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n. 7/8-2001 - © copyright.

TAR SARDEGNA-CAGLIARI – Sentenza 12 giugno 2001 n. 629Pres. Sassu, Est. Maggio - Comune di Sassari (Avv. Alberto Azzena) c. Regione Autonoma della Sardegna (Avv.ti Graziano Campus e Gian Piero Contu) e Chessa (n.c.).

Comune e Provincia – Competenza – Principio di separazione tra compiti di indirizzo e controllo e compiti di gestione amministrativa – Ex art. 51 L. n. 142/90 – Costituisce norma fondamentale delle riforme economico – sociali della Repubblica – Applicabilità alle Regioni a Statuto speciale – Sussiste – Fattispecie.

Regioni – Potestà legislativa – Norme di riforma economico-sociale – Effetti sulla preesistente legislazione regionale – Individuazione.

Comune e Provincia – Competenza – Sanzioni amministrative in materia di commercio e di pubblici esercizi – Spettava al Sindaco ex. artt. 22 e 29 del D.Lgs. n. 114/1998 – Intervenuta abrogazione delle disposizioni per effetto dell’art. 107, 5° comma, del D.Lgs. n. 267/2000.

Il principio sulla distribuzione di competenze tra organi elettivi ed organi burocratici secondo cui "i poteri di indirizzo e di controllo spettano agli organi elettivi, mentre la gestione amministrativa è attribuita ai dirigenti", introdotto dall’art. 51 della L. 8 giugno 1990 n. 142 e che ha trovato, poi, una più vasta e completa attuazione negli artt. 2, 1° comma, lett. g) 1, della L. 23 ottobre 1992 n. 421 e 3 del D. Lgs. 3 febbraio 1993 n. 29, costituisce "norma fondamentale delle riforme economico – sociali della Repubblica" e, in quanto tale, è applicabile anche alle Regioni a statuto speciale, costituendo un limite alla potestà legislativa regionale esclusiva.

E’ pertanto illegittima una delibera adottata da un Comune di una Regione a statuto speciale (nella specie si trattava di una delibera adottata dal Consiglio comunale di Sassari), la quale, nel dettare le regole della organizzazione interna del Comune, non tiene conto della regola sulla distribuzione delle competenze fra organi elettivi e apparato burocratico prevista dall’art. 51 della L. 8 giugno 1990 n. 142 (1).

In base ad un consolidato insegnamento della Corte costituzionale, che trae spunto dall'art. 10, 1° comma della L. 10 febbraio 1953 n. 62, il sopravvenire, nella legislazione statale, di norme recanti principi di riforma economico-sociale in grado di costituire un limite all'esercizio di competenze legislative regionali comporta, nei casi di accertata e diretta incompatibilità tra la legge regionale e quella nazionale, l'effetto dell'abrogazione (2).Negli ambiti eventualmente non coperti da disciplina regionale opera, poi, direttamente, la legislazione statale, anche sopravvenuta, sino a quando la Regione non faccia uso del proprio potere legislativo, che dovrà, comunque, mantenersi entro i limiti segnati dai suddetti "principi fondamentali delle riforme economico-sociali" (3).

Gli artt. 22 e 29 del D.Lgs. n. 114/1998 individuano nel Sindaco l’organo competente all’adozione sanzioni amministrative in materia di commercio e di pubblici esercizi. Tale competenza sindacale deve tuttavia ritenersi ormai venuta meno, posto che in base all’art. 107, 5° comma, del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali) a "decorrere dall’entrata in vigore del presente testo unico le disposizioni che conferiscono agli organi di cui al capo I titolo III (tra cui il Sindaco) l’adozione di atti di gestione e di atti o provvedimenti amministrativi, si intendono nel senso che la relativa competenza spetta ai dirigenti …".

