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TAR PUGLIA-BARI, SEZ. I - Sentenza 18 novembre 2002 n. 4973 - Pres. Ferrari, Est. Spagnoletti – Iannaccone (Avv. Giordano) c. Ministero dell’Economia e delle Finanze e Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria (Avv.ra Stato) – (rigetta)

1. Pubblico impiego - Magistrati - Componenti della commissioni tributarie - Incompatibilità - Ex art. 8 del d.lgs. n. 545/1002 – Per esercizio in qualsiasi forma di consulenza tributaria – Tenuta di scritture contabili – Prima della novella di cui all’art. 84 legge n. 342/2000 – Non sussiste – Ratio.

2. Pubblico impiego – Magistrati – Componenti della commissioni tributarie – Incompatibilità – Ex art. 8 del d.lgs. n. 545/1002 – Per esercizio in qualsiasi forma di consulenza tributaria - Contitolarità di studio associato di consulenza tributaria - Sussiste - Ratio.

1. Soltanto con la novella all’art. 8 comma primo lett. i) del d.lgs. n, 545 del 1992, introdotta dall’art. 84 della legge 21 novembre 2000, n. 342, il legislatore, a decorrere dal 1° ottobre 2001, ha qualificato come incompatibile con l’ufficio di giudice tributario l’esercizio anche “in modo saltuario o accessorio ad altra prestazione” della consulenza tributaria, ampliando la sfera delle attività consulenziali sino a ricomprendervi quelle attività che, pur caratterizzate da ricognizione classificatoria di dati in vista di attività pratiche di rilevanza fiscale (tenuta libri contabili, compilazione delle dichiarazioni fiscali), implichino attività di studio e consulenza, quantomeno nel senso della scelta di percorsi applicativi della normativa fiscale più favorevoli al contribuente; poiché la novella ha carattere innovativo e non costituisce norma di interpretazione autentica la mera tenuta di libri contabili o la compilazione di dichiarazioni fiscali in epoca precedente al 1° gennaio 2001 non integra quindi la causa di incompatibilità (1).

2. L’art. 8 comma primo lett. i) del d.lgs. n, 545 del 1992 stabilisce che l’esercizio della consulenza tributaria “in qualsiasi forma” rappresenta causa di incompatibilità con l’ufficio di giudice tributario: l’ampiezza della previsione normativa, connessa all’evidente ratio legis di evitare qualsiasi conflitto o tensione, anche solo potenziale, tra la sfera dell’interesse professionale e quella dell’esercizio della funzione giurisdizionale, implica -soprattutto in funzione della più efficace tutela dell’interesse pubblico sotteso all’incompatibilità, attinente alla salvaguardia della sostanza e dell’immagine di indipendenza e terzietà del titolare di un ufficio giurisdizionale, ora vieppiù esaltato dal recepimento del valore dell’imparzialità nel precetto costituzionale sul giusto processo (art. 111 Cost., come introdotto con la legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2)- che assumano rilievo e determinino incompatibilità situazioni soggettive che, seppure non connotate dall’esercizio formale diretto dell’attività professionale di consulenza, nondimeno si caratterizzino per un collegamento ad attività altrui che ricevano rilievo e qualificazione, nella percezione della clientela dello studio, proprio dalla particolare condizione del professionista associato investito dell’incarico giurisdizionale (nella specie si trattava di studio associato nel quale era prevista, dall’accordo tra i professionisti associati. La spendita del nome dello studio, comprensivo anche di quello del giudice tributario, un diretto contatto tra ciascuno dei professionisti associati con la clientela in funzione dell’attività di studio complessivamente considerata, a prescindere dalla imputazione formale dell’attività di consulenza, l’assunzione dell’incarico professionale da parte della società tra professionisti, e quindi la sua riferibilità nella percezione della clientela anche al professionista investito dell’ufficio di giudice tributario) (2).

