TAR VENETO, SEZ. III - Sentenza 6 luglio 2002 n. 3282
- Pres. Zuballi, Est. Franco - Panorama S.p.A. (Avv.ti F. Lorenzoni ed A. Pavanini) c. Comune di Venezia (Avv.ti G. Gidoni, M. Morino e M. Ballarin) – (accoglie).1. Autorizzazione e concessione - Vendita quotidiani e periodici – In strutture commerciali - Periodo di sperimentazione - Esaurimento – Sopravvenire del D. Lgs. n. 170/2001 - Possibilità di autorizzazione una tantum a soggetti in possesso dei requisiti.
2. Atto amministrativo – Generalità - Rilascio di un provvedimento – Diritto scaturente da un atto normativo - Individuazione di un arco temporale nel quale il diritto può essere esercitato - Individuazione da parte del giudice del termine generale di 30 giorni – Conseguenza – Illegittimità del diniego a fronte di una tempestiva richiesta.
1. I titolari di esercizi commerciali i quali, pur avendo i requisiti previsti dal D. Lgs. n. 170/2001, non avevano avanzato richiesta (cd. sperimentazione) di autorizzazione alla vendita di quotidiani e periodici quale punto vendita non esclusivo, possono ottenere l’autorizzazione stessa una tantum, se hanno presentato la dichiarazione di ottemperanza richiesta dall’art. 1, comma 1, lett. d-bis), nn. 4, 5 e 6 della L. n. 416/81 (parità di trattamento tra testate, parità di prezzo e condizioni economiche di cessione, appositi spazi espositivi), entro 30 giorni dall’entrata in vigore del D. Lgs. n. 170/2001. Ciò consente di superare la contraddizione fra i commi 4° e 5° da un lato e sesto dall’altro del D. Lgs. n. 170/2001- da intendere quest’ultimo come norma valida de futuro, cioè a regime.
2. Qualora una norma consenta una facoltà (nella specie, autorizzazione alla vendita di quotidiani e periodici) e tale facoltà debba essere attivata entro un tempo limitato, può ragionevolmente individuarsi in 30 giorni dall’entrata in vigore della norma il termine entro il quale gli interessati possono presentare istanza per fruire della nuova normativa (fattispecie in tema di richiesta di autorizzazione alla vendita di quotidiani e periodici quale punto vendita non esclusivo, ai sensi del D.Lgs. 24.4.01 n. 170, per una struttura commerciale, autorizzazione che è stata ritenuta assentibile ai richiedenti, i quali entro 30 giorni dall’entrata in vigore del D. Lgs. citato avevano chiesto l’autorizzazione alla vendita in una struttura di grande distribuzione) (1).
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(1) Sull’art. 2 della legge 241/1990 e sull’obbligo di conclusione del procedimento v. CONSIGLIO DI STATO, SEZ. IV – Sentenza 11 giugno 2002 n. 3256, in questa Rivista, pag. http://www.giustamm.it/private/cds/cds4_2002-06-11.htm. La stessa decisione sottolinea che costituisce principio generale del diritto amministrativo, non inciso dagli artt. 2, L. n. 241/1990 e 21 bis, L. n. 1034/1971, quello secondo il quale i termini del procedimento amministrativo devono essere considerati ordinatori qualora non siano dichiarati espressamente perentori dalla legge. In ogni caso, quelli previsti dall'art. 2 L. n. 241/1990 per la conclusione del procedimento amministrativo hanno natura acceleratoria, non contenendo la norma alcuna prescrizione in ordine alla perentorietà dei termini stessi, né alla decadenza della potestà amministrativa, ovvero all'illegittimità del provvedimento tardivamente adottato.
FATTO
La Panorama S.p.A., con istanza del 4.6.2001, chiedeva al comune il rilascio di autorizzazione alla vendita di quotidiani e periodici quale punto vendita non esclusivo, ai sensi del D.Lgs. 24.4.01 n. 170, per la struttura commerciale sita in località Marghera. Il competente ufficio comunale comunicava, con nota prot. 2001/28083 del 5.7.2001, che il procedimento era sospeso fino alla fissazione dei parametri e indicatori cui il medesimo D.Lgs. (art. 2, co. 6°) subordina il rilascio delle autorizzazioni in questione.