_______________________________

(1) Come si legge nella sottoriportata motivazione della sentenza in rassegna, il TAR Sardegna ha pertanto ritenuto legittimo l’impugnato provvedimento di annullamento del Co.re.co., atteso che le disposizioni regolamentari censurate dal Comitato Regionale di Controllo si riferivano tutte ad attività meramente gestionali, ancorchè connotate, in taluni casi, da ambiti di apprezzamento discrezionale: apprezzamento non precluso agli organi dell’apparato burocratico come emerge anche testualmente dall’art. 51, 3°comma, lett. f) della citata L. n. 142/1990.

Ha osservato inoltre il TAR Sardegna che l’art. 53, 3° comma, della L. n. 142/1990 attribuisce espressamente ai dirigenti "tutti i compiti di attuazione degli obiettivi e dei programmi definiti con gli atti di indirizzo adottati dall’organo politico" elencando poi, esemplificativamente, taluni degli atti in cui si estrinseca la suddetta attività di gestione. Il successivo art. 2 del D. Lgs. n. 191/1998 ha soltanto ulteriormente integrato l’indicazione dei provvedimenti di competenza dirigenziale per ragioni di maggior chiarezza.

(2) Cfr. Corte Cost., sent. 8 maggio 1995, n. 153

(3) Cfr. Corte Cost., sent. 23 gennaio 1974, n. 13.

V. sulla sentenza in rassegna il commento di L. OLIVERI, L’individuazione dei confini che separano la funzione di indirizzo e controllo spettante agli organi di governo e la funzione gestionale spettante alla dirigenza.

 

 

per l'annullamento

dell’ordinanza emessa in data 11/6/1999 con cui il Comitato Regionale di Controllo ha parzialmente annullato la delibera consiliare 22/4/1999 n. 55.

(omissis)

FATTO

Con l’odierno ricorso il comune di Sassari ha impugnato l’ordinanza in data 11/6/1999 con cui il Comitato Regionale di Controllo ha parzialmente annullato la delibera 22/4/1999 n. 55 con la quale il Consiglio Comunale, integrando un precedente regolamento, ha fissato i termini di conclusione dei procedimenti relativi ad atti di competenza comunale, ed ha, inoltre, individuato l’unità organizzativa responsabile di ciascun procedimento e l’organo competente all’adozione del relativo provvedimento finale.

L’organo di controllo ha, in sostanza, ritenuto in contrasto con l’art. 51, 3° comma, della L. 8/6/1990 n. 142 la scelta del comune di attribuire ad un organo politico (Giunta Municipale o Sindaco a seconda dei casi) anziché a quello burocratico, la competenza ad adottare i sottoelencati provvedimenti "a connotazione amministrativo gestionale": a) settore contratti, appalti di servizi o forniture da aggiudicare col sistema dell’offerta economicamente più vantaggiosa – n. 6 (aggiudicazione); b) assegnazione alloggi E.R.P. - n. 1, (approvazione bando di concorso), n. 7 (approvazione graduatoria definitiva), n. 10 (scambio consensuale alloggi), n. 12 (cambio alloggi), nn. 13 e 16 (decadenza assegnazione e sgombero), n. 17 (sgombero), n. 22 (pagamento canone di affitto); c) settore personale - n. 4 (approvazione bando di concorso), n. 10 (valutazione operazioni concorsuali e approvazione graduatoria idonei), nn. 11 e 12 (procedure di avviamento dalle liste di collocamento); d) settore servizi civici, servizio elettorale – n. 6 (rilascio certificato godimento diritti politici) limitatamente al Sindaco; e) annona e commercio - nn. 6 e 37 (autorizzazione attività turistico-ricettive); f) servizio anagrafe – nn. 8 e 9 (rilascio carta d’identità e libretto di lavoro); g) settore servizi e iniziative sociali - nn. 27 e 28 (contributi per attività socio-assistenziale) n. 39 (sussidi ad affetti da patologie psichiatriche); h) settore servizi educativi, culturali e tempo libero – nn. 35, 36, 50, 51 e 52 (concessione contributi); i) settore progettazione e direzione lavori pubblici - n. 59 (accatastamento), n. 62 (ordinanza occupazione) nn. 80 e 81 (assegnazione aree E.R. e modifiche assegnazioni), n. 85 (approvazioni schemi di convenzione cessione aree E.R.P.), n. 94 (ordinanza taglio siepi strade vicinali); l) settore manutenzioni - n. 38 (autorizzazione proroghe termini contratto), n. 74 (piantumazione alberi per nuove nascite); m) settore gestione del territorio - concessione o autorizzazioni in conformità, ordinanze in materia edilizia, certificato di abitabilità o agibilità, "idem per manifestazioni di pubblico spettacolo"; settore ambiente – n. 6 (frazionamento bollette acqua potabile).