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(1) La giurisprudenza amministrativa, sul punto, è divisa: nel senso che attività di natura pratico-applicativa, quali la tenuta di scritture contabili o la compilazione di dichiarazioni reddituali, non rientrino nella nozione di consulenza, cui sarebbe coessenziale l’oggetto diretto dell’espressione di consigli o pareri, vedi T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. III, 7 gennaio 2003, n. 1; T.A.R. Puglia, Bari, Sez. I, 4 ottobre 2000, n. 3887; T.A.R. Abruzzo, L’Aquila, 3 maggio 2001, n. 338; T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. III, 29 giugno 2000, n. 4652; T.A.R. Friuli Venezia Giulia, 12 giugno 2000, n. 508; T.A.R. Veneto, 26 gennaio 2000, n. 212 e 15 maggio 1999, n. 655; ritiene invece che la mera compilazione di dichiarazioni fiscali implichi attività di studio e consulenza, ed integri quindi l’incompatibilità, si è espresso, Cons. Stato, Sez. IV, 8 maggio 2001, n. 2712.

(2) La prevalente giurisprudenza amministrativa considera attività incompatibile con l’ufficio di giudice tributario la titolarità di studio professionale associato di consulenza tributaria, da considerare imputabile al professionista anche quando questi si astenga formalmente dalla consulenza fiscale: cfr. T.A.R. Marche, 2 ottobre 2001, n. 1123; T.A.R. Abruzzo, L’Aquila, 3 maggio 2001, n. 338; T.A.R. Friuli Venezia Giulia, Trieste, 26 febbraio 2001, n. 74; in effetti anche le pronunce che negano la sussistenza della causa di incompatibilità quando non sia comprovata una diretta e personale riferibilità dell’attività consulenziale al professionista investito dell’incarico di giudice tributario (cfr. T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. III, 29 giugno 2000, n. 4652) richiedono che l’estraneità alla gestione delle attività di studio attinenti alla consulenza sia affatto certa (T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. III, 3 ottobre 2000, n. 5798)

Nel caso all’esame del giudice amministrativo pugliese la decadenza per incompatibilità era stata disposta con deliberazione del Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria e successivo decreto del Ministro delle Finanze (ora dell’Economia e delle Finanze) in riferimento ad una duplice situazione: la tenuta a cura dell’interessato di scritture contabili negli anni dal 1994 al 1997 e la compartecipazione (maggioritaria, in misura pari al 60%) in studio associato di consulenza tributario.

Il TAR Puglia, richiamati gli orientamenti giurisprudenziali formatisi sulle due diverse situazioni, ha ritenuto che “la tenuta di scritture contabili da parte del ricorrente negli anni 1994, 1995, 1996 e 1997, antecedenti alla data del 1° ottobre 2001 o addirittura alla nomina quale componente della commissione tributaria regionale, (non) possa inverare la causa d’incompatibilità di cui all’art. 8 comma primo lett. i) del d.lgs. n. 545 del 1992”, perché soltanto con la novella all’art. 8 comma primo lett. i) del d.lgs. n, 545 del 1992 introdotta dall’art. 84 della legge 21 novembre 2000, n. 342, “…il legislatore, consapevole delle notevoli incertezze che avvolgevano l’ambito della nozione di “consulenza tributaria”, abbia inteso, con disposizione innovativa, applicabile testualmente solo dal 1° ottobre 2001, risolvere ogni dubbio esegetico, nel senso di estendere l’incompatibilità a quelle attività nelle quali la consulenza sia non già oggetto diretto sebbene momento interno, preparatorio e per dir così anche solo subliminale”, e ciò in relazione all’inciso che qualifica ora come incompatibile l’attività di consulenza “…in qualsiasi forma anche se in modo saltuario o accessorio ad altra prestazione”.

In base a tali rilievi argomentativi, il giudice amministrativo pugliese ha quindi escluso la legittimità della parte di motivazione degli atti impugnati riferita appunto alla tenuta delle scritture contabili.

Al contrario, il TAR Puglia ha ritenuto legittima, e sufficiente ex se a sorreggere la validità della disposta decadenza, l’altro punto di motivazione, relativo alla compartecipazione nello studio associato di consulenza tributaria.

Muovendo, infatti, dal rilievo che l’art. 8 comma primo lett. i) del d.lgs. n. 545/1992 preclude ai giudici tributari l’esercizio della consulenza tributaria “in qualsiasi forma”, la sentenza osserva che:

“L’ampiezza della previsione normativa, connessa all’evidente ratio legis di evitare qualsiasi conflitto o tensione, anche solo potenziale, tra la sfera dell’interesse professionale e quella dell’esercizio della funzione giurisdizionale, induce a considerare come, in funzione della più efficace tutela dell’interesse pubblico sotteso all’incompatibilità, attinente alla salvaguardia della sostanza e dell’immagine di indipendenza e terzietà del titolare di un ufficio giurisdizionale (nella specie tributario), ora vieppiù esaltata dal recepimento del valore dell’imparzialità nel precetto costituzionale sul giusto processo (art. 111 Cost., come introdotto con la legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2), assumano rilievo situazioni soggettive che, seppure non connotate dall’esercizio formale diretto dell’attività professionale di consulenza, nondimeno si caratterizzino per un collegamento ad attività altrui che ricevano rilievo e qualificazione, nella percezione della clientela dello studio, proprio dalla particolare condizione del professionista associato investito dell’incarico giurisdizionale”.

