TAR PUGLIA - BARI, SEZ. II - Sentenza 7 febbraio 2003 n. 634 - Pres. Perrelli, Est. Mangialardi - Puglia Fruit S.n.c. (avv.ti F. Marzovilla e F. Moscatello) c. Comune di Rutigliano (avv. G. Campanella) e Regione Puglia (n.c.) - (respinge)
1. Edilizia e urbanistica - Abusi edilizi - Sanzioni - Comunicazione avvio del procedimento - Nel caso di acquisizione di conoscenza del procedimento conseguita aliunde - Non occorre.
2. Edilizia e urbanistica - Concessione edilizia - Necessità - Per opere in alveo di lama assoggettate a vincolo di inedificabilità - Sussiste.
3. Edilizia e urbanistica - Abusi edilizi - Ordinanza di demolizione - Omessa indicazione puntuale confini e area di sedime - Efficacia invalidante - Esclusione.
4. Ambiente - Regione Puglia - Art. 1 della l. reg. 11 maggio 1990, n. 30 - Lame e gravine -Nozione.
5. Ambiente - Regione Puglia - Art. 51 della l. reg. 31 maggio 1980, n. 56 -Vincoli temporanei assoluti di inedificabilità sulle fasce prospicienti i torrenti - Si applicano anche alle lame.
1. L’omessa comunicazione dell’avvio del procedimento non vizia il provvedimento finale, in relazione alla irrogazione di misure sanzionatorie per abusi edilizi, nel caso in cui il destinatario dell’ordinanza di demolizione abbia comunque attinto aliunde conoscenza sufficiente della pendenza del procedimento, ad esempio mediante notifica di un verbale di accertamento recante contestazione dell’abuso ed ordinanza di sospensione dei lavori (1).
2. Le opere edilizie realizzate nell’alveo di una lama assoggettata a vincolo temporaneo assoluto di inedificabilità sono, in ogni caso, ed a prescindere dalla loro consistenza, soggette al regime della concessione edilizia e non a quello dell’autorizzazione edilizia.
3. Nell’ordinanza di demolizione non occorre la puntuale e specifica indicazione dei confini dell’area interessata e del suo sedime, posto che tali elementi costituiscono, invece, elementi necessari del successivo accertamento dell’inottemperanza e del provvedimento di acquisizione gratuita al patrimonio comunale.
4. Le lame e gravine, contemplate nella tutela predisposta dall’art. 1 della legge regionale pugliese 11 maggio 1990, n. 30, costituiscono entità geologiche tipiche della conformazione carsica del territorio pugliese, indicando in generale ogni alveo torrentizio interessato dalla presenza di acque di precipitazione meteorica; tra di esse non sussiste differenza di genere o di specie, sebbene soltanto di morfologia perché la gravina è un solco torrentizio con carattere di gola, con profilo a "V", mentre la lama è un alveo torrentizio poco profondo e quasi sempre asciutto, con profilo a "U"(2).
5. Poiché le lame e le gravine sono tipologicamente alvei torrentizi ad essi sono riferibili tanto il vincolo relativo di inedificabilità previsto dall’art. 82, comma 5 lett. c) del d.P.R. 16 luglio 1977, n. 616, come introdotto dall’art. 1 del decreto legge 27 giugno 1985, n. 312, convertito con modificazioni nella legge 8 agosto 1985, n. 431, quanto i vincoli temporanei assoluti di inedificabilità di cui all’art. 51 della legge regionale pugliese 31 maggio 1980, n. 56, nella parte in cui assoggettano a tutela i torrenti e le relative fasce "di rispetto" ivi individuate
--------------
(1) In senso conforme, cfr. Cons. Stato, Sez. V. 22 maggio 2001, n. 2823. Ritengono in ogni caso superflua la comunicazione di avvio nei procedimenti destinati a sfociare nell’adozione di atti vincolati, tra le tante, T.A.R., Toscana, Sez. III, 12 marzo 2002, n. 486 e T.A.R. Calabria, Catanzaro, 23 gennaio 2002, n. 77; in senso opposto vedi invece T.A.R. Liguria, Sez. I, 18 marzo 2002, n. 307.
