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n. 4-2003 - © copyright.

TAR PUGLIA - BARI, SEZ. II - Sentenza 7 aprile 2003 n. 1608 - Pres. Morea, Est. Rotondo - Cala Corvino s.r.l. (Avv. Troccoli e Belviso) c. Ministero per i Beni Culturali e Ambientali (Avv.ra Stato) e Comune di Monopoli (Avv. Gagliardi La Gala) - (respinge).

1. Giustizia amministrativa - Risarcimento dei danni - Derivanti da lesione di interessi legittimi - A seguito di annullamento in s.g. di provvedimento di sospensione di lavori edili e ripristino dello stato dei luoghi - Nel caso in cui il detto provvedimento sia stato a suo tempo sospeso in sede cautelare - Domanda di risarcimento - Non può essere accolta.

2. Giustizia amministrativa - Risarcimento dei danni - Derivanti da lesione di interessi legittimi - In relazione a provvedimento di diniego di concessione edilizia in variante - Non sottoposto a gravame e divenuto inoppugnabile - Domanda di risarcimento - Non può essere accolta.

3. Giustizia amministrativa - Risarcimento dei danni - Derivanti da lesione di interessi legittimi - A seguito dell’annullamento in s.g. del provvedimento lesivo - Domanda avanzata da soggetto diverso dal danneggiato - Ammissibilità.

4. Giustizia amministrativa - Risarcimento dei danni - Derivanti da lesione di interessi legittimi - Prescrizione quinquennale ex art. 2947 c.c. - Termine - Decorrenza - Dies a quo - Coincide con il momento del deposito della sentenza di definitivo annullamento del provvedimento impugnato.

5. Giustizia amministrativa - Risarcimento dei danni - Derivanti da lesione di interessi legittimi - Prescrizione quinquennale ex art. 2947 c.c. - Nel caso in cui sia decorso un lasso di tempo maggiore di cinque anni dal diniego, ovvero dalla data, successiva, di rilascio della concessione edilizia - Si configura.

1. Va respinta la domanda di risarcimento del danno avanzata nei confronti della P.A. a seguito dell’adozione di un provvedimento di sospensione di lavori edilizi, nel caso in cui tale provvedimento sia stato tempestivamente impugnato in sede giurisdizionale, con accoglimento della domanda cautelare ed il destinatario, nonostante sia stata accolta la domanda incidentale di sospensione dell’atto gravato, e nonostante la conseguente riespansione della forza giuridica dell’atto di assenso edificatorio, abbia spontaneamente deciso di non proseguire l’attività edilizia prima iniziata, sino al definitivo annullamento dell’atto impugnato.

2. Non può essere accolta una domanda di risarcimento del danno avanzata contro la P.A. a seguito dell’adozione di un provvedimento di diniego di concessione edilizia in variante, nel caso in cui il provvedimento amministrativo negativo non sia stato impugnato in s.g., e, pertanto, si sia consolidato per essere divenuto inoppugnabile.

3. E’ ammissibile la domanda di risarcimento del danno ingiusto avanzata in conseguenza dell’annullamento, in sede giurisdizionale, di un provvedimento amministrativo illegittimo, nel caso in cui il danneggiato istante - che ha azionato la pretesa risarcitoria - sia soggetto diverso dal ricorrente che ha promosso l’originario giudizio amministrativo finalizzato all’annullamento del provvedimento stesso.

4. Il termine di prescrizione quinquennale, previsto dall’art. 2947 c.c., entro cui deve essere utilmente proposta l’azione di risarcimento del danno derivante da lesione di interessi legittimi, conseguente all’annullamento di un provvedimento amministrativo impugnato con ricorso giurisdizionale, comincia a decorrere dal giorno successivo a quello del deposito della sentenza di definitivo annullamento dell’atto amministrativo sottoposto a gravame; ne consegue che non può ritenersi estinto per prescrizione il diritto al risarcimento del danno, nel caso in cui la relativa azione sia stata proposta quando non sia ancora maturato il suddetto termine quinquennale dal deposito in segreteria del provvedimento giurisdizionale di definitivo annullamento.

5. Deve ritenersi estinto per intervenuta prescrizione ex art. 2947 c.c., il diritto al risarcimento del danno derivante da lesione di interessi legittimi, nel caso in cui il lasso di tempo trascorso dalla data del rifiuto dell’atto di assenso edificatorio in variante, ovvero dalla data, successiva, di rilascio della concessione edilizia, sia superiore a cinque anni; termine entro cui il creditore avrebbe dovuto far valere il proprio diritto.

