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Articoli e note

n. 11-2001 .

GIAN LUIGI ROTA
(Senior partner dello Studio Legale Rota Rusconi & Associati
www.rota-rusconi.it)

Il decreto 8 giugno 2001 n. 327,
consolidation bill delle espropriazioni

(Relazione al seminario della conferenza dei Presidenti delle Regioni
e delle Province autonome - Roma, 16 novembre 2001)

SOMMARIO: 1. Sul concetto in generale di testo unico: cenni e perplessità. 2. Un codice per le espropriazioni, trasversalità obbligata e novità cospicue. 3. Si fa presto a dire urbanistica. 4. Molto di nuovo sul fronte regionale. 5. Ci sono giudici a Berlino. 6. Conclusioni: verso un federalismo cooperativo?

 

1. Sul concetto di testo unico: cenni e perplessità.

In questi ultimissimi anni la produzione normativa si è fatta intensissima nel nostro Paese, addirittura febbrile: basti pensare alla promulgazione di testi unici in materia di autonomie locali, di documentazione amministrativa, di beni ambientali e culturali, di edilizia privata ed ora di espropriazioni.

Informa l’Ocse che si tratta di un fenomeno crescente ovunque, nei Paesi evoluti. Nel Regno Unito, ad esempio, la normativa sul diritto societario è passata in dieci anni da 500 a 3.500 pagine. In Francia, che pure è la patria della sintesi anche giudica, non solo le dimensioni del Journal Officiel sono più che raddoppiate negli ultimi 15 anni, ma la lunghezza dei singoli atti legislativi è passata da 93 a 220 righe. Negli Stati Uniti, il Code of Federal Regulations si è dilatato dalle 55.000 pagine del 1979 alle 200.000 attuali.

I testi unici, dicevo. Gli inglesi ignorano la codificazione del diritto, così tipica dell’esperienza continentale, però dispongono di testi unici, che essi chiamano, in modo assai espressivo, consolidation acts: ecco, i testi unici sono proprio questo: atti di consolidamento del diritto in un settore dell’ordinamento (così si esprime anche il Trabucchi: "il testo unico è essenzialmente un riordinamento di leggi già in vigore, fatto per facilitarne la conoscenza e l’applicazione".)

Ci sono anche testi unici innovativi, come questo sulle espropriazioni, ma ce ne sono in maggior numero di compilativi cioè a diritto invariato (ad es. tutti quelli citati), che sono di mera ricognizione delle fonti e di loro successivo conferimento in un solo atto legislativo, che raccoglie la normazione sparsa.

Si tratta peraltro in questi ultimi casi – ma l’opinione è del tutto personale, usare con cautela - di operazioni di dubbia utilità nell’epoca della telematica diffusa, in quanto oggi la ricognizione delle fonti si effettua sul web: da una parola chiave o da un riferimento legislativo chiunque è in grado di ricostruire l’intero sistema nel testo vigente, di farsi da sé il suo testo unico, trovando per di più anche le circolari, la dottrina e la giurisprudenza. Un testo unico che riordini la materia senza innovarla non è altro che un file privo di ipertestualità, non soddisfa il nostro bisogno primario, che è quello dell’innovazione coordinata, diciamo pure del disboscamento e fors’anche della rottamazione. Questi testi però non sono nemmeno come i figli unici, perché vivono in compagnia di molti atti legislativi, tutti figli degli stessi genitori (la Camera e il Senato). Ben venga dunque l’annuncio dell’intenzione governativa di por mano ad una attività di codificazione, abbandonando la tecnica della "raccolta normativa differenziata".

 

2. Un codice per le espropriazioni, trasversalità obbligata e novità cospicue

La materia delle espropriazioni inerisce a molti e strategici settori dell’intervento pubblico nell’economia, la Costituzione la ammette, sotto riserva di legge ordinaria, nel senso ampio e innominato dei "motivi di interesse generale" nel Titolo III dedicato ai "Rapporti economici" (art. 42.3).

Nell’attuale frangente essa sconta tuttavia, con riferimento agli atti di pianificazione del territorio, la persistente mancanza di un regime dei suoli, che taluno credette di ravvisare nella l. n. 10 del 1977 (Bucalossi), che il Predieri connotò, subito smentito peraltro dalla Corte costituzionale (sent. n. 5-1980), in termini di nuovo "statuto della proprietà fondiaria italiana".