(2) Sulla diversa natura ed efficacia dei vincoli di inedificabilità di cui all’art. 82 del d.P.R. n. 616 del 1977 e degli artt. 51 della l.r. n. 56 del 1980 e 1 della l.r. n. 30 del 1990, vedi T.A.R. Puglia, Bari, Sez. II, 26 ottobre 2000, n. 4223 e 15 marzo 1999, n. 111
Commento di
LEONARDO SPAGNOLETTI
(Consigliere TAR)
La morfologia dell’oggetto di tutela non incide sull’applicabilità ed efficacia dei vincoli paesistici statali e dei vincoli di salvaguardia regionali
La sentenza qui brevemente annotata chiude un "cerchio" col quale il giudice amministrativo pugliese ha escluso ogni vuoto di tutela per le categorie di beni contemplate dall’art. 1 della legge regionale 11 maggio 1990, n. 30 e dall’art. 51 della legge regionale 31 maggio 1980, n. 56.
La pronuncia sviluppa l’ordito argomentativo di due precedenti sentenze della stessa sezione (T.A.R. Puglia, Bari, Sez. II, 15 marzo 1999, n. 111 e 26 ottobre 2000, n. 4223, quest'ultima pubblicata nella presente Rivista), che nel loro complesso costituiscono un compiuto "sistema" giurisprudenziale.
Con la più risalente sentenza - emanata quando ancora erano presenti e pressanti gli echi di due ordinanze della Suprema Corte che, nel disporre il dissequestro dell’ormai arcinoto complesso edilizio di "Punta Perotti" (per il quale è poi intervenuta confisca in esito all’assoluzione degli imputati con formula "il fatto non costituisce reato"), aveva sostenuto l’abrogazione per incompatibilità dei vincoli (assoluti ma temporanei) di inedificabilità previsti dall’art. 51 della legge regionale n. 56 del 1980 ad opera dell’art. 82 del d.P.R. 16 luglio 1977, n. 616, come modificato dall’art. 1 della legge 8 agosto 1985, n. 431, di conversione del d.l. 27 giugno 1985, n. 312- erano stati puntualizzati i rapporti tra i vincoli relativi (ma non temporanei) di inedificabilità della legislazione statale, di natura squisitamente paesistica, e i vincoli assoluti ma temporanei di inedificabilità della legislazione regionale (come introdotti dal richiamato art. 51 della legge regionale n. 56 del 1980 e dal successivo art. 1 della legge regionale n. 30 del 1990).
In sintesi, quella sentenza contestava recisamente l’orientamento della Cassazione, ponendo in luce come tra le due categorie di vincoli sussistesse differenza di genere, gli uni (i vincoli statali) avendo efficacia relativa e natura esclusivamente paesistica, gli altri (i vincoli regionali) rivestendo efficacia assoluta, ancorché temporanea perché validi sino all’approvazione del piano urbanistico territoriale tematico (come stralcio "per temi" del piano urbanistico territoriale, in cui il legislatore pugliese aveva fatto confluire i contenuti e le finalità dei piani territoriali della legge urbanistica fondamentale ed i piani paesistici della legge n. 1497 del 1939), con natura urbanistica ed effetti solo indiretti di salvaguardia ambientale.
La seconda sentenza, nel riassumere e ribadire i principi affermati con la n. 111 del 1999, si occupava, più partitamente, del vincolo relativo alle gravine ed alle lame, segnalandosi per la recisa esclusione che l’efficacia del vincolo potesse essere subordinata all’emanazione di un previsto decreto del Presidente della giunta regionale inteso alla ricognizione di torrenti, corsi d’acqua, gravine o lame del territorio pugliese.
