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n. 12-2002 - © copyright.

CONSIGLIO DI STATO, SEZ. IV - Sentenza 23 novembre 2002 n. 6446 - Pres. Paleologo, Est. Troiano - Comune di Busto Arsizio (Avv.ti Introini e Lorenzoni) c. Olimpias S.p.a. (Avv. Scrosati) e Regione Lombardia (n.c.) - (dichiara inammissibile il ricorso per revocazione proposto in relazione alla dec. del Cons. Stato, Sez. IV, 29 ottobre 2001, n. 5622).

1. Giustizia amministrativa - Appello - Applicabilità dell'art. 345 c.p.c. - Inammissibilità di nuove prove od eccezioni in grado di appello - Sussiste.

2. Giustizia amministrativa - Appello - Generalità - Norme previste dal codice di procedure civile - Sono da ritenere in genere applicabili.

1. Anche al giudizio amministrativo in grado di appello è applicabile il principio di cui all'articolo 345 c.p.c., nel testo attualmente in vigore introdotto dall'articolo 52 della legge 26 novembre 1990, n. 353, secondo cui è inammissibile la produzione di nuove prove e di nuovi documenti, tranne che tale preclusione non sia giustificata dalle ragioni specificamente indicate da detta disposizione (1). Nel caso di appello avverso sentenze emesse da un T.A.R., pertanto, in conformità all'attuale previsione dell'articolo 345 c.p.c., 2° comma, c.p.c., non possono ritenersi ammissibili nuove prove o nuove eccezioni non rilevabili d'ufficio (2).

2. Le norme di principio sulle quali si fonda l'attuale disciplina del giudizio di appello prevista dal codice di procedura civile e caratterizzanti il relativo modello, costituiscono un canone interpretativo anche della disciplina del processo amministrativo, in quanto è a tali previsioni che deve farsi riferimento per individuare in termini generali le caratteristiche dell'appello quale rimedio processuale (3).

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(1) Cfr. Cons. Stato, sez. V, 15 febbraio 2001, n. 789.

(2) Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 2 giugno 1999, n. 963; id., 30 giugno 1998, n. 1005; id., 6 marzo 1996, n. 292.

Nel senso di ritenere inammissibili nuove prove in appello (principio questo ritenuto applicabile non solo alle parti private ma anche alla P.A.) v. in prec. in questa Rivista Cons. Stato, sez. IV,  2 giugno 1999 n. 963; v. anche Cons. Stato, sez. IV, 30 marzo 2000 n. 1817.

V. in arg. in questa Rivista F. e M. MINNITI, Giudizio di appello nel rito civile (cenni). L'ammissibilità di prove nuove in appello; in particolare, contenuto del concetto di indispensabilità (artt. 345 e 437 c.p.c.)

(3) Ha osservato in proposito la Sez. IV che le attuali disposizioni del codice di procedura civile in materia di appello pcostituiscono dei parametri ermeneutici al fine di dare un contenuto alla stessa nozione di "appello" rilevante nel processo amministrativo, in difetto di specifiche norme di diritto processuale amministrativo che individuino i caratteri propri di tale rimedio.

In applicazione di tale criterio esegetico, ad es. la giurisprudenza del Consiglio di Stato ha ritenuto in passato non proponibili domande nuove in sede di appello, in conformità alla previsione dell'articolo 345, comma 1°, c.p.c., pur in mancanza di una specifica preclusione in tal senso posta dalle leggi che regolano il processo amministrativo (cfr. ex multis, sez. VI, 31 luglio 1987, n. 506; sez. V, 29 dicembre 1987, n. 833; id. 16 aprile 1987, n. 251).

In particolare, il principio del doppio grado di giurisdizione non può, ad opinione della Sez. IV, escludere l'applicabilità della preclusione di cui all'articolo 345, c. 2, c.p.c. al processo amministrativo. Può, infatti, osservarsi che proprio il principio del doppio grado di giurisdizione, costituzionalmente garantito nel giudizio amministrativo, giustifica soluzioni processuali che assicurino un potenziale riesame della valutazione delle prove prodotte nel primo grado del giudizio, obiettivo che sarebbe frustrato qualora alcune prove fossero producibili per la prima volta in sede di gravame.

In tale quadro generale, il giudizio impugnatorio recupera così pienamente la sua originaria dimensione di riesame del giudizio di primo grado, nei limiti del thema decidendum sottoposto al giudice di prime cure. L'appello così è da qualificare, secondo la Sez. IV, come una vera e propria revisio prioris instantiae.

