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Giurisprudenza
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CONSIGLIO DI STATO, SEZ. V - Sentenza 18 marzo 2002 n. 1562 - Pres. Quaranta, Est. Mastrandrea - Maglio e c.ti (Avv. E. P. Sandulli) c. Comune di Grottolella (Avv.ti L. Mazzeo e D. Cicenia) - (annulla T.A.R. Campania-Napoli, Sez. V, 6 aprile 2001, n. 1605).

1. Espropriazione per p.u. - Dichiarazione per p.u. - Indicazione dei termini per l'inizio ed il compimento dei lavori e delle espropriazioni - Funzione garantistica per il proprietario - Indicazione nel primo atto della procedura - Necessità.

2. Espropriazione per p.u. - Dichiarazione per p.u. - Indicazione dei termini per l'inizio ed il compimento dei lavori e delle espropriazioni - Fungibilità dei termini stessi - Impossibilità.

3. Espropriazione per p.u. - Dichiarazione per p.u. - Indicazione dei termini per l'inizio ed il compimento dei lavori e delle espropriazioni - Indicazione nel primo atto della procedura - Necessità - Successivi atti di convalida - Illegittimità - Natura dei termini finali - E' sollecitatoria - Natura dei termini iniziali - E' perentoria.

4. Espropriazione per p.u. - Dichiarazione per p.u. - Per implicito - Avviso di inizio del procedimento - Necessità - Mancanza - Illegittimità.

5. Espropriazione per p.u. - Decreto di occupazione d'urgenza - Avviso di inizio del procedimento - Necessità - Non sussiste - Ragioni.

6. Giurisdizione e competenza - Espropriazione per p.u. - Domanda di risarcimento del danno - In relazione ad annullamento della dichiarazione di p.u. - Rientra nella giurisdizione esclusiva del G.A. ex art. 34 D.L.vo n. 80/98.

7. Giustizia amministrativa - Risarcimento del danno - Per lesione di interessi legittimi - Presupposti - Individuazione.

8. Espropriazione per p.u. - Dichiarazione per p.u. - Annullamento in s.g. - Per omesso avviso del procedimento - Risarcimento del danno - Va riconosciuto - Estremi dell'ingiustizia del danno e della colpa - Sussistono - Ragioni.

9. Espropriazione per p.u. - Dichiarazione per p.u. - Annullamento in s.g. - Risarcimento del danno - Va accordato in forma specifica per i terreni non trasformati - Interessi legali, sul valore venale delle aree occupate - Per il periodo che va dall'illecita apprensione all'effettiva restituzione - Vanno riconosciuti.

10. Espropriazione per p.u. - Dichiarazione per p.u. - Annullamento in s.g. - Risarcimento del danno - Va accordato per equivalente monetario per i terreni ormai irreversibilmente trasformati - Determinazione del danno - Criteri - Limiti previsti dall'art. 5-bis del d.l. 333/92 - Inapplicabilità - Ragioni.

1. Nelle procedure espropriative, l'indicazione dei termini per l'inizio ed il compimento dei lavori e delle espropriazioni, assolve una precisa funzione garantista nei confronti del proprietario espropriando in ordine alla attualità dell'interesse pubblico da soddisfare e alla effettività e serietà dei lavori e deve essere contenuta nel primo atto nel quale si manifesta concretamente l'intenzione di esercitare il potere espropriativo (1).

2. Nelle procedure espropriative, l'identicità della funzione garantista svolta sia dai termini per i lavori che da quelli per l'espropriazione non comporta la fungibilità dei termini stessi, rispondendo essi a diverse esigenze (2).

3. La fissazione dei termini iniziali e finali delle procedure ablatorie e dei lavori deve dunque avvenire nello stesso atto avente ex lege valore di dichiarazione di pubblica utilità dell'opera, e quindi nell'atto con cui è approvato il progetto di opera pubblica, escludendosi che tale onere possa essere assolto mediante atti successivi - seppure in forma di convalida o sanatoria - inidonei ad eliminare l'intrinseca illegittimità del primo atto, con la precisazione che a differenza dei termini iniziali, per loro natura dilatori e acceleratori, i termini finali assumono il connotato della perentorietà (3).

4. La dichiarazione di pubblica utilità non è un mero subprocedimento della procedura espropriativa, bensì l'esito di un autonomo procedimento, connotato da peculiare effetto; anche per essa, pertanto, deve valere il principio di garanzia della partecipazione dell'interessato, che impone la comunicazione preventiva dell'avvio del procedimento; garanzia che risponde ad essenziali esigenze di democraticità e trasparenza dell'azione amministrativa, le quali debbono poter trovare spazio anche quando la dichiarazione di pubblica utilità sia un effetto implicito dell'approvazione del progetto dell'opera pubblica (4).