Contro tale provvedimento insorgeva, con il ricorso in epigrafe, la società interessata deducendo, con il primo motivo, violazione degli art. 1.2 e 2.1 della L. n. 241/90, nonché dell’art. 2.5 del D.Lgs. n. 170/2001.
Sostiene la ricorrente, in primo luogo, che l’amministrazione non può aggravare il procedimento, che ha l’obbligo di concludere con un provvedimento esplicito, di accoglimento o di diniego. Sotto altro profilo rileva il contrasto con l’art. 2.5 citato, ove si prevede che i soggetti che non hanno effettuato la sperimentazione (come essa ricorrente) sono autorizzati all’esercizio di un punto vendita non esclusivo dietro semplice dichiarazione di ottemperanza alle prescrizioni di cui all’art. 1, co. 1, lett. d-bis), n. 4, 5 e 6 della L. n. 416/81 (lettera aggiunta dall’art.1 della legge 13.4.99 n. 108), configurandosi, così, un’ipotesi di autorizzazione dovuta ope legis. Inoltre, sarebbe maturato il silenzio-assenso per il decorso di 30 giorni ex art. 20 della L. n. 241/90 in combinato disposto con il D.P.R. n. 407/94.
Con il secondo mezzo si deduce violazione di legge (art. 2 co. 6 del D.Lgs. n. 170/01; 41 Cost.) ed eccesso di potere per difetto di istruttoria, falsità dei presupposti, illogicità, difetto di motivazione, sull’assunto che la determinazione sull’istanza in questione può assumersi solo dopo ordinaria istruttoria per la verifica dei parametri indicati nell’art. 2.6, quali essi sono allo stato, e non previa elaborazione di ulteriori parametri. Inoltre, per l’art. 6.1 dello stesso decreto, soltanto per i punti vendita esclusivi occorrono criteri regionali e piani comunali, e non pure per quelli non esclusivi, per i quali non è prevista normativamente elaborazione di criteri.
Dopo l’accoglimento della domanda di misure cautelari (con ordine di riesame, di cui, peraltro veniva chiesta l’esecuzione da parte della società instante), il Comune si rideterminava sull’istanza, denegando l’autorizzazione, con provvedimento prot. 2001/289758 del 28.12.2001. Il diniego veniva motivato con la saturazione dei punti vendita, situazione risultante dal piano preesistente, alla luce di una verifica donde sarebbe risultato (con riferimento ai parametri di legge) il calo della popolazione residente, la non valutabilità del pendolarismo, la conferma dell’andamento dell’anno precedente, circa l’affermato calo delle vendite di quotidiani e periodici, e l’esistenza di un punto vendita esclusivo all’interno del centro commerciale.
Detta nuova determinazione viene impugnata con motivi aggiunti.
Si sostiene che le ragioni addotte appaiono contraddittorie, illogiche e insufficienti, in primo luogo censurandosi il riferimento all’esistenza di un punto vendita esclusivo nel centro commerciale, dal momento che l’art. 2.6 prevede che possa tenersi conto soltanto di preesistenti punti vendita non esclusivi. Irrilevante sarebbe, inoltre, il notorio calo della popolazione residente, dovendo piuttosto valutarsi il flusso di persone che giornalmente affluiscono al centro commerciale, anche dalle zone limitrofe, considerata anche l‘eccentricità della posizione del centro commerciale rispetto alla zona, evidenziata nel medesimo diniego; indefinito sarebbe l’ambito dell’asserito calo delle vendite (che sembra, del resto, contrastare con il notorio aumento del tenore di vita e del livello di alfabetizzazione, ecc.).
Si è costituito il Comune intimato, resistendo alle domande avversarie, e con successiva memoria instando per la riunione con altri giudizi pendenti di analogo contenuto.