Per la realizzazione delle infrastrutture, ma soprattutto per le scelte di pianificazione: aree standards e piani urbanistici di iniziativa pubblica (ad es. i piani di zona della l. 167 e i Pip), il problema irrisolto è quella della indifferenza dei proprietari di fronte all’esercizio della potestà pianificatoria, fatalmente implicante la perdita di diritti reali, essendo intollerabile, in un’ottica non formalistica, che taluno incassi le plusvalenze della rendita urbana e altri metta a disposizione, magari su aree contigue dalla identica vocazione urbanistica, la correlata provvista delle aree standards.

In questo senso, un codice delle espropriazioni avrebbe dovuto fondarsi su uno statuto della proprietà fondiaria che operasse la perequazione dei volumi o dei valori, così da produrre l’indifferenza dei proprietari al cospetto delle scelte di localizzazione delle opere di infrastrutturazione tecnologica (= urbanizzazioni primarie) e sociale (= urbanizzazioni secondarie); e al cospetto delle scelte di pianificazione urbanistica e territoriale, problema noto come "della perequazione", per il quale rinvio ai documenti prodotti soprattutto dall’Istituto Nazionale di Urbanistica.

Sullo sfondo di questa persistente lacuna, che è da ritenere all’origine della ricorrente problematica dei vincoli a tempo determinato, della loro reiterabilità per ere geologiche e (se posso osare) della barbarica trovata dell’accessione invertita; il nuovo codice introduce novità cospicue, in gran parte tratte dalla elaborazione della Corte costituzionale, della Corte di cassazione e del Consiglio di Stato.

In attuazione della quarta Bassanini (l. n. 50-1999), infatti, il Governo ha inteso procedere alla semplificazione e all’unificazione dei vari procedimenti in materia di espropriazioni, perseguendo altresì finalità ulteriori di riordino del sistema normativo, sedimentato per effetto dei rapsodici interventi legislativi succedutisi per oltre un secolo (dal 1865).

Nella gerarchia delle fonti, questo testo unico si caratterizza per l’appartenenza al tipo misto, vale a dire che esso reca disposizioni ora di rango legislativo (articoli o commi contrassegnati dalla lettera L) ora – distintamente - di grado regolamentare (articoli o commi contrassegnati dalla lettera R), scelta tecnica da apprezzare ma con l’avvertenza che gli atti amministrativi provvedimentali sono soggetti ad impugnazione, diretta o presupposta, davanti al complesso Tar / Consiglio di Stato.

Il perimetro dell’intervento è ben delineato dall’Adunanza generale: "il riferimento ad un testo unico della materia < urbanistica ed espropriazioni >, nell’allegato 3 della legge n. 50 del 1999 [v. anche l’art. 7.1 lett. c) di tale atto legislativo], ha indotto a redigere l’articolato con riferimento ai soli fenomeni espropriativi di matrice urbanistica, ossia delle espropriazioni immobiliari strumentali alla realizzazione di interventi ed opere pubbliche e di pubblica utilità, con esclusione delle espropriazioni di beni mobili o non riguardanti la trasformazione del territorio".

Il contenuto è altamente innovativo, pur tenuto conto, e l’Adunanza generale se ne è illustrata consapevole, che "le formule della unificazione e del coordinamento contenute nella legge di delega non possono stravolgere la funzione del testo unico, che è pur sempre quella di facilitare l’applicazione delle leggi preesistenti, evitando duplicazioni, prendendo atto di abrogazioni tacite, valorizzando univoche soluzioni interpretative divenute diritto vivente, senza innovare alla loro sostanza, operazione questa che deve passare attraverso il vaglio e la decisione del Parlamento".

Le future modifiche devono conformarsi al disposto dell’art. 7.6 della legge n. 50, riprodotte nell’art. 1.4 del testo unico, alla stregua del quale le norme di un testo unico "non possono essere abrogate, derogate, sospese o comunque modificate se non in modo esplicito, mediante l’indicazione esplicita delle fonti da abrogare, derogare, sospendere o modificare".

- Le novità salienti possono nel particolare così venire compendiate:

- delegificazione delle norme procedimentali, loro disboscamento e razionalizzazione;

- riconduzione di tutte le sequenze procedimentali all’interno di un solo modulo operativo;

- attribuzione della competenza all’autorità che realizza l’opera;

- abrogazione dell’istituto dell’occupazione d’urgenza;

- unicità delle tecniche di computo dell’indennizzo di esproprio e contestuale cessazione del regime provvisorio introdotto dall’art. 5-bis della n. 359-1992.