 

 

Commento di

OTTAVIO CARPARELLI

In armonia con la decisione dell’A. P. (1), che, come noto, circa quindici giorni or sono si è pronunciata - sembra definitivamente - sulla c.d. "pregiudiziale amministrativa", il T.A.R. Puglia - Bari, con la decisione in rassegna, torna sulla medesima questione, offrendo, nel percorso motivazionale posto a base della sentenza, una chiara sintesi delle ragioni militanti a favore della necessità del previo e/o contestuale annullamento dell’atto amministrativo ritenuto lesivo, rispetto alla proposizione dell’azione giudiziaria mirata all’accertamento della pretesa risarcitoria e, quindi, alla condanna della P.A. al risarcimento del danno derivante da lesione di interessi legittimi.

Si ritiene opportuno evidenziare, soltanto, la singolarità ovvero la novità della questione che - ad avviso di chi scrive - è ravvisabile, sempre nell’ambito della più ampia questione della c.d. "pregiudiziale amministrativa", nella fattispecie sindacata dai Giudici amministrativi baresi.

Detta singolarità è determinata dal fatto che in corso di giudizio, la difesa erariale, tra l’altro, ha eccepito l’inammissibilità della domanda risarcitoria avanzata dall’istante, sul rilievo che il ricorso giurisdizionale originariamente proposto, finalizzato all’annullamento del provvedimento negativo adottato dal Ministero per i Beni Culturali ed Ambientali, di sospensione dei lavori edilizi e ripristino dello stato dei luoghi, era stato proposto da soggetto differente dalla società istante per il ristoro dei danni, asseritamente subiti da quel provvedimento illegittimo, poi definitivamente annullato in s.g.

Sul punto ha l’Organo giurisdizionale adìto, ha dapprima chiarito, con argomentazione pentaedrica, che la necessità del preventivo ovvero contestuale annullamento, in sede giurisdizionale, del provvedimento amministrativo ritenuto illegittimo e lesivo degli interessi legittimi di un soggetto, è motivata:

a) dal rischio di elusione del termine di decadenza laddove si consentisse al soggetto di invocare l’illegittimità dell’atto non già nella sua sede naturale (giudizio di legittimità) bensì all’esito di una pronuncia di accertamento;

b) dall’inesistenza nell’ordinamento positivo di un potere di disapplicazione da parte del giudice amministrativo degli atti di natura non regolamentare;

c) dalla circostanza che la mancata impugnazione del provvedimento lesivo potrebbe costituire elemento valutabile, ex art. 1227 Cod. civ., a carico del creditore per escludere o limitare il risarcimento del danno;

d) dalla preferenza accordata dall’ordinamento alla tutela reintegratoria e ripristinatoria relegandosi quella risarcitoria ad ipotesi residuale e sussidiaria;

e) dalla necessità di evitare comportamenti non improntati a leale collaborazione ordinamentale da parte di chi pretermette la tempestiva impugnazione del provvedimento lesivo allo scopo di tentare operazioni speculative nei confronti dell’erario;

proseguendo, ha osservato, che la verifica della sussistenza di un danno patrimoniale, lamentato da un soggetto, costituisce accertamento affatto diverso ed autonomo - ontologicamente distinto - da quello relativo all’illegittimità di un provvedimento della P.A.; con la conseguenza che la configurabilità del danno patrimoniale (art. 1174 c.c.), è condizionata all’ulteriore accertamento - più ampio - della configurabilità di una condotta antigiuridica direttamente riferibile alla P.A., connotata da tutti gli elementi tipici della fattispecie dell’illecito civile (dolo o colpa, danno-evento, rapporto di causalità adeguata).

Fatti tali premesse, ed attribuendo, ancora - ai fini dell’ammissibilità dell’azione risarcitoria ex art. 2043 c.c. - al previo annullamento dell’atto amministrativo lesivo, il carattere di antecedente logico-giuridico, il T.A.R. Puglia ha osservato, in conseguenza, che non può non essere considerata priva di rilievo la circostanza secondo cui la lesione da cui possa avere occasione la tutela giurisdizionale, sia stata originata dal comportamento tenuto da un soggetto differente e distinto dal danneggiato istante in sede risarcitoria.