La recentissima sentenza qui annotata, infine, ha raccolto e riannodato le fila delle precedenti, con una chiarificazione essenziale in ordine all’assoluta omogeneità dei tre oggetti di tutela (torrenti, lame e gravine), che consente di ipotizzare la piena protezione delle lame sin dalla disposizione dell’art. 51 della legge n. 56 del 1980, che mentre contemplava le gravine non conteneva alcuno specifico riferimento alle lame, a differenza della legge n. 30 del 1990.
Il giudice amministrativo pugliese, scavando (è il caso di dire!) la questione sino al fondo, ha posto in luce che lame e gravine sono, in realtà, alvei torrentizi, formazioni geologiche tipiche della conformazione carsica del territorio pugliese, che non si differenziano per genere e specie sebbene solo per profili "formali", perché le lame sono fenditure poco profonde, dai fianchi più o meno larghi, il fondo delle quali è generalmente asciutto o percorso da acque di modesta portata, mentre le gravine sono spaccature ben più accentuate, con pareti abbastanza scoscese, al cui fondo si raccolgono in quantità più copiosa acque meteoriche o comunque percorse da torrenti di apprezzabile portata, almeno in taluni periodi dell’anno.
Si tratta di aspetti "visuali" che pure connotano in modo diverso il paesaggio (chi non ha avuto modo di ammirare la grande "gravina" che dai "sassi" materani si addentra sino all’omonima cittadina pugliese difficilmente può intendere il peculiare pregio paesistico-ambientale di queste formazioni geologiche), ma che rispecchiano esigenze omologhe di tutela, connesse anche alla salvaguardia del regime delle acque, oltre che alla preservazione di biotopi del tutto singolari (piante, uccelli, formazioni rocciose, insediamenti rupestri, etc.).
L’enucleazione dell’ubi consistam di tali formazioni, pur nella loro diversità morfologica, e cioè la indicazione che esse costituiscono anzitutto e pur sempre alvei torrentizi, consente al giudice amministrativo pugliese di escludere vuoti ancorché temporanei di tutela nella sequenza tra legislazione statale e legislazione regionale e nella successione tra l’art. 51 della legge regionale n. 56 del 1980 e l’art. 1 della legge regionale n. 30 del 1990.
Si tratta, quindi, di un importante contributo giurisprudenziale che elimina ogni residua incertezza e zona d’ombra sull’ambito della piena tutela apprestata dalle due fonti normative (statale e regionale) e, come anticipato, chiude il cerchio aperto con la sentenza n. 111 del 1999, formando assieme ad essa ed alla sentenza n. 4223 del 2000, un vero e proprio "sistema" giurisprudenziale.
(omissis)
per l'annullamento
del diniego di nulla osta paesaggistico espresso dalla Regione Puglia con determinazione del Dirigente del Settore Urbanistico regionale n. 328 del 26.10.1999 per interventi e trasformazione di immobili realizzati abusivamente in aree soggette alla disciplina di cui all’art. 7 l. n. 1497 del 1939, all’art. 82 del dpr n. 616/77, all’art. 31, l.r. n. 56 del 1980;
dell’ordinanza del Responsabile dell’Ufficio urbanistico del Comune di Rutigliano n. 21 del 10.3.1998 recante ingiunzione a demolire e ripristino stato dei luoghi;
di tutti gli atti presupposti e connessi ivi compresa l’ordinanza dirigenziale di sospensione lavori, i pareri espressi dal dirigente UTC e dalla c.e.c rispettivamente del 2.3.98 e 5.3.98, nonché le delibere –non conosciute- di G.R. nn. 52 e 3261 del 1998 e le note del Presidente della G.R. n. 01/007689/1-5 del 31.7.98 e n. 02/010628/SEG del 7.8.98.
(omissis)
FATTO
Con atto (n. 620/2000) notificato in data 10 ed 11 marzo 2000, la società ricorrente ha impugnato i provvedimenti in epigrafe.
