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Articoli e note
n. 9-2002.

RICCARDO DE SIMONE

L’opposizione di terzo nel processo amministrativo
alla luce dei più recenti orientamenti

1.- La situazione anteriore alla pronuncia della Corte Costituzionale n. 177/1995.

Sino alla pronuncia della Corte Costituzionale del 17 maggio 1995, n. 177, il sistema di giustizia amministrativa presentava notevoli lacune sotto il profilo della tutela dei terzi pregiudicati da sentenza che, seppur resa inter alios, dispiegava comunque i suoi effetti mediati nei confronti di soggetti che non avevano partecipato al processo e che, per giunta, non erano stati messi in grado di intervenire (controinteressati pretermessi o sopravvenuti). La rigidità dell’ordinamento processuale, che non prevedeva l’istituto dell’opposizione di terzo, ignorava coloro che, per fatti sopravvenuti al processo, acquisivano un interesse qualificato alla conservazione del provvedimento impugnato.

La giurisprudenza, dal canto suo, non apportava adeguato sostegno alla tutela dei soggetti pregiudicati dalle sentenze, escludendo l’applicazione analogica dell’istituto dell’opposizione di terzo al processo amministrativo.

La decisione del Consiglio di Stato n. 447/1994 costituiva una prima timida pronuncia in favore del soggetto leso da sentenza del giudice amministrativo, in quanto prevedeva la facoltà, per colui che non era stato parte nel processo di primo grado, di impugnare la sentenza, fonte della lesione subita, di fronte al Consiglio di Stato.

Non potendo avvalersi dell’opposizione di terzo, la pronuncia menzionata faceva riferimento all’art. 24 Cost. che esclude la possibilità per una sentenza di arrecar pregiudizio a colui che non ha potuto difendersi nel corso del processo. In tal modo, però, si sarebbe verificato un ingiustificato diniego di tutela per tutti coloro che non avevano avuto conoscenza del processo e della conseguente sentenza prima del suo passaggio in giudicato; inoltre, come noto, l’appello non permette di allargare il thema decidendum, essendo diretto piuttosto al riesame della pretesa fatta valere sulla base dei motivi addotti in primo grado (divieto di jus novorum).

Del pari privo di pregio risultava il rilievo di carattere formale secondo cui, in base all’art. 2909 c.c., la sentenza passata in giudicato tra le parti non può dispiegare i suoi effetti negativi per i terzi. La sentenza di annullamento del giudice amministrativo, infatti, colpisce provvedimenti che, per loro intrinseca natura, possono costituire il presupposto per altri atti conseguenti i quali incidono sulla sfera giuridica di una moltitudine di soggetti. Il venir meno dell’atto a monte potrebbe far crollare l’intera architettura su cui si fonda un provvedimento in favore di un terzo.

Le soluzioni paventate dalla giurisprudenza, dunque, non apparivano risolutive del problema, ma lasciavano aperto un profondo vulnus nell’ordinamento processuale amministrativo; d’altro canto, non si poteva nemmeno pretendere che fosse il giudice amministrativo ad introdurre nel processo il rimedio dell’opposizione di terzo, stante il principio di tassatività delle impugnazioni.

2.- L’innesto dell’opposizione di terzo nel processo amministrativo; in particolare, i soggetti legittimati.

Come sopra ricordato, a seguito della sentenza additiva della Corte Costituzionale, 17 maggio 1995 n. 177, ha fatto il suo ingresso nel sistema di giustizia amministrativa l’istituto dell’opposizione di terzo, fondamentale strumento di tutela a vantaggio di quanti, pur non partecipando al processo, siano comunque interessati alla conservazione od eliminazione dell’atto impugnato.

La Consulta, pronunciandosi sull’ordinanza del Consiglio di Stato del 4 giugno 1993, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 28 e 36 l. TAR per l’omessa previsione dell’esperibilità, in favore del terzo, di un mezzo di impugnazione eguale a quello previsto e disciplinato dall’art. 404, co.1, c.p.c. (opposizione di terzo ordinaria), contro le decisioni di TAR e Consiglio di Stato. Il contrasto del sistema con il principio di eguaglianza e il diritto alla tutela giurisdizionale era del tutto evidente, in quanto mancava la possibilità per il terzo di far valere le proprie ragioni allo scopo di rimuovere il pregiudizio derivante dal giudicato che aveva prodotto una situazione incompatibile con la sua.