Queste le censure dedotte.

1) Negli artt. 31 e 32 della L. R. 13/12/1994 n. 38 e suc. mod. è consacrato il principio che vieta all’organo tutorio di riesprimersi su atti già sottoposti a controllo.

Ciò è quanto avvenuto nella fattispecie, tenuto conto del fatto che la delibera n. 55/1999 non ha modificato l’ordine delle competenze già in precedenza fissate con atto positivamente controllato.

Risultano quindi violate le suddette disposizioni.

2) Molte delle competenze disciplinate dal provvedimento annullato sono conferite da leggi regionali, le quali, sintantochè sono in vigore, vincolano il comune che non può disapplicarle.

Nel contrasto tra una legge statale (L. 8/6/1990 n. 142) ed una regionale l’amministrazione comunale è tenuta ad osservare quest’ultima, in forza del principio che impone di fare applicazione della norma c.d. "più prossima".

Essendo le leggi regionali di che trattasi tutte anteriori alla L. cost. 23/9/1993 n. 2 che ha attribuito alla Regione Sarda la competenza a legiferare in materia di ordinamento interno dei comuni potrebbe ritenersi che le dette leggi abbiano operato un rinvio recettizio al dettato delle norme statali per cui, non avendo la Regione legiferato dopo la suddetta L. cost. n. 2/1993, la materia della competenza sarebbe tuttora regolata dalla legge statale.

Tale impostazione non può però essere condivisa, avendo la Regione - attraverso le dette leggi - espressamente statuito sulla competenza. In ogni caso deve ritenersi che queste ultime abbiano quantomeno novato la fonte, sicchè al più le menzionate leggi potrebbero risultare illegittime, ma la loro applicazione potrebbe essere impedita solo da una pronuncia della Corte Costituzionale.

Tale conclusione si rafforza alla luce della L. cost. n. 2/1993.

Risulterebbe formalistico ritenere che la Regione debba confermare con nuove disposizione il conferimento di competenza già effettuato.

Occorre, del resto, considerare che le leggi statali che, nello specifico, hanno determinato lo spostamento di competenza a favore degli organi burocratici (LL. n. 127/1997 e n. 80/1998) sono intervenute in epoca successiva alla L. cost. che ha attribuito alla Regione la competenza legislativa esclusiva in materia di ordinamento degli enti locali. Le predette leggi statali vanno dunque interpretate, coerentemente al dato costituzionale, nel senso di lasciare integra la potestà Regionale di disciplinare autonomamente la materia.

Nel caso concreto, il comitato di Controllo avrebbe dovuto adeguatamente motivare il ritenuto contrasto del regolamento con principi di grande riforma e comunque attendere, sul punto, il pronunciamento della Corte Costituzionale.

Avrebbe anche dovuto dimostrare che la competenza attribuita al Sindaco non è, come nella specie, meramente formale, dovendo adeguarsi alla proposta vincolante ed ineludibile del dirigente.