Ha premesso di essere società leader in campo nazionale nel settore delle esportazioni di frutta, di essere proprietaria di complesso aziendale in agro di Rutigliano e che a seguito dell’espandersi della propria attività aveva dato corso ad opere edilizie in assenza di titolo abilitativo. Dette opere consistono: 1) in riempimento parziale di lama alluvionale esistente, con materiale inerte, di dimensioni mt. 44 x 42 x 4 di altezza e mt. 36 x 11 x 2 per realizzazione di piazzale di manovra per automezzi; 2) scarifica parziale del piazzale esistente con demolizione parziale di rampa di acceso all’opificio per mt. 7,40 x 18. Premette ancora che con ordinanza del 26.2.98 dal Comune venne disposta la sospensione dei lavori (peraltro già eseguiti) e successivamente (provvedimento del 10.3.98 n. 21) la ingiunzione di demolizione. A ciò ha fatto subito seguito da parte della soc. interessata istanza di concessione in sanatoria ex art. 13 legge n. 47/85, presentata in data 20.3.98 al Comune e poi trasmessa alla Regione per il parere di competenza ex art. 7 legge n. 1497/1939 e su cui la Regione si è espressa col provvedimento gravato disponendo per il ripristino totale dei luoghi.
A) Deduce quindi a carico del provvedimento regionale di diniego le seguenti censure:
1) Violazione art. 7 e seguenti legge n. 241/90. Non è stata data comunicazione dell’avvio del procedimento, pur a fronte di una precisa istanza in tal senso rivolta in data 20.1.99 e alla Regione ed al Comune.
2) Violazione art. 1 l.r. n. 30/90 e s.m.i. anche con riferimento alla disciplina normativa vigente in subiecta materia.
Le lame non risultano protette dalla normativa statale e regionale sino alle prescrizioni dettate dalla legge regionale in epigrafe. Orbene il vincolo correlato all’approvazione del PUTT diviene operante a seguito di individuazione delle gravine o lame oltre che dei torrenti e corsi d’acqua con apposito decreto del Presidente della G.R.; peraltro detto elenco -vedi lettera c) primo comma art. 1 legge regionale- non risulta mai emanato talchè il vincolo paesaggistico è allo stato non imposto, ovvero inoperante e/o inefficace. Comunque esso vincolo è sì assoluto, ma di natura temporanea il che al massimo avrebbe dovuto giustificare un provvedimento soprassessorio correlato all’approvazione del PUTT. Tra l’altro la l.r. n. 30/90 è decaduta siccome prorogata solo fino al 31.12.99.
3) Incompetenza in violazione degli artt. 1 e 2 l.r. 24.3.95 n. 8.
L’autorizzazione avrebbe dovuta essere rilasciata dal Sindaco, in virtù della legge in rubrica (sub delega ai Comuni), atteso anche che nella specie non si ravvisano opere edilizie permanenti.
4) Violazione della normativa di settore relativa al vincolo paesaggistico con riferimento all’art. 15 l. 1497/1939 e al d.m. 26.9.1997.
Nella specie andava applicata la sanzione della indennità risarcitoria, e comunque la sua disapplicazione doveva essere adeguatamente motivata.
5) Violazione l. n. 1497/1939, dpr. 616/77 (art. 82), l.r. n. 56/80, l.r. n.30/90 e decreto Ministero per i beni culturali ed ambientali 26.9.1997 anche con riferimento all’art. 3 l. n. 241/90.
6) Eccesso di potere sotto vari profili.