A seguito dell’importante pronuncia del Giudice delle leggi, la giurisprudenza amministrativa ha cominciato la sua opera di "adattamento" dell’istituto in parola, smussando le convessità poco compatibili con il processo amministrativo e tentando di adattare un rimedio nato in un determinato contesto processuale ad un sistema, quello della giustizia amministrativa, ben diverso sotto molteplici aspetti. L’operazione si è presentata da subito di non facile fattura.

Tra le prime pronunce applicative del rimedio in esame si annovera la sentenza n. 655/1996 del Consiglio di Stato in cui viene espressamente previsto che soggetti estranei al giudizio possano acquisire situazioni soggettive di vantaggio dal provvedimento impugnato dal ricorrente e per ottenere adeguata tutela devono avvalersi dell’opposizione di terzo.

La stessa sentenza individua tre categorie di soggetti legittimati ad esperire il rimedio testé citato a seguito di sentenza passata in giudicato o comunque esecutiva: "a) gli aventi causa cui la situazione giuridica controversa è stata trasferita in pendenza del processo (art.111 c.p.c.) o dopo la formazione del giudicato (art. 2909 c.c.) nei cui confronti opera l’inefficacia diretta del giudicato; b) i titolari di situazioni giuridiche incise da atti indivisibili, nei cui confronti opera l’efficacia riflessa del giudicato; c) i terzi titolari di situazioni giuridiche autonome ed incompatibili con quella formante oggetto del giudicato, che non è loro opponibile".

A queste categorie individuate da una delle prime pronunce sul tema, va aggiunta anche la figura del controinteressato sopravvenuto, ossia di colui che diviene titolare di una posizione sostanziale incompatibile con quella fatta valere dal ricorrente solo in epoca successiva all’introduzione del giudizio, per effetto di nuovi provvedimenti adottati dall’amministrazione, conseguenti all’atto originariamente impugnato.

Il controinteressato sopravvenuto non costituisce parte necessaria al momento dell’instaurazione del processo ragion per cui il ricorrente non avrà l’onere di raggiungerlo con le sue notifiche per integrare il contraddittorio, ciononostante tale figura ben potrà avvalersi del rimedio dell’opposizione di terzo e dell’appello, pur non avendo partecipato al processo di primo grado, per veder tutelate le proprie situazioni giuridiche soggettive (sulla figura del controinteressato sopravvenuto v. sent. Cons. St. n. 5092/2000).

Occorre non trascurare i terzi che, pur non essendo reputati controinteressati in senso tecnico dalla giurisprudenza, hanno comunque interesse alla conservazione del provvedimento essendo titolari di una posizione giuridica opposta a quella del ricorrente.

La categoria è alquanto eterogenea e residuale in quanto comprende i c.d. controinteressati occulti, cioè non contemplati dall’atto, i soggetti titolari di una posizione di vantaggio determinata da un atto normativo o provvedimento generale impugnato dal ricorrente, i soggetti interessati al mantenimento di un provvedimento a contenuto negativo. Tutti questi soggetti, portatori di un autonomo assetto di interessi contrastante (rectius incompatibile) con quello fatto valere dal ricorrente, non sono considerati parti necessarie e, di conseguenza, non ricevono notifiche, ma sono legittimati ad esperire l’opposizione di terzo.

3.- Peculiarità del sistema e problemi applicativi.

La Consulta attraverso la più volte citata sentenza n. 177/1995 ha operato un rinvio recettizio alle norme del c.p.c., inoculando, si conceda la similitudine clinica, un vaccino (opposizione di terzo) su di un soggetto malato (processo amministrativo) poco compatibile con le componenti peculiari del prezioso antidoto, creando in tal modo una serie di problemi cui la giurisprudenza sta rispondendo in maniera tutt’altro che esaustiva e convincente invocando a più riprese l’intervento del medico (legislatore).

Ebbene, ad una prima analisi l’istituto in esame sembrerebbe essersi spogliato di uno dei fondamentali requisiti che lo caratterizzano nel processo civile per adeguarsi ad un processo ben diverso. Il terzo legittimato, infatti, in ambito processual-civilistico dovrà far valere un diritto autonomo, non soggetto quindi agli effetti di una gestione processuale condotta da altri (è tale quando potrà opporre la exceptio rei inter alios iudicatae), ma anche incompatibile con quello riconosciuto nella pronuncia che si oppone. Il nesso di incompatibilità tra due diritti sorge quando ciascuno di essi nega l’esistenza o il contenuto dell’altro, poiché nella realtà uno di essi prevale e l’altro soccombe (regola della prevalenza).