Con memoria conclusiva, il patrocinio ricorrente contesta punto per punto le valutazioni sulle quali si basa la determinazione avversata, alla fine richiamando l’intento liberalizzatore che ispira sia la legge n. 108/99 sia il D. Lgs. n. 170/2001.
Conclude anche la P.A. resistente, che ribadisce, tra l’altro, che la sperimentazione, di cui alla L. n. 108, è ormai conclusa, e la necessità di stabilire i parametri da parte dei comuni, con la correlativa discrezionalità nel determinare i medesimi.
All’udienza i patroni comparsi hanno ribadito le rispettive domande ed eccezioni, dopo di che la causa è stata spedita in decisione.
D I R I T T O
1- In via preliminare osserva il Collegio che la determinazione di sospensione del procedimento autorizzativo, impugnata con il ricorso introduttivo, viene palesemente assorbita dal successivo diniego di autorizzazione all’apertura di un punto vendita non esclusivo di quotidiani e periodici in un centro commerciale, contrastato dalla ricorrente mediante notifica di motivi aggiunti. Sembra evidente, di conseguenza, che tutte le ragioni del contendere si spostano nella verifica della legittimità di questo secondo provvedimento sfavorevole.
Tuttavia, si avverte che non tutte le censure rivolte all’operato dell’amministrazione comunale, di cui al ricorso introduttivo, divengono superflue: di esse –assorbite quelle rivolte più specificamente alla motivazione dell’atto soprassessorio impugnato- rimangono invece utilizzabili, ai fini del decidere, quelle inerenti al sistema normativo che regola la fattispecie (apertura di punti vendita non esclusivi nelle medie e grandi strutture di vendita e nei centri commerciali).
2- Tanto premesso e considerato, si può dire che la risoluzione della controversia non possa che derivare dalla valutazione complessiva delle norme, succedutesi nel tempo, che in epoca recente hanno variamente disposto in materia di allargamento delle possibilità di vendita dei quotidiani e periodici oltre la rete costituita dai tradizionali punti vendita (edicole), anche al di là delle stesse prospettazioni delle parti in causa.
Nel contesto del primo mezzo di impugnazione, mosso con il ricorso introduttivo, parte ricorrente afferma che le strutture di vendita su nominate (di cui all’art. 4.1, lettere e), f) e g), richiamato dall’art. 2.3, lett. d) del D. Lgs. 24.4.2001 n. 170, che abbiano una superficie minima di vendita di mq. 700 e che non abbiano effettuato la sperimentazione), le quali richiedano di attivare un punto vendita non esclusivo al loro interno, debbono senz’altro essere autorizzate –dietro semplice dichiarazione di ottemperanza alle prescrizioni poste dall’art. 14 della L. 5.8.81 n. 416, comma 1, lett. d-bis), in sostanza con un atto dovuto, in forza della previsione normativa di cui al richiamato D. Lgs. n. 170, all’art. 2, comma 5. E’ precisamente questa censura che introduce argomenti decisivi ai fini della risoluzione della controversia, rettamente interpretando le norme richiamate, e fissandone i limiti, con precipuo riguardo alla ratio complessiva delle stesse, come si vedrà di qui a poco.
Si premette che, sullo sfondo della questione, vi è la liberalizzazione delle attività commerciali di vendita al dettaglio (parzialmente realizzata, segnatamente in relazione agli esercizi di vicinato, per l’apertura delle quali occorre soltanto una comunicazione al Comune competente, in sostanza una denuncia di inizio di attività: cfr. art 7 del D. Lgs. 31.3.98 n. 114). Su questa base, in prosieguo di tempo sembrava avviata una parallela liberalizzazione della vendita della stampa quotidiana e periodica, notoriamente retta da una disciplina specifica, incentrata sui piani comunali dei punti vendita (edicole), e sul rilascio di specifiche autorizzazioni comunali in forza della "legge sull’editoria" (L. 5.8.81 n. 416, art. 14). I parametri sulla cui base redigere i piani si evincono dall’art. 14 citato, comma 2° lett. b): densità della popolazione, numero delle famiglie, caratteristiche urbanistiche e sociali di ogni zona o quartiere, ecc., validi per la redazione degli indirizzi delle regioni ai comuni per la formulazione di detti piani.