Il potere nella pronuncia sulle istanze di autorizzazione ex art. 7 legge 1497 è soggetto ad un preciso onere di adeguata motivazione, nella specie carente. Si usano da parte della amministrazione mere formule di stile anche per respingere il progetto di riassetto presentato dalla interessata. A riguardo la Regione avrebbe dovuto indicare prescrizioni ed accorgimenti tecnici che avrebbero potuto ricondurre l’intervento autorizzato nell’alveo di quelli regolarizzabili. V’è pure contraddittorietà atteso che da un lato si riferisce nell’atto gravato di tutela assoluta della lama e dall’altro si parla –quanto al proposto riassetto territoriale- di opere alquanto insufficienti per consentire l’effettivo recupero ambientale dei luoghi. Il dirigente poi recepisce acriticamente le risultanze istruttorie e condivide supinamente la proposta formulata dal competente ufficio.
B) Avverso l’ordinanza comunale di demolizione la ricorrente
deduce:
1) Violazione art. 7 legge 241/90 in quanto l’ordine di demolizione non è stato
preceduto dall’avviso dell’avvio del relativo procedimento.
2) Violazione, per omessa applicazione, dell’art. 10 legge n. 47/85 e, per erronea applicazione, dell’art. 7 stessa legge. 3) Eccesso di potere.
Vi è una erronea qualificazione delle opere realizzate nell’ambito del regime concessorio. L’operazione di riempimento con materiale inerte di un declivio deve ritenersi soggetta ad autorizzazione, e quindi, in assenza di autorizzazione, sanzionabile con pena pecuniaria.
4) Violazione art. 7 l.n.47/85 ed art. 41 l.r. n. 56/80.
Il Comune avrebbe dovuto individuare in modo preciso l’opera, l’area di sedime, e dunque la porzione di territorio suscettibile di transitare nel patrimonio dell’ente locale.
Si è costituito in giudizio il Comune che contro deducendo alle censure prospettate avverso i suoi atti e preliminarmente eccependone la tardività, ha concluso per il rigetto dell’avverso gravame.
In corso di causa parte ricorrente ha maggiormente puntualizzato le sue prospettazioni difensive.
DIRITTO
Come detto nella parte in fatto, in ricorso si prospettano, distintamente, censure avverso l’atto regionale di diniego di nulla osta paesaggistico ed avverso l’atto comunale di ingiunzione a demolire opere abusive.
A) Ritiene il Collegio di esaminare prioritariamente i motivi prodotti avverso il provvedimento comunale, che cronologicamente precede quello regionale. Detti motivi, e prescindendo dalla loro tempestività, non risultano fondati.
Sul primo (vizio procedimentale) ed a confutazione va brevemente osservato che la regola dell’avviso di avvio del procedimento non può essere applicata in modo acritico e formalistico; in tema di irrogazioni delle sanzioni per abusi edilizi, la giurisprudenza prevalente ha ritenuto non necessario l’avvio del procedimento avendo riguardo al carattere necessitato del provvedimento ripristinatorio adottato (cfr. TAR Toscana Sez. III, 12 marzo 2002, n. 486; TAR Catanzaro, 23 gennaio 2002, n. 77).
A riguardo ritiene questo Collegio, prendendo atto che il principio giurisprudenziale di cui innanzi non viene pienamente condiviso (vedi TAR Liguria, sez. I, 18 marzo 2002, n. 307), che bisogna circostanziare la questione, vedere cioè se l’interessato abbia acquisito aliunde la conoscenza del procedimento (vedi ordine di sospensione), conoscenza che gli consentiva la prospettazione di fatti ed interpretazioni. Nella specie all’interessato era stato notificato previamente verbale di accertamento recante contestazione dell’abuso ed ordinanza di sospensione lavori del 26.2.98, atti questi da ritenersi equipollenti all’avviso dell’avvio del procedimento (cfr. CdS Sez. V, 22.5.2001, n. 2823).