La prevalenza del diritto autonomo costituisce dunque requisito peculiare dell’opposizione di terzo nel processo civile, mentre ciò non è riscontrabile in quello amministrativo, ove non vigono regole specifiche sulla prevalenza non tra situazioni giuridiche soggettive, ma tra atti procedimentali.

Le antinomie tra procedimenti collegati si risolvono tramite il ricorso ai principi generali del procedimento amministrativo, in cui il principio di non contraddizione opera in relazione ai nessi di connessione tra atti e procedimenti. Qualora si determini un’incompatibilità tra situazioni giuridiche autonome nel giudizio impugnatorio, non si potrebbe ricorrere alla regola della prevalenza, poiché la tutela del terzo pregiudicato dalla sentenza, che accerta la sola situazione giuridica altrui incompatibile, consiste nel potere impugnatorio di sottoporre a controllo giudiziale la sentenza medesima, non per far valere una prevalenza del proprio sull’altrui diritto che le norme sostanziali non garantiscono, ma per denunciare la giustizia intrinseca della sentenza ed ottenerne l’eliminazione. Invero, la situazione giuridica autonoma del terzo, in assenza di regole sulla prevalenza, opera alla stregua di requisito di legittimazione del terzo.

Ulteriore quaestio è rappresentata dall’individuazione del giudice competente a conoscere dell’opposizione di terzo. Se nel processo civile non vi sono dubbi, il giudice competente è sempre lo stesso che ha pronunciato la sentenza ed il processo si svolge secondo le forme prescritte per il procedimento davanti a lui (art. 405, co.1, c.p.c.), nel processo amministrativo le cose cambiano. Nessun problema quando la sentenza opposta sia passata in giudicato, né quando, pur in mancanza di tale evento, la sentenza opposta provenga dal Consiglio di Stato, in questi casi infatti, l’ordinamento amministrativo accetta la norma processual-civilistica.

Maggiori problemi sorgono quando la sentenza opposta provenga dal TAR e non sia ancora passata in giudicato.

Ai sensi degli artt. 28 e 30 l. TAR il Consiglio di Stato conosce di tutte le impugnazioni delle sentenze, non passate in giudicato, emesse dal TAR, ma un tale principio mal si concilia con la chiara lettera dell’art. 405 c.p.c., comportando piuttosto una deroga alla regola generale per cui l’opposizione di sentenza del TAR ancora appellabile va presentata al Consiglio di Stato (in tal senso, CGA n. 196/1996; Cons. St. n. 263/1998). A ciò segue la considerazione che la decisione pronunciata dal Consiglio di Stato sull’opposizione di terzo riguardante sentenza di primo grado non ancora passata in giudicato, oltre a non essere assoggettabile a ricorso per cassazione in quanto estranea a questioni di giurisdizione, escluderebbe la possibilità di appello in violazione del principio del doppio grado di giurisdizione.

Il terzo, infatti, venuto a conoscenza di una sentenza del TAR pregiudizievole, ma ancora appellabile, potrebbe esperire opposizione di terzo solo al Consiglio di Stato, vedendosi in tal modo precludere la possibilità di impugnare eventualmente la sentenza del Supremo Consesso amministrativo in cui risultasse soccombente. Qualora, invece, la sentenza del giudice di secondo grado abbia dichiarato inammissibile o improcedibile l’appello ovvero l’opposizione sia rivolta contro un capo della sentenza di prime cure non impugnato dalle parti, ci si chiede quale sia il giudice competente a conoscere dell’opposizione di terzo. In tali casi l’orientamento maggiormente condivisibile e coerente sembrerebbe quello proposto dalla giurisprudenza civile secondo la quale sarebbe competente in questi casi il giudice di primo grado (Cass. n. 1727/1972; Cass. n. 4028/ 1976).

Alla questione della competenza è strettamente legato quello del concorso tra impugnazioni, in particolare tra appello ed opposizione di terzo.