 

 

FATTO

Con ricorso proposto innanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia la Essegigi S.p.a., in seguito fusa per incorporazione nella Manifatture Stefani S.p.a., ora denominata Olimpias S.p.a., impugnava la delibera del Consiglio comunale di Busto Arsizio 19 novembre 1984, n. 700, recante adozione di variante di P.R.G. nonché la delibera della Giunta della Regione Lombardia 27 gennaio 1987, n. 7119, recante approvazione della variante in oggetto.

Con decisione 23 febbraio 1991, n. 495 il T.a.r. adito accoglieva parzialmente il ricorso, con annullamento "in parte qua" delle delibere impugnate.

Avverso detta pronuncia interponeva appello il Comune di Busto Arsizio deducendo le seguenti doglianze:

1) Violazione e falsa applicazione di legge (articoli 23 e 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87; articoli 131 e 279, n. 4 c.p.c.; articolo 28 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034; articolo 2909 c.c.). Illogicità e contraddittorietà manifesta.

2) Violazione di legge (articoli 7 e 10 della legge 17 agosto 1942, n. 1150, come successivamente modificati; articolo 2 della legge 19 novembre 1968, n. 1187). Illogicità e contraddittorietà manifeste.

Con decisione 29 ottobre 2001, numero 5622 il Consiglio di Stato, Sezione IV, respingeva il ricorso in appello.

Avverso detta pronuncia il Comune di Busto Arsizio proponeva ricorso per revocazione, con atto notificato il 22 febbraio 2002 e depositato il 7 marzo 2002, deducendo la sussistenza del vizio revocatorio di cui all'articolo 395, n. 4) c.p.c. in quanto la sentenza è l'effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa.

In particolare si deduce che l'errore concerne la decisione sul secondo mezzo di gravame e consiste nella "supposta inesistenza di motivazione specifica" dello strumento urbanistico, che ha determinato un vizio nella formazione del giudizio.

DIRITTO

1. Il ricorso è infondato.

Il Comune di Busto Arsizio domanda la revocazione della decisione di questa Sezione 29 ottobre 2001, numero 5622 che rigettava il secondo motivo di appello proposto dal Comune in quanto la reiterazione del vincolo per cui è causa non era stata congruamente giustificata nella motivazione complessiva della variante generale, mentre sarebbe stata necessaria una motivazione specifica della reiterazione.

Deduce il Comune che la decisione di cui si chiede la revocazione esclude l'esistenza di un fatto - la motivazione specifica della variante allo strumento urbanistico - che nella realtà processuale è, invece, presente e documentato perché, nel giudizio di appello, l'Amministrazione comunale ha prodotto copia autentica della controdeduzione all'osservazione n. 64, presentata dalla Essegigi, unitamente a copia autentica della legenda e stralcio della planimetria costituente l'allegato I alle controdeduzioni, che evidenzia l'ubicazione di tutte le proprietà incise dai vincoli. Il contenuto motivazionale della suddetta controdeduzione è ampiamente illustrato dall'Amministrazione alle pagine da 6 a 8 del ricorso per revocazione.

Conclude il ricorrente che il Giudice di secondo grado non poteva, dunque, limitarsi a richiamare la motivazione del Giudice di I grado, una volta che nel solo secondo grado era stata documentata l'esistenza anche della motivazione specifica. Si lamenta, quindi, la sussistenza del vizio revocatorio di cui all'articolo 395, n. 4) c.p.c. in quanto la sentenza è l'effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa, consistente nella "supposta inesistenza di motivazione specifica" dello strumento urbanistico impugnato, che ha determinato un vizio nella formazione del giudizio.

Tale censura deve, tuttavia, essere disattesa.

Sul punto - in conformità al prevalente orientamento di questo Consesso - il Collegio ritiene riferibile anche al giudizio amministrativo in grado di appello il principio di cui all'articolo 345 c.p.c. nel testo attualmente in vigore introdotto dall'articolo 52 della legge 26 novembre 1990, n. 353, per cui è inammissibile la produzione di nuove prove e di nuovi documenti, tranne che tale preclusione tardiva non sia giustificata dalle ragioni specificamente indicate da tale disposizione (in tal senso da ultimo Sez. V, 15 febbraio 2001, n. 789; Sez. IV, 2 giugno 1999, n. 963).

Deve, infatti, riconoscersi che le norme di principio sulle quali si fonda l'attuale disciplina del giudizio di appello dettata dal codice di procedura civile e caratterizzanti il relativo modello di processo civile - che era stato snaturato dalla Novella introdotta con la legge 14 luglio 1950, n. 581 - costituiscono un canone interpretativo, in difetto di diversa disposizione, anche della disciplina del processo amministrativo, in quanto è a tali previsioni che deve farsi riferimento per individuare in termini generali le caratteristiche dell'appello quale rimedio processuale, con un'indagine che non sembra possa compiersi secondo criteri storico-comparatistici, bensì considerando il diritto processuale vigente nel sistema dell'ordinamento.