5. Mentre occorre avviso di inizio del procedimento nel caso di dichiarazione di p.u., anche se per implicito, non occorre viceversa tale avviso per l'inizio del procedimento di occupazione d'urgenza, non tanto perché vi osti il presupposto dell'urgenza, ma piuttosto perché il giusto procedimento ha ragion d'essere nell'ambito della dichiarazione di pubblica utilità, che conserva momenti di scelta discrezionale, ma non più nell'ambito dell'occupazione d'urgenza, meramente attuativa dei provvedimenti presupposti.

6. Rientra nella giurisdizione esclusiva del G.A. prevista degli artt. 34 e 35 del D.L.vo n. 80/98 (la quale riguarda anche i comportamenti dell'Amministrazione), una domanda di risarcimento danni a seguito di annullamento di una dichiarazione di p.u., in considerazione l'indubbio stretto legame tra profilo urbanistico ed attività di esproprio (5).

7. Il risarcimento del danno non è una conseguenza automatica dell'annullamento giurisdizionale, seppur da questo non prescinde, ma richiede la positiva verifica della sussistenza di tutti i presupposti previsti dalla legge: oltre alla lesione della situazione soggettiva di interesse tutelata dall'ordinamento ("danno ingiusto"), è necessario che siano accertati la colpa (quanto meno) dell'amministrazione, l'esistenza di un danno recato al patrimonio, il nesso di causalità tra illecito e danno

8. Nel caso in cui in un procedimento espropriativo sia stato omesso l'avviso di inizio del procedimento che deve precedere la dichiarazione di p.u., sembrano sussistere sia il requisito della colpa che quello dell'ingiustizia del danno necessari per accordare il risarcimento del danno. In tal caso, infatti, la colpa è positivamente accertabile, essendo essa riconducibile alla violazione da parte dell'Amministrazione di una norma di ordine generale, posta a presidio essenziale delle garanzie partecipative ed il cui rispetto, peraltro, avrebbe richiesto all'Amministrazione uno sforzo non particolarmente rilevante; per ciò che concerne il requisito dell'ingiustizia del danno, la violazione dell'art. 7 della l. 241/90 non integra solo un'illegittimità di carattere procedimentale, ma anche di portata "sostanziale", nel senso che può avere ingresso nel processo e condurre all'accoglimento della domanda (6).

9. Nel caso di annullamento della dichiarazione di p.u., il G.A. deve accordare il risarcimento del danno in forma specifica, per le aree non trasformate, ordinando la restituzione dei fondi illecitamente occupati e non interessati dall'esecuzione dell'opera pubblica, fatta salva la corresponsione dei frutti civili, nella misura almeno degli interessi legali, ritraibili dalla somma corrispondente al valore venale delle aree occupate, per il periodo che va dall'illecita apprensione all'effettiva restituzione.

10. Nel caso di annullamento della dichiarazione di p.u., il risarcimento dei danni per equivalente va accordato per le aree già interessate dall'esecuzione dell'opera pubblica ed irreversibilmente trasformate; tale danno, trattandosi di occupazione usurpativa e non già acquisitiva (7), non può essere soggetto ai limiti di cui all'art. 5-bis del d.l. 333/92 e va determinato in relazione al valore della porzione occupata dei fondi alla data di ultimazione dei lavori, nonché al deprezzamento del valore residuo dei beni di proprietà, parimenti alla data di ultimazione dei lavori, da quantificarsi in misura non inferiore al trenta per cento del valore venale dei predetti cespiti. Vanno altresì corrisposti il rimborso dei costi eventualmente sostenuti ai fini del riadattamento delle porzioni immobiliari restituite e dei beni residui di proprietà, nonché, in ogni caso, gli accessori di legge ed in particolare gli interessi legali sulla somma pari al valore venale delle porzioni di fondo occupate, calcolati dalla data di immissione in possesso fino alla data di ultimazione dei lavori.

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(1) Giurisprudenza ormai costante: v. da ult. Cons. Stato, Sez. IV, 22 giugno 2000, n. 3556 e 14 gennaio 1999 n. 22.

(2) Ha osservato in proposito la Sez. V che, mentre i termini per l'inizio e il compimento dei lavori assolvono ad una funzione garantista sotto il profilo della concreta esecuzione dei lavori e quindi della realizzazione dell'opera, assicurando al proprietario la verifica de visu dell'effettività dell'interesse pubblico che ha imposto il sacrificio alla sua proprietà, anche mediante il controllo dello svolgimento dei lavori, al contrario i termini per la procedura espropriativa attengono allo svolgimento delle procedure amministrative per giungere all'adozione del giusto decreto espropriativo, assicurando al proprietario che l'Amministrazione espropriante persegua l'interesse pubblico sotteso alla realizzazione dell'opera anche sotto il profilo della correttezza, dell'adeguatezza, della tempestività e della economicità del procedimento amministrativo.

(3) Cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 22 maggio 2000, n. 2936; id., 8 giugno 2000, n. 3246; v. anche Cass., SS.UU., 4 marzo 1997, n. 907.

