, d’altro canto, è strumento di programmazione sostanzialmente equiordinato al piano sanitario regionale, posto che tanto nella legislazione statale, dianzi contemplata, quanto in quella regionale, è presentato come specifico atto programmatorio adottato anche a stralcio del piano sanitario regionale.

In altri termini, astrattamente il piano di riordino ospedaliero potrebbe essere anche contenuto nel piano sanitario regionale, ed in tal caso, secondo le indicazioni dell’art. 9 comma 4 della legge regionale n. 36 del 1994, potrebbe essere approvato anche con legge regionale.

Al contrario, in quanto sia adottato, come pure espressamente consentito dalla legislazione statale e regionale (come si vedrà tra breve), “a stralcio” del piano sanitario regionale, esso può assumere la forma e l’efficacia di atto amministrativo generale di organizzazione.

Ed infatti, l’art. 32 della legge regionale n. 36 del 1994, fissando termine che, in difetto di indicazioni sulla sua natura decadenziale e sulle conseguenze della sua inosservanza, non può che rivestire natura ordinatoria (trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge n. 36, avvenuta per disposizione dell’art. 37 nel giorno stesso della pubblicazione nel B.U.R.P. 30 dicembre 1994, n. 146), ha demandato al Consiglio regionale di approvare la riorganizzazione della rete ospedaliera “….anche a stralcio del piano sanitario regionale.

Finalità e obiettivi della riorganizzazione della rete ospedaliera sono specificati nei commi 2 e 3 dell’art. 32 della legge regionale n. 36 del 1994, come di seguito enumerati:

“La riorganizzazione della rete ospedaliera deve perseguire:

 a) la razionalizzazione e la riqualificazione dei servizi ospedalieri, ai fini di una più equilibrata distribuzione degli stessi sul territorio regionale, in relazione al fabbisogno della popolazione e all’ottimale utilizzazione delle risorse;

 b) l’organizzazione di una rete di servizi conforme, anche per tipologia, alla normativa vigente, finalizzata a fornire ai cittadini le risposte più adeguate, in rapporto alle loro diverse esigenze assistenziali;

c) l’eliminazione dei ricoveri impropri per ricondurre la rete ospedaliera alla funzione propria;

d) la riconversione o la riduzione delle unità operative che nell’ultimo quinquennio presentano dati di funzionalità inferiori a quelli indicati dalla normativa di cui al primo comma del presente articolo;

e) la riconversione o la soppressione delle strutture ospedaliere che nell’ultimo quinquennio presentano una dotazione funzionale inferiore a n. 120 posti letto”. (comma 2)

“Il piano di riorganizzazione della rete ospedaliera è diretto al raggiungimento dei seguenti obiettivi:

a) adeguamento della rete ospedaliera ai criteri organizzativi e agli standards previsti dalla vigente normativa, con particolare riguardo alla dotazione complessiva dei posti letto nonché agli standards di attività e di efficienza;

b) riconduzione dell’Ospedale alle sue proprie funzioni di diagnosi, cura e riabilitazione delle malattie acute e di risposta alle emergenze sanitarie;

c) integrazione funzionale delle strutture ospedaliere tra di loro e con i servizi del territorio;

d) rimozione negli Ospedali delle cause di disfunzione sul piano organizzativo, al fine di una ottimale utilizzazione delle risorse, anche tecnologiche, esistenti e riordino, su base omogenea e secondo parametri funzionali, delle piante organiche;

e) riconversione delle strutture ospedaliere, non rispondenti a criteri di funzionalità, efficienza ed economicità, in strutture extraospedaliere residenziali o non residenziali, nell’ambito delle tipologie previste dalla vigente normativa;

f) dimensionamento e razionalizzazione della rete delle case di cura accreditate, in relazione al soddisfacimento del fabbisogno assistenziale programmato.

L’art. 33 della legge regionale n. 36 del 1994 detta disposizioni ulteriori specifiche in ordine alla riorganizzazione territoriale della rete ospedaliera, disponendo che:

“Il Consiglio regionale, su proposta della Giunta regionale, in attuazione delle linee programmatiche e di indirizzo e in conformità alle prescrizioni della presente legge, provvede, previa verifica della situazione esistente, alla quantificazione dei posti letto complessivi, distinti per area funzionale e disciplina, delle singole Unità sanitarie locali, così come risultanti a seguito del riazzonamento previsto dall'art. 3, comma 5, lett. a), del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e di ciascun complesso ospedaliero individuato per essere costituito in Azienda ospedaliera in attuazione del decreto legislativo stesso” (comma 1).

“La Giunta regionale, nel definire l’assetto organizzativo degli Ospedali, accorpa, di norma ai fini funzionali e tenuto conto del bacino di utenza e della specificità del territorio, quelli ubicati nell’ambito della stessa Unità sanitaria locale, che non siano destinati ad essere costituiti in Aziende ospedaliere, ai sensi del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502” (comma 2).

“Nell’ambito dei provvedimenti di cui ai commi precedenti, sono stabiliti i tempi di realizzazione della riorganizzazione territoriale della rete ospedaliera, assegnando priorità ai servizi connessi alle emergenze sanitarie” (comma 3).

Non può poi obliterarsi che l’art. 37 comma 1 della legge regionale n. 36 del 1994 ha dettato specifiche disposizioni in ordine alle case di cura accreditate, prescrivendo che:

“Le convenzioni con le Case di cura private decadono alla data di entrata in vigore della presente legge. Le stesse continuano a produrre effetti fino al termine indicato nei provvedimenti di riorganizzazione territoriale della rete ospedaliera nei quali è indicato il fabbisogno di attività ospedaliera da accreditare, distinte per disciplina in conformità ai criteri di seguito indicati e comunque non oltre il 31 dicembre 1996:

a) complementarietà ed integrazione delle attività svolte dalle Case di cura private rispetto a quelle dei presidi ospedalieri pubblici;

b) accreditamento delle Case di cura private per le quali sia stato accertato il possesso dei requisiti strutturali organizzativi e funzionali previsti dalle leggi vigenti;

c) accreditamento delle Case di cura che, per l’insieme delle tecnologie sanitarie e la presenza di più specialità, offrano migliori garanzie di assistenza in rapporto alle patologie da trattare”.