Passando all’esame del 2^ e 3^ motivo, in cui si deduce dalla parte che le opere sarebbero soggette al regime autorizzatorio e non già concessorio e si lamenta la mancata applicazione dell’art. 10 legge n. 47/85 (sanzione pecuniaria e non demolitoria), osserva brevemente il Collegio che le opere di che trattasi (riempimento di parte di una lama per realizzazione di parcheggio, scarifica di piazzale e demolizione di rampa d’accesso esistenti) sono state eseguite su area assoggettata a vincolo di inedificabilità (appunto la Lama Giotta in agro di Rutigliano, e di ciò si dirà maggiormente in prosieguo). Nelle zone vincolate le opere a farsi devono avere a presupposto specifica concessione (e non autorizzazione) e comunque osserva il Collegio, in materia dotato di giurisdizione esclusiva, che si imponeva la demolizione ex art.4 -2^ comma-legge 47/85.
Sul 4^ motivo, ed a confutazione, va detto che la mancata indicazione di precisi confini ovvero dell’area di sedime non costituisce causa di illegittimità dell’ingiunzione a demolire; esse indicazioni più propriamente si appartengono al successivo atto di accertamento dell’inottemperanza e di acquisizione gratuita al patrimonio comunale.
B) Passando all’esame delle censure prodotte avverso l’atto dirigenziale regionale, osserva il Collegio, distintamente per i vari motivi, quanto segue.
Sul primo motivo il sollevato vizio procedimentale non pare sussistente. Il dirigente regionale si è pronunciato sulla richiesta di concessione in sanatoria ex art. 13 legge n. 47 avanzata da parte ricorrente per le opere sanzionate e trasmessa dal Comune alla Regione (vedi art. 33 legge n. 47/85) siccome interessante area sottoposta a vincolo. Nello stesso provvedimento si dà anche atto che la parte interessata con nota del 3 aprile 1996 aveva chiesto direttamente all’assessorato regionale all’urbanistica l’autorizzazione paesaggistica ex art. 31 legge regionale n. 56/80 per opere consistenti in recinzione, con muri in c.a. rivestiti di pietra, di fondo di proprietà ricadente all’interno della lama Giotta.
Orbene per giurisprudenza da ritenersi consolidata, nei procedimenti ad istanza di parte non si fa luogo all’applicazione dell’art. 7 legge 241 (ex multis TAR Lazio, Sez. II, 20 aprile 2002; CdS, Sez. V, 22 maggio 2001, n. 2823) in quanto l’interessato è evidentemente a conoscenza del procedimento avviato da lui stesso ed in tal caso l’avviso dell’avvio sarebbe una mera duplicazione di formalità.
Quanto al secondo motivo, ritiene il Collegio di premettere che i termini "lama o gravina" (la legge regionale n. 30/90 accomuna le due parole -cfr. art. 1, comma 1 lett. c) sono termini regionali pugliesi che indicano alveo torrentizio interessato da acque di precipitazione meteorica. Più in particolare in geologia, rimarcandosi la tipicità del fenomeno legato al suolo carsico della Puglia, si definisce lama l’alveo torrentizio poco profondo e quasi sempre asciutto, nel mentre per gravina il solco torrentizio con carattere di gola (cfr. in letteratura scientifica Fulvio e Titti Zezza -Il carsismo in Puglia- Ed. Adda –Dic. 1999); altri ancora distinguono la lama dalla gravina in relazione al rispettivo profilo trasversale (nella prima ad U, nella seconda a V).
Stante comunque la definizione di lama e/o gravina quale alveo torrentizio, non pare esatto quanto affermato da parte ricorrente nel preambolo del motivo, e cioè che "le lame" non risulterebbero protette vuoi dalla normativa statale, vuoi da quella regionale e ciò sino alla L.R. n. 30/90. Ed invero stante la definizione di lama e/o gravina quale alveo torrentizio tipico del paesaggio pugliese, non si ravvisano difficoltà interpretative per ricomprendere detti aspetti del territorio –e quali species- nell’ambito della categoria "torrenti", sottoposta al vincolo paesaggistico giusta disposizione di cui all’art. 82, comma 5 lett. c) dpr n. 616/77, così come introdotta dall’art. 1 d.l. 27 giugno 1985 n. 312, convertito con l. 8 agosto n. 431: vincolo che -come è noto- è a carattere non temporaneo ma relativo, siccome rimovibile nell’esercizio dei poteri di cui all’art. 7 della legge n. 1497/1939. Sotto il profilo della legislazione regionale, poi, le gravine (e si è già detto di una possibile considerazione univoca con le lame, quale espressione di tipico fenomeno carsico) erano già tutelate con vincolo di inedificabilità dall’art. 51, lettera h, della l.r. n. 56/80 dettata in tema di tutela ed uso del territorio.
