Giust.it

Articoli e note
n. 2-2003.

GIANDOMENICO PAPA
(Avvocato - Responsabile del Servizio Legale dell’Università Politecnica delle Marche)

 

Brevi note a commento dell’art. 24 della legge

27 dicembre 2002, n. 289 (legge finanziaria 2003)

SOMMARIO: 1. Premessa. 2. Dubbi sulla legittimità costituzionale della norma. 3. Motivi di conflitto con i principi comunitari. 4. Interpretazione di alcuni aspetti dell’art. 24.

1. Premessa

La norma in rassegna presenta un’articolazione di criptica complessità, con conseguenti difficoltà interpretative che ne determinano una limitata ed incerta applicazione. Nel tentativo di comprendere l’effettivo intento del legislatore, si ritiene utile invertire, momentaneamente, lo sviluppo temporale dei canoni ermeneutici, indagando nell’ambito extratestuale e, segnatamente, in quello storico. Appare, infatti, necessario ripercorrere brevemente la genesi della “Consip s.p.a.”, perno dell’impianto normativo.

L’art. 26 della legge 23 dicembre 1999, n. 488 (legge finanziaria 2000), autorizzava il Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, nel rispetto della vigente normativa in materia di scelta del contraente, a stipulare convenzioni con imprese disposte ad accettare, sino a concorrenza della quantità massima complessiva stabilita dalla convenzione ed ai prezzi e condizioni ivi previsti, ordinativi di fornitura deliberati dalle amministrazioni dello Stato. Il Ministero veniva, inoltre, autorizzato anche ad avvalersi di società di consulenza specializzate (v. Consip s.p.a.), selezionate anche in deroga alla normativa di contabilità pubblica. A mente del medesimo articolo, le amministrazioni centrali e periferiche dello Stato erano tenute ad approvvigionarsi utilizzando le predette convenzioni, mentre le restanti pubbliche amministrazioni (fra le quali le università) avevano facoltà di aderirvi. Diversamente, quest’ultime, avrebbero dovuto utilizzarne i parametri di qualità e di prezzo per l’acquisto di beni comparabili con quelli oggetto di convenzionamento.

Detto impianto veniva successivamente integrato dall’art. 59 della legge 23 dicembre 2000, n.388 (legge finanziaria 2001), mediante la previsione dell’onere, a carico degli enti, di motivazione nel caso di acquisti di beni o servizi a prezzi ed a condizioni meno vantaggiosi di quelli stabiliti nelle convenzioni predette.

In precedenza, il D.Lgs. 19 novembre 1997, n. 414, nel disciplinare le attività informatiche dell’Amministrazione statale in materia finanziaria e contabile, aveva previsto la costituzione di un organismo a struttura societaria – con partecipazione azionaria posseduta interamente dal Tesoro dello Stato – con unica ed esclusiva funzione di servizio per lo Stato e che avrebbe dovuto operare secondo gli indirizzi strategici stabiliti dall’Amministrazione.

Con D.M. 22 dicembre 1997, tale soggetto veniva individuato nella Consip s.p.a., società a cui venivano affidate alcune attività, meglio dettagliate ed articolate nella convenzione stipulata da quest’ultima con il Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica in data 31 maggio 2001, attività qui di seguito riportate:

a) la progettazione, sviluppo e gestione del sistema delle convenzioni, finalizzato alla stipula delle stesse ai sensi e per gli effetti dell’articolo 26 della legge Finanziaria 2000, oltre che per quanto disposto dal decreto ministeriale del 24 febbraio 2000, anche per la realizzazione di quanto previsto dagli articoli 58, 59 e 61 della Finanziaria 2001;

b) la promozione delle attività necessarie o, comunque, opportune per la costituzione dei consorzi di cui all’articolo 25 della legge Finanziaria 2000, ai quali le pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, aderiscono con le modalità stabilite dalla direttiva della Presidenza del Consiglio dei Ministri emanata in data 18 settembre 2000, e nel rispetto di quanto disposto dall’articolo 61 della legge Finanziaria 2001;

c) la promozione delle attività necessarie o, comunque, opportune per l’aggregazione degli enti decentrati di spesa, quali province e comuni, aziende sanitarie ed ospedaliere nonché università, fornendo agli stessi il supporto necessario per l’elaborazione ed attuazione di strategie comuni di acquisto, tenendo conto di quanto disposto dall’articolo 59, commi 2, 4, 5 e 6, e dall’articolo 60 della Finanziaria 2001;