Dell’enunciato principio è stata fatta applicazione attraverso l’esame delle concrete modalità di svolgimento dell’attività dello studio associato, ponendo in evidenza come, nel caso di specie secondo gli accordi intervenuti tra i due professionisti associati (l’uno dei quali rivestiva l’incarico di giudice tributario):

- fosse prevista l’amministrazione e la rappresentanza disgiunta dello studio professionale da parte di entrambi i professionisti associati “…e quindi un diretto contatto tra ciascuno di essi e la clientela in funzione dell’attività di studio complessivamente considerata, a prescindere dalla imputazione formale dell’attività di consulenza”;

- l’assunzione dell’incarico professionale (e quindi anche di quello di consulenza) fosse imputata direttamente alla da parte tra professionisti, “…con riferibilità (della medesima) nella percezione della clientela anche al ricorrente”(art. 8);

- fosse stabilita la spendita del nome della società nello svolgimento dell’attività professionale anche consulenziale “…e quindi anche del nome del ricorrente…”;

- compensi e spese rivenienti dal complesso dell’attività, ivi compresa quella consulenziale, fossero direttamente imputati alla società tra professionisti “…e quindi per il suo tramite al ricorrente, che non risulta perciò in posizione di indifferenza, sebbene di cointeressenza economica all’attività consulenziale, tenuto anche conto della preminenza della sua posizione nella partecipazione alla società (indicata nel 60%) rispetto all’altro professionista, associato per il 40%”.

La sentenza aggiunge, in definitiva, un ulteriore tassello al variegato e per tanti aspetti incoerente “mosaico” della giurisprudenza amministrativa sul tema dell’incompatibilità tra consulenza tributaria e assunzione e mantenimento dell’ufficio di giudice tributario, segnalandosi per rigore forse eccessivo che trova però giustificazione e coerenza in una percezione dell’esigenza di garanzia dell’immagine (oltre che dell’effettività) del valore della terzietà del giudice ora espressamente consacrato dal novellato art. 111 Cost. e al quale altri settori della giurisdizione attendono pieno adeguamento.

 

V. in arg. da ult., in questo numero della Rivista, TAR LOMBARDIA-MILANO, SEZ. III – Sentenza 7 gennaio 2003*.

 

 

per l’annullamento

- del decreto del Ministro delle Finanze del 10 aprile 2000, asseritamente notificato il 17 giugno 2000, recante decadenza del ricorrente dalla carica di componente della commissione tributaria regionale della Puglia;

- di qualsivoglia atto antecedente, conseguente, presupposto e connesso, ancorché non conosciuto, ivi compresa la sottostante deliberazione del Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria del 13 gennaio 2000 (recte: 13 dicembre 1999, di conferma della deliberazione del 5 ottobre 1999, comunicata con nota n. 8658/CDP di prot. del 13 gennaio 2000)

(omissis)

F A T T O

Con ricorso notificato il 17 luglio 2000 e depositato in Segreteria il 3 agosto 2000, Ciro Iannacone ha impugnato i provvedimenti in epigrafe meglio indicati.

Giova premettere che:

- il ricorrente è stato nominato componente della commissione tributaria regionale della Puglia sin dall’insediamento della medesima;

- essendo risultato depositario di scritture contabili negli anni 1994, 1995, 1996 e 1997 (in numero, rispettivamente, di 51, 49, 52 e 51), con deliberazione del 27 ottobre 1998 il Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria ha disposto di avviare nei suoi confronti procedimento di decadenza per la causa di incompatibilità di cui all’art. 8 comma primo lettera i) del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 545, come sostituita dall’art. 31 della legge 27 dicembre 1997, n. 449, per aver svolto attività di consulenza tributaria;

