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n. 6-2002 - © copyright.

CONSIGLIO DI STATO, SEZ. IV - Sentenza 11 giugno 2002 n. 3256 - Pres. Trotta, Est. Poli - Tolla (Avv.ti Giuliani e Scoca) c. Regione Basilicata (Avv. Viggiani) e Comune di Satriano di Lucania (n.c.) - (conferma T.A.R. Basilicata, sent. 27 febbraio 2002, n. 160).

1. Atto amministrativo - Procedimento - Obbligo di conclusione - Ex art. 2, 1° comma, della L. n. 241/90 - Casi in cui viene meno - Individuazione.

2. Giustizia amministrativa - Ricorso giurisdizionale - Avverso il silenzio rifiuto - Nuova disciplina prevista dall'art. 2 della L. n. 205/2000 - Oggetto del giudizio - Riguarda la sussistenza o meno dell'obbligo dell'amministrazione di provvedere.

3. Giustizia amministrativa - Ricorso giurisdizionale - Avverso il silenzio-rifiuto - Nuova disciplina prevista dall'art. 2 della L. n. 205/2000 - Provvedimento adottato nelle more della definizione del giudizio - Fa venir meno il presupposto per l'azione di condanna.

4. Giustizia amministrativa - Ricorso giurisdizionale - Avverso il silenzio rifiuto - Nuova disciplina prevista dall'art. 2 della L. n. 205/2000 - Provvedimento adottato nelle more della definizione del giudizio - Impugnativa con ricorso per motivi aggiunti e conversione del ricorso ex art. 2 cit. in ricorso ordinario - Impossibilità - Ragioni.

5. Giustizia amministrativa - Ricorso giurisdizionale - Avverso il silenzio rifiuto - Nuova disciplina prevista dall'art. 2 della L. n. 205/2000 - Presupposti per la formazione del silenzio - Procedura di cui all'art. 25, comma 1°, T.U. 10 gennaio 1957, n. 3 - Continua ad applicarsi.

6. Giustizia amministrativa - Ricorso giurisdizionale - Avverso il silenzio rifiuto - Nuova disciplina prevista dall'art. 2 della L. n. 205/2000 - Inapplicabilità ai giudizi incentrati sull'accertamento di pretese patrimoniali costitutive di diritti soggettivi di credito attribuiti alla giurisdizione esclusiva del G.A.

7. Atto amministrativo - Procedimento - Termini previsti - Per principio generale hanno natura ordinatoria - Termine di conclusione del procedimento - Ex art. 2 della L. n. 241/90 - Ha natura acceleratoria.

8. Giustizia amministrativa - Ricorso giurisdizionale - Avverso il silenzio rifiuto - Nuova disciplina prevista dall'art. 2 della L. n. 205/2000 - Provvedimento adottato dalla P.A. - Conseguenze - Rende il ricorso inammissibile se adottato prima della proposizione del ricorso - Rende invece improcedibile il ricorso se adottato successivamente.

1. L'obbligo della P.A. di concludere il procedimento amministrativo con un provvedimento espresso, previsto dall'art. 2, 1° comma, della L. n. 241/1990, viene meno: a) in presenza di reiterate richieste aventi il medesimo contenuto, qualora sia già stata adottata una formale risoluzione amministrativa non impugnata nei termini (1) e non siano sopravvenuti mutamenti della situazione di fatto o di diritto (2); b) in presenza di domande manifestamente assurde (3) o totalmente infondate (4); c) al cospetto di pretese illegali, non potendosi dare corso alla tutela di interessi illegittimi (5). I medesimi principi sono applicabili anche dopo l'entrata in vigore della L. n. 205/2000, che ha introdotto l'art. 21 bis, nel corpo della L. n. 1034/1971 (6).

2. In sede di giudizio sul silenzio-rifiuto, previsto dall'art. 21 bis, L. n. 1034/1971, introdotto dall'art. 2 della L. n. 205/2000, non è possibile compiere un accertamento sulla fondatezza della pretesa sostanziale del ricorrente, indicando all'amministrazione il contenuto del provvedimento da adottare, atteso che il giudizio sul silenzio-rifiuto verte solo sull'accertamento della sussistenza o meno dell'obbligo dell'amministrazione di provvedere (7).