 

3. Si fa presto a dire urbanistica.

Sappiamo che la materia delle espropriazioni non compariva, in quanto tale, nel previgente art. 117 e per la verità non c’è nemmeno ora, nella riforma del Titolo quinto della Costituzione (l.c. n. 3-2001).

Neppure vi compare più per la verità, in quanto tale, l’"urbanistica" (ma se è per questo nemmeno l’edilizia), sostituita da quella più ampia di "governo del territorio", affidata alla potestà legislativa concorrente delle Regioni, ma credo che le due espressioni siano equivalenti e tuttora riconducibili alla definizione dell’art. 80 del decreto n. 616-1977, il quale ha precisato, ai fini del trasferimento alle Regioni, che "le funzioni amministrative relative alla materia urbanistica concernono la disciplina dell'uso del territorio comprensiva di tutti gli aspetti conoscitivi, normativi e gestionali riguardanti le operazioni di salvaguardia e di trasformazione del suolo nonchè la protezione dell'ambiente."

Lo stesso art. 34.2 del decreto n. 80 del 1998 del resto, laddove dispone, sia pure ai fini della giurisdizione del giudice amministrativo, che "la materia urbanistica concerne tutti gli aspetti dell'uso del territorio", sembra rinviare a quella stessa onnivora definizione.

Devo dire che la parola "urbanistica" non è mai piaciuta troppo agli addetti ai lavori, perché fa pensare loro all’urbe, e quindi alla città costruita, mentre essi ritengono che sia uscita da tempo dalle mura delle città per investire il territorio nella sua interezza.

Mi appare significativo a questo riguardo che la legge della Toscana del 16 gennaio 1995 n. 5 rechi nell’epigrafe proprio la dizione "Norme per il governo del territorio", e che la più recente legge dell’Emilia-Romagna, quella del 24 marzo 2000 n. 20, si intitoli "Disciplina sull’uso generale del territorio".

Destino anche curioso quello dell’urbanistica. E’ storico che la legge nazionale n. 1150, promulgata il 17 agosto 1942, venne recapitata al Re dai funzionari del Quirinale mentre egli si trovava nella residenza di Racconigi per quello, che in questi casi, viene definito un breve periodo di vacanza. Il sovrano stava per ricevere alcuni dirigenti della società Edison di Milano, e così fece chiedere ai funzionari se quello per cui gli domandavano audizione fosse un affare di importanza. "No, Maestà – gli risposero – è la legge urbanistica." Così stando le cose, egli potè promulgarla dispensandosi da ulteriori approfondimenti.

 

4. Molto di nuovo sul fronte regionale.

Poichè la materia delle espropriazioni non è contemplata nella riforma, sorge la questione se sia da ritenere inclusa tra quelle residuali, pertanto di competenza legislativa soltanto regionale (art. 117.4), ovvero se sia da ritenere annidata in altre, tra quelle devolute alla competenza concorrente (art. 117.3), il che è come chiedersi se la materia delle espropriazioni sia da ritenere autonoma ovvero ancillare, inclusa cioè per implicito, in questa seconda ipotesi, nelle competenze regionali in fatto di governo del territorio e di lavori pubblici.

Un preliminare riscontro diacronico della normativa previgente può risultare di un qualche orientamento.

L’art. 3 del decreto 15 gennaio 1972 n. 8, di primo avaro trasferimento, disponeva che "sono trasferite alle Regioni a statuto ordinario, per le opere di competenza delle Regioni stesse e per quelle ad esse delegate … le competenze degli organi centrali e periferici dello Stato in ordine alla dichiarazione di pubblica utilità … nonché l’esercizio delle attribuzioni di carattere amministrativo attualmente spettanti agli organi medesimi in materia di espropriazioni per pubblica utilità … comprese la determinazione amministrativa delle indennità e la retrocessione", ciò che presuppone l’autonomia giuridica delle espropriazioni, dal momento che le relative funzioni venivano trasferite o delegate mediante un apposito atto legislativo, sia pure sfornito di copertura costituzionale, come ebbe ad eccepire il Sandulli.