- nell’audizione dinanzi al Consiglio di Presidenza, svoltasi il 5 ottobre 1999, lo Iannacone precisava di essere compartecipe di studio associato di consulenza tributaria in misura pari al 60%;

- con deliberazione assunta nella stessa seduta del 5 ottobre 1999, confermata con deliberazione del 13 dicembre 1999, il Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria ha disposto la decadenza del ricorrente dall’incarico di giudice della commissione tributaria regionale della Puglia sul rilievo che “…la denunciata contitolarità di studio associato comporta l’imputabilità al dott. Ciro IANNACONE dell’attività di consulenza tributaria dello studio, anche se svolta da altro professionista associato avvalendosi, comunque, i clienti della consulenza dello studio” e che “…tali attività integrano la causa di incompatibilità di cui all’art. 8, 1° comma, lett. i) del d.lgs. n. 542/1992 come modificato dall’art. 31 della legge 449/1997”;

- con decreto del Ministro delle Finanze in data 10 aprile 2000 è stata quindi formalizzata la decadenza dall’incarico.

Avverso le deliberazioni del Consiglio di Presidenza (comunicate con nota n. 8658/CDP di prot. del 13 gennaio 2000) ed il decreto ministeriale (trasmesso con plico pervenuto all’ufficio postale del comune di residenza il 17 maggio 2000, esibito dallo stesso ricorrente), lo Iannacone ha dedotto, con unico motivo complesso, le seguenti censure:

Violazione delle disposizioni in materia di incompatibilità dei giudici tributari. Eccesso di potere

L’incompatibilità sancita dall’art. 8 comma primo lettera i) del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 545, come sostituita dall’art. 31 della legge 27 dicembre 1997, n. 449 con norma innovativa insuscettibile di applicazione retroattiva, attiene soltanto ad attività di consulenza tributaria svolta in modo principale e diretto, e quindi non può ricomprendere quella di tipo “contrattualistico” svolta dal ricorrente in studio associato (consistente nella “…semplice compilazione di schede o di dichiarazioni o nella sola espressione di pareri in favore degli utenti…”) nel quale, a tenore dell’atto costitutivo dell’associazione tra professionisti, è del tutto separata l’attività di consulenza fiscale, esercitata esclusivamente dall’altro professionista associato.

Costituitesi in giudizio, le Autorità statali intimate, con memoria difensiva depositata il 21 ottobre 2002, hanno dedotto a loro volta l’infondatezza del ricorso sul rilievo che:

a) la tenuta di scritture contabili integra comunque sottostante attività consulenziale;

b) la titolarità di studio associato, nel quale viene svolta attività di consulenza tributaria, implica l’imputabilità di quest’ultima anche al ricorrente, essa pure essendo idonea a ledere l’immagine di terzietà del giudice tributario che la disposizione sull’incompatibilità mira a tutelare.

Con note d’udienza depositate il 25 ottobre 2002, il ricorrente ha ribadito e ulteriormente illustrati le censure svolte in ricorso.

All’udienza pubblica del 6 novembre 2002, il ricorso è stato discusso e riservato per la decisione.

D I R I T T O

1.) Il ricorso in epigrafe è infondato, e come tale deve essere rigettato, potendosi prescindere da profili, rilevabili ex officio, relativi alla dubbia tempestività del gravame in funzione della attendibile acquisizione di conoscenza del decreto ministeriale in epoca ben antecedente alla data del 17 giugno 2000, di asserita “notificazione” del provvedimento (di cui non è stata fornita prova alcuna) e prossima, invece, al 17 maggio 2000, data sotto la quale il plico contenente la copia dell’atto, esibito dallo stesso ricorrente, risulta pervenuto all’ufficio postale del comune di residenza (Sannicandro Garganico).

1.1) Com’è noto, l’art. 8 primo comma lettera i) del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 545 è stato oggetto di successive modifiche intese ad ampliare la sfera di incompatibilità da esso disciplinata, inizialmente riferita ai soli:

“…iscritti agli albi professionali degli avvocati, procuratori legali, notai, commercialisti, ragionieri e periti commerciali, o (agli) iscritti nei ruoli o elenchi istituiti presso le direzioni regionali delle entrate…che esercitano in qualsiasi forma l’assistenza e la rappresentanza dei contribuenti nei rapporti con l’Amministrazione finanziaria o nelle controversie di carattere tributario”.

