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Giurisprudenza
n. 10-2002 - © copyright.

CONSIGLIO DI STATO, SEZ. V - Sentenza 1 ottobre 2002 n. 5132 - Pres. Varrone, Est. Branca - Leifert (Avv.ti Villani e Damonte) c. Comune di Sestri Levante (Avv.ti Romanelli e Cocchi) e Grando e c.ti (n.c.) - (conferma T.A.R. Liguria, Sez. II, 22 giugno 1999, n. 350).

1. Concorso - Prove - Prove scritte - Principio dell'anonimato - Estensione e limiti - Dimostrazione dell'intenzionalità del concorrente di rendere riconoscibile l'elaborato - Necessità.

2. Giustizia amministrativa - Procedimento giurisdizionale - Prove - Onere del principio di prova - Sussiste.

3. Concorso - Prove - Valutazione - In forma numerica - Legittimità.

1. Nelle procedure concorsuali, la regola dell'anonimato degli elaborati scritti non può essere intesa in modo tanto tassativo ed assoluto da comportare l'invalidità delle prove ogni volta che sussista un'astratta possibilità di riconoscimento perché, se così fosse, sarebbe impossibile svolgere concorsi per esami scritti, atteso che non si potrebbe mai escludere a priori che un commissario sia in condizioni riconoscere una particolare modalità di stesura. Al fine di affermare la riconoscibilità e quindi l'invalidità della prova scritta, è, invece, necessario che emergano elementi atti a provare in modo inequivoco l'intenzionalità del concorrente di rendere riconoscibile l'elaborato (1).

2. Costituisce principio del diritto processuale amministrativo che il ricorrente debba fornire quanto meno un principio di prova di quanto afferma come mezzo di gravame (2).

3. E' pienamente legittima la valutazione in termini numerici delle prove di concorso (3).

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(1) Cfr. Cons. Stato, Sez. V, 26 settembre 2000, n. 5098, secondo cui, in particolare, non sussiste violazione dell'anonimato nel caso di un candidato che ha redatto il suo compito utilizzando solo due facciate di ciascuno dei quattro fogli a lui consegnati.

V. anche C.G.A., sent. 6 novembre 2000, n. 433, secondo cui non può ritenersi invalida la prova tutte le volte che sia astrattamente ipotizzabile la riconoscibilità.

Sulla regola dell'anonimato delle prove scritte v. da ult. in questa Rivista Cons. Stato, Sez. V, sent. 21 gennaio 2002, n. 342, secondo cui "la regola dell'anonimato che si applica alle procedure concorsuali è da ritenere osservata quando sia mantenuto il segreto documentale, ossia quando manchi agli atti del concorso un elemento che possa oggettivamente consentire il collegamento tra candidati e prove sostenute" (in applicazione del principio è stato ritenuto che l'apposizione di un motto sulle buste contenenti la documentazione attestante il possesso dei requisiti non violava il principio dell'anonimato).

V. anche TAR Sicilia-Palermo, Sez. I, sent. 10 aprile 2002, n. 972, secondo cui "nelle prove scritte di un concorso pubblico, la astratta idoneità del segno/simbolo a fungere da elemento di identificazione deve ravvisarsi soltanto laddove tale segno assuma un carattere oggettivamente anomalo rispetto alle ordinarie manifestazioni del pensiero" (in applicazione del principio è stata in quel caso ritenuta illegittima l'esclusione da un concorso di un concorrente il quale aveva apposto nell'elaborato di una delle prove scritte la dicitura "brutta copia", atteso che l'apposizione di tale dicitura non è apparso integrare alcun concreto segno di riconoscimento dell'elaborato stesso, quanto piuttosto la espressione della esigenza del singolo candidato di rendere immediatamente percepibile la versione definitiva dello scritto, anche al fine di agevolare lo svolgimento della correzione ad opera della commissione di esame).

Nel caso affrontato dalla Sez. V con la sentenza in rassegna, era stato sostenuto dall'appellante che la riconoscibilità dei temi sarebbe derivata: a) dall'inserimento, senza apparente giustificazione, di alcune frasi a stampatello maiuscolo; b) dalla presenza di numerazione avulsa dall'economia della stesura; c) dalla apposizione della scritta TEMA in capo all'elaborato; d) dalla apposizione ingiustificata di frecce e suddivisioni di periodi con lettere a stampatello maiuscole anziché minuscole; e) dalla attribuzione di un nome proprio al minore oggetto di affidamento, ed un cognome proprio alla famiglia affidataria.

La Sez. V ha ritenuto che le circostanze evidenziate dall'appellante non erano tali da far ritenere violato il principio di anonimato che presiede le prove di concorso.