Comunque, e successivamente, con l.r. n. 30/90 la Regione Puglia, e nell’ambito della sua potestà legislativa concorrente, ha provveduto a tutelare quali aree di particolare interesse ambientale paesaggistico "le gravine o lame", talchè al momento dell’atto gravato, 26.ott.1999, è indubbio che il vincolo fosse sussistente. Infatti l’efficacia temporale dei vincoli ex art. 1 legge regionale in questione era stata connessa, a fini acceleratori del perfezionamento dell’approvazione del PUTT, a termine temporale più volte prorogato e da ultimo, per quanto qui interessa, dall’art. 12 della l.r. n. 17 sino al 31.12.99 e quindi con l’art. 43 della l.r. 12 aprile 2000 n. 9 sino al 31.12.2000.
Parte ricorrente afferma ora che il vincolo in questione non sarebbe operante o comunque efficace siccome carente il decreto del Presidente della G.R. che avrebbe dovuto individuare le lame o gravine <2^ inciso lettera c) art. 1 l.r. n. 30>. La censura è destituita di fondamento. Ed infatti il vincolo opera immediatamente, salva la sua rimozione ad opera delle regioni mediante redazione e pubblicazione dell’elenco. Diversamente opinando verrebbe ad essere vanificata la sua effettività, siccome rimessa all’adozione di un provvedimento amministrativo generale assoggettato a termine ordinatorio ed in difetto di ogni meccanismo sostitutivo atto a garantire l’esercizio del potere di individuazione. Va altresì aggiunto –come già espresso da questa Sezione (vedi sent. n. 4223/2000) – che l’art. 1 della l.r. n. 30/90, si ispira al modello di cui all’art. 82 dpr 616/77 e cioè introduzione di vincoli di inedificabilità per ampie categorie di beni, per cui deve dubitarsi che la successiva specificazione delle lame o gravine assuma il significato di condicio iuris di efficacia del vincolo. In conclusione nel sistema scaturente e dalla legge statale n. 431/85 e dalla legge regionale n. 30/90 il vincolo di inedificabilità costituisce una misura cautelare strumentalmente preordinata a garantire in via interinale un’adeguata protezione alle categorie di beni riconosciuti di interesse paesaggistico; sarebbe contrario alla finalità della normativa ritenere che la inerzia di organi regionali (ed il termine di 120 gg. giorni è pacificamente ordinatario) faccia perdere automaticamente a porzioni di territorio regionale la difesa cautelare.
Quanto alla parte finale della censura, e cioè che al più l’amministrazione avrebbe dovuto disporre per una misura soprassessoria, osserva il Collegio che la tesi potrebbe avere ingresso nel caso ci si trovasse di fronte ad una richiesta di nulla osta per opere da eseguirsi, e non già –come nella specie- di già effettuato intervento di modifica di una lama.
Sul terzo motivo, osserva brevemente il Collegio che le opere abusive realizzate, ed in narrativa più volte descritte, non rientrano in nessuno dei casi nominativamente indicati dalla lettera a) alla lettera o) dell’art. 1 della legge regionale n. 8/95 e per cui è prevista la sub delega ai Comuni per il rilascio delle autorizzazioni in zone soggette a vincolo paesaggistico.