E ciò sul rilievo che, ad avviso del Collegio, ciò che rileva precipuamente sono "…i fatti in senso stretto…", che, in quanto tali, e alla stregua del loro accadimento, producono effetti nell’ambito dell’ordinamento giuridico, in disparte ogni altra valutazione e/o considerazione che, in ordine a detti fatti, possa ricevere l’eventuale provenienza umana e la sua volontarietà.

Più in dettaglio, i Giudici amministrativi hanno precisato che gli effetti sono intimamente collegati all’evento, e non assume importanza per la loro produzione se il fatto sia connotato da volontarietà o involontarietà, ovvero sia direttamente imputabile ad un soggetto giuridico o non riferibile ad alcuno.

Si osserva, in conclusione, che la precisazione di cui innanzi, operata dal T.A.R. Puglia, sotto un certo profilo, può essere suscettibile di condivisione; in vero, potrebbe non avere rilievo il fatto che non vi sia coincidenza tra soggetto istante in sede risarcitoria, e ricorrente, in sede giurisdizionale, per l’annullamento del provvedimento amministrativo ritenuto lesivo, se si considera che il Massimo Organo di Giustizia Amministrativa, nel circoscrivere la questione della risarcibilità degli interessi legittimi, tra l’altro, ha implicitamente riconosciuto l’autonomia della posizione e/o situazione del soggetto che ha dato luogo o provocato l’annullamento del provvedimento amministrativo, rispetto alla situazione soggettiva finale intrinseca del soggetto il cui interesse legittimo è risultato leso; e ciò ha fatto affermando (2) testualmente:

"…L’eventuale illiceità della condotta della p.a., idonea a determinare il diritto al risarcimento del danno a favore del privato, presuppone dunque il preventivo accertamento da parte del giudice amministrativo dell'illegittimo esercizio della funzione amministrativa che può sostanziarsi sia nella emanazione di un atto contra legem, sia nella mancata, ingiustificata adozione di un provvedimento conforme alle aspettative giuridicamente tutelate del privato destinatario e non già della considerazione di tali "comportamenti" alla stregua dei principi di buona fede e correttezza. Nel primo caso il provvedimento può ledere tanto un interesse sostanziale di tipo pretensivo, che di tipo oppositivo, mentre nel secondo caso la lesione della sfera giuridica del privato ha necessariamente ad oggetto un interesse sostanziale di tipo oppositivo.

L’illiceità si verifica per ciò quando la situazione del privato, connessa e incisa dall'illegittimo e esercizio della funzione, sia compromessa in relazione alla mancata trasformazione nella situazione finale, consistente nell'effettivo esercizio di facoltà insiste nel diritto o nello svolgimento di una determinata attività.

Tutte le volte che questa vicenda non si realizza per causa (nesso eziologico) dell'illegittimo esercizio del potere, qualificato dall'elemento psichico (dolo o colpa ), si pone il problema della risarcibilità dell'interesse legittimo, che, come è evidente, è formula brachilogica, nella quale è eliso proprio l'oggetto principale della refusione: la situazione soggettiva finale intrinseca all'interesse legittimo.

L’interesse legittimo rappresenta per ciò in questi casi la misura della rilevanza che ha il diritto soggettivo, allorché talune delle facoltà che concorrono a determinarne il contenuto non possono essere esercitate se non con le modalità indicate nel provvedimento amministrativo assunto in conformità alla disciplina positiva, come paradigmaticamente risulta per il diritto di proprietà in relazione alla facoltà di edificare o per il diritto di iniziativa economica in relazione all’attività commerciale.

L’esercizio della situazione soggettiva astrattamente riconosciuta al privato (diritto di proprietà e diritto di impresa) dipende in altre parole dal conforme o meno esercizio della funzione e si ricollega per questo all'interesse legittimo, che nella vicenda procedimentale rappresenta e traduce la pretesa del titolare del diritto al pieno ed effettivo suo godimento, anche mediante quelle modalità che la normativa positiva fa dipendere dal potere conformativo della p.a... Si tratta, a ben vedere, di parti costitutive di una situazione complessa nella quale talune facoltà di godimento del bene sono compresse in mancanza del provvedimento amministrativo che ne legittima l'esercizio e nella misura in cui ciò viene assentito".

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(1) Cfr. Cons. Stato, Adunanza Plenaria, sentenza 26 marzo 2003, n. 4, in questa Rivista n. 3-2003, con commento di G. BACOSI, Per l’Adunanza, ormai è chiaro: il G.A. non "risarcisce disapplicando", ma "demolisce risarcendo".