3. L'adozione di qualsivoglia atto da parte dell'amministrazione, in risposta alla diffida dell'interessato, fa venir meno il presupposto per l'azione di condanna ex art. 21 bis, L. n. 1034 del 1971, indipendentemente dal soddisfacimento dell'interesse sostanziale sottostante (8). Non va confuso, infatti, l'obbligo di pronuncia e del clare loqui gravante sull'amministrazione, a mente del richiamato art. 2, l. n. 241 del 1990, ed il correlato interesse legittimo di carattere pretensivo-procedimentale del privato, con l'interesse sostanziale introdotto nel procedimento consistente nella pretesa al bene della vita agognato.

4. La diversità degli oggetti giuridici dei due giudizi (quello ordinario, incentrato sul provvedimento e quello ex art. 21 bis L. n. 1034/1971 sul silenzio), nonchè la specialità di quest'ultimo giudizio, porta ad escludere, anche per evitare facili elusioni dei tempi ordinari di trattazione delle controversie: a) che possano proporsi motivi aggiunti avverso il provvedimento amministrativo sopravvenuto nel corso del giudizio instaurato ex art. 21 bis L. n. 1034 del 1971 (9); b) che sia ammissibile la conversione del ricorso speciale in ricorso volto ad introdurre un giudizio ordinario di legittimità (10).

5. Per la formazione del silenzio-inadempimento è sempre indispensabile l'attivazione della procedura di cui all'art. 25, comma 1°, t.u. 10 gennaio 1957, n. 3; l'interessato, quindi, dopo l'infruttuosa scadenza del termine di sessanta giorni dall'inizio d'ufficio del procedimento (che in tal caso tiene luogo dell'istanza del privato), ovvero di quello più lungo fissato dai regolamenti attuativi dell'art. 2, comma 2°, l. n. 241 del 1990, deve notificare a mezzo ufficiale giudiziario apposito atto di diffida e messa in mora, concedendo un termine non inferiore a trenta giorni affinchè l'amministrazione provveda; per poi impugnare il silenzio innanzi al giudice amministrativo, nel termine decadenziale di sessanta giorni, decorrente dallo scadere del termine assegnato con la diffida (11).

6. La formazione del silenzio-inadempimento disegnata secondo gli schemi dell'art. 25, comma 1°, t.u. 10 gennaio 1957, n. 3 e confermata sul piano processuale dal rito speciale di cui all'art. 21 bis L. n. 1034 del 1971, non è compatibile con quelle controversie che, solo apparentemente, hanno ad oggetto una situazione di inerzia, come i casi dei giudizi incentrati sull'accertamento di pretese patrimoniali costitutive di diritti soggettivi di credito attribuiti alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. In tali ipotesi: a) non occorre l'attivazione della procedura di silenzio inadempimento ex art. 25 cit. (12); b) i ricorsi sono soggetti al termine ordinario di prescrizione (13); c) coerentemente, non potrà essere utilizzato il rito speciale di cui all'art. 21 bis, perché la posizione soggettiva che viene in rilievo non è sicuramente configurabile in termini di interesse legittimo.

7. Costituisce principio generale del diritto amministrativo, non inciso dagli artt. 2, L. n. 241/1990 e 21 bis, L. n. 1034/1971, quello secondo il quale i termini del procedimento amministrativo devono essere considerati ordinatori qualora non siano dichiarati espressamente perentori dalla legge. In ogni caso, quelli previsti dall'art. 2 L. n. 241/1990 per la conclusione del procedimento amministrativo hanno natura acceleratoria, non contenendo la norma alcuna prescrizione in ordine alla perentorietà dei termini stessi, né alla decadenza della potestà amministrativa, ovvero all'illegittimità del provvedimento tardivamente adottato (14).