Non può nemmeno attribuirsi all’art. 51 della L. n. 142/1990 la forza di introdurre la modifica supposta dall’organo di controllo. L’art. 1, 2°comma, della citata legge stabilisce infatti l’inapplicabilità delle disposizioni della stessa legge alle Regioni a Statuto Speciale.

Giova, infine, rilevare che la disposizione di cui all’art. 57 Statuto Sardo non si applica più dopo che la Regione ha legiferato.

3) La specificazione dei compiti attribuiti ai dirigenti fatta dall’art. 51, 3°comma, della L. n. 142/1990 include molte ipotesi che comportano scelte caratterizzate da notevole discrezionalità politica. Quest’ultima, però, non può essere esercitata che dall’organo politico, altrimenti risulterebbe violato il principio democratico di cui all’art. 1 cost.

Orbene, fra le disposizioni del regolamento caducate dal Co.Re.Co. ve ne sono molte che riguardano attribuzioni di potestà il cui esercizio implica scelte di tipo politico.

Rispetto a queste il regolamento non risulta viziato.

4) L’art. 51, 3°comma lett. h) della citata L. n. 142/1990 dispone che spetta ai dirigenti l’adozione degli "atti ad essi attribuiti dallo statuto e dai regolamenti o, in base a questi, delegati dal sindaco". La norma va interpretata nel senso che i poteri di cui alle lettere precedenti possono trovare la loro fonte, oltre che nella legge, anche nella delega da parte del Sindaco. Di modo che nessuna illegittimità può ipotizzarsi sino a che il Sindaco rifiuti di delegare i poteri che la legge gli impone invece di delegare. Del resto è chiaro che il delegante, rispetto ai poteri per cui è ammessa la delega, non ha solo poteri di indirizzo.

5) In base all’art. 2 della L. 16/6/1998 n. 191 " spettano ai dirigenti i poteri di vigilanza e sanzionatori solo nella materia edilizia".

Anche a voler ammettere che trovi applicazione in Sardegna la normativa Statale, l’intimato organo di controllo avrebbe dovuto escludere dall’annullamento i provvedimenti sanzionatori attribuiti al Sindaco in materie diverse da quella edilizia e paesistico ambientale.

Con riguardo alle competenze di cui ai nn. 14 e 22 del servizio annona e commercio, la potestà del Sindaco trova poi la sua fonte negli artt. 22 e 29 del D.Lgs 31/3/1998 n. 114 che, avendo carattere di specialità, prevalgono sulla norme generali contenute nell’art. 6 della L. n. 127/1997.

Si è costituita in giudizio l'amministrazione intimata, depositando memoria con cui ha chiesto il rigetto del ricorso.

Alla pubblica udienza del 8/3/2000, la causa è stata posta in decisione ed il Tribunale, con sentenza 27/3/2000 n. 263, ha disposto istruttoria.

Eseguito l’incombente, il ricorso è stato nuovamente iscritto a ruolo, per passare poi definitivamente in decisione alla pubblica udienza del 11/4/2001.

DIRITTO

Il primo motivo è inammissibile per genericità.

Si lamenta, in buona sostanza, che le disposizioni annullate in sede di controllo sarebbero ripetitive di pregressi atti, positivamente controllati, con cui era fin d’allora stata effettuata l’attribuzione di competenza ora censurata dall’organo tutorio. Da qui la dedotta violazione del principio che non consente di reiterare il controllo su atti che hanno già superato il vaglio di legittimità. Sennonchè il ricorrente comune omette di indicare quali siano i precedenti provvedimenti a cui fa riferimento, impedendo, così, ogni riscontro sulla veridicità dell’asserzione.

Il secondo motivo è infondato.

In base al nuovo ordinamento delle autonomie locali introdotto dalla L. 8/6/1990 n. 142, applicabile ratione temporis alla presente controversia (si veda ora il T.U. delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, approvato con D. Lgs. 18/8/2000 n. 267), l'organizzazione degli uffici, dei servizi e del personale comunali è disciplinata con lo Statuto e con appositi regolamenti i quali devono uniformarsi "al principio per cui i poteri di indirizzo e di controllo spettano agli organi elettivi mentre la gestione amministrativa è attribuita ai dirigenti" (art. 51, 2° comma, L. n. 142/1990).