(4) Cfr. da ult. Cons. Stato, Ad.Plen., 15 settembre 1999, n. 14; e Sez. IV, 14 giugno 2001, n. 3169.  Ha aggiunto la Sez. V che assecondare la tesi secondo cui la norma sull'avviso di procedimento non si applica alla dichiarazione di pubblica utilità implicita, equivarrebbe ad espungere dall'ambito del giusto procedimento, fuori dai casi previsti dalla legge un procedimento amministrativo autonomo.

(5) Cons. Stato, Sez. IV, 14 giugno 2001, n. 3169.

(6) Alla stregua del principio, la Sez. V ha ritenuto nella specie che la colpa era positivamente accertabile, essendo essa riconducibile alla violazione da parte dell'Amministrazione di una norma di ordine generale, posta a presidio essenziale delle garanzie partecipative, ed il cui rispetto peraltro avrebbe richiesto all'Amministrazione medesima uno sforzo non particolarmente rilevante. Né l'Amministrazione, pur essendo stata dedotta da tempo la censura procedimentale di cui si discute, si era adoperata per arrestare il procedimento o rinnovarlo in tempo utile, anzi si era alacremente impegnata nella definitiva realizzazione dell'opera.

Secondo la Sez. V, inoltre, in relazione al requisito dell'ingiustizia del danno ed ai dubbi connessi alla circostanza che, la violazione dell'art. 7 della l. 241/90 sembra integrare un'illegittimità di carattere solo procedimentale, con una tutela priva di rilievo sostanziale e che non assume ad oggetto il "bene della vita", costituente il principale riferimento del giudizio risarcitorio, è sufficiente rilevare che se per costante orientamento la violazione della prescrizione di garanzia dell'avviso dell'avvio del procedimento inficia la legittimità del procedimento e del provvedimento finale, costituendone motivo di invalidazione, è anche perché la pretesa basata sull'art. 7 della L. n. 241/90 è, per diritto vivente, di portata "sostanziale", nel senso che può avere ingresso nel processo e condurre all'accoglimento della domanda. Appare in linea con queste premesse rimarcare la funzione sussidiaria e di completamento dell'azione risarcitoria, la cui cognizione è stata coerentemente affidata al medesimo giudice, rispetto alla tutela giurisdizionale accordata con l'annullamento dell'atto impugnato.

(7) Ha osservato in proposito la Sez. V che l'istituto della c.d. occupazione appropriativa (sul quale v. da ultimo la pronuncia restrittiva della Corte Europea dei diritti dell'uomo, sez. II, 30 maggio 2000), ha legittimazione di esistere solo nella misura in cui all'attività di costruzione sia attribuito un vincolo di rispondenza in concreto a fini pubblici mediante una dichiarazione di pubblica utilità (cfr. Cass., SS.UU., 1907/97, cit., secondo cui, qualora la dichiarazione implicita sia carente dei termini iniziali e finali per l'esecuzione dei lavori, la carenza del potere espropriativo da cui deriva l'inidoneità della procedura ad affievolire la pienezza del diritto dominicale determina l'illegittimità ab origine dell'occupazione e l'illecito permanente dell'opera pubblica, il quale, oltre a legittimare la richiesta di restituzione del bene, impedisce la decorrenza del termine prescrizionale dell'azione risarcitoria).

Quando invece l'annullamento travolge la dichiarazione di pubblica utilità, si deve parlare più propriamente di occupazione usurpativa, venendo a mancare il presupposto giuridico per l'occupazione appropriativa in ordine a quanto successivamente realizzato dall'Amministrazione, non essendo apprezzabile il collegamento teleologico tra l'opera costruita ed il pubblico interesse, e residuando solo un fatto illecito permanente, generatore di danno (cfr. Cass. civ. 10 gennaio 1998, n. 148; Cass., Sez. I, 18 febbraio 2000, n. 1814; Cons. Stato, IV, 2 giugno 2000, n. 3177); quest'ultimo è da liquidarsi, qualora il privato opti per la tutela risarcitoria, nella forma del risarcimento per equivalente, senza i limiti previsti dall'art. 5-bis del d.l. 333/92.

Sulla risarcibilità degli interessi legittimi v. l'apposita pagina di approfondimento ed ivi ulteriori riferimenti.

In particolare, sul risarcimento del danno dovuto a seguito di annullamento della dichiarazione di p.u. per omesso avviso di inizio del procedimento, v. CONSIGLIO DI STATO, SEZ. IV, sentenza 14 giugno 2001 n. 3169, in questa Rivista, pag. http://www.giustamm.it/private/cds/cds4_2001-06-14-02.htm.

 

 

FATTO

1. Con ricorso notificato in data 16 luglio 1999, gli appellanti, proprietari di alcune porzioni immobiliari che venivano ad esserne coinvolte, insorgevano dinanzi al TAR Campania avverso gli atti adottati dal Comune di Grottolella relativamente ai lavori dell'approvato progetto di recupero della viabilità comunale e di sistemazione delle piazze con arredo urbano, comportanti l'ablazione dei cespiti immobiliari di pertinenza dei reclamanti per una superficie complessivamente di mq. 346 (sigg.ri Pasquale) e mq. 93 (sig. Spiniello).