8. Il presupposto per la condanna dell'amministrazione, a mente dell'art. 21 bis l. n. 1034 del 1971, è che, quantomeno al momento della pronuncia del giudice, perduri l'inerzia dell'amministrazione; conseguentemente, l'adozione da parte di quest'ultima di un qualsivoglia provvedimento esplicito in risposta all'istanza dell'interessato, rende il ricorso: a) inammissibile, per carenza originaria di interesse ad agire, se il provvedimento, ancorchè non comunicato, intervenga prima della proposizione del ricorso medesimo; b) improcedibile, per carenza sopravvenuta di interesse ad agire, se il provvedimento intervenga nel corso del giudizio.

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(1) Cfr. ex plurimis e da ultimo Cons. Stato, sez. IV, 20 novembre 2000, n. 6181; sez. V, 27 marzo 2000, n. 1765, secondo cui non sussiste alcun obbligo per l'amministrazione di riesaminare i propri atti divenuti inoppugnabili, con la conseguenza che sull'istanza di riesame presentata dal privato non si può formare il silenzio rifiuto.

(2) Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 20 novembre 2000, n. 6181; sez. V, 18 gennaio 1995, n. 89; Cass. sez. un, 20 gennaio 1969, n. 128.

(3) Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 20 novembre 2000, n. 6181; sez. IV, 28 novembre 1994, n. 950.

(4) Cfr. Cons. Stato, sez. V, 3 agosto 1993, n. 838; 7 maggio 1994, n. 418.

(5) Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 20 novembre 2000, n. 6181.

(6) Cfr. Cons. Stato, sez. VI, 23 ottobre 2001, n. 5573.

(7) Cfr. con specifico riferimento all'art. 21 bis cit., Cons. Stato, Ad. plen., 9 gennaio 2002, n. 1; per l'indirizzo precedente cfr., sez. IV, 20 novembre 2000, n. 6181; 25 marzo 1996, n. 390; 9 maggio 1994, n. 387.

(8) Cfr. Cons. Stato, sez. V, 3 gennaio 2002, n. 12.

Ha osservato in proposito la Sez. IV con la sentenza in rassegna che il rito speciale accelerato, essendo avulso dal soddisfacimento dell'interesse sostanziale, perché mirante esclusivamente alla rimozione della situazione di inerzia, appaga pienamente le esigenze di rapida conclusione dei processi, sottese alla nuova formulazione dell'art. 111, comma 2°, Cost., in coerenza con i principi internazionali sul diritto di ogni cittadino ad avere un processo equo in un tempo ragionevole (arg. ex art. 6, comma 1°, Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo).

(9) Cfr. Cons. Stato, sez. V, 11 gennaio 2002, n. 144; nel senso di ritenere invece che il provvedimento di diniego sopravvenuto nel corso del giudizio ex art. 2 L. 205/2000 può essere ritualmente impugnato con ricorso per motivi aggiunti, ai sensi dell'art. 21 comma 1 L. 6 dicembre 1971 n. 1034, come sostituito dall'art. 1 L. 21 luglio 2000 n. 205, purchè risultino rispettati termini e modalità previsti per il rito ordinario a garanzia di tutti i controinteressati v. da ult. sez. V, 10 aprile 2002 n. 1974.

(10) Cfr. Cons. Stato, sez. V, 3 gennaio 2002, n. 12.

(11) Cfr. ex plurimis, Cons. Stato, sez. IV, 27 dicembre 2001, n. 6415; C.G.A., 23 dicembre 1999, n. 665; Cons. Stato, sez. III, 2 giugno 1998, n. 113/98; sez. V, 18 novembre 1997, n. 1331.

(12) Cfr. Cons. Stato sez. V, 14 luglio 1997, n. 820.

(13) Cfr. Cons. Stato, sez. V, 18 gennaio 2002, n. 254.

(14) Cfr. ex plurimis C.G.A.,14 febbraio 2001, n. 77; Trib. sup. acque, 24 aprile 2001, n. 46; Cons. Stato, sez. V, 3 giugno 1996, n. 621.