La disposizione, in funzione della sua chiarezza, e salva la precisazione da parte del Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria (risoluzione del 18 marzo 1997) del rilievo dell’esercizio “…anche sporadico…” dell’attività di assistenza e/o rappresentanza, non poneva particolari problemi esegetici, poiché era sufficientemente precisato l’ambito delle nozioni di “assistenza” e “rappresentanza”, caratterizzate dallo svolgimento di un’attività giuridica nell’interesse del contribuente (assistenza) o addirittura in nome di questi (rappresentanza) e in virtù di specifico mandato professionale, in diretto contatto con gli uffici finanziari o con gli organi della giurisdizione tributaria.

Nell’ambito di un disegno inteso ad ampliare la sfera d’incompatibilità, in funzione della risoluzione di conflitti di interesse anche solo potenziali tra attività giurisdizionale e attività professionali, l’art. 39 comma secondo della legge 27 dicembre 1997, n. 449, ha poi sostituito la lettera i) del comma primo dell’art. 8.

Caduto il riferimento all’iscrizione agli albi, ruoli ed elenchi, l’incompatibilità è stata riferita a:

“coloro che esercitano in qualsiasi forma la consulenza tributaria ovvero l’assistenza o la rappresentanza dei contribuenti nei rapporti con l’amministrazione finanziaria o nelle controversie di carattere tributario”.

La nuova formulazione, a differenza di quella originaria, ha suscitato, per l’ampiezza e relativa indeterminatezza della nozione di “consulenza tributaria”, notevoli incertezze esegetiche.

Il Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria, con la risoluzione n. 3/98 dell’8 gennaio 1998, ha precisato che essa consiste, in disparte le attività di assistenza e rappresentanza, in “…prestazioni professionali che non implicano lo svolgimento di attività presso gli uffici fiscali, quali i pareri, la redazione di dichiarazioni tributarie, l’impostazione fiscale di bilanci di società ed attività analoghe” nonché “…altri servizi di diretta rilevanza fiscale a favore di uno o più contribuenti”, e quindi svolte con carattere di “abitualità”, salva la sola esclusione di consulenze occasionali e sporadiche.

La giurisprudenza amministrativa si è soffermata su due principali filoni di indagine esegetica:

a) se la tenuta di scritture contabili, la compilazione di dichiarazioni fiscali e le attività ad esse connesse rientrino nella nozione di consulenza professionale incompatibile;

b) se ai fini dell’esercizio della consulenza professionale “in qualsiasi forma” rilevi solo l’esercizio professionale diretto (sia pure coi caratteri della continuità e abitualità) oppure anche la titolarità di studio associato di consulenza tributaria.

1.1.a) Quanto al primo campo tematico, si è registrata una sostanziale divaricazione di orientamenti: da un lato si è recisamente negato che attività di natura pratico-applicativa, quali la tenuta di scritture contabili o la compilazione di dichiarazioni reddituali, rientrino nella nozione di consulenza, cui sarebbe coessenziale l’oggetto diretto dell’espressione di consigli o pareri (T.A.R. Abruzzo, L’Aquila, 3 maggio 2001, n. 338; T.A.R. Puglia, Bari, Sez. 1, 4 ottobre 2000, n. 3887; T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. III, 29 giugno 2000, n. 4652; T.A.R. Friuli Venezia Giulia, 12 giugno 2000, n. 508; T.A.R. Veneto, 26 gennaio 2000, n. 212 e 15 maggio 1999, n. 655); in senso opposto si è espresso, invece, il Consiglio di Stato, sul rilievo che anche la mera compilazione di dichiarazioni fiscali implichi attività di studio e consulenza (Cons. Stato, Sez. IV, 8 maggio 2001, n. 2712).

1.1.b) In ordine al secondo aspetto problematico, la giurisprudenza è del pari discorde, sebbene risulti prevalente l’orientamento volto a considerare come incompatibile la titolarità di studio professionale associato di consulenza tributaria.