Non di rado, infatti, di fronte a sentenza di primo grado non ancora passata in giudicato, vengono esperiti entrambi i rimedi dell’appello e dell’opposizione di terzo, creando in tal modo un concorso tra impugnazioni che la giurisprudenza amministrativa ha cercato di risolvere fin da subito avvalendosi anche della ultradecennale esperienza civilistica in materia. Quest’ultima offre una serie di soluzioni tra loro assolutamente alternative e divergenti, ma non per questo intrasferibili nel processo amministrativo.

Secondo una corrente di pensiero, il termine per proporre opposizione e lo stesso procedimento andrebbero sospesi ex art. 295 c.p.c. fino alla comunicazione della sentenza che chiude il processo sull’altra impugnazione. Qualora tale soluzione non dovesse soddisfare si potrebbe abbracciare un’altra tesi secondo cui, stante la pendenza di più cause di fronte allo stesso giudice, si potrebbe operare una riunione delle impugnazioni ex art. 335 c.p.c. Invero, c’è anche chi ritiene che ogni processo debba fare il suo corso, almeno fino a quando l’opposizione dovesse venir accolta, momento in cui dovrebbe cadere l’impugnazione proposta tra le parti e viceversa.

Non ha dubbi, invece, il TAR Molise che, con la pronuncia n. 153/1997, afferma la necessaria prevalenza dell’appello sull’opposizione di terzo in ragione della portata assorbente che possiede il giudizio d’appello destinato a sostituire la decisione di primo grado.

Procedendo con ordine, occorre rilevare che, in presenza di una sentenza del TAR, il terzo da essa pregiudicato potrebbe:

a) esperire direttamente l’appello (Cons. St., Ad. Plen., n. 2/1996), qualora venisse a conoscenza della pronuncia in tempo utile, prima cioè che sia passata in giudicato. Come ricordato, però, l’appello è limitato dal divieto del jus novorum e colui che non ha partecipato al processo di primo grado incontrerebbe notevoli difficoltà a difendersi ragion per cui deve prospettarsi una deroga al suddetto principio proprio per permettere al terzo di ottenere una tutela adeguata ed effettiva;

b) entrare nel processo di secondo grado attraverso un intervento principale, ma ciò non è ammesso dal sistema giustiziale amministrativo, che contempla la sola forma di intervento adesivo, non esaustiva delle esigenze del terzo pregiudicato. Si dovrebbe allora azzardare un’interpretazione estensiva del richiamo alle norme del c.p.c. operato dalla Corte Costituzionale per l’ingresso dell’opposizione di terzo, facendo riferimento all’art. 344 c.p.c., che legittima all’intervento nel processo di appello solamente colui che potrebbe esperire opposizione di terzo, in ragione di tale norma l’opponente potrebbe presentare un intervento principale piuttosto del rimedio ex art. 404 c.p.c.; si potrebbe, quindi, optare per una conformazione al modello processualcivilistico dell’intervento in appello nel processo amministrativo.

Un cambiamento di connotati che permetterebbe al terzo pregiudicato di intervenire in appello proponendo una domanda avente ad oggetto un diritto in contrasto con le parti senza dover ricorrere all’opposizione di terzo. Inoltre, si rammenti che, per costante giurisprudenza (da ultimo Cons. St. n. 391/2002), l’intervento dinanzi al Consiglio di Stato potrà avvenire senza l’onere di osservanza di termini di decadenza, eccetto quello del passaggio in giudicato della decisione.

c) Proporre opposizione di terzo, con il rischio di concorso tra impugnazioni non ancora risolto in modo univoco dalla giurisprudenza e di non ottenere tutela di fronte al Consiglio di Stato, rimanendo infine senza più cartucce a disposizione.

Ultimo ma non per importanza è l’annoso problema riguardante i termini per la presentazione dell’opposizione di terzo.

Come è noto, il codice di procedura civile non prevede alcun termine per l’opposizione di terzo ordinaria, inquadrandola tra i rimedi impugnatori straordinari, cioè esperibili anche nei confronti di sentenze passate in giudicato, in ragione della particolare natura del mezzo stesso diretto a tutelare i terzi in qualsiasi momento. In teoria, dunque, lo stesso principio potrebbe essere esteso anche al processo amministrativo.

Non sembra di questo avviso la giurisprudenza amministrativa che, unanimamente, ha affermato l’inammissibilità dell’opposizione di terzo proposta oltre il termine decadenziale.