In materia di ricorsi avverso il silenzio della P.A. dopo la disciplina introdotta dalla L. n. 205/2000 v. in questa Rivista Internet:

N. SAITTA, Ricorsi contro il silenzio della p.a.: quale silenzio?

S. PELILLO, Il ricorso avverso il silenzio dell'amministrazione.

CONSIGLIO DI STATO, ADUNANZA PLENARIA - Decisione 9 gennaio 2002 n. 1 (secondo cui, in particolare, il G.A. deve accertare esclusivamente l'illegittimità dell'inerzia dell'amministrazione, nel caso di ricorso ex art. 2 L. 205/00), con commento di G. BACOSI, Silenzio ... parla Palazzo Spada.

CONSIGLIO DI STATO, SEZ. V - Sentenza 16 gennaio 2002 n. 230.

CONSIGLIO DI STATO, COMMISSIONE SPECIALE - Parere 17 gennaio 2001 n. 1242/2000.

Per ulteriori riferimenti si fa rinvio alla pagina di approfondimento relativa alla L. n. 205/2000.

 

 

FATTO e DIRITTO

1. In data 4 luglio 1996, la s.p.a. Tolla Geom. Michele (in prosieguo s.p.a. Tolla), presentava alla Regione Basilicata una richiesta di autorizzazione per la realizzazione di un impianto di smaltimento di rifiuti industriali, ubicato nel tenimento del comune di Satriano di Lucania.

2. Nonostante lo svolgimento di una corposa istruttoria, in data 18 ottobre 2001 la s.p.a. Tolla era costretta a notificare atto di diffida e messa in mora ex art. 2, l. n. 241 del 1990, invitando la Regione Basilicata a concludere il procedimento, concernente l'approvazione del progetto, nel termine di trenta giorni.

3. In risposta alla diffida, la giunta regionale adottava la deliberazione n. 2398 del 16 novembre 2001 (comunicata alla società il successivo 26 novembre 2001), con cui, nella sostanza, si riservava di provvedere definitivamente sulla apertura dell'impianto, solo dopo aver accertato la compatibilità di quest'ultimo con la nuova perimentrazione del Parco nazionale dell'Appennino Lucano - Val d'Agri - Lagonegro.

4. Con ricorso (nrg. 513\2001) notificato il 24 novembre 2001, la società Tolla introduceva innanzi al T.A.R. per la Basilicata la speciale procedura divisata dall'art. 21 bis, l. n. 1034 del 1971, insistendo per la nomina di un commissario ad acta e formulando domanda di risarcimento del danno.

5. Il 5 dicembre 2001, la società notificava atto di motivi aggiunti insorgendo contro la menzionata deliberazione regionale n. 2398 del 2001.

6. Il T.A.R., con l'impugnata sentenza n. 160 del 27 febbraio 2002 (posta in deliberazione alla camera di consiglio del 16 gennaio 2002):

I) ha assunto in decisione il ricorso nrg. 513\2001 limitatamente all'impugnativa del silenzio inadempimento (tale capo di sentenza non è oggetto di gravame ed è coperto dalla forza del giudicato interno);

II) ha preso atto della sopravvenuta carenza di interesse manifestata dalla ricorrente in ordine alla domanda di risarcimento del danno (anche tale capo di sentenza non è stato gravato);

ha respinto il ricorso sull'assorbente rilievo che la giunta regionale avesse in qualche modo risposto alla diffida spezzando l'inerzia procedimentale;

ha compensato le spese di giudizio.

7. Avverso tale pronuncia la società Tolla ha interposto appello, con atto notificato l'11 aprile 2002 e depositato il successivo 23 aprile.

Secondo le argomentazioni sviluppate nel gravame, il primo giudice avrebbe dovuto accogliere il ricorso, in considerazione:

a) della natura soprassessoria della deliberazione giuntale sopravvenuta, comunicata dopo la notificazione del ricorso di primo grado, ben oltre il termine di trenta giorni concesso per l'adozione del provvedimento finale;

b) della sua evidente finalità elusiva;

c) della mancata soddisfazione della pretesa sostanziale della società.

8. Si costituiva la Regione Basilicata deducendo l'infondatezza del gravame in fatto e diritto.

9. La causa è passata in decisione alla camera di consiglio del 7 maggio 2002.

10. L'appello è infondato e deve essere respinto.

11. All'indomani dell'entrata in vigore della l. n. 241 del 1990, è fatto obbligo (sancito dall'art. 2, 1° comma, della su richiamata legge), alle amministrazioni pubbliche di concludere il procedimento, avviato d'ufficio o su istanza di parte, con provvedimento espresso.