Anche il quarto motivo non ha consistenza. Infatti il potere di ordinare la demolizione delle opere ovvero di applicare la sanzione pecuniaria (art. 15 legge n. 1497/1939) trova la sua causa giustificativa nella protezione delle bellezze naturali che può conseguirsi in pieno solo attraverso la rimozione di quanto costituisca turbativa al loro godimento, ossia attraverso la restituito in pristinum rispetto alla quale la minore sanzione della penale economica riveste carattere del tutto accessorio ed eccezionale ed è pertanto applicabile solo quando la lesione sia di limitata entità. Pertanto poiché la demolizione è la sanzione ordinaria, per la sua applicazione è sufficiente la constatazione della mancanza di autorizzazione e la esistenza di contrasto tra opera abusiva e le caratteristiche della zona protetta. Nella specie, come si è detto, si è realizzato un parziale riempimento della Lama Giotta per mt. 44 x 42 per un’ altezza di mt. 4 e per mt. 36 x 11 per una altezza media di m.2 (il tutto per un parcheggio automezzi) per cui giustamente si parla nel provvedimento regionale di sostanziale modificazione dell’originario assetto geologico e notevole pregiudizio alla conservazione dei valori paesistico- ambientali del sito, con conseguente applicazione della sanzione demolitoria, legittima in virtù del principio dianzi accennato.
In ordine agli ultimi motivi di ricorso (5^ e 6^), gli stessi sono essenzialmente incentrati su un presunto difetto di motivazione. Detto difetto non sussiste. Nel provvedimento regionale, descrivendosi la entità delle opere, più volte si rimarca che le stesse hanno comportato un parziale riempimento della Lama Giotto e per realizzarvi un parcheggio, motivandosi sulla loro negatività per il "notevole pregiudizio alla conservazione dei valori paesistico-ambientale del sito", per "l’alterazione significativa dell’originario assetto geomorfologico e paesaggistico dei luoghi". Non vedasi cos’altro si poteva aggiungere risultando il notevole danno paesaggistico in re ipsa, per il fatto cioè che un bene naturale del territorio pugliese, espressamente tutelato paesaggisticamente, veniva ad essere riempito (proprio al suo interno, cioè) con modificazione, quindi, non già della fascia di 200 mt. dal ciglio, ma proprio dello stesso alveo. Va aggiunto che il progetto esibito in uno con la istanza di sanatoria è stato disatteso siccome le relative opere "…prevedono un parziale mantenimento del riempimento all’interno della lama, …." e quindi la motivazione sussiste anche quanto all’elaborato in questione.
Da ultimo non ha pregio la censura che il dirigente regionale avrebbe acriticamente recepito le risultanze istruttorie. Basta osservare a riguardo che il dirigente ha condiviso le risultanze istruttorie puntualmente riportate nell’atto in questione. Un obbligo di motivazione sarebbe stato ravvisabile qualora nel suo provvedere il dirigente fosse andato di contrario avviso, ma non già quando, come nella specie, ha condiviso e quindi fatto proprie esse risultanze.
In conclusione il ricorso va respinto. Quanto alle spese di giudizio, non si ha luogo a provvedere in riferimento a quelle inerenti il rapporto processuale con la Regione, non essendosi questa costituita in giudizio; quelle invece inerenti l’intimato e costituito Comune, si liquidano come da dispositivo e secondo la regola della soccombenza.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia - sede di Bari Sez. II, respinge il ricorso in epigrafe. Le spese di giudizio, stante la costituzione in giudizio del solo Comune, si liquidano in euro 1.500,00
(millecinquecento/00) a favore di esso Comune di Rutigliano ed a carico della società ricorrente, per ciò condannata.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dalla Autorità amministrativa.
Così deciso in Bari, nella camera di consiglio del 3 ottobre 2002, con l'intervento dei Magistrati
Dott. Michele Perrelli - Presidente
Dott. Vito Mangialardi - Componente Est.
Dott. Doris Durante - Componente
Depositata in segreteria in data 7 febbraio 2003.