(2) Cons.Stato, Sez. V, 18 novembre 2002, n. 6389, in Il Cons. Stato, 2002, I, 2515.

 

 

(omissis)

per il risarcimento del danno

conseguente ai seguenti provvedimenti:

1) decreto del Ministro per i Beni Culturali ed Ambientali del 16/2/90;

2) ordinanza del Comune di Monopoli 11/4/90, n. 10995;

3) diniego del Comune di Monopoli 31/10/90, prot. 1612;

(omissis)

FATTO

Con atto notificato il 18 – 19 luglio 2001 e depositato il successivo giorno 27, la ricorrente propone l’epigrafato ricorso.

Si sono costituite entrambe le parti evocate in giudizio chiedendo il rigetto della domanda risarcitoria.

In particolare, il Comune eccepisce l’intervenuta prescrizione del diritto azionato.

Con memoria depositata il 18/2/02 il Ministero per i Beni e le attività culturali, oltre ad insistere per il rigetto del gravame, solleva eccezione d’inammissibilità del medesimo.

All’udienza del 13 marzo 2003 il ricorso è stato trattenuto per la decisione.

DIRITTO

La ricorrente postula, con l’odierno ricorso, il risarcimento dei danni asseritamente conseguenti sia alla sospensione dei lavori edili disposta con decreto del Ministero per i Beni Culturali ed Ambientali del 16/2/90 che al rifiuto opposto dal Comune di Monopoli di assentire l’approvazione di un nuovo progetto di variante e di nuove concessioni in corso d’opera.

Giova una breve esposizione dei fatti per come resa possibile alla stregua delle rappresentazioni fattuali e documentali esibite in corso di causa.

Il Comune di Monopoli, in data 2/5/89, rilasciava alla società Cala Corvino le concessioni edilizie prot. 34780/87,005572/88, 33802/88 – pratica n. 9362 (progetto di ampliamento e ristrutturazione del complesso alberghiero Cala Corvino) e prot. 19645/89 – pratica 9935 (variante di progetto).

In data 17/1/90 la ricorrente instava il Comune per ottenere il rilascio di una seconda variante in corso d’opera.

Nelle more dell’istruttoria accadeva che il Ministro per i Beni Culturali ed Ambientali (ritenendo l’area in questione gravata da vincoli paesaggistici rinevenienti dal D.M. 1/8/85) disponeva la sospensione dei lavori di costruzione del complesso alberghiero Cala Corvino (decreto del 16/2/90, notificato il successivo giorno 6) ed invitava il Sindaco del Comune di Monopoli a provvedere per l’immediata ripristino dello stato dei luoghi; ordine al quale l’Autorità comunale pedissequamente si conformava con provvedimento n. 10995 del 12/4/90.

La soc. Cala Corvino impugnava dinanzi al Tribunale Regionale Amministrativo per la Puglia – sede di Bari – l’ordinanza comunale n. 10995/90 ed in uno con questa anche gli atti presupposti (id est, decreto ministeriale di sospensione dei lavori).

Il Tribunale, in sede cautelare, così statuiva sulla domanda incidentale di sospensione degli atti gravati (ordinanza n. 382/90 del 26/4/90):

"Considerato che allo stato non risulta dimostrata l’esistenza di vincoli paesaggistici sull’area in questione, che non rinvengano dal D.M. 1/8/85, pubblicato sulla G.U. supp. del 6/2/86 e sulla cui inefficacia si è già pronunciato, ancorché in sede cautelare, questo Tribunale Amministrativo, ma con pronunce confortate dai successivi pronunciati della Corte Costituzionale – sentenze 258/85 e 153/86 – e dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato; Rilevato, altresì, che dalla sospensione dei lavori effettuati sulla base di concessione edilizia rilasciata dalla competente Autorità Comunale la società ricorrente risentirebbe danni gravissimi ed irreparabili, comprovati dalle promesse di vendita esibite, dagli investimenti in corso, superiori a lire 17 miliardi, con rilevanti esposizioni bancarie, cui la istante non potrebbe altrimenti far fronte; Accoglie la domanda incidentale di sospensione".

Il decreto ministeriale era impugnato, altresì, autonomamente ed in via principale dal Comune di Monopoli (ricorso del 5/6/90).