In effetti, anche le pronunce che evidenziano l’esigenza di una diretta e personale riferibilità dell’attività consulenziale al professionista investito dell’incarico di giudice tributario, ai fini dell’avveramento della causa di incompatibilità, nell’enunciare il principio ammettono “…l’ipotizzabilità di diverse ipotesi” quando l’associazione tra professionisti non si risolva solo “…in una sorta di associazione…che consente… in via convenzionale ed interna, di ripartire gli utili e le spese della comune gestione dello studio…” (T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. III, 29 giugno 2000, n. 4652; alla certezza in ordine alla concreta riferibilità “…per il modo con cui sono gestiti i rapporti interni degli associati e divisi i compiti professionali in seno allo studio, delle prestazioni d’opera svolte…” in capo al professionista non investito dell’incarico di giudice tributario, si riferisce T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. III, 3 ottobre 2000, n. 5798).

L’orientamento giurisprudenziale prevalente (cfr. T.A.R. Marche, 2 ottobre 2001, n. 1123; T.A.R. Abruzzo, L’Aquila, 3 maggio 2001, n. 338; T.A.R. Friuli Venezia Giulia, Trieste, 26 febbraio 2001, n. 74) mette, invece, in luce come anche l’attività consulenziale svolta da studio associato possa considerarsi imputabile al professionista che pure formalmente si astenga dalla consulenza fiscale.

Deve infatti evidenziarsi che, in funzione dell’interesse pubblico tutelato dalla disposizione sull’incompatibilità, polarizzato non soltanto sulla sostanza sebbene anche sulla doverosa apparenza d’imparzialità richiesta a qualsiasi giudice e a quello tributario in specie, la contitolarità dello studio che svolge la consulenza fiscale lascia comunque apprezzare e supporre, in capo alla clientela dello studio, una qualche forma di cointeressenza e di riferibilità dell’attività consulenziale al professionista investito dell’incarico di giudice tributario, quando non costituisca, in certa misura, incentivo a rivolgersi proprio a quello studio professionale associato nella aspettativa (non importa se infondata e meramente congetturale) di potenziali benefici connessi alla presenza nello studio di quel professionista (tralasciando ipotesi estreme, di diretta ingerenza nel corso della gestione amministrativa o giurisdizionale degli affari fiscali della clientela da parte del giudice tributario “non togato”, quantomeno nel senso di una più approfondita conoscenza degli orientamenti degli uffici finanziari e degli organi della giurisdizione tributaria sulle singole questioni).

1.2) Nel caso di specie, gli atti gravati richiamano entrambe le supposte cause di incompatibilità (tenuta di scritture contabili; contitolarità di studio associato di consulenza tributaria), benché la motivazione della decadenza risulti polarizzata prevalentemente sulla seconda.

1.2.1) Orbene, quanto alla tenuta di scritture contabili, il Tribunale non può che confermare l’orientamento già espresso nella sentenza n. 3887 del 4 ottobre 2000, anche alla luce della novella all’art. 8 comma primo lett. i) del d.lgs. n, 545 del 1992 introdotta dall’art. 84 della legge 21 novembre 2000, n. 342.

Tale disposizione riferisce l’incompatibilità, infatti:

“ a decorrere dal 1° ottobre 2001, (a) coloro che in qualsiasi forma, anche se in modo saltuario o accessorio ad altra prestazione, esercitino la consulenza tributaria, ovvero l’assistenza o la rappresentanza di contribuenti nei rapporti con l’Amministrazione finanziaria o nelle controversie di carattere tributario”.

L’inciso evidenziato in grassetto corsivo, che costituisce il novum della disposizione, come modificata, amplia la sfera delle attività consulenziali, ricomprendendovi anche quelle saltuarie e, soprattutto, accessorie ad altre prestazioni, e quindi si presta ad assorbire nella sfera di operatività dell’incompatibilità proprio quelle attività che, pur caratterizzate da ricognizione classificatoria di dati in vista di attività pratiche di rilevanza fiscale (tenuta libri contabili, compilazione delle dichiarazioni), pure implichino attività di studio e consulenza, quantomeno nel senso della scelta di percorsi applicativi della normativa fiscale più favorevoli al contribuente.

Sembra evidente che il legislatore, consapevole delle notevoli incertezze che avvolgevano l’ambito della nozione di “consulenza tributaria”, abbia inteso, con disposizione innovativa, applicabile testualmente solo dal 1° ottobre 2001, risolvere ogni dubbio esegetico, nel senso di estendere l’incompatibilità a quelle attività nelle quali la consulenza sia non già oggetto diretto sebbene momento interno, preparatorio e per dir così anche solo subliminale.