2. Il Tribunale di prima istanza adito, con la sentenza impugnata indicata in epigrafe, concludeva nel senso dell'irricevibilità dell'impugnativa contro gli atti relativi all'approvazione del progetto, rigettando invece l'impugnativa contro gli atti relativi all'occupazione d'urgenza. Il TAR respingeva, altresì, le domande di accertamento e di condanna alla restituzione dei suoli ed al risarcimento dei danni.

3. I ricorrenti hanno dunque interposto l'appello in trattazione ed hanno chiesto l'annullamento e l'integrale riforma della prefata pronunzia, affermando che le domande proposte in prime cure erano pienamente ammissibili e tempestive, oltre che assolutamente fondate e meritevoli di integrale accoglimento.

4. L'Amministrazione comunale intimata si è costituita in giudizio per resistere all'appello.

Alla pubblica udienza del 14 dicembre 2001 il ricorso in appello è stato introitato per la decisione.

DIRITTO

1. L'appello merita accoglimento.

Va, in primis, disattesa l'eccezione di inammissibilità formulata dalla difesa comunale circa una presunta mancata indicazione dei motivi di gravame, in quanto questi ultimi, seppur effettivamente non esposti nella consueta ed auspicabile linearità e schematicità, risultano tuttavia agevolmente enucleabili dal testo del gravame.

2. Giova premettere qualche ulteriore elemento ricognitivo degli eventi, per come rappresentati anche dai ricorrenti.

Il ricorrente Spiniello era proprietario in Grottolella di un fabbricato urbano, con annessa superficie di terreno, costituito da una pertinenza urbana composta di due livelli fuori terra, risalente ad epoca antecedente al 1967.

A loro volta i coniugi Pasquale e Maglio, parimenti ricorrenti, erano proprietari in Grottolella di un fabbricato urbano, oggetto di intervento di riparazione ex lege n. 219/81, debitamente recintato e con annesso giardino.

Con atto di Giunta in data 11 novembre 1996, l'Amministrazione comunale intimata, deliberando l'approvazione del secondo lotto funzionale del progetto generale esecutivo descritto in narrativa, dichiarava la pubblica utilità dell'opera nonché l'urgenza ed indifferibilità dei lavori, ma fissava i soli termini di inizio e compimento della procedura espropriativa, omettendo del tutto la fissazione dei termini di inizio e completamento dei lavori.

Con comunicazione notificata, rispettivamente, solo in data 9 giugno e in data 31 maggio 1999, veniva data notizia ai predetti proprietari dell'avvio del procedimento finalizzato all'esecuzione dell'indicata opera pubblica e del deposito presso la Casa Comunale dei relativi atti progettuali, per la durata di quindici giorni.

Appena due giorni dopo la notifica della suddetta comunicazione, in data 11 giugno 1999, il responsabile del servizio disponeva l'occupazione temporanea d'urgenza, per la durata massima di cinque anni, delle porzioni immobiliari degli attuali appellanti, nella già accennata misura di mq. 346 (proprietà Spiniello) e mq. 93 (proprietà Pasquale-Maglio).

In data 9 settembre 1999 il Comune di Grottolella provvedeva all'apprensione delle superfici per cui è causa.

L'opera pubblica inizialmente non veniva però realizzata, avendo il ricorrente Spiniello esercitato con successo azione possessoria - per atto violento di spoglio - presso il Tribunale di Avellino. Il giudice ordinario aveva infatti disposto, nell'ambito del procedimento, la sospensione cautelare dell'esecuzione dei lavori afferenti la sua proprietà (provvedimento che, a quanto è dato sapere, è stato revocato dal medesimo Tribunale alla stregua delle conclusioni raggiunte dal TAR Campania con la pronunzia impugnata).

Il TAR, nel frattempo adito, concludeva, come già evidenziato, nel senso dell'irricevibilità dell'impugnativa contro gli atti relativi all'approvazione del progetto, rigettando per il resto il ricorso.

Parte ricorrente ha da ultimo lamentato che, nell'immediato approssimarsi dell'udienza per la discussione nel merito dinanzi a questo Consiglio, l'Amministrazione comunale ha demolito il fabbricato di proprietà Spiniello e che, nonostante sia stato pubblicato il dispositivo della presente decisione, la medesima Amministrazione si è preoccupata di dare corso con estrema sollecitudine all'esecuzione dei lavori (ormai volgenti al termine) interessanti le proprietà - peraltro non particolarmente cospicue - dei ricorrenti tutti.

3. L'appello merita accoglimento sotto diversi profili.

Il gravame introduttivo, anzitutto, contrariamente al dictum di primo grado, si appalesa ricevibile nella sua generalità, dunque anche relativamente all'impugnativa degli atti relativi all'approvazione del progetto, salvo quanto si osserverà appresso circa la mancata indicazione dei termini di inizio e fine dei lavori.