Accadeva poi che l’Amministrazione comunale, con atto n. 1612 del 31/10/90, scontava negativamente l’istanza del 17/1/90 che la Cala Corvino aveva inoltrata per ottenere il rilascio di una seconda variante in corso d’opera. Queste le ragioni del diniego:

1) "gli interventi modificativi dello stato dei luoghi sono impediti dalle disposizioni dell’art. 2, comma secondo, l.r. 11/5/90, n. 30 ricadendosi nella fascia di metri 300 dal demanio marino e peraltro interessando alcune pere addirittura la zona demaniale";

2) "per le modificazioni interne potrà farsi luogo al rilascio di concessione edilizia solo quando sarà intervenuta definitiva decisione di merito del TAR Puglia (e/o del Consiglio di Stato in grado d’appello se eventualmente proposto) di annullamento del decreto di vincolo dell’area di pertinenza, emesso dal competente Ministero dei Beni Ambientali, per il quale allo stato v’è solo decisione di sospensione".

Detto rifiuto, per quanto consta agli atti di causa, restava inoppugnato.

In seguito, il Comune intimato - dopo integrazioni procedimentali di parte – perveniva alla determinazione (atto n. 1612, del 22/11/91) di rilasciare la postulata concessione edilizia in variante (instata il 17/1/90) per la parte afferente le modifiche interne all’organismo edilizio in costruzione. Con riguardo, invece, alle sollecitate opere di ampliamento (pure richieste in variante e rifiutate inizialmente anch’esse con il provvedimento del 31/10/90) l’Amministrazione intimata, una volta acquisito anche il nulla osta da parte della Capitaneria di Porto (atto n. 1 del 17/1/91), ne autorizzava l’esecuzione con concessione in variante n. 27713 del 23/1/92 denegando contestualmente il proprio assenso relativamente a quegli interventi comunque interessanti le aree demaniali nonché i camminamenti o gallerie sotterrane. Anche tale ultimo diniego, per quanto risulta agli atti del ricorso, restava inoppugnato.

Ciò premesso, è accaduto che il giudizio involgente la legittimità del decreto ministeriale del 16/2/90 si concludesse (sentenza del Consiglio di Stato n. 1111 del 16 maggio – 8 luglio 1997) con il definitivo annullamento dell’atto impugnato (caducazione della sospensione dei lavori siccome ordinata dal ministero sulla base del D.M. 1/8/85 quest’ultimo riconosciuto dal giudice amministrativo, ancorché legittimo, inefficace per omessa pubblicazione nelle forme di rito).

Di qui, l’odierno ricorso col quale la ricorrente si ripropone di conseguire la tutela risarcitoria dell’interesse legittimo siccome leso dal comportamento asseritamente illegittimo delle Amministrazioni intimate.

In particolare, la Società afferma che "la sospensione dei lavori di costruzione del complesso alberghiero Cala Corvino, disposta dal decreto del 16/2/90 del Ministro per i BB. CC. e AA. ed il rifiuto – protrattosi sino al 13 gennaio 1992 – del Comune di Monopoli alla richiesta in variante del 17/1/90 basata sul decreto del 16/2/90, hanno provocato ingiusti danni alla Cala Corvino". A suo dire, il comportamento tenuto dal Ministero nonché quello palesato dal Comune sull’istanza di concessione in variante nonostante fosse stata già sospesa da parte del TAR l’ordinanza comunale del 22/4/90 avrebbe paralizzato per circa due anni l’attività di realizzazione del complesso alberghiero e quella della sua commercializzazione causando, in particolare, la crisi degli accordi di commercializzazione delle unità abitative che la Cala Corvino aveva affidato in esclusiva alla "Domina s.p.a. con scrittura privata del 12/4/89. Questi danni sono stati denunciati dalla ricorrente in complessive £ 15.016.555.192, di cui £ 11.001.822.074 per danno emergente e £ 4.014.733.118 per lucro cessante.

In limine, il tribunale dispone lo stralcio dagli atti processuali - su richiesta messa a verbale dell’avv. Belviso - della memoria conclusiva prodotta dalla difesa del Comune di Monopoli perché depositata fuori termine.

La questione, in punto di diritto, involge l’accertamento della pretesa risarcitoria:

1) consequenziale all’annullamento del decreto ministeriale;

2) inerente al rifiuto che il Comune di Monopoli ha opposto al rilascio della concessione edilizia in variante siccome basato sul decreto del 16/2/90.

Preliminarmente, il Collegio respinge - limitatamente alla trattazione del precedente punto 1) - l’eccezione di prescrizione (sollevata, in parte qua, dal Comune resistente con l’atto di costituzione in giudizio).