Il successivo terzo comma del citato art. 51, nel testo modificato ed integrato dagli artt. 6 della L. 15/5/1997 n. 127 e 2 della L. 16/6/1998 n. 191, specifica, poi, quali sono le funzioni in concreto spettanti ai dirigenti.

Tenuto conto che, in base all’art. 1, 2° comma, della citata L. n. 142/1990, le disposizioni della stessa legge " non si applicano alle regioni a statuto speciale … se incompatibili con le attribuzioni previste dagli statuti e dalle relative norme di attuazione", e che la Regione Sarda gode, in materia di "ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni", di competenza legislativa esclusiva ai sensi dell’art. 3 lett. b) dello statuto, approvato con L. cost. 26/2/1948 n. 3, nel testo risultante dopo la modifica apportata con L. cost. 23/9/1993 n. 2, occorre verificare se l’evidenziato principio possa operare anche in Sardegna.

La risposta non può che essere positiva.

All’indicato principio sulla distribuzione delle competenze fra organi elettivi e burocratici dell’ente vanno, infatti, riconosciuti i connotati tipici delle "norme fondamentali delle riforme economico – sociali della Repubblica", che, secondo il citato art. 3, costituiscono limite alla potestà legislativa regionale esclusiva.

Il principio in discorso, invero, è sintomo di una rimeditazione di fondo dei rapporti tra organi elettivi ed organi burocratici che vuole assegnato ai primi, con riguardo alle funzioni di amministrazione attiva, soltanto il potere di delineare gli obiettivi generali dell’azione amministrativa, attraverso atti caratterizzati da profili di ampia discrezionalità, che collocano gli stessi nell'ambito delle scelte di più elevato livello, riservando ai secondi, tenuti ad operare "al servizio esclusivo della Nazione" (art. 98 cost.) e tendenzialmente in possesso di maggiori conoscenze tecnico-professionali e quindi, in linea di massima, più idonei ad assicurare il rispetto dei canoni di buon andamento ed imparzialità nel perseguimento dei fini istituzionali, il compito di porre in essere gli atti di concreta gestione della cosa pubblica.

E’ stato autorevolmente sottolineato che "l’art. 97, 1° comma, individua nell’imparzialità dell’amministrazione uno dei principi essenziali cui deve informarsi, in tutte le sue diverse articolazioni, l’organizzazione dei pubblici uffici" e che nell’imparzialità "viene a esprimersi la distinzione più profonda tra politica e amministrazione, tra l'azione del «governo» - che, nelle democrazie parlamentari, è normalmente legata agli interessi di una parte politica, espressione delle forze di maggioranza - e l'azione dell'«amministrazione» - che, nell'attuazione dell'indirizzo politico della maggioranza, è vincolata invece ad agire senza distinzione di parti politiche, al fine del perseguimento delle finalità pubbliche obbiettivate dall'ordinamento" (così Corte Cost. 26/9 – 15/10/1990 n. 453, in termini anche Corte Cost. 11/6 – 23/7/1993 n. 333).

Il principio sulla distribuzione di competenze tra organi elettivi ed organi burocratici, introdotto dall’art. 51 della L. n. 142/1990, risponde, dunque, appieno all’esigenza di una più compiuta realizzazione del riferito precetto costituzionale. Ed, infatti, ha trovato, poi, una più vasta e completa attuazione negli artt. 2, 1°comma, lett. g) 1, della L. 23/10/1992 n. 421 e 3 del D. Lgs. 3/2/1993 n. 29 che ne hanno esteso l’applicazione alla pubblica amministrazione nel suo complesso.