Non senza una certa disinvoltura i primi giudici, pur prendendo le mosse dalla condivisibile premessa che l'atto comportante la dichiarazione di pubblica utilità, sia pure implicita, di un'opera pubblica, non è - secondo orientamento ormai unanime - un atto meramente preparatorio (da impugnare quindi unitamente all'atto conclusivo del procedimento), ma costituisce un provvedimento dotato di effetti direttamente e concretamente lesivi della sfera giuridica dei destinatari e quindi autonomamente ed immediatamente impugnabile, con la conseguenza che la mancata tempestiva impugnazione (nei termini dimidiati di cui all'art. 19 del d.l. 67/97, applicabili all'epoca - e senza margini per la concessione scusabile visto il chiaro dettato legislativo ed il tempo trascorso dall'entrata in vigore della novella - anche alla proposizione del gravame e quindi nella fattispecie de qua) della dichiarazione di pubblica utilità determina la preclusione a dedurre in sede di ricorso, contro gli atti successivi, motivi attinenti ad asseriti vizi della dichiarazione stessa (cfr. Cons. Stato, A.P., 9 ottobre 1986, n. 10; IV, 22 giugno 1993, n. 626 e 3 maggio 2000, n. 2616), hanno poi affermato che dalla comunicazione del responsabile del procedimento n.2199 in data 17 maggio 1999, notificata in data 31 maggio 1999 e 9 giugno 1999 (sopravvenuta quindi ben due anni e mezzo dopo l'approvazione del progetto e pochissimi giorni prima della determinazione di occupazione d'urgenza dell'area), avente valore per espressa dizione anche di comunicazione dell'avvio del procedimento amministrativo di esproprio, poteva ricavarsi "una adeguata consapevolezza dell'atto [approvativo del progetto], dei suoi esatti estremi, della sua natura e del suo contenuto essenziale".

In realtà non merita condivisione l'affermazione, supportata da non conferente richiamo giurisprudenziale di questo Consiglio, per cui i ricorrenti "erano posti in grado di apprezzare pienamente l'eventuale valenza lesiva della determinazione amministrativa", e questo alla stregua di una comunicazione di mero impulso procedimentale, a mente degli artt. 10 e 11 della l. 865/71 e degli artt. 7 e 8 della l. 241/90, accennante, con molto ritardo, solo all'esistenza della deliberazione di approvazione del progetto risalente a quasi tre anni addietro, senza che questa fosse allegata né, almeno, se ne riportasse in sintesi il contenuto, e senza che, altrimenti, si fosse in presenza di prova documentale che l'interessato, ricevuto l'avviso, fosse immediatamente entrato a conoscenza della delibera, essendosi personalmente recato a prendere visione degli atti.

In conclusione, la fugace menzione dell'esistenza della delibera approvativa del progetto non può integrare, in mancanza di ulteriori idonei supporti probatori, la presunzione di piena consapevolezza della lesività dell'atto contestato in prime cure.

4. La doglianza degli appellanti avverso la pronuncia di primo grado, nella parte in cui ha dichiarato l'irricevibilità dell'impugnativa avverso gli atti relativi all'approvazione del progetto, dedotta con il secondo mezzo di censura, risulta, in definitiva, di agevole accoglimento, salvo dover notare però che le conclusioni suddette non trovano applicazione per il solo ed esclusivo aspetto, rilevante ma non decisivo ai fini dell'esito del gravame, della mancata indicazione dei termini di inizio e fine dei lavori.

Contrariamente a quanto asserito dagli appellanti, infatti, dalla comunicazione n. 2199 in data 17 maggio 1999 poteva evincersi, con sufficiente chiarezza, la mancata indicazione dei termini di inizio ed ultimazione dei lavori nella deliberazione approvativa del progetto.

Secondo un costante orientamento giurisprudenziale, l'indicazione dei termini per l'inizio ed il compimento dei lavori, che assolve una precisa funzione garantista nei confronti del proprietario espropriando in ordine alla attualità dell'interesse pubblico da soddisfare e alla effettività e serietà dei lavori, deve essere contenuta nel primo atto nel quale si manifesta concretamente l'intenzione di esercitare il potere espropriativo (Cons. Stato, IV, 22 giugno 2000, n. 3556 e 14 gennaio 1999 n. 22).

Va poi osservato che l'identicità della funzione garantista svolta sia dai termini per i lavori che da quelli per l'espropriazione non comporta la fungibilità dei termini stessi, rispondendo essi a diverse esigenze.