Il generale processo amministrativo di legittimità è soggetto a rigidi termini di decadenza per l’impugnazione dei provvedimenti che si assumono viziati, ragion per cui il giudice amministrativo ha inteso tutelare la certezza dei rapporti tra amministrazione ed amministrati escludendo la possibilità di esercitare dopo lungo tempo l’opposizione di terzo volta ad alterare l’assetto di interessi nel frattempo formatosi. L’esigenza espressa dalla giurisprudenza (tra le più significative Cons. St. n. 1128/1998; Cons. St. n. 773/1999; CGA n. 82/2001) è senza dubbio meritevole di riflessione poiché se da una parte è necessario tutelare il terzo pregiudicato dall’altra non si può tener "appeso ad un filo" il beneficiario della sentenza svincolando da limiti temporali l’impugnazione.

Il dies a quo per proporre ricorso in opposizione di terzo decorrerebbe, secondo la costante giurisprudenza, dal momento in cui l’opponente abbia avuto conoscenza legale o comunque piena della sentenza lesiva del suo interesse. Il terzo, venuto a conoscenza della sentenza lesiva della sua sfera di interessi, ha sessanta giorni di tempo per proporre il rimedio dell’opposizione di terzo, altrimenti è da considerarsi decaduto.

Occorre far presente comunque che a seguito di sentenza passata in giudicato, l’amministrazione è tenuta a conformarsi ad essa ponendo in essere una serie di atti che necessariamente mutano la situazione preesistente. Tale cambiamento sicuramente apporta effetti immediati sulla sfera giuridica del terzo, il quale, avendone diretta conoscenza, potrà avvalersi dell’azione di legittimità avverso i nuovi provvedimenti posti in essere evitando in tal modo di esperire un opposizione di terzo probabilmente inammissibile. Invero, in quest’ultimo caso il pregiudizio sorge dalla successiva rinnovazione del procedimento amministrativo di cui la sentenza costituisce impulso iniziale, ragion per cui il terzo ben potrà impugnare il provvedimento finale per vedere tutelato il proprio assetto di interessi. In tal modo si evitano tutte le problematiche sopra esposte e si ottiene la partecipazione al processo da parte di chi precedentemente era terzo.

Nel caso in cui l’annullamento stesso dell’atto da parte del giudice amministrativo comporti un pregiudizio per il terzo non si rinviene altro rimedio se non l’opposizione di terzo, ma in questa ipotesi si presume che il controinteressato venga posto al corrente della situazione vista l’incidenza che la sentenza produce nei suoi confronti.

4.- Considerazioni conclusive.

La dottrina più avvertita (Travi) ha espresso molteplici dubbi sull’effettiva funzione "curativa" del vaccino-opposizione di terzo inoculato in un modello processuale che mostra il fianco a notevoli limiti. L’introduzione dell’opposizione di terzo è senz’altro una conquista per il sistema di giustizia amministrativa, ma non certo una panacea per tutti i mali, occorre infatti un intervento del legislatore per regolare in maniera univoca l’istituto.

Con la l. 205/2000, poi, il legislatore ha perduto un’occasione per modificare l’art. 21 l. TAR e il sistema di integrazione del contraddittorio in maniera più confacente alle esigenze di giustizia dei terzi. Il processo instaurato tra tutti i possibili interessati escluderebbe l’insorgenza di problemi inerenti i termini di impugnazione, il giudice competente all’opposizione di terzo e via discorrendo, adeguando il sistema al cittadino.

L’intervento adesivo, inoltre, non permette ai terzi, portatori di interessi autonomi e incompatibili con quelli delle parti, di far valere le proprie posizioni come altrimenti potrebbero fare attraverso il modello dell’intervento principale, escluso dal regime processuale amministrativo poiché reo di allargare troppo i limiti oggettivi della controversia e di permettere all’interveniente di eludere i rigidi termini di decadenza dell’impugnazione imposti dal processo di legittimità attraverso la proposizione di una domanda nuova; forse che non sarebbe meglio allargare subito il contraddittorio piuttosto che attendere l’opposizione di terzo in un momento successivo con problemi maggiori per tutti ?

 

Documenti correlati:

CONSIGLIO DI STATO, SEZ. V – Sentenza 13 maggio 2002 n. 2581

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