L’art. 106 del decreto 24 luglio 1977 n. 616, di ulteriori trasferimenti a Costituzione invariata, disponeva che "sono comprese tra le funzioni amministrative trasferite o delegate alle Regioni nelle materie indicate nel presente decreto anche quelle concernenti i procedimenti di espropriazione per pubblica utilità, le dichiarazioni di indifferibilità ed urgenza dei lavori e le occupazioni temporanee e d’urgenza", ciò che presuppone l’adesione all’opposto principio della strumentalità delle espropriazioni, come dire che, nelle materie trasferite o delegate (= urbanistica / lavori pubblici), ci sono già "dentro" anche i mezzi necessari per esercitarle mediante incisione, ove occorra, dei diritti dominicali delle private proprietà.

La giurisprudenza del Consiglio di Stato fu nel senso che il procedimento espropriativo non avesse rilevanza giuridica autonoma, e che questo fosse per l’appunto il motivo della sua omissione dalla enumerazione per materie degli articoli 117-118, costituendo la procedura espropriativi null’altro, se mi passate l’espressione colorita, che una cassetta degli attrezzi indispensabile per attuare la pianificazione urbanistica e realizzare le opere di infrastrutturazione, essendo stato vero in ogni tempo che la città sarà di tutti ma i terreni sono sempre di qualcuno, e dunque senza espropri non si fa urbanistica e non si realizzano che marginalmente le opere pubbliche.

Nell’ordine di idee del decreto n. 616, e nel solco dell’insegnamento giurisprudenziale rammentato, pertanto, come si legge nel Trattato del Cassese, "l’espropriazione non rappresentava una categoria di interessi a sé stanti, volti al sacrificio della proprietà privata, quanto un’attività strumentale indirizzata alla realizzazione di determinati interessi".

Certo, l’art. 106 del decreto n. 616 viene ora ad essere abrogato dal testo unico (art. 58), senza che alcun’altra disposizione, nemmeno per dire il decreto n. 112-1998, riproduca una disposizione della stessa letteralità.

L’opinione che sembra preferibile a tale riguardo, per ragioni di certezza del diritto e di coerenza del sistema, è che non ce ne fosse bisogno, essendo immutato il principio generale per cui

la titolarità del potere espropriativo segue di diritto la titolarità delle funzioni al cui perseguimento è strumentale.

Scrive del resto l’Adunanza generale che "per le materie in cui hanno competenza legislativa concorrente ex art. 117 della Costituzione, le Regioni hanno anche il medesimo tipo di potestà legislativa in relazione alle espropriazioni", parere questo da leggere tuttavia in correlazione alla sopravvenuta riforma costituzionale e quindi da estendere – a maggior motivo! – alle materie di competenza esclusiva, non solo a quelle di competenza concorrente, com’era quando il parere venne scritto.

Soggiungo di poter escludere che, nelle materie di competenza anche ripartita, lo Stato possa oggi emanare quegli atti di indirizzo e di coordinamento di cui all’art. 2 della l. n. 400-1988 e dell’art. 8 della l. n. 59-1997, come intesi - in quel diverso frangente - dalla Corte costituzionale (sent. n. 408-1998).

In tempi di incipienti per quanto confuse istanze federaliste, è auspicabile che lo Stato deleghi senz’altro e senza indugi, nelle materie di competenza regionale esclusiva, la corrispondente potestà regolamentare, fermo restando che, nelle materia di competenza concorrente, la potestà regolamentare spetta alle autonomie regionali senza l’intermediazione delle autorità centrali (art. 117.6).

Manca, in questo codice delle espropriazioni, una norma come l’art. 2.5 del testo unico sull’edilizia privata, laddove dispone che "in nessun caso le norme del presente testo unico possono essere interpretate nel senso dell’attribuzione allo Stato di funzioni e compiti trasferiti, delegati o comunque conferiti alle regioni e agli enti locali dalle disposizioni vigenti alla data della sua entrata in vigore", ma non avrei dubbi nell’intendere allo stesso modo il testo unico sulle espropriazioni, considerato che la materia era e resta di competenza delle Regioni nel quadro di un rovesciamento istituzionale delle competenze, che pare rafforzare di per sé i poteri regionali, con la conseguenza che non è concepibile alcuna cedevolezza dell’ordinamento regionale di fronte alle competenze del legislatore nazionale.

Qualche dubbio potrebbe porsi solo in relazione alla diversa natura delle competenze in materia di governo del territorio, condivise con il Parlamento nazionale (art. 117.3); e delle competenze in materia di lavori pubblici, devoluta in via esclusiva e quindi da esercitare solo "nel rispetto della Costituzione, nonchè dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali" (117.1).