Mentre, infatti, i termini per l'inizio e il compimento dei lavori presiedono alla ricordata funzione garantista sotto il profilo della concreta esecuzione dei lavori e quindi della realizzazione dell'opera, assicurando al proprietario la verifica de visu dell'effettività dell'interesse pubblico che ha imposto il sacrificio alla sua proprietà, anche mediante il controllo dello svolgimento dei lavori, al contrario i termini per la procedura espropriativa attengono allo svolgimento delle procedure amministrative per giungere all'adozione del giusto decreto espropriativo, assicurando al proprietario che l'Amministrazione espropriante persegua l'interesse pubblico sotteso alla realizzazione dell'opera anche sotto il profilo della correttezza, dell'adeguatezza, della tempestività e della economicità del procedimento amministrativo.

La fissazione dei termini iniziali e finali delle procedure ablatorie e dei lavori deve dunque avvenire nello stesso atto avente ex lege valore di dichiarazione di pubblica utilità dell'opera, e quindi nell'atto con cui è approvato il progetto di opera pubblica, escludendosi che tale onere possa essere assolto mediante atti successivi - seppure in forma di convalida o sanatoria - inidonei ad eliminare l'intrinseca illegittimità del primo atto, con la precisazione che a differenza dei termini iniziali, per loro natura dilatori e acceleratori, i termini finali assumono il connotato della perentorietà (Cons. Stato, IV, 22 maggio 2000, n. 2936 e 8 giugno 2000, n. 3246; v. anche Cass., SS.UU., 4 marzo 1997, n. 907).

Nel caso di specie, alla luce delle indicazioni contenute nella comunicazione di impulso procedimentale, la quale almeno sulla carenza in questione dell'atto giuntale forniva sufficienti elementi di conoscibilità, la delibera approvativa del progetto non è stata, sul punto e solo su quello, impugnata in tempo utile.

5. L'appello merita comunque accoglimento, nel merito, alla stregua della fondatezza del primo motivo di censura del ricorso introduttivo, relativo alla violazione dell'art. 7 della l. 241/90, sotto l'assorbente profilo del tardivo invio della comunicazione di avvio del procedimento espropriativo.

È giocoforza al riguardo richiamare i principi sanciti dalla recente pronunzia dell'Adunanza Plenaria (Cons. Stato, A.P., 15 settembre 1999, n. 14; cfr. anche, da ultimo, IV, 14 giugno 2001, n. 3169), in base ai quali, ribadendosi che la dichiarazione di pubblica utilità non è un mero subprocedimento della procedura espropriativa, bensì l'esito di un autonomo procedimento, connotato da peculiare effetto, si afferma che anche per essa deve valere il principio di garanzia della partecipazione dell'interessato, che impone la comunicazione preventiva dell'avvio del procedimento; garanzia che risponde ad essenziali esigenze di democraticità e trasparenza dell'azione amministrativa, le quali debbono poter trovare spazio anche quando la dichiarazione di pubblica utilità sia un effetto implicito dell'approvazione del progetto dell'opera pubblica.

Assecondare la tesi secondo cui la norma sull'avviso di procedimento non si applica alla dichiarazione di pubblica utilità implicita equivarrebbe ad espungere dall'ambito del giusto procedimento, fuori dai casi previsti dalla legge, un procedimento amministrativo autonomo.

Né ora, nell'attuale contesto normativo diretto a garantire la partecipazione, potrebbe valere a tal fine una partecipazione differita, successiva alla dichiarazione di pubblica utilità ed all'occupazione d'urgenza.

Né, ancora, giova, in contrario, richiamare l'esclusione della partecipazione prevista per i procedimenti di pianificazione, quali quelli per l'approvazione degli strumenti urbanistici generali.

Se il giusto procedimento, infatti, è un criterio di orientamento per il legislatore e l'interprete, non è dato comprendere come un'esclusione riferita ai procedimenti di pianificazione possa essere riferita ai procedimenti ablatori, ed in particolare alla dichiarazione di pubblica utilità, da essi del tutto autonomi, anche se attuativi delle previsioni degli strumenti urbanistici generali.

Le sopra esposte esigenze non rilevano in tema di occupazione d'urgenza, non trovando applicazione i medesimi principi di tutela del giusto procedimento.

Ciò non tanto perché vi osti il presupposto dell'urgenza: ogni approvazione del progetto di un'opera pubblica equivale ope legis a dichiarazione di urgenza ed indifferibilità, mentre l'urgenza che costituisce impedimento alla comunicazione dell'avviso del procedimento è un'urgenza qualificata. Ma piuttosto perché il giusto procedimento ha ragion d'essere nell'ambito della dichiarazione di pubblica utilità, che conserva momenti di scelta discrezionale, ma non più nell'ambito dell'occupazione d'urgenza, meramente attuativa dei provvedimenti presupposti.

Con precipua attenzione alla fattispecie in argomento la fase procedimentale, conclusa diversi anni prima dei provvedimenti attuativi da ultimo contestati, avrebbe richiesto l'attivazione di autonome garanzie procedimentali, onde consentire, ad esempio, agli attuali ricorrenti di interloquire con l'Amministrazione comunale in merito alla concreta posizione, struttura e fattibilità dell'opera pubblica.