Sul punto è significativo notare che il 2°comma del citato art. 2, ed il 3° comma dell’art. 1 del D. Lgs. n. 29/1993, definiscono, seppur senza vincolo per l’interprete, i principi desumibili dal medesimo art. 2 "… norme fondamentali di riforma economico-sociale".

Dagli esposti rilievi discende l’attitudine della regola sulla distribuzione delle competenze, ad esprimere, nella materia, un principio generale che richiede un’attuazione uniforme su tutto il territorio nazionale.

Considerato poi che la regola in questione ha introdotto profonde innovazioni nell’ordinamento ed incide in un ambito di significativa importanza per l’intera comunità statale, ricorrono tutti i presupposti per attribuire al principio che la medesima esprime, i connotati tipici delle "norme fondamentali delle riforme economico-sociali" (sui requisiti occorrenti per il riconoscimento in una disposizione dei caratteri propri delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali si veda Corte Cost. 8/11/2000 n. 477 e 8/5/1995 n. 153).

Resta dunque assodato che, in virtù dei sopraddetti connotati, il principio introdotto dall’art. 51, 2°comma della L. n. 142/1990 e specificato nel successivo comma del medesimo articolo, è capace di imporsi sugli atti normativi della Regione, ancorchè attinenti a materie in cui questa vanta competenza legislativa di tipo esclusiva.

Ora, in base ad un consolidato insegnamento del supremo giudice delle leggi, che trae spunto dall'art. 10, 1° comma della L. 10/2/1953 n. 62, il sopravvenire, nella legislazione statale, di norme recanti principi (nella specie di riforma economico-sociale) in grado di costituire un limite all'esercizio di competenze legislative regionali comporta, nei casi di accertata e diretta incompatibilità tra la legge regionale e quella nazionale, l'effetto dell'abrogazione (cfr. citata Corte Cost n. 153/1995).

Negli ambiti eventualmente non coperti da disciplina regionale opera, poi, direttamente, la legislazione statale, anche sopravvenuta, sino a quando la Regione non faccia uso del proprio potere legislativo, che dovrà, comunque, mantenersi entro i limiti segnati dai suddetti "principi fondamentali delle riforme economico-sociali" (cfr. Corte Cost. 11-23/1/1974 n. 13).

Da quanto sopra esposto discende come il comune di Sassari, nel dettare le regole della propria organizzazione interna, non potesse non tener conto della ricordata regola sulla distribuzione delle competenze fra organi elettivi e apparato burocratico. Da qui l’esatto rilievo mosso dall’organo tutorio al regolamento approvato con la citata deliberazione consiliare n. 55/1999.

Anche il terzo motivo è infondato.

Lamenta il comune che col regolamento sono state attribuite agli organi elettivi solo quelle competenze che, per essere caratterizzate da una "notevole discrezionalità politica", sono espressione di quelle scelte di più alto livello che non possono non essere compiute dall’organo politico.

La tesi dell’ente non convince.

Infatti, le disposizioni regolamentari censurate dal Comitato Regionale di Controllo si riferiscono tutte ad attività meramente gestionali, ancorchè connotate, in taluni casi, da ambiti di apprezzamento discrezionale: apprezzamento non precluso agli organi dell’apparato burocratico come emerge anche testualmente dall’art. 51, 3°comma, lett. f) della citata L. n. 142/1990.

Privo di pregio è il quarto motivo.

Sostiene il comune che l’art. 53, 3°comma, lett. h), della L. n. 142/1990 indurrebbe a ritenere che le attribuzioni enumerate nelle lettere precedenti del medesimo comma, non spetterebbero ai dirigenti ex lege, ma soltanto per delega da parte del Sindaco. Da qui la piena conformità a legge dell’adottato regolamento.

L’interpretazione della norma, data dal comune, non può essere condivisa.