Seguì una fase di sperimentazione della vendita di giornali e riviste presso esercizi commerciali, stabilendosi –con la lettera d-bis) aggiunta al comma 11° dell’art. 14 della richiamata legge n. 416/81-ad opera della L. 13.4.99 n. 108- che non occorreva l’autorizzazione alla vendita di quotidiani e periodici da effettuare in esercizi commerciali in possesso di determinati requisiti e a determinate condizioni. Detta sperimentazione aveva la durata di diciotto mesi ed era ormai, conclusa alla data della richiesta di autorizzazione de qua denegata con il provvedimento qui avversato (con i motivi aggiunti). Successivamente, venne emanato (sulla scorta della delega di cui all’art. 3 della appena menzionata legge n. 108/99, che aveva introdotto la sperimentazione) il D. Lgs. 24 aprile 2001 n. 170, recante: "Riordino del sistema di diffusione della stampa quotidiana e periodica, a norma dell'articolo 3 della L. 13 aprile 1999, n. 108".
Tale riordino viene disciplinato, sulla scorta delle univoche indicazioni fissate nella delega conferita al Governo con il richiamato articolo 3, stabilendo che la vendita di giornali e riviste sia articolata su punti di vendita esclusivi e non esclusivi. Ciò si evince dal testo dell’art. 2 di esso decreto, che conviene riportare per intero, dal momento che le disposizioni ivi contenute si riveleranno decisive ai fini del decidere:
"Art. 2. Definizione del sistema di vendita della stampa quotidiana e periodica.
1. Il sistema di vendita della stampa quotidiana e periodica si articola, su tutto il territorio nazionale, in punti vendita esclusivi e non esclusivi.
2. L'attività di cui al comma 1 è soggetta al rilascio di autorizzazione da parte dei comuni, anche a carattere stagionale, con le eccezioni di cui all'articolo 3. Per i punti di vendita esclusivi l'autorizzazione è rilasciata nel rispetto dei piani comunali di localizzazione di cui all'articolo 6.
3. Possono essere autorizzate all'esercizio di un punto vendita non esclusivo:
a) le rivendite di generi di monopolio;
b) le rivendite di carburanti e di oli minerali con il limite minimo di superficie pari a metri quadrati 1.500;
c) i bar, inclusi gli esercizi posti nelle aree di servizio delle autostrade e nell'interno di stazioni ferroviarie, aeroportuali e marittime, ed esclusi altri punti di ristoro, ristoranti, rosticcerie e trattorie;
d) le strutture di vendita come definite dall'articolo 4, comma 1, lettere e), f) e g), del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114, con un limite minimo di superficie di vendita pari a metri quadrati 700;
e) gli esercizi adibiti prevalentemente alla vendita di libri e prodotti equiparati, con un limite minimo di superficie di metri quadrati 120;
f) gli esercizi a prevalente specializzazione di vendita, con esclusivo riferimento alla vendita delle riviste di identica specializzazione.
4. Per gli esercizi che hanno effettuato la sperimentazione ai sensi dell'articolo 1 della legge 13 aprile 1999, n. 108, l'autorizzazione di cui al comma 2 è rilasciata di diritto.
5. I soggetti di cui al comma 3, che non hanno effettuato la sperimentazione, sono autorizzati all'esercizio di un punto di vendita non esclusivo successivamente alla presentazione al comune territorialmente competente di una dichiarazione di ottemperanza alle disposizioni di cui all'articolo 1, comma 1, lettera d-bis), numeri 4), 5), 6) e 7) della legge 13 aprile 1999, n. 108.