Per ineludibili esigenze di economicità ed efficacia dell'azione amministrativa, salvaguardate dalla medesima legge n. 241 del 1990, in una con il prevalente indirizzo di questo Consiglio, può ritenersi che l'obbligo della P.A. di concludere il procedimento con un provvedimento espresso, venga meno: a) in presenza di reiterate richieste aventi il medesimo contenuto, qualora sia già stata adottata una formale risoluzione amministrativa inoppugnata (cfr. ex plurimis e da ultimo Cons. Stato, sez. IV, 20 novembre 2000, n. 6181; sez. V, 27 marzo 2000, n. 1765, secondo cui non sussiste alcun obbligo per l'amministrazione di riesaminare i propri atti divenuti inoppugnabili, con la conseguenza che sull'istanza di riesame presentata dal privato non si può formare il silenzio rifiuto), e non siano sopravvenuti mutamenti della situazione di fatto o di diritto (cfr. sez. IV, 20 novembre 2000, n. 6181; sez. V, 18 gennaio 1995, n. 89; Cass. sez. un, 20 gennaio 1969, n. 128); b) in presenza di domande manifestamente assurde (cfr. sez. IV, 20 novembre 2000, n. 6181; sez. IV, 28 novembre 1994, n. 950), o totalmente infondate (cfr. sez. V, 3 agosto 1993, n. 838; 7 maggio 1994, n. 418); c) al cospetto di pretese illegali, non potendosi dare corso alla tutela di interessi illegittimi (cfr. sez. IV, 20 novembre 2000, n. 6181).

Alle medesime conclusioni, sempre nel presupposto di evitare inutili e antieconomiche attività procedimentali, si è giunti dopo l'entrata in vigore della l. n. 205 del 2000, che ha introdotto l'art. 21 bis, nel corpo della l. n. 1034 del 1971 (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 23 ottobre 2001, n. 5573).

Tale opzione ermeneutica è coerente con la tesi esposta da questo Consiglio, secondo cui in sede di giudizio sul silenzio rifiuto non è possibile compiere un accertamento sulla fondatezza della pretesa sostanziale del ricorrente, con l'indicare all'amministrazione il contenuto del provvedimento da adottare, vertendo il giudizio sul silenzio rifiuto solo sull'accertamento della sussistenza o meno dell'obbligo dell'amministrazione di provvedere (cfr. con specifico riferimento all'art. 21 bis cit., Ad. plen. 9 gennaio 2002, n. 1; per l'indirizzo precedente cfr., sez. IV, 20 novembre 2000, n. 6181; 25 marzo 1996, n. 390; 9 maggio 1994, n. 387).

Non va confuso, infatti, l'obbligo di pronuncia e del clare loqui gravante sull'amministrazione, a mente del richiamato art. 2, l. n. 241 del 1990, ed il correlato interesse legittimo di carattere pretensivo - procedimentale del privato, con l'interesse sostanziale introdotto nel procedimento consistente nella pretesa al bene della vita agognato.

La richiamata Adunanza plenaria, nel delineare i poteri di ingerenza del giudice amministrativo sull'azione amministrativa ha, per l'appunto, evidenziato la perdurante validità del principio generale che assegna la cura dell'interesse pubblico in prima battuta all'amministrazione, relegando al giudice amministrativo, nelle aree in cui l'amministrazione è titolare delle potestà pubbliche, il solo controllo sull'esercizio di tali potestà. Si è posto un freno, in definitiva, alla tendenza ad assolutizzare la ricostruzione del processo amministrativo come processo sul rapporto e non più sull'atto, ben oltre i casi tassativi individuati dalla legge.

Logico corollario è che l'adozione di qualsivoglia atto da parte dell'amministrazione, in risposta alla diffida dell'interessato, fa venir meno il presupposto per l'azione di condanna ex art. 21 bis, indipendentemente dal soddisfacimento dell'interesse sostanziale sottostante (cfr. Cons. Stato, sez. V, 3 gennaio 2002, n. 12).