Ed invero, l’annullamento del decreto ministeriale di sospensione dei lavori (causativo del danno ingiusto, pregiudiziale all’introduzione - proposizione del giudizio risarcitorio) è sopraggiunto definitivamente soltanto con il deposito della sentenza del Consiglio di Stato 16 maggio – 8 luglio 1997, n. 1111 (momento, questo, che coincide con il dies a quo di decorrenza del termine per la proposizione dell’istanza risarcitoria). Pertanto, alla data di notifica del presente ricorso (valevole anche come momento interruttivo della prescrizione) il termine quinquennale di prescrizione del diritto al risarcimento (strumentale e sussidiario alla piena tutela della posizione d’interesse legittimo siccome lesa dall’azione amministrativa) non era ancora maturato.

In limine, va respinta anche l’eccezione d’inammissibilità siccome sollevata dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato.

La difesa erariale muovendo dal presupposto che l’annullamento del decreto ministeriale è stato causato da un ricorso giurisdizionale proposto da un soggetto diverso e distinto dall’odierna ricorrente (in primo grado dal Comune di Monopoli ed in appello da un cittadino elettore del Comune medesimo) conclude nel senso di ritenere inammissibile la proposta domanda in quanto "il risarcimento del danno da lesione dell’interesse legittimo è possibile in presenza dei previsti presupposti di fatto allorquando il presupposto di diritto, vale a dire l’annullamento giudiziario dell’atto lesivo, sia stato determinato dalla iniziativa processuale del presunto danneggiato"; sicché, nella fattispecie che occupa "la società ricorrente avrebbe potuto avanzare richiesta di risarcimento danni qualora avesse essa dato causa alla pronuncia d’annullamento da parte del giudice amministrativo".

La tesi, nei termini prospettati, non è condivisa dal Collegio.

Per la proposizione dell’azione risarcitoria davanti all’autorità giudiziaria è, infatti, necessario e vincolante in sede di decisone sulla domanda di risarcimento del danno un contestuale accertamento circa l’illegittimità del provvedimento.

La necessità del previo e/o contestuale annullamento dell’atto si spiega in ragione di ciò:

1) il rischio di elusione del termine di decadenza laddove si consentisse al soggetto di invocare l’illegittimità dell’atto non già nella sua sede naturale (giudizio di legittimità) bensì all’esito di una pronuncia di accertamento;

2) l’inesistenza nell’ordinamento positivo di un potere di disapplicazione da parte del giudice amministrativo degli atti di natura non regolamentare;

3) la circostanza che la mancata impugnazione del provvedimento lesivo potrebbe costituire elemento valutabile, ex art. 1227 Cod. civ., a carico del creditore per escludere o limitare il risarcimento del danno;

4) la preferenza accordata dall’ordinamento alla tutela reintegratoria e ripristinatoria relegandosi quella risarcitoria ad ipotesi residuale e sussidiaria;

5) la necessità di evitare comportamenti non improntati a leale collaborazione ordinamentale da parte di chi pretermette la tempestiva impugnazione del provvedimento lesivo allo scopo di tentare operazioni speculative nei confronti dell’erario.

Orbene, il suddetto accertamento da luogo, però, soltanto ad un evento giuridico (ripristino della legalità) rispetto al quale il danno patrimoniale è configurabile esclusivamente in presenza di una condotta antigiuridica (da non confondersi con l’illegittimità dell’atto previamente acclarata) produttiva di - ontologicamente distinte - conseguenze economiche per la cui riparazione l’ordinamento attribuisce al soggetto danneggiato una situazione giuridica nuova (sia pure nascente dalla lesione della situazione soggettiva originaria), cioè il diritto al risarcimento oggetto di autonomo, separato accertamento giudiziario.

Da quanto sopra esposto ne consegue, per un verso, che l’accertamento in punto d’illegittimità dell’atto non esaurisce l’ambito del giudizio sull’azione di risarcimento; per l’altro, che il giudizio risarcitorio ha un oggetto diverso e più ampio di quello impugnatorio dovendosi verificare la sussistenza di tutti gli elementi della fattispecie dell’illecito civile: nesso psichico (dolo o colpa dell’amministrazione apparato), danno – evento (vulnus al bene della vita ), rapporto di causalità adeguata (nesso di pertinenza tra il fatto e l’evento).