6. Il rilascio dell'autorizzazione, anche a carattere stagionale, per i punti di vendita esclusivi e per quelli non esclusivi deve avvenire in ragione della densità della popolazione, delle caratteristiche urbanistiche e sociali delle zone, dell'entità delle vendite di quotidiani e periodici negli ultimi due anni, delle condizioni di accesso, nonché dell'esistenza di altri punti vendita non esclusivi".
3- La norma testé riportata reca una disciplina completa (e fedele alla delega legislativa, come si è detto); ma, specialmente nella parte finale, contiene contraddizioni all’apparenza insanabili, che tuttavia è possibile superare con uno sforzo interpretativo orientato ad eviscerare dalle norme un senso coerente e compatibile con la Costituzione, secondo canoni ermeneutici facenti parte del diritto vivente (come meglio si dirà di qui a poco).
Rilevato, incidentalmente, che i soggetti, elencati alle lettere a) – f) del comma 3 –gestori di esercizi commerciali o pubblici esercizi- cui ora viene consentito di essere autorizzati all’apertura di punti vendita non esclusivi (i punti vendita esclusivi rimanendo le classiche rivendite di giornali, o edicole), sono quegli stessi che erano stati ammessi ad effettuare la vendita di giornali in via di sperimentazione, di cui alla lettera d-bis), n. 3) dell’art. 14.11 della L. n. 416/81, vanno sottolineate disposizioni di cui ai commi 4, 5 e 6. In particolare, mentre con i commi 4 e 5 si pone una disciplina in relazione ai soggetti appena richiamati (già ammessi alla sperimentazione), l’ultimo comma indica i parametri sulla scorta dei quali deve avvenire il rilascio delle autorizzazioni, tanto per i punti vendita esclusivi quanto per quelli non esclusivi.
Orbene, palese risulta la contraddizione fra detti commi 4 e 5 da una parte, e la disposizione generale di cui al comma 6. Ed invero, al comma 4° si dice che ai soggetti che hanno effettuato la sperimentazione l’autorizzazione per l’esercizio di un punto vendita non esclusivo "è rilasciata di diritto". Del pari, per i titolari di esercizi commerciali che, pur avendone i requisiti, non si erano avvalsi della sperimentazione, si dispone che essi vengano autorizzati previa presentazione di una dichiarazione di ottemperanza alle disposizioni di cui alla lettera d-bis), ecc. (dichiarazione inoltrata dalla ricorrente al Comune nel caso di specie).
Ora, tanto l’autorizzazione di cui al comma 4°, tanto quella di cui al comma 5°, con tutta evidenza spettano di diritto (nel secondo caso, ovviamente, a condizione che venga presentata la dichiarazione di ottemperanza).
Ma allora, come si conciliano tali previsioni normative con quella, a carattere indubbiamente generale, che viene posta con il comma 6°, in forza della quale l’autorizzazione, per i punti vendita tanto esclusivi che non esclusivi è soggetta alle previe valutazioni della P.A. competente in ordine al rispetto dei parametri ivi indicati (densità della popolazione, ecc.)? (Si ricordi, peraltro che l’art. 6 del medesimo D.Lgs. n. 170 fa obbligo ai Comuni di adottare piani di localizzazione per i punti vendita esclusivi, sulla scorta dei medesimi parametri, nonché dei criteri dettati dalla Regione al riguardo).
Ad una prima valutazione, sembrerebbe inevitabile dovere rimettere alla Corte costituzionale la questione della costituzionalità delle norme delegate sotto il profilo della manifesta irrazionalità e contraddittorietà insanabile delle medesime (oltre che, possibilmente, sotto il profilo della discriminazione tra chi può ottenere l’autorizzazione di diritto ed altri cui tale diritto non viene riconosciuto).