Assorbite le altre censure, l'appello merita accoglimento sotto gli evidenziati profili, ed in tal senso va riformata la pronunzia impugnata.

6. Resta da analizzare la domanda risarcitoria proposta dai reclamanti, che può legittimamente inquadrarsi nei poteri cognitivi del giudice amministrativo in sede di giurisdizione esclusiva (anche sui comportamenti dell'Amministrazione), a norma degli artt. 34 e 35 del d. lg. 80/98, visto l'indubbio stretto legame tra profilo urbanistico ed attività di esproprio, e che va assentita sulla scorta delle modalità e degli ampi dettagli definiti da questo Consiglio con recente e già citata decisione, riguardante peraltro fattispecie accostabile (Cons. Stato, IV, 14 giugno 2001, n. 3169).

Il risarcimento del danno non è, come è noto, una conseguenza automatica dell'annullamento giurisdizionale, seppur da questo non prescinde, ma richiede la positiva verifica della sussistenza di tutti i presupposti previsti dalla legge: oltre alla lesione della situazione soggettiva di interesse tutelata dall'ordinamento ("danno ingiusto"), è necessario che siano accertati la colpa (quanto meno) dell'amministrazione, l'esistenza di un danno recato al patrimonio, il nesso di causalità tra illecito e danno.

Nel caso di specie, prendendo le mosse dal primo dei menzionati requisiti, è preferibile fin da subito accedere ad una nozione di colpa di tipo oggettivo.

A tal riguardo, nella vertenza che ci occupa, la colpa è positivamente accertabile, essendo essa riconducibile alla violazione da parte dell'Amministrazione di una norma di ordine generale, posta a presidio essenziale delle garanzie partecipative, ed il cui rispetto peraltro avrebbe richiesto all'Amministrazione medesima uno sforzo non particolarmente rilevante. Né l'Amministrazione, pur essendo stata dedotta da tempo la censura procedimentale di cui si discute, si è adoperata per arrestare il procedimento o rinnovarlo in tempo utile, anzi si è alacremente impegnata nella definitiva realizzazione dell'opera.

In relazione al requisito dell'ingiustizia del danno ed ai dubbi connessi alla circostanza che la violazione dell'art. 7 della l. 241/90 sembra integrare un'illegittimità di carattere solo procedimentale, con una tutela priva di rilievo sostanziale e che non assume ad oggetto il "bene della vita", costituente il principale riferimento del giudizio risarcitorio, è sufficiente rilevare che se per costante orientamento la violazione della prescrizione di garanzia dell'avviso dell'avvio del procedimento inficia la legittimità del procedimento e del provvedimento finale, costituendone motivo di invalidazione, è anche perché la pretesa basata sull'art. 7 della l.241/90 è, per diritto vivente, di portata "sostanziale", nel senso che può avere ingresso nel processo e condurre all'accoglimento della domanda. Appare in linea con queste premesse rimarcare la funzione sussidiaria e di completamento dell'azione risarcitoria, la cui cognizione è stata coerentemente affidata al medesimo giudice, rispetto alla tutela giurisdizionale accordata con l'annullamento dell'atto impugnato.

Le considerazioni che precedono risultano particolarmente calzanti con riferimento alla fattispecie in argomento, dove appunto la domanda risarcitoria si accompagna a quella di annullamento degli atti della procedura espropriativa. Resta invece ad essa estranea l'ipotesi della domanda di risarcimento autonoma, connessa al problematico istituto della c.d. occupazione appropriativa (sul quale v. da ultimo la pronuncia restrittiva della Corte Europea dei diritti dell'uomo, sez. II, 30 maggio 2000), per effetto del quale l'occupazione sine titulo del fondo e l'esecuzione dell'opera pubblica danno luogo all'acquisto a titolo originario dell'opera e del suolo occupato a beneficio dell'amministrazione, col diritto del proprietario irritualmente espropriato ad ottenere il risarcimento del danno, limitato nei sensi previsti dall'art. 5-bis, comma 7-bis, del d.l. 333/92.

Ma tale istituto ha legittimazione di esistere solo nella misura in cui all'attività di costruzione sia attribuito un vincolo di rispondenza in concreto a fini pubblici mediante una dichiarazione di pubblica utilità (cfr. Cass., SS.UU., 1907/97, cit., secondo cui, qualora la dichiarazione implicita sia carente dei termini iniziali e finali per l'esecuzione dei lavori, la carenza del potere espropriativo da cui deriva l'inidoneità della procedura ad affievolire la pienezza del diritto dominicale determina l'illegittimità ab origine dell'occupazione e l'illecito permanente dell'opera pubblica, il quale, oltre a legittimare la richiesta di restituzione del bene, impedisce la decorrenza del termine prescrizionale dell'azione risarcitoria).