La disposizione – con indiscutibile chiarezza - si limita, infatti, a prevedere che ai dirigenti, oltre alle competenze già proprie, possano essere attribuiti, laddove lo statuto e i regolamenti lo consentano, ulteriori poteri mediante delega da parte del Sindaco.

E’, invece, fondato, nei limiti qui di seguito indicati, il quinto motivo.

In primo luogo si afferma che, in base all’art. 2 del D. Lgs. 16/6/1998 n. 191, ai dirigenti spetterebbero poteri sanzionatori solo in materia edilizia e paesistico ambientale e non in altri settori.

Tale interpretazione non può condividersi.

Il più volte citato art. 51, 3°comma, attribuisce espressamente ai dirigenti "tutti i compiti di attuazione degli obiettivi e dei programmi definiti con gli atti di indirizzo adottati dall’organo politico" elencando poi, esemplificativamente, taluni degli atti in cui si estrinseca la suddetta attività di gestione.

L’invocato art. 2 del D. Lgs. n. 191/1998, per quanto qui rileva, ha soltanto ulteriormente integrato l’indicazione dei provvedimenti di competenza dirigenziale per ragioni di maggior chiarezza.

Viene, poi, dedotto che, con riguardo alle competenze specificate nel regolamento sottoposto a controllo ai nn. 14 e 22 del servizio annona e commercio, l’ordinanza impugnata risulterebbe in contrasto con gli artt. 22 e 29 del D.Lgs. 31/3/1998 n. 114, che attribuiscono al Sindaco la competenza ad adottare i provvedimenti sanzionatori nelle fattispecie ivi disciplinate.

Le competenze specificate nei suddetti nn. 14 e 22 attengono alle sanzioni amministrative in materia di commercio e di pubblici esercizi, conseguenti all’inosservanza delle norme di cui al T.U.L.P.S., alle leggi 23/12/1970 n. 1142 e 25/8/1991 n. 287, alla L.R. 31/10/1991 n. 35 ed al sopraddetto D.Lgs. n. 114/1998.

Orbene, mentre la censura non merita accoglimento con riferimento alle violazioni di cui al T.U.L.P.S., alle leggi 23/12/1970 n. 1142 e 25/8/1991 n. 287, ed alla L.R. 31/10/1991 n. 35, valendo al riguardo le considerazioni più sopra svolte in ordine alla distribuzione di competenze fra organi elettivi ed organi burocratici, operata, in termini generali, dall’art. 51 della L. n. 142/1990, risulta, invece, fondata relativamente alle sanzioni da irrogare ai sensi del D.Lgs. n. 114/1998. Quest’ultimo, infatti, individua nel Sindaco l’organo competente all’adozione dei provvedimenti sanzionatori (artt. 22 e 29).

Giova, peraltro, puntualizzare che la riferita competenza sindacale deve ritenersi ormai venuta meno, posto che in base all’art. 107, 5°comma, del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali) a "decorrere dall’entrata in vigore del presente testo unico le disposizioni che conferiscono agli organi di cui al capo I titolo III (tra cui il Sindaco) l’adozione di atti di gestione e di atti o provvedimenti amministrativi, si intendono nel senso che la relativa competenza spetta ai dirigenti …".

In conclusione il ricorso risulta fondato negli stretti limiti conseguenti al parziale accoglimento del quinto motivo.

Sussistono validi motivi per disporre la compensazione delle spese di giudizio.

P.Q.M.

IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LA SARDEGNA

Accoglie in parte, nei limiti di cui in motivazione, il ricorso in epigrafe e per l’effetto annulla, entro gli stessi limiti, il provvedimento impugnato.

Spese compensate.

Così deciso in Cagliari, in Camera di Consiglio, il 11/4/2001 dal Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna, con l'intervento dei Signori:

Alberto Manlio Sassu, Presidente,

Manfredo Atzeni, Consigliere,

Alessandro Maggio, Consigliere. 

Depositata in segreteria oggi: 12/06/2001.

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