Pertanto, anche alla luce dell’art. 37 (oltre che delle disposizioni statali e regionali dianzi esaminate) risalta il pieno inserimento anche delle strutture sanitarie private nel sistema della programmazione sanitaria regionale, e quindi la piena legittimità delle previsioni del piano di riordino ospedaliero concernente il loro dimensionamento (con consequenziale infondatezza delle censure svolte nel motivo sub 3).

Giova qui precisare che le disposizioni degli artt. 32, 33 e 37 della legge regionale n. 36 del 1994 hanno chiaramente abrogato per incompatibilità quelle di cui all’art. 9 della legge regionale 30 maggio 1985, n. 51, erroneamente invocate perciò dalla ricorrente, posto che, a tacer d’altro, esse per un verso si riferivano a finalità assorbite dalla legislazione regionale successiva (art. 32 comma 2 lettera f) della legge regionale n. 36 del 1994) attraverso il richiamo dell’accertamento a cura del piano sanitario regionale della “…necessità di convenzionamento delle case di cura private, tenuto conto prioritariamente di quelle convenzionate” (art. 9 comma 1), e per altro aspetto dettavano una normativa transitoria in base alla quale “in attesa del piano sanitario regionale, il Consiglio regionale approva(va)…il programma di riorganizzazione della rete ospedaliera, delle strutture e delle attività sia pubbliche che private…il numero dei posti letto convenzionabili provvisoriamente non può, comunque, essere superiore a quello dei posti letto globalmente convenzionati alla data di entrata un vigore della presente legge”. (art. 9 comma 2).

In altri termini, il piano disciplinato dall’art. 9 era dichiaratamente transitorio (ed infatti, ai sensi dell’art. 14 della legge regionale n. 51 del 1985 “…perde ogni efficacia alla data di entrata in vigore del piano sanitario regionale”), sicché la disposizione deve senz’altro ritenersi abrogata per incompatibilità a seguito dell’entrata in vigore della compiuta disciplina “a regime” introdotta dagli artt. 32, 33 e 37 della legge regionale n. 36 del 1994.

1.2) Così delineato il quadro normativo statale e regionale di riferimento, relativo ai rapporti tra piano sanitario nazionale e regionale, nonché ai contenuti di quest’ultimo, alle relative procedure di adozione, agli altri strumenti della programmazione sanitaria, ed in particolare ai contenuti e procedure di adozione del piano di riordino sanitario, come atto programmatorio a contenuto generale anche “a stralcio” del piano sanitario regionale (e come tale non riconducibile ai piani di settore, per quanto innanzi evidenziato), è opportuno rammentare, sempre richiamando la più dettagliata analisi contenuta nella sentenza n. 5637 del 16 dicembre 2002, la vicenda relativa all’adozione del piano sanitario regionale 2002-2004.

1.2.1) Il Piano sanitario regionale per il biennio 2002-2004, approvato con deliberazione della Giunta regionale 27 dicembre 2001, n. 2087, costituisce, dichiaratamente (vedi par. 3), parte del più ampio “Piano di Salute Regionale 2002-2007”, articolato, appunto, in una prima fase, coincidente con l’adozione e attuazione del Piano sanitario regionale - P.S.R 2002-2004 (definito come “programma a medio termine, con ampia considerazione dell’integrazione socio-sanitaria”), e in una seconda fase, caratterizzata dall’adozione e attuazione del Piano socio sanitario regionale - P.S.S.R. 2005-2007 (qualificato come “piano socio sanitario regionale…con le realizzazioni di lungo periodo”, in funzione della migliore esplicazione degli aspetti dell’integrazione socio-sanitaria).

1.2.1.2) Per quanto qui interessa, il Piano, già nei suoi enunciati più generali, attinenti agli obiettivi (par. 2), indica le linee essenziali della ristrutturazione della rete ospedaliera, tra cui (corsivi e sottolineature sono dell’estensore):

- “la riconfigurazione della Rete Ospedaliera, ridisegnata nella sua architettura ed integrata nella funzionalità dai Distretti, di modo che ‘il sistema’ raggiunga un grado di efficacia dell’assistenza, coerente con gli obiettivi di ottimizzazione nell’impiego delle risorse economiche e di progressiva ed uniforme espansione delle garanzie di tutela della salute dei Cittadini”;

- “la individuazione dei posti letto “per acuti”, eccedenti rispetto all’effettivo bisogno di assistenza, stabilendo principi per la finalizzazione delle dotazioni in esubero (nell’imprescindibile obiettivo di equilibrio economico di gestione) al soddisfacimento di bisogni “non acuti”, attraverso il monitoraggio e la gestione diretta e capillare da parte dei Distretti di dette ultime tipologie assistenziali, nel rispetto dei budget loro attribuiti”;

- “l’integrazione delle responsabilità e delle funzioni ospedaliere e territoriali anche in materia di assistenza residenziale, di prevenzione e cura delle tossicodipendenze, di lungodegenza, di assistenza agli anziani ed ai disabili e domiciliare”;

con la finalità di realizzare:

 “…una organizzazione regionale «a rete», «organica», «dinamica», «unitaria» ed «efficiente» della capacità di assistenza sanitaria con crescenti livelli di integrazione e complementarietà funzionale, anche attraverso una capillare informatizzazione al fine di confermare o cambiare precocemente le scelte operative, organizzative e finanziarie”, e per quanto attiene in specie all’assistenza ospedaliera “…di ristrutturare la Rete di Ospedali, dandole una connotazione di medio - alta specializzazione al fine di migliorare l’autosufficienza della Puglia nelle capacità erogative di alta specialità, mediante potenziamento e depotenziamento di unità operative ospedaliere, dipartimentalizzazione e cooperazione anche interaziendale, con applicazione del principio di unitarietà del SSR”.

1.2.2.3) In tale quadro, sono chiaramente individuati i limiti strutturali-operativi dell’assetto organizzativo esistente e i criteri ispiratori del riordino della rete ospedaliera (par. 10.1).

Quanto ai primi (i limiti) il P.S.R. evidenzia, testualmente:

“- distribuzione disomogenea dell’offerta sul territorio regionale in senso quantitativo e per specialità;

- sperequazione tecnologica sul territorio;

- elevata mobilità sanitaria infra ed extraregionale;

-carenze e disomogeneità delle risorse umane in relazione all’assetto organizzativo esistente;

- scarsa efficienza;

- elevati livelli dei costi;

- necessità di garantire l’assistenza omogenea sul territorio regionale con riferimento ai livelli essenziali”.