d) il supporto alle pubbliche amministrazioni per il monitoraggio della spesa, dei fabbisogni e dei consumi; nonché per la rilevazione degli elementi di conoscenza degli effettivi risultati di economia di spesa nell’acquisto di beni e servizi da parte delle predette pubbliche amministrazioni anche mediante strumenti elettronici di archiviazione dei dati (sistema di dataware house) ;

e) l'effettuazione delle attività di comunicazione e supporto alle Pubbliche Amministrazioni attraverso iniziative di informazione per la diffusione della conoscenza del progetto, per l’utilizzo delle nuove procedure in coerenza con le politiche di "gestione del cambiamento" delineate dal Ministero con il supporto di Consip;

f) la creazione, lo sviluppo, l'implementazione e la supervisione di un sistema di acquisti elettronici (e-procurement), con particolare riferimento alla realizzazione dei cataloghi elettronici, delle aste elettroniche e del market place, nel rispetto della normativa vigente in materia e secondo quanto stabilito con uno o più regolamenti che verranno emanati ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400.

Da quanto succintamente ricordato, si può agevolmente rilevare come la Consip s.p.a., nata al fine di farsi carico dei compiti correlati con i servizi informatici del Ministero del Tesoro (cfr. art.3 D.M. 22 dicembre 1997), abbia nel tempo assunto competenze di ben più ampia portata, originariamente rivolte allo Stato ed ai propri organi e con una costante e progressiva erosione della sfera di competenza delle “restanti” pubbliche amministrazioni. Quest’ultime, infatti, si sono trovate ad attraversare le seguenti fasi:

a) Facoltativa : scelta di aderire alle convenzioni Consip, con l’onere, in caso contrario, di utilizzare i parametri di qualità e di prezzo per l’acquisto di beni comparabili con quelli oggetto di convenzione (cfr. comma 3, art.26, legge 488/1999);

b) Facoltativa con motivazione : gli enti devono motivare i provvedimenti con cui procedono all’acquisto di beni e servizi a prezzi e a condizioni meno vantaggiosi di quelli stabiliti nelle convenzioni di cui all’art.26 della legge 488/1999 (cfr. comma 5, art.59, legge 388/2000);

 

c) Obbligatoria : gli enti pubblici istituzionali hanno l’obbligo di utilizzare le convenzioni quadro definite dalla Consip (cfr. comma 3, art.24, legge 289/2002).

Nel contesto storico appena delineato va collocata la norma in esame che, prima ancora di essere interpretata mediante i canoni ermeneutici classici, dovrà essere sottoposta alla prova di resistenza con i principi costituzionali e con quelli del diritto comunitario.

2. Dubbi sulla legittimità costituzionale della norma.

Nel prendere in esame l’art. 24 in rassegna, l’interprete non può trascurare di ripercorrere le vicende che hanno portato alla modifica del libro V della parte seconda della Costituzione. La riforma, di altissima valenza politica, è stata attuata mediante la legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, entrata in vigore l’8 novembre 2001, a seguito di referendum confermativo.

La novella costituzionale ha ridefinito la potestà legislativa della Stato, capovolgendo completamente l’originale impianto del 1948.

La potestà legislativa dello Stato, attualmente, viene distinta in:

a) legislazione esclusiva: nelle materie analiticamente indicate dal comma 2 dell’art.117 Cost., la potestà legislativa compete unicamente e tassativamente allo Stato;

b) legislazione concorrente: nelle materie elencate nel comma 3 dell’art. 117 Cost., la potestà legislativa spetta alle regioni, mentre lo Stato può dettare in materia esclusivamente leggi di principio, cui le regioni devono attenersi;

c) legislazione generale o residuale: nelle materie non espressamente riservate alla legislazione dello Stato, la potestà legislativa spetta alle regioni.

Ora, poiché ictu oculi si rileva che le procedure di evidenza pubblica non rientrano nella legislazione esclusiva né in quella concorrente, si appalesa una innegabile “invasione di campo” da parte dello Stato, in una materia riservata alla potestà legislativa delle regioni, in quanto generale ovvero residuale.

Nulla quaestio nel caso in cui le regioni abbiano, nel rispetto del dettato costituzionale, emanato norme in materia di appalti di servizi e forniture. In tal caso, stante l’acclarata illegittimità dell’art.24 in rassegna, non rimarrebbe all’interprete che applicare la norma regionale in materia, ignorando la norma statale.

