CONSIGLIO DI STATO, SEZ. V - Sentenza
1 marzo 2003 n. 1150 - Pres. Quaranta, Est. Buonvino - Zuanetto ed altri (Avv.ti Cassietti e Menghini) c. Comune di Borgo Ticino (n.c.) - (annulla T.A.R. Piemonte, Sez. I, 29 maggio 2002, n. 1120).Edilizia ed urbanistica - Concessione edilizia - Annullamento o revoca - Disposto a distanza di tempo dal rilascio della concessione - Mero ripristino della legalità violata - Insufficienza - Motivazione sull'interesse pubblico - Necessità.
L'Autorità comunale, nel disporre l'annullamento o la revoca di una concessione edilizia, nel caso in cui il titolare di quest'ultima, anche per via del decorso del tempo, abbia maturato un legittimo affidamento in merito alla realizzabilità delle opere, deve - a pena di illegittimità - esternare le ragioni del ritiro con apposita motivazione, la quale non può essere costituita dalla mera esigenza di ripristinare la legalità violata, ma deve dar conto della sussistenza di un interesse pubblico attuale e concreto alla rimozione del titolo in questione (ad esempio, per significative ragioni legate alla tutela della igiene e sanità, della sicurezza, dell'ambiente, ecc.) e della comparazione tra tale interesse e l'entità del sacrificio imposto all'interesse del privato (1).
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(1) V. nello stesso senso T.A.R. Sicilia-Catania, Sez. I, 13 settembre 1997, n. 1758, in questa Rivista n. 9-1997 e da ult. T.A.R. Friuli, 27 luglio 2002 n. 606, ivi n. 9-2002.
Nel senso di ritenere non necessaria la motivazione sull'interesse pubblico per l'annullamento di concessione edilizia, anche se disposto a distanza di tempo, nell'ipotesi di alterazione da parte del privato della rappresentazione dello stato di fatto preesistente al rilascio della concessione, dolosa e decisiva ai fini del rilascio della medesima, v. Cons. Stato, Sez. V, 10 marzo 1999 n. 229, ivi n. 3-1999.
F A T T O
1) - Con la sentenza appellata il TAR ha respinto il ricorso proposto dagli odierni appellanti per l'annullamento della determinazione del Comune di Borgo Ticino 14 marzo 2002, n. 69, recante revoca della concessione edilizia n. 1834/1992, nonché dell'ordinanza 14 marzo 2002, n. 40, recante ingiunzione di demolizione delle opere realizzate in base alla concessione revocata.
Per gli appellanti la sentenza sarebbe erronea anzitutto in quanto l'adozione dei provvedimenti in parola ad una distanza di 10 anni dal rilascio del titolo edificatorio e senza alcuna motivazione in merito al pregiudizio dagli stessi patito avrebbe dovuto condurre i primi giudici alla declaratoria di illegittimità dei provvedimenti impugnati.
La sentenza sarebbe, comunque, errata anche in quanto poggerebbe su di una non corretta interpretazione del disposto di cui all'art. 16 delle NTA del PRG.
Non si è costituito in appello il Comune intimato.
D I R I T T O
1) - Con la sentenza appellata il TAR ha respinto il ricorso proposto dagli odierni appellanti per l'annullamento della determinazione del Comune di Borgo Ticino 14 marzo 2002, n. 69, recante revoca della concessione edilizia n. 1834/1992, nonché dell'ordinanza 14 marzo 2002, n. 40, recante ingiunzione di demolizione delle opere realizzate in base alla concessione revocata.
2) - Appare, anzitutto, corretta l'interpretazione data dal Comune, e confermata dai primi giudici, del disposto di cui all'art. 16 delle NTA del locale PRG, dal momento che "le autorimesse..non costituiscono confrontanza e, quindi, possono essere realizzate anche a confine" solo a condizione che i relativi prospetti si affaccino "su lotti totalmente liberi da edificazione"; poiché è pacifico, nella specie, che a poco più di cinque metri dal confine il vicino aveva realizzato, in precedenza, propri manufatti finestrati, ne consegue che la disposizione anzidetta non poteva - contrariamente a quanto dedotto dagli appellanti con il secondo e terzo motivo dell'appello - essere utilmente invocata nel caso in esame.
3) - Non di meno, l'appello appare fondato, dovendosi condividere la censura, disattesa dal TAR, relativa al dedotto difetto di motivazione.
L'autorimessa di cui si tratta è stata, infatti, tempestivamente realizzata in base a titolo edificatorio n. 1834, del 17 agosto 1992.
Da parte del vicino, però, è stata successivamente richiesta alla P.A. - senza alcuna impugnativa, peraltro, del titolo edificatorio ora detto - una verifica circa la rispondenza dell'opera realizzata alla disciplina di settore.
All'esito della verifica il Comune ha annullato una prima volta il titolo edificatorio (ordinanza 4 ottobre 1994, n. 63), avendo ritenuto che la costruzione eccedesse l'altezza assentita.
Tale ordinanza è stata tempestivamente impugnata innanzi al TAR (ricorso n. 2344/94).