L’art. 5.1 fa riferimento invece al "rispetto dei principi fondamentali della legislazione statale nonché dei principi generali dell’ordinamento giuridico desumibili dalle disposizioni contenute nel testo unico", ma la disposizione è da ritenere abrogata dalla sopravvenuta riforma costituzionale, senza violazione della norma di salvaguardia recata dall’art. 4.1, in quanto la giurisprudenza ammette l’abrogazione tacita delle norme dei testi unici.

Motivi, nondimeno e per l’appunto, di rispetto della Costituzione inducono ad escludere che la struttura e la latitudine del potere espropriativo possano venire modulate diversamente in rapporto alla diversa latitudine del potere riconosciuto alle Regioni nelle distinte materie dell’urbanistica e dei lavori pubblici, per strumentali e serventi che possano essere le espropriazioni in rapporto alle materie cui accedono.

L’unità operativa in materia sarà individuata da ciascuna Regione in conformità al proprio ordinamento interno (art. 6.2), nell’osservanza dei principi non derogabili di trasparenza, economicità, efficacia, efficienza, pubblicità e semplificazione (art. 2.2); nonché di partecipazione al procedimento da parte degli interessati, per tali intendendo coloro che dai registri catastali appaiono essere i proprietari espropriandi (art. 11.1 / art. 16.4), escluso ogni altro soggetto (art. 16.7) (ma qui ci andrei cauto).

Incardinato il procedimento, si apre una fase inedita di interlocuzione con gli espropriandi, finalizzata al raggiungimento di un’intesa sul valore da riconoscere al compendio (art. 20), ciò che sarà tentato avvalendosi di un collegio peritale in funzione di arbitratore, partecipato dagli espropriandi (art. 21) al fine ulteriore, anch’esso meritevole di apprezzamento, di scongiurare il sorgere di contese giudiziarie.

Ho già detto all’esordio che la persistente mancanza di un regime dei suoli lascia aperta la problematica dei vincoli e della loro reiterazione. A questo riguardo, con tecnica derivata dalla sentenza costituzionale n. 179-1999, in caso di reiterazione l’espropriante, "in attesa di una organica risistemazione della materia", corrisponderà al proprietario "una indennità commisurata all’entità del danno effettivamente prodotto" (art. 39.1), non un risarcimento pieno, quindi, ma un indennizzo, la cui determinazione sarà effettuata dalle Regioni con un atto legislativo che precisi i criteri di massima cui dovranno attenersi anche le autonomie locali per gli espropri di loro competenza. Per scongiurare la decadenza dai vincoli, il testo unico dispone che gli effetti sorgano solo con l’inserzione nel programma triennale dei lavori, allungando insomma la miccia per posporre di otto anni (rinnovabili!) la deflagrazione: i tre del programma più i cinque della normale sopportabilità (art. 9) (= il problema però resta).

 

5. Ci sono giudici a Berlino.

Per le controversie riguardanti la determinazione e la corresponsione delle indennità, in conseguenza dell’adozione di atti di natura espropriativa, è confermata la giurisdizione del giudice ordinario (art. 53.3), ossia della Corte d’appello, cui gli interessati dovranno rivolgersi entro soli 30 gg. dalla notifica del decreto di esproprio, decorsi i quali l’indennità si intende stabilita nella misura risultante dalla perizia (art. 54).

Se invece si controverte attorno alle modalità del concreto esercizio delle pubbliche potestà espropriative, attenzione: non solo provvedimentali ma anche comportamentali, la giurisdizione è del Tar / Consiglio di Stato (art. 53.1), applicata la nuova normativa processuale sui termini abbreviati e la possibilità di sentenze succintamente motivate (art. 23-bis della l. n. 1034-1971, richiamato dall’art. 53.2).

Resta ferma la generale responsabilità civile per danno ingiusto. Se l’illecito consiste nella mancanza di un provvedimento valido ed efficace di esproprio o almeno dichiarativo della pubblica utilità (ad es. perché annullati con effetto retroattivo in sede giurisdizionale), il bene può essere egualmente acquisito dall’amministrazione ma il proprietario può chiedere il risarcimento del danno, determinato – con norma speciale rispetto a quella civilistica (l’art. 2043), nella misura corrispondente al valore del bene e, se l’occupazione riguarda un terreno edificabile, con l’applicazione dell’art. 37 e quindi alle possibilità legali ed effettive di edificazione, oltre s’intende al computo degli interessi moratori (art. 43).