Per quanto attiene alle università, non va trascurato che le stesse godono di una elevata autonomia di rango costituzionale (cfr. art.33, u.c., Cost.). Inoltre, il secondo comma dell’art. 6 della legge 9 maggio 1989, n. 168, stabilisce che le università sono disciplinate, oltre che dai rispettivi statuti e regolamenti, esclusivamente da norme legislative che vi operino espresso riferimento. Ne consegue, per quanto qui interessa, che non solo la materia in tema di procedure di evidenza pubblica deve essere disciplinata da fonte legislativa regionale, ma che la stessa norma deve – necessariamente – contemplare espressamente le università. Diversamente, queste sarebbero tenute ad applicare esclusivamente i propri regolamenti, salvo il limite della sovra ordinata legislazione comunitaria.

Del resto, non appare condivisibile la tesi volta ad affermare la validità della norma statale in quanto rivolta a disciplinare la trasparenza e la concorrenza, materie di esclusiva competenza dello Stato. Infatti, sia la trasparenza sia la concorrenza riverberano strettamente in materia di gare d’appalto, materia, come più volte ricordato, di competenza regionale.

Il legislatore, quindi, ben può stabilire, in materia, norme di principio (nella legislazione concorrente); di converso, non può ammantare i principi di minuziose regole procedimentali a tal punto da svilire la potestà legislativa concorrente delle regioni in semplice potestà regolamentare.

In tal caso, la potestà legislativa riconosciuta alle regioni verrebbe compromessa al punto di assumere i contorni di una mera esecuzione delle regole imposte dallo Stato, in spregio al dettato costituzionale. Coerentemente, appare di dubbia legittimità il comma 9 dell’art.24, ove eleva a rango di norma di principio, per le regioni, i commi 1, 2 e 5 del medesimo articolo.

3. Motivi di conflitto con i principi comunitari.

Davvero arduo appare, invero, armonizzare il principio posto a tutela della concorrenza con le procedure imposte dall’art.24.

Se poi si assumono come riferimento i principi sanciti dal trattato di Maastricht, l’impresa appare addirittura impossibile. Collocare l’articolo in trattazione nell’ambito di una visione comunitaria che intende perseguire una politica commerciale comune, caratterizzata dall’eliminazione degli ostacoli alla libera circolazione delle merci e servizi, anche attraverso un regime inteso a garantire che la concorrenza non sia falsata nel mercato interno, comporta seri rischi di “rigetto”.

Un’interpretazione superficiale della norma in esame, potrebbe concretizzare uno scenario in cui la Consip, stipulando contratti per la fornitura di beni e servizi, su tutto il territorio nazionale, con un esiguo numero di fornitori, non solo non raggiungerebbe l’obiettivo di esaltare (rectius: garantire) la concorrenza ma, in realtà, produrrebbe l’effetto opposto: la mortificazione ed il soffocamento di quest’ultima.

E’ facile immaginare come una moltitudine di imprenditori, oggi impegnati in una dialettica di aperta interazione con le pubbliche amministrazioni, ispirata al pieno rispetto dei principi di trasparenza e concorrenza, venga di colpo spazzata via per far posto ad una ristretta cerchia di imprenditori che accentrerebbero presso di loro le sempre più scarse risorse economiche pubbliche. Se poi si considera che l’intera economia nazionale è retta da piccole e medie imprese, per loro natura impossibilitate a reggere la concorrenza delle multinazionali, allora il quadro risulta ancora più allarmante.

4. Interpretazione di alcuni aspetti dell’art. 24.

Fermo quanto precedentemente sostenuto in ordine alla legittimità dell’articolo in rassegna ed in attesa delle eventuali determinazioni della Corte Costituzionale e della Corte di Giustizia, qualora interessate della questione, per completezza di trattazione si tenterà di esaminare nel dettaglio la portata di alcuni aspetti della novella.

Preliminarmente, sempre volendo scomodare il criterio storico nell’ambito di una interpretazione evolutiva, non deve trascurarsi che recentemente è stato emanato, con d.P.R. 20 agosto 2001, n.384, il “Regolamento di semplificazione dei procedimenti di spese in economia” che determina, all’art.3, in 130.000 euro l’importo limite per l’acquisizione di beni e servizi da parte delle amministrazioni statali.