In questi termini ricostruita la problematica del risarcimento del danno da illegittimità provvedimentale deve ritenersi che l’annullamento previo dell’atto amministrativo lesivo dell’interesse giuridicamente rilevante (danno ingiusto) costituisce l’antecedente logico giuridico (in termini di ammissibilità) per la proposizione della domanda risarcitoria atteggiandosi la pregiudiziale amministrativa, nel rapporto tra danneggiato e danneggiante, a mero, ancorché indefettibile, presupposto di fatto in sussistenza del quale è consentito introdurre la separata, autonoma (contestuale o successiva) azione per danni. Di qui, la logica conseguenza secondo cui è del tutto irrilevante la circostanza che la lesione da cui è occasionata la tutela abbia avuto origine dal comportamento tenuto da un soggetto diverso e distinto dal danneggiato atteso che i fatti in senso stretto producono effetti per l’ordinamento a prescindere dalla considerazione che ricevono nell’ordinamento l’eventuale provenienza umana del fatto e la sua volontarietà. L’effetto, infatti, è strettamente collegato all’evento e non importa per la sua produzione se il fatto è volontario o involontario, imputabile ad un soggetto giuridico o non riferibile ad alcuno.

Peraltro, diversamente opinando ed aderendo alla tesi di parte resistente si perverrebbe a soluzioni inique, affatto incongrue e sicuramente in contrasto con l’effettività della tutela giurisdizionale in quanto si finirebbe per escludere dall’area della risarcibilità tutti i danni consequenziali alla caducazione dell’atto lesivo quante volte detta caducazione dipenda dall’esercizio del potere di autotutela decisoria da parte dell’Amministrazione oppure di annullamento straordinario da parte del Governo ai sensi dell’art. 138, del D.Lvo n. 267/00 ovvero l’illegittimità dell’atto sia stata dichiarata all’esito di un ricorso straordinario (non giurisdizionale) al Presidente della Repubblica.

Nel merito del ricorso - con riguardo sempre al punto 1) della trattazione - il Collegio considera dirimente ai fini decisori la circostanza che l’ordine comunale di ripristino dello stato dei luoghi (notificato il 12/4/90) ed il decreto ministeriale presupposto di sospensione dei lavori (notificato il precedente 6/4/90) sono stati a loro volta sospesi in sede giurisdizionale con ordinanza del TAR Puglia – sede di Bari - n. 382, del 26/4/90.

E’ noto che nel giudizio amministrativo la tutela inibitoria, espressa soprattutto attraverso la sospensione dell’efficacia del provvedimento impugnato siccome incisivo su posizioni soggettive riconducibili all’area degli interessi oppositivi, costituisce di regola forma normale e privilegiata di tutela unitamente a quella ripristinatoria (annullamento dell’atto) rispetto alle quali la tutela risarcitoria opera come completamento del sistema di protezione delle situazioni soggettive ex artt. 2, 24 e 113 Cost. solo in presenza di un conclamato, ulteriore illecito (imputabile al suo autore) siccome produttivo di un danno patrimoniale (danno evento, conseguenza dell’antigiuridicità della condotta la quale non si esaurisce nell’illegittimità dell’atto lesivo dell’interesse giuridicamente rilevante – posizione soggettiva posseduta - ma postula un ulteriore e distinto vulnus al bene della vita inteso questo come interesse apprezzabile in termini economici e suscettivo, quindi, di ristoro sotto il profilo del danno emergente e/o mancato utile).

Orbene il tribunale, investito della domanda incidentale di sospensione degli effetti degli atti in parola, ha ravvisato nell’esecuzione di quest’ultimi la causazione di "danni gravissimi ed irreparabili" nella sfera patrimoniale della società Cala Corvino; danni enucleati dagli impegni formalmente assunti dalla ricorrente ed analiticamente individuati dalla Sezione nelle promesse di vendita, negli investimenti in corso superiori a 17 miliardi e nelle rilevanti esposizioni bancarie.