In particolare, alle attuali disposizioni del codice di procedura civile in materia di appello può aversi riguardo quali parametri ermeneutici al fine di dare un contenuto alla stessa nozione di "appello" rilevante nel processo amministrativo, in difetto di specifiche norme di diritto processuale amministrativo che individuino i caratteri propri di tale rimedio.

Trova così applicazione il medesimo criterio esegetico utilizzato dalla giurisprudenza di questo Consiglio al fine di escludere la proponibilità di domande nuove in sede di appello, in conformità alla previsione dell'articolo 345, comma 1°, c.p.c., pur in mancanza di una specifica preclusione in tal senso posta dalle leggi che regolano il processo amministrativo (cfr. ex multis, sez. VI, 31 luglio 1987, n. 506; sez. V, 29 dicembre 1987, n. 833; id. 16 aprile 1987, n. 251).

Non sembra, per contro, che il richiamo al principio del doppio grado di giurisdizione valga ad escludere l'applicabilità della preclusione di cui all'articolo 345, c. 2, c.p.c. al processo amministrativo. Può, infatti, osservarsi che proprio il principio del doppio grado di giurisdizione, costituzionalmente garantito nel giudizio amministrativo, giustifica soluzioni processuali che assicurino un potenziale riesame della valutazione delle prove prodotte nel primo grado del giudizio, obiettivo che sarebbe frustrato qualora alcune prove fossero producibili per la prima volta in sede di gravame.

Anche il riferimento all'esigenza di tutela degli interessi pubblici coinvolti nel processo amministrativo ed al carattere indisponibile delle posizioni giuridiche di cui è titolare l'Amministrazione non sembra decisivo in quanto, nell'ambito di un necessario bilanciamento fra interessi costituzionalmente protetti, merita adeguata considerazione anche l'interesse alla rapidità ed efficienza del giudizio, ora espressamente garantite dall'articolo 111, comma 1° della Costituzione. Può osservarsi, sotto questo profilo, che il sistema di preclusioni introdotto dall'articolo 345 c.p.c. nel testo vigente costituisce espressione e precipitato del principio del giusto processo, agevolando la sollecita definizione delle controversie.

Deve, quindi, confermarsi che - nell'ambito di un giudizio impugnatorio che ora recupera pienamente la sua originaria dimensione di riesame del giudizio di primo grado nei limiti del thema decidendum sottoposto al giudice di prime cure (c.d. revisio prioris instantie) - non possono ritenersi ammissibili in sede di gravame nuove prove o nuove eccezioni non rilevabili d'ufficio, in conformità all'attuale previsione dell'articolo 345 c.p.c., 2° comma (in termini sez. IV, 2 giugno 1999, n. 963; id., 30 giugno 1998, n. 1005; id., 6 marzo 1996, n. 292).

Nella fattispecie in esame il Giudice di appello, quindi, non aveva l'onere di esaminare e valutare la copia autentica della controdeduzione all'osservazione n. 64, presentata dalla Essegigi, e la copia autentica della legenda e stralcio della planimetria costituente l'allegato I alle controdeduzioni, perché tali documenti sono stati prodotti dal Comune di Busto Arsizio per la prima volta in sede di gravame, sicché la relativa produzione doveva ritenersi inammissibile.

Il vizio revocatorio di cui all'articolo 395, n. 4) c.p.c. può, infatti, essere apprezzato dal Collegio solo quando il lamentato errore di fatto risulti da atti o documenti ritualmente acquisiti agli atti del giudizio, con esclusione delle produzioni non ammissibili.

Le spese del grado di giudizio possono, come di regola, seguire la soccombenza. Esse sono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in Sede giurisdizionale, Sezione quarta, dichiara inammissibile il ricorso per revocazione.

Condanna il Comune di Busto Arsizio al pagamento, in favore della Soc. Olimpias S.p.a. delle spese del grado di giudizio, che liquida in euro 1.500 (euro millecinquecento/00).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, il 25 giugno 2002, dalla IV Sezione del

Consiglio di Stato, riunita in camera di consiglio con l'intervento dei signori:

Giovanni Paleologo - Presidente

Filippo Patroni Griffi - Consigliere

Carmine Volpe - Consigliere

Marcello Borioni - Consigliere

Paolo Troiano - Consigliere estensore

Depositata il 23 novembre 2002.

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