 

6. Conclusioni: verso un federalismo cooperativo?

La configurazione della dialettica tra poteri centrali e istanze regionaliste o federaliste, impegna da sempre la dottrina, soprattutto degli Stati già federali, la quale ne sottolinea il perenne divenire, la difficoltà o forse l’impossibilità di trovare un concreto assetto stabile dei poteri. Anzi, secondo la più autorevole dottrina tedesca e americana, gli Stati federali sarebbero tutti a struttura intrinsecamente labile, sempre in bilico tra tendenze centripete e centrifughe, concludendone che il federalismo non esiste come concetto astratto e universale, non coinciderebbe cioè con una particolare forma di Stato, ma costituirebbe un processo ("federalizing process"), in continuo instabile divenire tra i due eventi opposti del riflusso e dell’autonomia.

Detto questo, vorrei concludere con un cenno all’art. 120.2, ultimo capoverso, che potrebbe passare inosservato ed è invece di grande momento, laddove dispone che "la legge definisce le procedure atte a garantire che i poteri sostitutivi siano esercitati nel rispetto del principio di sussidiarietà e del principio di leale collaborazione".

Di sussidiarietà ci siamo ubriacati da Maastricht in poi e pertanto non vi insisto, annoto soltanto che l’odierna riforma ne costituisce un momento applicativo, sulla scia dell’art. 70.1 della Costituzione federale tedesca, per il quale "i Laender hanno diritto di legiferare nella misura in cui la presente legge fondamentale non riserva al Bund le competenze legislative".

Il principio di leale collaborazione, ora elevato al rango costituzionale, rappresenta invece per noi una novità assoluta e, al di là dell’art. 120 che lo nomina, ricorre più volte nelle numerose disposizioni di coordinamento, in quelle sulle intese e nelle altre sulle azioni congiunte, sia interregionali (ad es. gli organi comuni dell’art. 117.8), che in quelle sul rapporto delle Regioni sia con le autorità centrali che con le autonomie locali.

Si tratta del recepimento, dal diritto costituzionale tedesco, ove è noto come Bundestreue, di quello che è considerato "il principio fondamentale di governo dei rapporti tra i soggetti della federazione, e quindi rappresenta la vera chiave di lettura del modello realizzato in Germania" (Anzon), nel cui ordinamento è declinato non solo in termini di cooperazione politico-amministrativa, ma altresì come lealtà al patto federale, espressione del sentimento federalista, rilevante non solo sotto il profilo etico e politico ma anche ai fini del controllo di legittimità da parte dei Tribunali amministrativi regionali, delle Corti amministrative di appello e della Corte di cassazione amministrativa, che lassù esistono.

Non potendo indugiare oltre su questo pur suggestivo tema, concludo rammentando che il federalismo cooperativo, così tipico dell’esperienza tedesca, è tuttavia sorto negli Stati Uniti quale strumento di attuazione del New Deal roosveltiano e della sua politica economica e sociale di emergenza.

Può darsi che dopo l’11 settembre un federalismo cooperativo si imponga anche da noi con una speciale attualità.

 

V. in argomento in questa rivista:

D.P.R. 8 giugno 2001 n. 327 - Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità (Testo A) - (in G.U. n. 189 del 16 agosto 2001 - Suppl. Ordinario n. 211 - in vigore dal 1° gennaio 2002).

Testo del D.P.R. n. 327/2001, ripubblicato nella G.U. n. 214 del 14 settembre 2001, con le note esplicative ed il commento di L. OLIVERI.

CONSIGLIO DI STATO, AD. GEN., parere 29 marzo 2001 n. 4.

P. VIRGA, Luci ed ombre nel nuovo testo unico sulle espropriazioni*.

L. OLIVERI, Testo unico degli espropri: la "sindrome di Aristofane".

Id., D.P.R. 327/2001 e sue influenze sull’ordinamento degli enti locali ...

L. DE MARINIS, Testo unico in materia di espropriazioni: sospetto di incostituzionalità, ovvero ancora "sindrome di Aristofane"?

Id., Ancora sulle influenze del d.P.R. 327/2001 sull’ordinamento degli enti locali. In particolare sulle competenze ad approvare il progetti di lavori pubblici.

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