In ordine ai secondi (i criteri ispiratori), essi sono così identificati:

“1) la realizzazione di un razionale e qualificato sistema di assistenza ospedaliera distribuito sul territorio nel quadro di un riequilibrio delle dotazioni sanitarie nel loro complesso;

2) la riorganizzazione delle attività interne dei presidi ospedalieri, superando la frammentazione degli stabilimenti e le situazioni ripetitive delle strutture esistenti;

3) la contestuale disattivazione, trasformazione o riconversione di parte degli attuali stabilimenti ospedalieri in strutture residenziali o in altre tipologie di strutture assistenziali;

4) l’accorpamento funzionale di strutture ospedaliere in un unico Presidio ospedaliero, ove ne ricorrano le condizioni;

5) l’unificazione dei servizi di diagnosi e cura, ove ne ricorrano le condizioni;

6) la riqualificazione dell’assistenza ospedaliera anche attraverso la dipartimentalizzazione;

7) l’attivazione di strutture costituenti centri di alta specializzazione di cui la regione è allo stato carente;

8) l’attivazione di strutture assistenziali necessarie allo svolgimento delle attività istituzionali delle Facoltà di Medicina e Chirurgia;

9) la realizzazione di piani intra-ospedalieri per un rapido adeguamento ad esigenze assistenziali connesse ad eventi calamitosi o di maxi-emergenze”.

Si osservi che, nel riferimento al riequilibrio delle dotazioni sanitarie nel loro complesso, è del tutto trasparente il riferimento alla necessità di considerare, ai fini della programmazione sanitaria regionale e del dimensionamento delle strutture erogatrici delle prestazioni in funzione del fabbisogno regionale, anche le strutture sanitarie private e le case di cura (provvisoriamente) accreditate.

Ed infatti, per un verso il piano sanitario regionale considera, nell’offerta di posti letto distinti per discipline anche quelli della spedalità privata (par. 10.1.2 pag. 76), che concorrono a definire l’offerta complessiva; e per altro verso, e soprattutto, ricomprende nel sistema ospedaliero pugliese (par. 10.3 a pag. 80):

- Aziende Ospedaliere;

- Aziende Ospedaliero - Universitarie;

- Presidi ospedalieri dell’Azienda Unità Sanitaria Locale;

- Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico pubblici e privati;

- Presidi ospedalieri dipendenti da Enti Ecclesiastici;

- Strutture ospedaliere private.

Ed in riferimento a queste ultime, nel medesimo paragrafo, precisa che:

Le strutture ospedaliere private fanno parte della rete ospedaliera regionale e garantiscono un apporto coerente con le finalità di politica socio-sanitaria della Regione che con le stesse definisce accordi contrattuali fondati sulla pari dignità rispetto ai soggetti erogatori pubblici.

In tal senso, le suddette strutture, confermate in tutto o in parte le attività attualmente svolte per il sistema sanitario nazionale, ovvero riconvertite in tutto o in parte, secondo le esigenze della programmazione regionale, garantiscono forme di complementarietà e/o sinergia e/o integrazione con le altre strutture del Sistema sanitario regionale, di modo che le risorse strutturali tecnologiche e di personale resesi disponibili dai suddetti erogatori privati contribuiscano al miglioramento della qualità e della distribuzione sul territorio del servizio”.

1.2.1.3) In tale contesto vengono ribaditi i vincoli rivenienti dalla legislazione statale attinenti al dimensionamento e alla distribuzione qualitativa della dotazione di posti letto (col limite massimo di 5 p.l. per 1000 abitanti, di cui 1 per la riabilitazione e lungodegenza post-acuzie, e quanto ai primi con la percentuale minima (10% della dotazione) da destinare ai ricoveri a ciclo diurno c.d. day hospital e/o day surgery).

Nell’ambito dello stesso paragrafo, importanza essenziale riveste la previsione che:

“Entro 90 giorni dall’adozione del Piano Sanitario, la Giunta adotta il Piano di riordino della rete ospedaliera e nei successivi 90 giorni, il programma straordinario di ammodernamento strutturale e tecnologico ex Art. 20 della L.67/88”.

Vi è dunque un’espressa attribuzione di competenza, rispetto alla quale, in modo del tutto consequenziale, il punto 1) del dispositivo della deliberazione di Giunta regionale n. 1987 del 2 agosto 2002, di adozione definitiva a seguito di integrazioni del piano di riordino della rete ospedaliera (impugnato col ricorso in esame), dispone:

“di approvare, in esecuzione della Deliberazione di Giunta Regionale 27 dicembre 2001, n. 2087, di adozione del Piano Sanitario Regionale 2002-2004, il ‘Piano di Riordino della Rete Ospedaliera’ allegato sub A) alla presente deliberazione in tutte le sue componenti…”.

1.2.1.4) Tralasciate, per economia di esposizione e perché specificamente relativi all’organizzazione dei presidi ospedalieri dell’a.u.s.l., le indicazioni contenute nel paragrafo 10.1 del piano sanitario regionale (già esaminate nella richiamata sentenza n. n. 5637 del 16 dicembre 2002), deve invece ribadirsi che dalla disamina dei contenuti del P.S.R. 2002-2004, è dato dunque di evincere senza incertezze che:

- è al P.S.R. che deve ricondursi l’attribuzione diretta di competenza alla Giunta regionale in ordine all’approvazione del piano di riordino della rete ospedaliera;

- è al P.S.R. che deve ricondursi la inclusione delle strutture sanitarie private nel sistema ospedaliero pugliese e quindi la previsione della sua (peraltro necessaria considerazione, a tenore delle disposizioni legislative statali e regionali dianzi esaminate) considerazione in sede di ristrutturazione o riordino della rete ospedaliera;

- sempre nel P.S.R. sono fissati gli obiettivi, i criteri ispiratori, i vincoli da osservare nel processo di ristrutturazione della rete ospedaliera, le tipologie dei presidi e stabilimenti sanitari con l’individuazione delle unità operative attivabili, i limiti dimensionali minimi delle unità operative di diagnosi e cura.