11.1. Né può dirsi, contrariamente a quanto adombrato dalla difesa appellante, che la disposizione sancita dal menzionato art. 21 bis abbia inciso sulle consolidate regole di formazione ed impugnazione del silenzio inadempimento.

Depone in tal senso l'analisi letterale dell'art. 21 bis, che si limita a disciplinare il rapporto processuale, introducendo un rito speciale accelerato, a cognizione sommaria, senza occuparsi della fase antecedente di formazione del silenzio (che la legge n. 205 ha mostrato di intendere per presupposta, secondo le consolidate linee scandite dalla giurisprudenza di questo Consiglio).

Anche l'esegesi sistematica conduce al medesimo risultato, esaltando la specialità del rito, nel raffronto sia con il giudizio cognitorio ordinario di legittimità, sia con i modelli di tutela cautelare costruiti, in ogni caso, intorno alla presenza di un provvedimento espresso (al più accompagnato da situazioni complementari di inerzia, come si evince dalla lettera dell'art. 21, comma 8, l. n. 1034 del 1971).

Sul piano costituzionale, infine, il rito speciale accelerato, avulso dal soddisfacimento dell'interesse sostanziale perché mirante esclusivamente alla rimozione della situazione di inerzia, appaga pienamente le esigenze di rapida conclusione dei processi, sottese alla nuova formulazione dell'art. 111, comma 2°, Cost., in coerenza con i principi internazionali sul diritto di ogni cittadino ad avere un processo equo in un tempo ragionevole (arg. ex art. 6, comma 1°, Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo).

Proprio la diversità degli oggetti giuridici dei giudizi - incentrati sul provvedimento o sul silenzio - e la specialità di quest'ultimo, ha spinto la giurisprudenza ad escludere, anche per evitare facili elusioni dei tempi ordinari di trattazione delle controversie: a) che possano proporsi motivi aggiunti avverso il provvedimento amministrativo sopravvenuto nel corso del giudizio instaurato ex art. 21 bis cit. (cfr. Cons. Stato, sez. V, 11 gennaio 2002, n. 144); b) che sia ammissibile la conversione del ricorso speciale in ricorso volto ad introdurre un giudizio ordinario di legittimità (cfr. Cons. Stato, sez. V, 3 gennaio 2002, n. 12).

11.2. Per la formazione del silenzio inadempimento è, pertanto, sempre indispensabile l'attivazione della procedura di cui all'art. 25, comma 1°, t.u. 10 gennaio 1957, n. 3. L'interessato, quindi, dopo l'infruttuosa scadenza del termine di sessanta giorni dall'inizio d'ufficio del procedimento (che in tal caso tiene luogo dell'istanza del privato), ovvero di quello più lungo fissato dai regolamenti attuativi dell'art. 2, comma 2°, l. n. 241 del 1990, deve notificare a mezzo ufficiale giudiziario apposito atto di diffida e messa in mora, concedendo un termine non inferiore a trenta giorni affinchè l'amministrazione provveda; per poi impugnare il silenzio innanzi al giudice amministrativo, nel termine decadenziale di sessanta giorni, decorrente dallo scadere del termine assegnato con la diffida (cfr. ex plurimis, Cons. Stato, sez. IV, 27 dicembre 2001, n. 6415; Cons. giust. amm. 23 dicembre 1999, n. 665; Cons. Stato, sez. III, 2 giugno 1998, n. 113\98; sez. V, 18 novembre 1997, n. 1331).

Quest'ultima soluzione si conferma la più coerente con la ratio acceleratoria sottesa all'art. 21 bis, nonché con l'esigenza della pronta definizione dei rapporti giuridici aventi ad oggetto interessi pubblici. Sarebbe contraddittorio, infatti, prevedere un rito processuale scandito da ritmi serrati e scevro di formalità, e consentire al privato di contestare l'inerzia dell'amministrazione sine die o nel termine ordinario di prescrizione, termine che non si addice a posizioni soggettive aventi la consistenza dell'interesse legittimo, per di più meramente formale e procedimentale.