In particolare, con riguardo al caso sub e), la Sez. V ha osservato che era da ritenere irrilevante l'attribuzione di nomi e cognomi ai protagonisti di una vicenda giudiziaria proposta come traccia, perché l'espediente rispondeva all'esigenza di rendere il discorso più chiaro e scorrevole, esonerando dalla ripetizione di termini giuridici di identificazione, e, quindi, non era privo di giustificazione alternativa a quella ipotizzata dall'appellante.

(2) Cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 18 settembre 2001, n. 4893.

(3) V. per tutte Cons. Stato, Sez. IV, 30 ottobre 2001, n. 5862.

 

 

FATTO

La sig.ra Karin Leifert ha proposto ricorso per l'annullamento degli atti conclusivi del concorso ad 1 posto di assistente sociale bandito dal Comune di Sestri Levante, cui aveva partecipato collocandosi al primo posto nelle prove scritte e 11 dopo le prove orali.

Dei numerosi motivi dedotti il TAR, con la sentenza in epigrafe, ha accolto quello concernente la incompetenza del sindaco ad approvare gli atti e l'esito della procedura concorsuale.

Avverso la sentenza la ricorrente ha proposto appello per reiterare le censure, giudicate infondate in prime cure, che saranno meglio specificate più avanti.

Il Comune di Sestri Levante si è costituito in giudizio per resistere al gravame e chiederne il rigetto.

Le parti hanno depositato memorie.

Alla pubblica udienza del 30 aprile 2002, la causa veniva trattenuta in decisione.

DIRITTO

Può prescindersi dall'eccezione di inammissibilità dell'appello avanzata dal Comune resistente posto che l'appello è infondato nel merito.

Con primo motivo si denuncia che, in violazione dell'art. 14, comma 2, del d.P.R. n. 487 del 1994, la commissione non ha rilevato che i compiti scritti di alcune candidate erano redatti con modalità tali da rendersi riconoscibili, con evidente elusione del principio dell'anonimato delle prove.

Si osserva inoltre che la commissione avrebbe dovuto esercitare particolare severità sul ponto in considerazione del ristretto numero dei candidati (17).

La riconoscibilità dei temi sarebbe derivata: a) dall'inserimento, senza apparente giustificazione, di alcune frasi a stampatello maiuscolo; b) dalla presenza di numerazione avulsa dall'economia della stesura; c) dalla apposizione della scritta TEMA in capo all'elaborato; d) dalla apposizione ingiustificata di frecce e suddivisioni di periodi con lettere a stampatello maiuscole anziché minuscole; e) dalla attribuzione di un nome proprio al minore oggetto di affidamento, ed un cognome proprio alla famiglia affidataria.

Osserva il Collegio che le fattispecie indicate dall'appellante risultano inidonee a sostenere il sospetto di violazione del principio dell'anonimato, posto che costituisce un dato di comune esperienza nella materia concorsuale l'adozione di modalità espositive che, a giudizio del candidato, contribuiscono a conferire chiarezza ed incisività all'elaborato.

La giurisprudenza amministrativa, inoltre, ha avuto modo di affermare che nelle procedure concorsuali, la regola dell'anonimato degli elaborati scritti non può essere intesa in modo tanto tassativo ed assoluto da comportare l'invalidità delle prove ogni volta che sussista un'astratta possibilità di riconoscimento, perché se così fosse sarebbe impossibile svolgere concorsi per esami scritti, giacché non si potrebbe mai escludere a priori che un commissario sia in condizioni riconoscere una particolare modalità di stesura. Al fine di affermare la riconoscibilità e quindi l'invalidità della prova scritta, è necessario che emergano elementi atti a provare in modo inequivoco l'intenzionalità del concorrente di rendere riconoscibile l'elaborato (Cons. St., Sez. V, 26 settembre 2000, n. 5098). In tale occasione, la Sezione ha escluso la violazione dell'anonimato nel caso di un candidato che ha redatto il suo compito utilizzando solo due facciate di ciascuno dei quattro fogli a lui consegnati.

Lo stesso principio ha affermato il C.G.R.S. (6 novembre 2000, n. 433) secondo cui non può ritenersi invalida la prova tutte le volte che sia astrattamente ipotizzabile la riconoscibilità.

Tale indirizzo merita di essere confermato anche con riguardo al caso sub e) di attribuzione di nomi e cognomi ai protagonisti di una vicenda giudiziaria proposta come traccia, perché l'espediente risponde all'esigenza di rendere il discorso più chiaro e scorrevole, esonerando dalla ripetizione di termini giuridici di identificazione, e, quindi, non è privo di giustificazione alternativa a quella ipotizzata dall'appellante.