Ne consegue che le censure afferenti all’invocata incompetenza della Giunta regionale in rapporto all’approvazione del Piano di riordino della rete ospedaliera, in funzione dell’invocata competenza del Consiglio regionale, andavano appuntate anzitutto nei confronti della deliberazione di Giunta regionale del 27 dicembre 2001, n. 2087 (di approvazione del piano sanitario regionale 2002-2004), costituente il primo atto concretamente ed effettivamente lesivo della supposta sfera di attribuzioni dell’organo consiliare, la cui impugnativa non poteva essere pretermessa in quanto le successive deliberazioni di Giunta regionale n. 1987 del 2 agosto 2002 (di approvazione del P.R.O. dopo la prima rimodulazione), n. 1086 del 26 luglio 2002 (di adozione del progetto di prima rimodulazione) e n. 1429 del 30 settembre 2002 (di affinamento e adeguamento del P.R.O.) costituiscono, sotto tale profilo, atti applicativi della previsione contenuta nel P.S.R. e di esercizio dell’attribuzione di competenza ivi stabilita.

Considerazioni analoghe valgono per le censure riferite alla lamentata inclusione delle strutture sanitarie private nel piano di riordino ospedaliero ed alle previsioni relative all’allocazione dei posti letto per la lungodegenza nelle sole strutture sanitarie pubbliche.

Né può revocarsi in dubbio che le previsioni del piano sanitario regionale, relative all’attribuzione di competenza alla Giunta regionale del potere di approvazione, nonché quelle intese a ricomprendere nel sistema ospedaliero, e quindi nel riordino, anche le strutture sanitarie private (provvisoriamente) accreditate, rivestissero immediata efficacia lesiva e come tali fossero doverosamente impugnabili nel termine decadenziale decorrente, in funzione della natura dell’atto (generale di organizzazione e pianificazione) dalla sua pubblicazione nel b.u.r.p., con conseguente indubitabile fondatezza della censura di tardività dell’impugnativa della deliberazione n. 2097 del 27 dicembre 2001.

2.) Così delineato il quadro di riferimento normativo e provvedimentale, può quindi passarsi all’esame della più radicale ed assorbente eccezione pregiudiziale di improcedibilità sopravvenuta del ricorso connessa al contenuto ed agli effetti dispositivi dell’art. 18 commi 3 e 7 della legge regionale n. 20 del 9 dicembre 2002.

2.1) Secondo quanto anticipato nella narrativa in fatto, la Regione Puglia sostiene che:

- il contenuto delle deliberazioni gravate è stato “fatto proprio” e “assunto” a “livello di prescrizioni aventi forza di legge” dalle citate disposizioni, onde non potrebbe con l’annullamento dei provvedimenti gravati porsi nel nulla l’efficacia di tale disposizione legislativa che ha conferito forza di legge alle scelte organizzative compiute;

- sotto altro profilo, l’art. 18 avrebbe implicitamente abrogato per incompatibilità (assumendo come legittimo l’esercizio di competenza giuntale estrinsecato negli atti gravati) le disposizioni (tra cui anche gli artt. 32 e 33 della legge regionale n. 36 del 1994 e, per quanto superato e inapplicabile, anche l’art. 9 della legge regionale n. 51 del 1985) che assegnavano al Consiglio specifica competenza all’adozione di una serie di atti di pianificazione sanitaria, ed in specie del piano di riordino ospedaliero, ciò che troverebbe ulteriore giustificazione nella devoluzione della competenza regolamentare alle Giunte regionali, naturalmente se ed in quanto gli atti impugnati abbiano natura regolamentare.

2.1.1) Prima di considerare natura, contenuto ed effetti della disposizione dell’art. 18 della legge regionale n. 20 del 2002, occorre ribadire che gli artt. 32 e 33 della legge regionale n. 36 del 1994, nel fissare la competenza del Consiglio regionale in ordine alla approvazione della riorganizzazione della rete ospedaliera (in ciò confermando la normativa transitoria di cui all’art. 9 della legge regionale n. 51 del 1985), non sono ovviamente condizionati, quanto alla imputazione di competenza,  dal termine, evidentemente ordinatorio, per quanto detto supra, espressamente contemplato dall’art. 32 (“entro e non oltre trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge”, e quindi entro il 29 gennaio 1995, considerato che la legge è entrata in vigore, ai sensi dell’art. 37 ultimo comma, nel giorno stesso della pubblicazione sul B.U.R.P. n. 146 del 30 dicembre 1994).

Né sulla problematica relativa all’invalidità sotto il profilo dell’incompetenza degli atti deliberativi giuntali di approvazione del piano di riordino ospedaliero può incidere la questione della natura giuridica dello strumento di programmazione che, secondo quanto osservato amplius nella sentenza n. 5637 del 16 dicembre 2002, non può considerarsi atto regolamentare se anche la competenza ad emanare i regolamenti regionali debba ormai ritenersi incardinata nella sfera di attribuzione della giunta regionale per effetto della novella dell’art. 121 Cost. come introdotta dall’art. 1 della legge costituzionale 22 novembre 1999, n. 1.

2.1.2) Ciò posto deve rammentarsi che la legge regionale 9 dicembre 2002, n. 20 (pubblicata sul B.U.R.P. n. 156 del 9 dicembre 2002 ed entrata in vigore il giorno stesso della pubblicazione, secondo la disposizione in calce all’art. 46), intitolata “Assestamento e variazione al bilancio di previsione per l’esercizio 2002”, nel capo I (“Disposizioni in materia di razionalizzazione, contenimento e qualificazione della spesa sanitaria”) del titolo II (“Norme relative al settore finanziario”), contiene varie disposizioni in materia sanitaria (art. 4 in tema di appropriatezza delle prestazioni sanitarie; art. 7 relativa alle dotazioni organiche; art. 8 concernenti spese e ricavi; art. 9 sull’adeguamento dei tetti di spesa; art. 10 sui nuclei di valutazione; art. 11 sulle gestioni liquidatorie; art. 12 sul controllo degli atti delle aziende sanitarie; art. 13 su disposizioni transitorie per persone affette da disturbi psichici; etc.); e, tra di esse, specificamente, quella dell’art. 18, rubricata sotto la voce “Livelli di assistenza”, che risulta così testualmente formulata:

“La Regione Puglia garantisce i livelli di assistenza di cui all’articolo 1, comma 6, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni, le cui prestazioni sono indicate nell’allegato 1 al decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 29 novembre 2001, con le esclusioni di cui agli allegati 2A, 2B e 2C e con le indicazioni e linee guida di cui agli allegati successivi (comma 1).

Il livello di assistenza sanitaria collettiva in ambiente di vita e di lavoro è garantito attraverso i Dipartimenti di prevenzione delle aziende USL (comma 2).