Con una perentoria inversione di marcia, il legislatore statale ha in pratica disposto, mediante il primo comma dell’art.24 della legge finanziaria 2003, l’abbassamento della soglia comunitaria - attualmente fissata in 200.000 DSP (249.681 euro) - per l’acquisizione di pubbliche forniture e per gli appalti di pubblici servizi attuati mediante l’espletamento di procedure aperte o ristrette, con le modalità previste dalla normativa nazionale di recepimento delle direttive comunitarie in materia.

E’ questa, forse, l’unica norma contenuta nell’art.24 che non presenta dubbi interpretativi. Sotto l’aspetto soggettivo sono destinatari della medesima le “amministrazioni aggiudicatici” come individuate dall’art.1 del D.Lgs.358/1992 e dall’art.2 del D.Lgs.157/1995, mentre per quanto concerne quello obiettivo, devono concorrere i seguenti elementi:

a) la spesa deve riguardare appalti pubblici di forniture e servizi;

b) gli appalti devono essere espletati mediante procedure di evidenza pubblica e, segnatamente, mediante procedure aperte (ove tutti i fornitori interessati possono presentare offerte) e ristrette (ove possono presentare offerte soltanto i fornitori invitati dall’amministrazione);

c) il valore del contratto deve essere superiore a 50.000 euro.

Non vi è alcun dubbio che la precitata norma non ha inteso prendere in considerazione né la procedura negoziata (nell’ambito delle quali le amministrazioni consultano i fornitori di loro scelta e negoziano i termini del contratto con uno o più di essi) né la disciplina delle spese in economia. Unico apparente dubbio è stato sollevato in ordine alla necessità di dar corso alla pubblicità in ambito comunitario, mediante la pubblicazione del bando sulla gazzetta ufficiale delle comunità europee. La soluzione affermativa trova la propria fonte nell’art.13 della direttiva 93/36/CEE del Consiglio del 14 giugno 1993 e successive modificazioni ed integrazioni (Le amministrazioni aggiudicatici possono far pubblicare sulla gazzetta ufficiale delle comunità europee bandi di gara concernenti gli appalti di forniture non soggetti alla pubblicità obbligatoria prevista dalla presente direttiva).

Singolare, infine, risulta il riferimento all’importo contrattuale, ovviamente tutt’altra cosa rispetto all’importo posto a base di gara. E’ agevole rilevare come l’importo contrattuale venga determinato esclusivamente a seguito dell’espletamento della procedura di evidenza pubblica, una volta che sia stato individuato l’aggiudicatario. Può accadere, quindi, che l’ente appaltante proceda, nel rispetto del primo comma dell’art.24, determinando l’importo a base di gara in 55.000 euro. A seguito dell’espletamento della gara, la stessa viene aggiudicata al concorrente che ha offerto il prezzo più conveniente, ipotizziamo pari a 48.000 euro. Risultando, quindi, l’importo contrattuale inferiore alla soglia dei 50.000 euro, a posteriori l’ente “scoprirebbe” di aver inutilmente appesantito la propria azione amministrativa, con aggravio di tempi, costi e risorse, senza trarne alcun beneficio. L’illogicità dello scenario rappresentato, porta a ritenere che trattasi di una imprecisione terminologica: invece di assumere come riferimento l’importo a base di gara, il legislatore ha erroneamente utilizzato l’importo contrattuale.

E’, quindi, alla luce di questo primo comma che va esaminato l’intero articolo; infatti, le disposizioni contenute nei commi che seguono costituiscono corollario e, semmai, specificazione dello stesso. Se così non fosse, il legislatore, nel rispetto di una elementare disposizione sistematica delle norme, avrebbe esordito con una affermazione molto cara agli assertori di una rigida e pedissequa interpretazione, del tipo: “Gli enti … hanno l’obbligo di utilizzare le convenzioni quadro definite dalla Consip s.p.a.” e, da qui, avrebbe snocciolato le eventuali eccezioni ed esclusioni.

Nel secondo comma, lettera b), vengono esclusi dall’obbligo di cui al comma 1, le pubbliche amministrazioni che facciano ricorso:

- alle convenzioni quadro definite dalla Consip;

- al mercato elettronico della p.a.