Il motivo va dunque disatteso.

Con il secondo motivo si lamenta che ad un compito della candidata Grando, che avrebbe commesso un errore palese, sia stato attribuito un punteggio di 24,75/30 e non di insufficienza. A tale motivo si collega il terzo, denunciante la conseguente disparità di trattamento che l'appellante avrebbe subito a causa dell'eccessivo punteggio assegnato all'altra concorrente.

In proposito va confermata la decisione di inammissibilità di tali motivi, in quanto implicanti un sindacato di merito precluso al giudice amministrativo. Può aggiungersi che non è riscontrabile nella specie quella palese irragionevolezza della valutazione, che consente l'intervento del giudice, posto che, anche ammettendo, in via ipotetica, l'esistenza dell'errore segnalato dall'appellante, il tema in questione non ha comunque ricevuto un punteggio massimo.

Il quarto motivo concerne la violazione dell'art. 36 del Regolamento comunale sui concorsi per l'accesso all'impiego, secondo cui le prove orali debbono svolgersi in un'aula aperta al pubblico, di capienza idonea ad assicurare la massima partecipazione.

L'appellante sostiene che erroneamente il primi giudici hanno considerato la censura generica e quindi inammissibile, anche perché riferita a valutazioni di discrezionalità tecnica sostanzialmente insindacabili.

Il carattere generico della censura, che viene ribadita sotto il profilo dell'insufficienza dell'aula quanto all'acustica, va confermato.

Costituisce principio del diritto processuale amministrativo che il ricorrente debba fornire quanto meno un principio di prova di quanto afferma come mezzo di gravame (Sez. VI, 18 settembre 2001, n. 4893). Nella specie l'appellante si è limitata a segnalare una propria valutazione sulle caratteristiche acustiche dell'aula, senza offrire alcun elemento, anche indiziario, di riscontro di quanto affermato.

Il quinto motivo vorrebbe far leva ancora sull'art. 36 del ricordato Regolamento comunale, per denunciare che la commissione non ha interrogato i candidati sugli argomenti che avevano formato oggetto delle prove scritte.

In realtà la norma prescrive che la prova orale si svolga "sulle materie oggetto delle prove scritte e sulle altre indicate dal bando", non sugli argomenti delle prove scritte.

E il senso della disposizione non cambia anche tenendo presenti le espressioni successive: "al fine di accertare il livello complessivo della preparazione teorico dottrinale e di maturazione di esperienze professionali del candidato in modo da pervenire ad una valutazione che tenga conto di tutti gli elementi acquisibili nella prova stessa".

La diversa interpretazione sostenuta dall'appellante condurrebbe a concepire l'interrogazione come mezzo destinato a comprovare che il candidato effettivamente era in condizione di svolgere la prova scritta che ha svolto, con un effetto duplicatorio del tutto inimmaginabile.

Il motivo è quindi palesemente infondato.

Con il sesto motivo si lamenta, allegando la violazione dell'art. 12 del d.P.R. n. 487 del 1994, un difetto della verbalizzazione delle prove orali, sostenendosi che l'elenco delle domande da rivolgere ai candidati e da questi poi sorteggiate, sia contenuto in un foglio scritto a mano, senza alcuna intestazione, data, firma dei commissari e privo di alcun richiamo al verbale n. 6.

La censura si rivela inammissibile per genericità, posto che, mentre non è seriamente possibile dubitare che il detto foglio si riferisca al verbale n. 6, la doglianza afferisce non tanto alla mancata verbalizzazione di operazioni concorsuali, bensì alla redazione di un verbale in forma non regolamentare, senza peraltro indicare quali normative sarebbero state violate.

Sul profilo della inadeguatezza della valutazione in termini numerici delle prove, è noto l'indirizzo giurisprudenziale che ne afferma la piena legittimità (Cons. St., Sez. IV, 30 ottobre 2001, n. 5862).

In conclusione l'appello va rigettato, ma le spese possono essere compensate.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, respinge l'appello in epigrafe;

dispone la compensazione delle spese;

ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità Amministrativa.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 30 aprile 2002 con l'intervento dei magistrati:

Claudio Varrone Presidente

Corrado Allegretta Consigliere

Paolo Buonvino Consigliere

Goffredo Zaccardi Consigliere

Marzio Branca Consigliere est.

L'ESTENSORE IL PRESIDENTE

F.to Marzio Branca F.to Claudio Varrone

Depositata in segreteria il 1 ottobre 2002.

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