Il livello di assistenza territoriale è garantito dai distretti così come articolati con deliberazione della Giunta regionale 8 agosto 2002, n. 1161, nonché dalle strutture territoriali sovradistrettuali di cui al piano sanitario regionale 2002/2004 (comma 3).

Le prestazioni di cui all’allegato 2A al d.p.c.m. 29 novembre 2001 di laserterapia antalgica, elettroterapia antalgica e ultrasuonoterapia, a decorrere dal 1° gennaio 2003 sono incluse nell’allegato 2B (comma 4).

Entro il 31 dicembre 2002 la Giunta regionale individua le specifiche indicazioni cliniche secondo le quali possono essere erogate le prestazioni incluse nell’allegato 2B, come integrato dal comma 4 (comma 5).

Le certificazioni di idoneità alla pratica sportiva, agonistica e non, sono rilasciate con oneri a carico del Servizio sanitario regionale (SSR) per i minori di anni 18 (comma 6).

Il livello di assistenza ospedaliera è garantito dalle aziende ospedaliero-universitarie, dagli IRCCS pubblici e privati, dalle strutture ospedaliere private e dai presidi ospedalieri delle aziende sanitarie locali, costituiti da uno o più stabilimenti funzionalmente accorpati, così come individuati con deliberazione della Giunta regionale n. 1087/2002, modificata con deliberazione 1429/2002, dotati delle discipline ivi previste” (comma 7).

2.1.3) L’attenzione del Tribunale deve dunque concentrarsi sulle disposizioni dei commi 3 e 7 che, secondo il loro piano tenore testuale, “recepiscono sia la rete distrettuale, come delineata dalla deliberazione di Giunta regionale n. 1161 dell’8 agosto 2002, nonché le strutture sovradistrettuali, come previste dal piano sanitario regionale 2002-2004, sia l’organizzazione della rete ospedaliera individuata dalle deliberazioni di Giunta regionale n. 1087 del 2 agosto 2002 (di approvazione definitiva) e n. 1429 del 30 settembre 2002 (di riapprovazione con modifiche e affinamenti).

Infatti, secondo un’interpretazione letterale e logico-sistematica, nessun altro significato può assegnarsi alle disposizioni in esame se non quello di “sussumere” a livello legislativo il contenuto e gli effetti giuridici delle deliberazioni di Giunta regionale.

Infatti, i distretti rimangono “fissati” e “individuati” in quelli -“così come”-“… articolati con deliberazione della Giunta regionale 8 agosto 2002, n. 1161”; le strutture sovradistrettuali in quelle “…di cui al piano sanitario regionale 2002/2004”; le varie strutture erogatrici dell’assistenza ospedaliera enumerate -aziende ospedaliero-universitarie, gli I.R.C.C.S. pubblici e privati, le strutture ospedaliere private, i presidi ospedalieri delle aziende sanitarie locali- rimangono a loro volta “fissate” in quelle -“cosi come”- “…individuati con deliberazione della Giunta regionale n. 1087/2002, modificata con deliberazione 1429/2002, dotati delle discipline ivi previste”.

2.1.3.1) Orbene, appare problematico concordare con la prospettazione della difesa regionale in ordine ad una efficacia abrogatrice implicita, da annettere alle disposizioni dell’art. 18 commi 3 e 7 della legge regionale n. 20 del 2002, delle disposizioni di cui agli artt. 32 e 33 della legge regionale n. 36 del 1994 (e non anche dell’art. 9 della legge regionale n. 51 del 1985 poiché tale disposizione è stata, essa sì, abrogata per incompatibilità dagli artt. 32, 33 e 37 della legge regionale n. 36 del 1994).

Infatti, l’art. 18 commi 3 e 7 della legge regionale n. 20 del 2002 non contiene alcuna specifica e diversa disciplina della “materia” relativa ai distretti ed al piano di riordino ospedaliero né dispone uno stabile spostamento di competenza in favore della Giunta regionale, men che meno fondato sul riconoscimento della natura regolamentare di tali strumenti di programmazione sanitaria.

2.1.3.2) Piuttosto, ai fini dell’indagine sulla natura e sugli effetti delle disposizioni dell’art. 18 commi 3 e 7, occorre interrogarsi sul rapporto tra gli atti amministrativi ivi richiamati (le deliberazioni giuntali n. 1161 dell’8 agosto 2002, n. 1087 del 2 agosto 2002 e n. 1429 del 30 settembre 2002) e la fonte legislativa regionale che li richiama, che la difesa regionale qualifica nei termini (invero di per sé generici e meramente descrittivi) di un “far proprio” il contenuto delle deliberazioni suddette e di una “assunzione” del medesimo a “livello di prescrizioni aventi forza di legge”.

Il Tribunale ritiene che, al fine della compiuta individuazione del suddetto rapporto, e quindi della natura, del contenuto e degli effetti giuridici delle disposizioni dell’art. 18 commi 3 e 7 della legge regionale 9 dicembre 2002, n. 20, sia imprescindibile il richiamo al piano costituzionale e ordinamentale sul quale si è dipanato il dibattito, dottrinale e giurisprudenziale, sulle leggi provvedimento.

2.1.3.3) Per quanto largamente noti, non risultano inutili e inappropriati alcuni riferimenti concettuali di ordine generale sul tema.

Una elaborazione dottrinale ormai consolidata, ha individuato gli elementi essenziali e distintivi delle c.d. leggi in sostituzione di provvedimento amministrativo (o leggi provvedimento tout court), identificati in quei tratti che le differenziano dalle leggi generali in senso proprio (con l’avvertenza che nella realtà sussiste una gradualità nella disciplina legislativa delle fattispecie dall’astratto al concreto, che dal modello “puro” della legge assolutamente generale perviene alla legge singolare attraverso una sequenza di leggi a bassa, o depotenziata, generalità).

La nozione di legge provvedimento si costruisce, infatti, essenzialmente in funzione dei suoi elementi differenziali rispetto alla legge generale tout court, che possono identificarsi in una triplice coppia di “opposti”, riferibile ai destinatari (personalità delle leggi provvedimento contrapposta alla generalità delle leggi generali), al contenuto (concretezza delle leggi provvedimento contrapposta alla astrattezza delle leggi generali) ed agli effetti (eccezionalità delle leggi provvedimento contrapposta alla stabilità o ordinarietà delle leggi generali).