Quando dunque, come nella specie, l'annullamento travolge la dichiarazione di pubblica utilità, viene a mancare - alla stregua della giurisprudenza sia del giudice amministrativo che di quello ordinario (cfr. Cass. civ. 10 gennaio 1998, n. 148; Cass., I, 18 febbraio 2000, n. 1814; Cons. Stato, IV, 2 giugno 2000, n. 3177) - il presupposto giuridico per l'occupazione appropriativa in ordine a quanto successivamente realizzato dall'Amministrazione, non essendo apprezzabile il collegamento teleologico tra l'opera costruita ed il pubblico interesse, e residuando solo un fatto illecito permanente, generatore di danno (in giurisprudenza si parla anche di "occupazione usurpativa", che obbliga alla restituzione del bene); quest'ultimo è da liquidarsi, qualora il privato opti per la tutela risarcitoria, nella forma del risarcimento per equivalente senza i limiti previsti dal suddetto art. 5-bis.

Per quanto riguarda, nel concreto, l'accertamento del danno e delle misure reintegratorie, deve disporsi la restituzione dei fondi illecitamente occupati e non interessati dall'esecuzione dell'opera pubblica, fatta salva la corresponsione dei frutti civili, nella misura almeno degli interessi legali, ritraibili dalla somma corrispondente al valore venale delle aree occupate, per il periodo che va dall'illecita apprensione (9 settembre 1999) all'effettiva restituzione.

Per quanto invece concerne le aree già interessate dall'esecuzione dell'opera pubblica, tenendo conto anche dei principi dettati in tema di reintegrazione in forma specifica dagli artt. 2058 e 2933 cod. civ., e dei danni che ricadrebbero sulla collettività a causa della distruzione delle opere realizzate od in via di realizzazione, il Collegio ritiene di dover disporre il risarcimento dei danni per equivalente, chiesto in via subordinata dagli appellanti. Del resto è il legislatore, con l'art. 35 del d.lg. 80/98, ad aver a chiare lettere affermato che il giudice dispone, "anche attraverso la reintegrazione in forma specifica", il risarcimento del danno ingiusto, prevedendo dunque che la reintegrazione è solo una delle possibili forme di risarcimento, subordinata peraltro a limiti e condizioni di attuazione.

Ai fini della liquidazione del danno risarcibile, non specificamente quantificato dagli appellanti e che, per i motivi sopra esposti, non può essere soggetto ai limiti di cui all'art. 5-bis del d.l. 333/92, la Sezione ritiene, aderendo alla richiesta residuale dei reclamanti, di dover utilizzare lo strumento di semplificazione di cui all'art. 35, comma 2, del d.lg. 80/98, che consente al giudice amministrativo di stabilire i criteri in base ai quali l'amministrazione deve proporre a favore dell'avente titolo il pagamento di una somma entro un congruo termine.

Il Comune intimato dovrà, pertanto, elaborare una proposta risarcitoria, da sottoporre agli aventi titolo entro 150 giorni dal passaggio in giudicato della presente decisione, che tenga conto, nel computo, del valore della porzione occupata dei fondi di proprietà degli appellanti, alla data di ultimazione dei lavori (a titolo di risarcimento del danno derivante dall'occupazione di tale porzione a titolo definitivo), nonché del deprezzamento del valore residuo dei beni di proprietà, parimenti alla data di ultimazione dei lavori, da quantificarsi in misura non inferiore al trenta per cento del valore venale dei predetti cespiti.

Vanno altresì corrisposti il rimborso dei costi eventualmente sostenuti ai fini del riadattamento delle porzioni immobiliari restituite e dei beni residui di proprietà, nonché, in ogni caso, come da richiesta degli appellanti, gli accessori di legge, ed in particolare gli interessi legali sulla somma pari al valore venale delle porzioni di fondo occupate, calcolati dalla data di immissione in possesso fino alla data di ultimazione dei lavori.

Trattandosi inoltre di debito di valore, le somme sopra descritte dovranno essere rivalutate, secondo gli indici ISTAT, dalla data di ultimazione dei lavori fino al deposito della presente decisione (momento in cui per effetto della liquidazione giudiziale il debito di valore si trasforma in debito di valuta).

7. Nei sensi suddetti l'appello va accolto. Le spese di lite, relativamente ad entrambi i gradi di giudizio, possono essere integralmente compensate tra le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sul ricorso in appello in epigrafe, lo accoglie e per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado proposto dagli attuali appellanti, nei sensi e con gli effetti di cui in parte motiva.

Spese di lite compensate tra le parti, relativamente ad entrambi i gradi di giudizio.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, il 14 dicembre 2001, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), in camera di consiglio, con l'intervento dei seguenti Magistrati:

Alfonso Quaranta Presidente

Corrado Allegretta Consigliere

Paolo Buonvino Consigliere

Goffredo Zaccardi Consigliere

Gerardo Mastrandrea Consigliere est.

L'ESTENSORE                   IL PRESIDENTE

f.to Gerardo Mastrandrea f.to Alfonso Quaranta

Depositata in segreteria il 18/03/2002.

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