Appare del tutto evidente, dunque, che a far epoca dal 26/4/90 (e fino alla pronuncia definitiva sopraggiunta con sentenza n. 1532, del 1994 con la quale il tribunale ha dichiarato perento il ricorso) sia l’ordinanza comunale che il decreto ministeriale presupposto non sono stati, comunque, in grado di arrecare, ex sé, più alcun nocumento economico – patrimoniale alla società ricorrente. Tali atti, infatti, pur ancora assistiti dalla presunzione di legittimità, sono stati paralizzati (nel periodo di tempo preso in considerazione ai fini di causa) nei loro pregiudizievoli effetti dall’ordinanza del TAR n. 382/90; circostanza, questa, che ha finito col rimuovere (sia pure interinalmente) ogni ostacolo a che le presupposte concessioni edilizie (mai annullate) ri-esplicassero (quanto meno con riferimento al periodo di tempo preso in considerazione dalla ricorrente ai fini risarcitori) la propria forza giuridica (id est, ius aedificandi.). Ne consegue, che i danni su cui si controverte (nella specie, quelli asseritamente conseguenti al fermo biennale dei lavori e direttamente imputati al decreto ministeriale nonché al pedissequo provvedimento comunale) non possono essere imputati (nella loro interezza) alle amministrazioni intimate in quanto difetta il vincolo di consequenzialità immediata e diretta che lega il fatto al danno – evento patrimoniale. Ed invero, l’originario nesso di causalità s’è interrotto nel momento stesso in cui il verificarsi dei danni patrimoniali è risultato il prodotto di fatti estranei al comportamento dei soggetti agenti: id est, decisione spontanea della società ricorrente – rilevante ex art. 1227, secondo comma Cod. civ. - di non proseguire l’attività edilizia nonostante l’attuale efficacia dei titoli concessori in suo possesso.

In definitiva, la presenza della misura cautelare assume, nella circostanza, un valore decisivo ai fini dell’ammissibilità stessa dell’azione risarcitoria. Ed invero, siccome la produzione del danno all’interesse sostanziale del privato (fisiologicamente protetto in sede cautelare) deriva, di norma, dall’esecuzione dell’atto e l’azione risarcitoria si collega al danno (oggi, a seguito della L. n. 205/00, al pregiudizio) e non all’evento lesivo costituito dall’atto illegittimo ne consegue che dalla presenza o dall’assenza della misura interinale dipende l’ammissibilità o meno della ulteriore tutela risarcitoria.

Le considerazioni che precedono inducono, dunque, alla reiezione in parte qua dell’istanza risarcitoria.

Sul punto 2) - istanza risarcitoria per i danni conseguenti al rifiuto opposto dal Comune di Monopoli al rilascio della concessione edilizia in variante basato sul decreto del 16/2/90; richiesta successivamente evasa in senso favorevole alla ricorrente con concessioni edilizie n. 1612 del 22/11/91 e n. 27713 del 23/1/92 - il Collegio reputa inaccoglibile la domanda.

In disparte ogni considerazione sulla circostanza, di per sé già dirimente, che il rifiuto opposto dal Comune con provvedimento del 31/10/90 è rimasto agli atti inoppugnato talché neppure sarebbe stata rimossa la c.d. pregiudiziale amministrativa (annullamento previo del provvedimento asseritamente lesivo in funzione di accertamento del danno ingiusto) decisiva, in punto solutivo della questione, appare ad avviso della Sezione l’eccezione - siccome sollevata dal Comune di Monopoli con l’atto di costituzione in giudizio - di intervenuta prescrizione del diritto azionato in giudizio.

Ed invero, a far epoca dall’opposto rifiuto (1990) ovvero, al più tardi, a decorrere dal rilascio (1992) delle concessioni edilizie - cui potrebbe ricollegarsi l’esercizio implicito di poteri di auto-annullamento del precedente diniego con effetto accertativo del danno lesione - e fino alla data di notificazione dell’odierno ricorso (18 – 19 luglio 2001) sono trascorsi abbondantemente i cinque anni entro i quali, ai sensi dell’art. 2947 Cod. civ., il creditore avrebbe dovuto far valere il proprio diritto. Né, peraltro, risulta dedotta in atti apposita controeccezione mirante a paralizzare l’eccezione avversaria.

In conclusione, il ricorso in esame va respinto.

La novità della questione (risarcimento del danno da lesione di interesse legittimo) è giusta causa per disporre la compensazione delle spese di lite tra le parti del giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia - Sede di Bari - Sezione II, respinge, nei sensi in motivazione, il ricorso n. 1456/01 proposto dalla società Cala Corvino s.r.l. e meglio in epigrafe specificato.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità Amministrativa.

Così deciso in Bari nella Camera di Consiglio del 13 marzo 2003 con l’intervento dei Magistrati:

Piero MOREA Presidente

Doris DURANTE Componente

Giuseppe ROTONDO Componente, Est.

Depositata in segreteria in data 7 aprile 2003.

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