11.3. La formazione del silenzio inadempimento disegnata secondo gli schemi dell'art. 25 cit., e confermata sul piano processuale dal rito speciale di cui all'art. 21 bis, non è compatibile con quelle controversie che, solo apparentemente, hanno ad oggetto una situazione di inerzia.

E' questo il caso dei giudizi incentrati sull'accertamento di pretese patrimoniali costitutive di diritti soggettivi di credito attribuiti alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.

In tali ipotesi, come ben evidenziato dalla giurisprudenza: a) non occorre l'attivazione della procedura di silenzio inadempimento ex art. 25 cit. (cfr. Cons. Stato sez. V, 14 luglio 1997, n. 820); b) i ricorsi sono soggetti al termine ordinario di prescrizione (cfr. Cons. Stato, sez. V, 18 gennaio 2002, n. 254); c) coerentemente, non potrà essere utilizzato il rito speciale di cui all'art. 21 bis, perché la posizione soggettiva che viene in rilievo non è sicuramente configurabile in termini di interesse legittimo.

11.4. Quanto alle conseguenze dell'emanazione del provvedimento espresso da parte dell'amministrazione, dopo lo spirare dei termini procedimentali fissati ex art. 2, l. n. 241 del 1990, ed ai riflessi sul giudizio instaurato in base al più volte menzionato art. 21 bis, l. n. 1034 del 1971, la sezione osserva quanto segue.

Costituisce principio generale del diritto amministrativo, non inciso dagli artt. 2, l. n. 241 del 1990 e 21 bis, l. n. 1034 del 1971, quello secondo il quale i termini del procedimento amministrativo devono essere considerati ordinatori qualora non siano dichiarati espressamente perentori dalla legge.

In ogni caso, quelli divisati dall'art. 2 cit., hanno natura acceleratoria, non contenendo la norma alcuna prescrizione in ordine alla perentorietà dei termini stessi, né alla decadenza della potestà amministrativa, ovvero all'illegittimità del provvedimento tardivamente adottato (cfr. ex plurimis Cons. giust. amm., 14 febbraio 2001, n. 77; Trib. sup. acque, 24 aprile 2001, n. 46; Cons. Stato, sez. V, 3 giugno 1996, n. 621).

Sul piano strettamente processuale, ciò significa che il presupposto per la condanna dell'amministrazione, a mente dell'art. 21 bis l. n. 1034 del 1971, è che, quantomeno al momento della pronuncia del giudice, perduri l'inerzia dell'amministrazione. Conseguentemente, l'adozione da parte di quest'ultima di un qualsivoglia provvedimento esplicito in risposta all'istanza dell'interessato, rende il ricorso: a) inammissibile, per carenza originaria di interesse ad agire, se il provvedimento, ancorchè non comunicato, intervenga prima della proposizione del ricorso medesimo (come verificatosi nel caso di specie); b) improcedibile, per carenza sopravvenuta di interesse ad agire, se il provvedimento intervenga nel corso del giudizio.

L'omessa comunicazione del provvedimento esplicito da parte dell'amministrazione (unitamente alla mancanza della prova della conoscenza del provvedimento stesso avuta aliunde), potrà, al più, sortire effetti sulla valutazione del giudice in ordine al carico delle spese processuali ed all'eventuale insussistenza dei presupposti per la configurabilità della responsabilità del ricorrente per lite temeraria ex art. 96 c.p.c.

12. Sulla scorta delle rassegnate conclusioni l'appello deve essere respinto.

Giusti motivi consentono al collegio di compensare integralmente fra le parti le spese del grado.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sezione quarta):

- respinge l'appello proposto, e per l'effetto conferma la sentenza indicata in epigrafe;

- dichiara integralmente compensate fra le parti le spese del presente grado di giudizio.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 7 maggio 2002, con la partecipazione dei signori:

Gaetano Trotta - Presidente

Raffaele De Lipsis - Consigliere

Dedi Rulli - Consigliere

Vito Poli Rel. Estensore - Consigliere

Carlo Saltelli - Consigliere

L'ESTENSORE IL PRESIDENTE

Depositata in segreteria l'11 giugno 2002.

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