In effetti, ove si concordi con la prevalente dottrina in ordine all’impossibilità di costruire, in base al dato normativo positivo costituzionale, una nozione di legge in senso sostanziale, e ferma restando quindi la qualificazione di ogni legge, ivi comprese le leggi provvedimento, in base ai suoi caratteri formali, soltanto gli elementi contenutistici differenziali dianzi richiamati consentono la enucleazione di una categoria di leggi c.d. in sostituzione di provvedimento amministrativo, nella quale peraltro confluisce una tipologia alquanto vasta e variegata.

Così, nell’ampio alveo delle leggi provvedimento sono identificabili le c.d. leggi di privilegio (connotate dai caratteri della personalità ed eccezionalità), le c.d. leggi personali in senso proprio (contrassegnate da destinatari determinati e suddistinguibili in leggi individuali, se rivolte a persone fisiche, e in leggi nominative, se indirizzate a destinatario nominativamente indicato).

Sono peraltro riconducibili, secondo la più attenta e autorevole dottrina in materia (sia consentito, eccezionalmente, l’imprescindibile richiamo a Mortati, Le leggi provvedimento, Milano, 1968, cui si riferiscono le citazioni testuali più avanti riportate)  alle leggi provvedimento anche le disposizioni transitorie, mentre più problematica è la riconduzione alla categoria in esame delle leggi di organizzazione (intese in senso ampio come quelle istitutive e regolatrici di enti e organi); se è vero, infatti, che le leggi di organizzazione si  differenziano dalle leggi generali per il carattere finalistico e strumentale che le impronta, laddove nelle leggi generali lo scopo è sempre esterno alla fattispecie e indifferente alla produzione del suo effetto, e che esse costituiscono espressione di indirizzo politico generale e di potestà autorganizzativa in materia amministrativa; nondimeno la stessa dottrina evidenzia come le leggi di organizzazione sono in ogni caso fonti regolatrici di una serie indeterminata di rapporti e che quindi rivestono una funzione normativa generale ed astratta.

Di particolare interesse è, invece, la riconduzione alla species delle leggi provvedimento delle c.d. leggi di approvazione e di autorizzazione (tipico esempio delle prime, le leggi di approvazione del bilancio o del rendiconto, le leggi che dispongono inchieste parlamentari, le leggi che approva(va)no gli statuti regionali; e delle seconde, le leggi di autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionali, le leggi concordatarie e quelle relative alle intese con le confessioni religiose), nonché delle c.d. leggi di pianificazione.

Premesso che, rispetto alla classificazione delle leggi provvedimento in esecutive (di precedenti leggi generali) e innovative (rispetto a precedenti leggi generali), le leggi di approvazione, di autorizzazione (e di pianificazione) dovrebbero senz’altro qualificarsi come esecutive, il proprium di tale categoria di leggi provvedimento è stato individuato nella funzione che esse esprimono, non già di controllo, sebbene di “compartecipazione alla decisione dell’atto approvato” (o autorizzato) (Mortati, op. cit., pag. 26), ovvero dall’essere “espressione di una scelta politica, con assunzione di una medesima corresponsabilità” (Mortati, ibidem).

Tale prospettiva apre scenari di grande interesse in ordine al rapporto tra atto approvato e atto (legislativo) di approvazione perché l’atto approvato entra “…a far parte integrante” (dell’atto di approvazione) (Mortati, op. cit., pag. 143), o, sotto altra prospettiva, si registra un “assorbimento dell’atto approvato o autorizzato nella legge che approva o autorizza” (Mortati, op. cit., pag. 149); né ha minor rilievo l’essenziale osservazione che l’approvazione “…vale a conferire al provvedimento dell’amministrazione un valore che altrimenti non potrebbe assumere, di non essere suscettibile di deroga o di modifica se non in virtù di altra legge” (Mortati, op. cit., pag. 101).

Dal rapporto, così suggestivamente e acutamente ricostruito tra atto (amministrativo) approvato e atto (legislativo) di approvazione, conseguono essenziali corollari:

a) l’assorbimento dell’atto approvato, ammesso anche che non conferisca al medesimo forza di legge (come pure invece può opinarsi), sottrae la disponibilità del suo contenuto all’esecutivo, ovvero esso diviene intangibile, stabilizzandosene gli effetti, non più disponibili da parte dell’esecutivo;

b) l’atto (legislativo) di approvazione è sindacabile, sotto il profilo della legittimità costituzionale, non solo in relazione a eventuali vizi del procedimento legislativo, bensì anche in funzione dei vizi propri dell’atto (amministrativo) approvato; in altri termini l’assorbimento dell’atto approvato nell’atto (legislativo) di approvazione non elide né sana i vizi dell’atto approvato, che rifluiscono sulla legge di approvazione.

Il profilo più delicato e problematico delle leggi provvedimento, ivi comprese le leggi di approvazione, è com’è noto, quello della limitazione del sindacato giurisdizionale sui vizi dell’atto (amministrativo) approvato o adottato con la legge in sostituzione di provvedimento.

E’ essenzialmente in relazione al problema della depotenziata tutela giurisdizionale che la dottrina ha con tenacia, ma in modo sostanzialmente vano, tentato di ricostruire limiti generali di ammissibilità alle leggi provvedimento, ed in particolare di fondare l’enucleazione di una riserva di amministrazione, ovvero di un limite immanente che precluderebbe al legislatore di emanare leggi in sostituzione di provvedimenti amministrativi o che abbiano contenuto sostanziale di provvedimento amministrativo.

Tali tentativi sono stati volta a volta radicati in una interpretazione dell’art. 70 della Costituzione a tenore della quale la funzione legislativa si riferirebbe alla legge in senso sostanziale o materiale, o ancora nella disposizione dell’art. 113 della Costituzione intesa come fondante l’attribuzione di un diritto individuale indisponibile dal legislatore alla tutela giurisdizionale nei confronti degli atti amministrativi, o altrimenti sul principio di eguaglianza formale di cui all’art. 3 della Costituzione che vieterebbe le leggi personali.

Essi però si sono infranti non soltanto nell’orientamento della dottrina prevalente, ma, soprattutto, nel costante indirizzo della giurisprudenza costituzionale.