Alla stregua dei rilievi che precedono, deve dunque recisamente escludersi che la tenuta di scritture contabili da parte del ricorrente negli anni 1994, 1995, 1996 e 1997, antecedenti alla data del 1° ottobre 2001 o addirittura alla nomina quale componente della commissione tributaria regionale, possa inverare la causa d’incompatibilità di cui all’art. 8 comma primo lett. i) del d.lgs. n. 545 del 1992.

1.2.2) A conclusioni diverse ed opposte deve, invece, pervenirsi quanto alla contitolarità di studio associato di consulenza (anche) tributaria, ritenendo il Tribunale di aderire, meditatamente, all’orientamento giurisprudenziale prevalente segnalato sub 1.1.b).

Infatti, come già rilevato, l’incompatibilità attiene all’esercizio della consulenza tributaria “…in qualsiasi forma”.

L’ampiezza della previsione normativa, connessa all’evidente ratio legis di evitare qualsiasi conflitto o tensione, anche solo potenziale, tra la sfera dell’interesse professionale e quella dell’esercizio della funzione giurisdizionale, induce a considerare come, in funzione della più efficace tutela dell’interesse pubblico sotteso all’incompatibilità, attinente alla salvaguardia della sostanza e dell’immagine di indipendenza e terzietà del titolare di un ufficio giurisdizionale (nella specie tributario), ora vieppiù esaltata dal recepimento del valore dell’imparzialità nel precetto costituzionale sul giusto processo (art. 111 Cost., come introdotto con la legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2), assumano rilievo situazioni soggettive che, seppure non connotate dall’esercizio formale diretto dell’attività professionale di consulenza, nondimeno si caratterizzino per un collegamento ad attività altrui che ricevano rilievo e qualificazione, nella percezione della clientela dello studio, proprio dalla particolare condizione del professionista associato investito dell’incarico giurisdizionale.

La fattispecie in esame è, al riguardo, paradigmatica se si riflette che proprio l’atto costitutivo della società tra professionisti, invocato dal ricorrente, stabilisce:

a) l’amministrazione e la rappresentanza disgiunta dello studio professionale da parte di entrambi i professionisti associati (art. 6); e quindi un diretto contatto tra ciascuno di essi e la clientela in funzione dell’attività di studio complessivamente considerata, a prescindere dalla imputazione formale dell’attività di consulenza;

b) l’assunzione dell’incarico professionale (e quindi anche di quello di consulenza) da parte della società tra professionisti, e quindi la sua riferibilità nella percezione della clientela anche al ricorrente (art. 8);

c) la spendita del nome della società nello svolgimento dell’attività professionale anche consulenziale (art. 8) e quindi anche del nome del ricorrente, con conseguenze analoghe a quelle evidenziate sub b);

d) la diretta imputazione di compensi e spese rivenienti dal complesso dell’attività, ivi compresa quella consulenziale, alla società tra professionisti (art. 10), e quindi per il suo tramite al ricorrente, che non risulta perciò in posizione di indifferenza, sebbene di cointeressenza economica all’attività consulenziale, tenuto anche conto della preminenza della sua posizione nella partecipazione alla società (indicata nel 60%) rispetto all’altro professionista, associato per il 40%.

2.) Alla stregua delle considerazioni che precedono, risulta pertanto del tutto corretta la motivazione posta a sostegno degli atti impugnati, per la parte, in se sufficiente a sorreggere la disposta decadenza, nella quale si pone in rilievo che “…la denunciata contitolarità di studio associato comporta l’imputabilità al dott. Ciro IANNACONE dell’attività di consulenza tributaria dello studio, anche se svolta da altro professionista associato avvalendosi, comunque, i clienti della consulenza dello studio”.

 3.) In conclusione, il ricorso in epigrafe deve essere rigettato.

4.) In relazione ai segnalati contrasti giurisprudenziali, sussistono nondimeno giuste ragioni per dichiarare interamente compensate tra le parti le spese ed onorari del giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia Sede di Bari – Sezione I, rigetta il ricorso in epigrafe n. 1748 del 2000 e dichiara compensate per intero, tra le parti, le spese ed onorari del giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.

Così deciso in Bari nella Camera di Consiglio del 6 novembre 2002, con l’intervento dei magistrati:

Gennaro           FERRARI                    Presidente                   

Leonardo          SPAGNOLETTI          Componente Est.         

Fabio                MATTEI                     Componente

Pubblicata mediante deposito in Segreteria il 18 novembre 2002

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