Il terzo comma presenta non pochi punti oscuri. Spicca fra tutti la disposizione che impone alle pubbliche amministrazioni contemplate nella tabella C (allegata alla legge) e, comunque, agli enti pubblici istituzionali, l’obbligo di utilizzare le convenzioni quadro definite dalla Consip. L’interpretazione che vuole estendere il predetto obbligo a tutte le spese inferiori ai 50.000 euro, relative alla forniture di beni o servizi, appare priva di pregio, se non altro sotto l’aspetto logico. Se così fosse, come abbiamo avuto modo di chiarire in precedenza, diversa sarebbe stata la costruzione della norma. Una volta stabilito il generico obbligo (comma 3), si sarebbero disciplinate le procedure ad evidenza pubblica superiori ai 50.000 euro e, quindi, le situazioni esimenti e quelle specifiche.

Inoltre, la disciplina della trattativa privata, di cui al comma 5, conforta nel ritenere che l’obbligo sancito dal comma 3, riguarda esclusivamente eventuali procedure di evidenza pubblica esperite per importi inferiori a 50.000 euro. Infatti, il legislatore, nel confermare che le procedure realizzate mediante trattativa privata continuano ad essere regolate dalla vigente normativa, prevede che le amministrazioni possono farvi ricorso solo:

a) in casi eccezionali e motivati

b) previo esperimento di una documentata indagine di mercato

c) dandone comunicazione alla sezione regionale della Corte dei conti.

La prima condizione può ritenersi assolta in presenza di una autoregolamentazione che l’ente ha inteso darsi per disciplinare le modalità di esecuzione delle spese da effettuarsi mediante trattativa privata. E’ appena il caso di sottolineare che le competenze per materia previste per tale procedura contengono in se gli elementi di necessità e di motivazione previsti dalla norma in rassegna.

La seconda, viene realizzata comunque dalla p.a., essendo strutturalmente prodromica e funzionale a qualsivoglia fornitura di beni e servizi.

La terza, costituisce esclusivamente un appesantimento del carico di lavoro, esplicitandosi in un documento redatto a fine esercizio, con l’elencazione analitica di tutte le trattative eseguite nel corso dell’anno.

Anche le procedure riconducibili nell’ambito delle spese in economia non appaiono interessate dall’art.24. Infatti, non si scorgono elementi che possano condurre l’interprete a ritenere implicitamente abrogato il d.P.R. 20 agosto 2001, n.384. Né una nuova regolamentazione dell’intera materia né una incompatibilità fra la disposizione successiva e quella precedente, tale da rendere impossibile la loro contemporanea applicazione, autorizzano il riconoscimento di una abrogazione tacita.

Infine, si è osservato che alcuni riconducono le università nell’ambito delle pubbliche amministrazioni considerate nella tabella C allegata alla legge finanziaria 2003, anziché nella categoria degli enti pubblici istituzionali. Detta tabella elenca, raggruppandole per ministeri, le disposizioni di legge con cui sono stati stanziati fondi, la cui quantificazione annua è demandata alla legge finanziaria. Fra i soggetti beneficiari, si rinvengono non solo pp.aa., ma anche organi dello Stato, enti privati e singoli cittadini. Nell’ambito del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, sia università statali sia università ed istituti non statali.

Se così fosse, e volendo estrapolare solo i soggetti aventi natura di “pubblica amministrazione”, si arriverebbe ad ottenere un bacino d’utenza non sovrapponibile a quello individuato nell’art. 1 del D.Lgs. 358/1992 e nell’art.2 del D.Lgs.157/1995. Ciò contribuirebbe ad esaltare la discrasia già evidenziata fra il primo ed il terzo comma dell’art. 24, alimentando i dubbi interpretativi ampiamente suscitati dalla norma in esame.

Documenti correlati:

S. GLINIANSKI, Analogie e differenze tra la trattativa privata ed il cottimo fiduciario alla luce dell’art.24, comma 5, della l. 27.12.2003, n. 289 (finanziaria per l’anno 2003).

L. OLIVERI, Le procedure in economia non sono state abrogate o intaccate dalla legge finanziaria per il 2003.

ID., Problemi di costituzionalità dell'articolo 24 della legge 289/2002*

D. SCERBO, L’acquisizione di beni e servizi secondo la disciplina prevista dall’art. 24 della legge finanziaria 2003.

P. MONEA e E. IORIO, Commento dell’art. 24 della legge finanziaria 2003*.

Copertina Stampa il documento Clicca qui per segnalare la pagina ad un amico