Infatti, e come è ampiamente noto, agli arresti iniziali della giurisprudenza amministrativa in ordine all’illegittimità dei decreti legislativi di esproprio emanati in attuazione della riforma fondiaria di cui alla legge delega 12 maggio 1950, n. 230 (Cons. Stato, Ad. Plen., 20 marzo 1052, n. 6), si contrapposero, oltre che quelli della Suprema Corte (Cass., SS.UU., 15 gennaio 1953, n. 107), anche quelli della Consulta (Corte Cost., 27 maggio 1957, nn. 59 e 60) che puntualizzarono come “la funzione legislativa non consiste esclusivamente nella produzione di norme generali ed astratte ma può consistere anche nella emanazione di leggi provvedimento” (riconoscendosi allora la legittimità della delegazione legislativa all’emanazione di decreti legislativi provvedimento in funzione della natura eccezionale della medesima e della ricorrenza di speciali situazioni “...suscettibili solo di valutazione politica…”).

Da quei lontani arresti giurisprudenziali, la Corte Costituzionale è rimasta sostanzialmente ferma nell’ammettere la legittimità (in astratto e salvo il c.d. “scrutinio rigoroso di legittimità costituzionale”) delle leggi provvedimento, e coevamente, nel negare l’esistenza di una riserva d’amministrazione, foss’anche fondata sulle esigenze di tutela giurisdizionale di cui all’art. 113 Cost.

Così, limitando le citazioni all’essenziale, possono ricordarsi, tra le tante, le seguenti sentenze:

- Corte Cost., 21 marzo 1989, n. 143 che ha rilevato come:

Tanto la Costituzione…quanto gli Statuti regionali definiscono la legge, non già in ragione del suo contenuto strutturale o materiale, bensì in dipendenza dei suoi caratteri formali (negandosi che) il divieto di leggi a contenuto particolare e concreto (potesse toccare) soltanto le regioni in conseguenza di un presunto principio generale dell’ordinamento giuridico, poiché un principio del genere, concernendo i caratteri strutturali della legge diretti a qualificarne l’essenza o l’identità tipologica come atto normativo, dovrebbe essere desunto da una un equivoca norma avente un rango superiore alla stessa legge, che in verità non è dato rinvenire nell’ordinamento giuridico. D’altra parte…nessuna disposizione costituzionale o statutaria comporta una riserva agli organi amministrativi o esecutivi degli atti a contenuto particolare e concreto”; analoghi rilievi la Corte aveva svolto nella sentenza 24 marzo 1988, n. 331, ponendo in luce che “…si deve escludere qualsiasi fondamento alla pretesa del giudice a quo di individuare nell’adozione di un atto particolare e concreto in forma legislativa la causa della lesione dei diritti garantiti dall’art. 113 della Costituzione”;

- Corte Cost., 16 febbraio 1993, n. 62, che ha ribadito che:

“…in assenza nell’ordinamento attuale di una ‘riserva di amministrazione’ opponibile al legislatore non può ritenersi preclusa alla legge ordinaria la possibilità di attrarre nella propria sfera di disciplina oggetti o materie normalmente affidate all’azione amministrativa…con la conseguenza che in questi casi il diritto di difesa concesso ai soggetti…non risulterà annullato, ma verrà a connotarsi secondo il regime tipico dell’atto legislativo adottato, trasferendosi dall’ambito della giustizia amministrativa a quello proprio della giustizia costituzionale”;

- Corte Cost., 24 febbraio 1995, n. 63, che ha ancora una volta puntualizzato che:

“…non esiste in linea generale un divieto di leggi-provvedimento in quanto tali, occorrendo sempre procedere al controllo sostanziale sull’atto, sia pure con le peculiarità richieste dal suo specifico oggetto…”;

- Corte Cost., 10 gennaio 1997, n. 2, che a proposito di leggi provvedimento regionali, e ribadendone implicitamente l’ammissibilità, ha precisato che in riferimento alle medesime:

“…si impone uno scrutinio rigoroso di legittimità costituzionale per il pericolo di disparità di trattamento insito in previsioni di tipo particolare o derogatorio”;

- Corte Cost., 29 maggio 1997, n. 153, che ha evidenziato come:

“Secondo i principi di buon andamento e imparzialità della pubblica amministrazione, spetta in generale al legislatore, sia statale che regionale, un vasto ambito di discrezionalità, ma il relativo potere non si sottrae al sindacato di costituzionalità, sotto il profilo della non arbitrarietà e della ragionevolezza delle scelte; sindacato tanto più rigoroso quanto più marcata sia…la…natura provvedimentale dell’atto legislativo sottoposto a controllo”;

- Corte Cost., 26 maggio 1998, n. 185, che ancora una volta ha chiarito che:

“…non può dirsi illegittima, di per sé, la legge-provvedimentoanche se per essa si impone uno ‘scrutinio stretto’ di costituzionalità per il pericolo di disparità di trattamento insito in previsioni di tipo particolare o derogatorio” .

Orbene, se tale è l’orientamento pressoché univoco della Consulta, rimane essenzialmente isolato il tentativo, compiuto con le sentenze n. 225 e 226 dell’11 giugno 1999, di ritagliare uno spazio di autonomo sindacato di legittimità sull’atto (amministrativo) presupposto da parte del giudice amministrativo, fondato sul rilievo che:

- (in materia di approvazione con atto legislativo regionale di piano urbanistico adottato con atto amministrativo) la legge “…interviene esclusivamente sull’approvazione del piano adottato…in funzione di controllo e di compartecipazione come atto di consenso…alla decisione contenuta nell’atto sottoposto ad approvazione finale”, senza che essa possa valere come “conversione dell’atto contenente la sostanziale programmazione pianificatoria” o come “…forma di ‘validazione’ legislativa…” oppure come “…sanatoria del piano stesso” (sentenza n. 226);

- configurandosi la legge regionale come “…mera approvazione del pianogli eventuali vizi della delibera di adozione del piano…non rimangono sottratti all’ordinario sindacato giurisdizionale sulle scelte amministrative…” (sentenza n. 225);

 - l’eventuale annullamento dell’atto di adozione del piano inciderebbe sulla legge di approvazione nel senso che essa “…finisce con il rimanere in tutto o in parte priva di oggetto” (sentenza n. 226).

In effetti, se si ammette, come pure contraddittoriamente la Corte sostiene, che la legge di approvazione è espressione di “compartecipazione come atto di consenso”, e quindi si conviene con la dottrina migliore, dianzi citata, in ordine al rapporto tra atto approvato e atto (legislativo) di approvazione (secondo quanto deve evincersi dalla sostanziale riproduzione paratestuale dei concetti espressi al riguardo da quella dottrina, innanzi testualmente richiamati), risulta assai arduo sostenere che tale compartecipazione non si risolva nel (necessario) assorbimento dell’atto approvato nell’atto di approvazione, e quindi nella inevitabile devoluzione al sindacato di legittimità costituzionale di ogni profilo riguardante i vizi dell’atto approvato, in quanto assorbito dall’atto legislativo di approvazione.