Ad avviso del Collegio, tuttavia, avuto riguardo al noto orientamento della Corte costituzionale - per il quale quando, tra due o più interpretazioni possibili, una non si pone in contrasto con la Costituzione, occorre privilegiare quest’ultima, evitando di sospendere il giudizio per invio a essa Corte-, l’aporia è superabile soltanto se alle disposizioni dei commi 4 e 5 si attribuisca valore di norma transitoria, e i soggetti in esse considerati vengano ritenuti un numerus clausus. In tal modo, se un vulnus c’è, lo stesso è non solo limitato nel tempo (e nel numero dei beneficiari del regime privilegiato), ma, altresì, è giustificato dalla normativa pregressa, che aveva posto disposizioni tali da produrre conseguenze (aspettative, ecc.) che era possibile risolvere solo ponendo norme di efficacia limitata.
Ciò posto, pare fuori da ogni dubbio che il novero dei soggetti di cui al comma 5 sia in sé conchiuso: i soggetti che si sono avvalsi della sperimentazione, alla data di entrata in vigore del D. Lgs. n. 170/2001 non possono essere che quelli, appunto, che erano stati ammessi, a quella data, a richiesta, alla sperimentazione.
Per quanto concerne i titolari di esercizi commerciali i quali, pur avendone i requisiti (di cui alla disposizione citata), non avevano avanzata richiesta in tal senso, ebbene, agli stessi tale possibilità deve ritenersi data, oggi, una tantum, con il comma quinto in discorso, da intendere nel senso che i soggetti interessati, che ne avessero i requisiti, hanno diritto ad ottenerla, soltanto se abbiano presentato la ripetuta dichiarazione, anche oltre il termine di 18 mesi fissati dalla legge n. 108 per la sperimentazione, purché entro un termine ragionevole dall’entrata in vigore del D. Lgs. n. 170/2001, che il Collegio ritiene di ravvisare nel termine tendenzialmente generale di trenta giorni (cfr. art. 2 della legge 7.8.90 n. 241, e numerose altre disposizioni analoghe). Una simile interpretazione –per quanto possa apparire forzata- consente di superare la contraddizione non solo fra i due commi in discorso (4° e 5°) con il sesto -da intendere quest’ultimo come norma valida de futuro (per così dire, a regime)-; essa consente, altresì, di superare la contraddizione "interna" fra i commi quarto e quinto, mettendo, così, sullo stesso piano (del regime di favore transitorio) coloro che si fossero avvalsi della sperimentazione e gli altri che, pur avendone i requisiti, non lo avessero ancora fatto. Il tutto si giustifica non solo con la medesima sperimentazione nei riguardi dei soggetti in questione, prevista dalla legge 108/99, ma anche con il fatto che entrambi tali gruppi di soggetti costituiscono un numerus clausus (infatti anche coloro che non avevano effettuato la sperimentazione, sono pur sempre in numero predeterminato, sulla base della avvenuta presentazione, della dichiarazione di ottemperanza entro il breve termine suindicato dalla data di entrata in vigore del decreto Lgs. n. 170/2001.
Tutto ciò premesso e considerato, poiché la richiesta, accompagnata dalla prescritta dichiarazione, fu avanzata da parte della ricorrente il 4.6.2001 (vale a dire nell’immediatezza dell’entrata in vigore, e comunque entro il menzionato termine di trenta giorni), l’autorizzazione all’attivazione di un punto di vendita non esclusivo nella struttura di vendita gestita non poteva essere negata, spettando la stessa, come già spiegato, di diritto. Da ciò consegue che il diniego impugnato con i motivi aggiunti deve ritenersi illegittimo.
Per le considerazioni fin qui svolte, il ricorso si appalesa fondato e va accolto, con assorbimento di ogni altra censura. Per l’effetto, è annullato il diniego impugnato.
Sussistono, tuttavia, giusti motivi per compensare fra le parti le spese ed onorari di giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, Sezione terza, definitivamente pronunziando sul ricorso in epigrafe, respinta ogni contraria domanda ed eccezione, lo accoglie. Per l’effetto, è annullato il diniego impugnato.
Compensa integralmente fra le parti le spese ed onorari di giudizio.
Depositata in cancelleria il 6 luglio 2002.