2.1.3.4) Alla luce delle chiarificanti prospettive offerte dalla dottrina e dalla giurisprudenza costituzionale in tema di leggi provvedimento, risulta ben più agevole l’inquadramento della disposizione dell’art. 18 commi 3 e 7 della legge regionale 9 dicembre 2002, n. 20.

Si è già osservato che essa sussume a livello legislativo il contenuto e gli effetti di atti generali di organizzazione e programmazione assunti nella forma del provvedimento amministrativo con le deliberazioni di Giunta regionale n. 1161 dell’8 agosto 2002 (per la rete distrettuale), n. 2087 del 27 dicembre 2001 (per le strutture sovradistrettuali contemplate dal piano sanitario regionale), e n. 1087 del 2 agosto 2002 e n. 1429 del 30 settembre 2002 (per il piano di riordino ospedaliero).

Si tratta, peraltro, di atti rientranti nella ordinaria competenza del Consiglio Regionale e che, in difetto di espresse indicazioni circa la loro adozione in via legislativa (ciò vale anche per il piano di riordino ospedaliero in quanto adottato a stralcio del piano sanitario regionale, per il quale soltanto l’art. 9 della legge regionale n. 36 del 1994 contiene un fugace riferimento alla “legge di piano sanitario”), ben potevano, ed anzi necessariamente dovevano, assumere la forma dell’atto amministrativo (generale e/o a contenuto programmatorio).

Orbene, con la disposizione dell’art. 18 commi 3 e 7 della legge regionale n. 20 del 2002 il Consiglio regionale, nel recepire l’assetto organizzativo delineato da tali atti, e nell’esercizio di competenze sue proprie, ha sostanzialmente approvato i suddetti provvedimenti amministrativi con atto legislativo , che costituisce dunque atto (legislativo) di approvazione degli atti amministrativi recepiti, e che, secondo la più autorevole prospettiva dottrinale dianzi illustrata (nonché della stessa giurisprudenza costituzionale richiamata, pressoché unanime, salvo gli isolati arresti delle sentenze nn. 225 e 226 dell’11 giugno 1999), “assorbe” i provvedimenti amministrativi (ovvero gli atti generali di organizzazione e pianificazione approvati con le citate deliberazioni), nell’esercizio di una discrezionalità legislativa rivolta ad una “compartecipazione alla decisione contenuta nell’atto approvato” (per usare la felice, chiarificante e insuperabile osservazione del Mortati).

Il fenomeno è, dunque, più complesso ed ampio di quello di una mera ratifica per via legislativa di atti viziati di incompetenza, anche perché con l’evidenziato assorbimento l’oggetto del medesimo (ovvero l’organizzazione della rete distrettuale ed ospedaliera come strutturata dalle deliberazioni giuntali) assume una forza giuridica superiore a quella propria e tipica degli atti provvedimentali assorbiti, che come tali risultano insuscettibili di successive modifiche ad opera di atti che non rivestano la medesima forza giuridica, o che, in altri e più chiari termini, non assumano del pari la forma della legge regionale.

In altri termini non si è in presenza di mera “riappropriazione” di competenza, perché la “condivisione” o “compartecipazione” all’assetto organizzativo contenuto negli atti provvedimentali approvati, nello stabilizzare contenuto ed effetto di questi ultimi con una forza giuridica superiore a quella propria del regime del provvedimento amministrativo, e corrispondente al regime tipico dell’atto legislativo, ne muta natura ed efficacia, rendendoli insensibili a successive modifiche che non assumano la medesima forma e forza giuridica, ovvero che non siano del pari adottate con atto legislativo.

2.2) Alla stregua delle osservazioni che precedono, risulta dunque pienamente fondata l’assorbente eccezione pregiudiziale spiegata dalla Regione Puglia ed incentrata sulla improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse all’annullamento dei provvedimenti impugnati.

E’ evidente, infatti, che anche una sentenza costitutiva di annullamento, da parte del Giudice amministrativo, degli atti gravati non potrebbe dispiegare alcun effetto concreto “demolitorio” in ordine agli effetti, stabilizzati a livello legislativo, riconnessi all’approvazione con legge regionale dei medesimi atti, rispetto alla quale è soltanto ipotizzabile un sindacato di legittimità costituzionale, se ed in quanto sussistano profili di irragionevolezza anche riconducibili ai vizi degli atti amministrativi approvati: profili che allo stato, ed ad una sommaria disamina, quale consentita dalla natura e dai limiti del sindacato del giudice a quo sul profilo della non manifesta infondatezza, non appaiono di consistenza tale da consentire una diretta rimessione ex officio della questione al giudice delle leggi, tenuto conto che, in funzione della rilevanza degli interessi pubblici perseguiti e della loro inerenza ad un complesso processo di riordinamento del sistema ospedaliero, ispirato a finalità di razionalizzazione, in termini di maggiore efficienza, eliminazione di sprechi e contenimento della spesa pubblica, non appaiono ictu oculi manifestazione di irrazionale esercizio di discrezionalità legislativa.

3.) In conclusione, e salvi i profili di fondatezza delle altre eccezioni pregiudiziali e di infondatezza del ricorso, nei limiti e per come esaminati supra, il ricorso in epigrafe risulta improcedibile per sopravvenuta carenza d’interesse all’annullamento dei provvedimenti impugnati.

4.) L’assoluta novità delle questioni esegetiche affrontate, e la loro relativa opinabilità, giustificano l’integrale compensazione, tra le parti costituite, delle spese ed onorari del giudizio, mentre non vi è luogo a provvedere in ordine alle spese della parte privata intimata non costituita.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia Sede di Bari – Sezione I, dichiara improcedibile il ricorso in epigrafe per sopravvenuta carenza d’interesse all’annullamento dei provvedimenti impugnati.

Spese compensate tra le parti costituite.

Nulla per le spese della parte privata intimata non costituita.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.

Così deciso in Bari nella Camera di Consiglio del 29 gennaio 2003, con l’intervento dei magistrati:

Gennaro           FERRARI                   Presidente                   

Amedeo           URBANO                   Componente

Leonardo         SPAGNOLETTI         Componente est.

Depositata in Segreteria il 5 marzo 2003.

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