Successivamente, peraltro, il Comune emanava una nuova ordinanza (n. 40 del 13 luglio 1995) recante annullamento della concessione edilizia del 1992, per contrasto con l'art. 16.2.1 delle NTA del PRG.
Anche tale ordinanza veniva impugnata davanti al TAR (ricorso n. 1891/95) .
I primi giudici, con sentenza n. 349/2001, hanno dichiarato improcedibile il primo di detti ricorsi, in quanto il provvedimento impugnato era stato superato dall'ordinanza di annullamento del 1995; quanto al secondo ricorso, dopo aver sospeso l'efficacia del provvedimento, con sentenza n. 350 del 2001 hanno accolto lo stesso per motivi formali (mancata acquisizione del parere della Commissione edilizia).
Il Comune non ha appellato dette sentenze; per converso, ha rinnovato la procedura volta all'annullamento del titolo concessorio, avendola emendata dai vizi riscontrati dal TAR; per l'effetto, con i provvedimenti impugnati in primo grado, nn. 40/2002 e 69/2002 (stavolta dopo avere acquisito il parere della Commissione edilizia) ha reiterato l'annullamento della concessione edilizia del 1992.
Con la sentenza in questa sede appellata il TAR ha ritenuto che, pur essendo decorsi 10 anni circa tra il provvedimento concessorio e il suo annullamento, non di meno non era richiesta alcuna particolare motivazione in merito all'interesse pubblico alla rimozione del manufatto da rapportarsi al pregiudizio del privato; ciò in quanto, in effetti, le opere erano state iniziate solo nel settembre del 1993, con la conseguenza che al momento dell'adozione dei precedenti provvedimenti di demolizione era decorso un periodo di tempo molto breve; e che tutto il periodo successivo era, di fatto, scarsamente rilevante, in quanto la vicenda era stata ormai posta all'esame del giudice, mentre, all'esito del ricorso, prontamente la P.A. ha dato corso al rinnovo delle procedure con puntuale acquisizione del parere della C.E.
Osserva, però, il Collegio che, al momento dell'adozione del provvedimento di annullamento del 1995, erano già stati da tempo realizzati i lavori di costruzione della rimessa e che, inoltre, si era innescata, tra interessati e Comune, una precedente vicenda contenziosa (definita con la citata sentenza di improcedibilità n. 349/2001) in quanto gli odierni appellanti, nel realizzare l'opera, non si sarebbero conformati al titolo edificatorio del 1992.
Ebbene, è da ritenere, in questa situazione, che gli interessati abbiano maturato un legittimo affidamento in merito alla realizzabilità delle opere in questione (e alla loro piena conformità alle disposizioni contenute nello strumento pianificatorio), quanto meno se e in quanto rispettosa dei limiti fissati in concessione; anzi, il fatto che la contestazione del 1994 avesse rilevato solo una eccedenza di altezza non consentita e non avesse, per contro, nulla dedotto in merito alla sussistenza dei presupposti di fatto e di diritto preordinati al rilascio del titolo edificatorio, va rivisto come elemento capace di radicare ulteriormente, nel privato, il convincimento in merito alla legittimità, sotto tali profili, del titolo stesso (salve restando, naturalmente, le problematiche relative agli eventuali abusi in sede di realizzazione delle opere, che non possono, però, indurre a ritenere l'illegittimità del titolo, al contrario, confermato nei suoi contenuti).
Con la conseguenza che gli ulteriori provvedimenti del 2002 appaiono adottati ad una distanza di tempo tale da richiedere l'idonea motivazione di cui si è detto; motivazione (tanto più necessaria allorché, come nella specie, siano passati altri sette anni prima dell'adozione, da parte dell'Amministrazione, delle iniziative demolitorie di cui si tratta) che, per ciò stesso, non può essere legata al puro e semplice ripristino della legalità, ma deve dar conto della sussistenza di un interesse pubblico attuale e concreto alla rimozione del titolo in questione (ad esempio, per significative ragioni legate alla tutela della igiene e sanità, della sicurezza, dell'ambiente etc.) e della comparazione tra tale interesse e l'entità del sacrificio imposto all'interesse del privato.
4) - Per tali motivi l'appello in epigrafe appare fondato e va accolto e per l'effetto, in riforma della sentenza appellata, deve essere accolto il ricorso di primo grado, con il conseguente annullamento dei provvedimenti in quella sede impugnati.
Salvi restando, comunque, gli eventuali ulteriori provvedimenti dell'Amministrazione.
Le spese dei due gradi di giudizio possono essere integralmente compensate tra le parti.
P.Q.M.
il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, accoglie l'appello in epigrafe e, per l'effetto, in accoglimento del ricorso di primo grado, annulla i provvedimenti in quella sede impugnati.
Spese del doppio grado compensate.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma il 4 febbraio 2003 dal Collegio costituito dai Sigg.ri
ALFONSO QUARANTA - Presidente
RAFFAELE CARBONI - Consigliere
GIUSEPPE FARINA - Consigliere
PAOLO BUONVINO - Consigliere est.
M A R C O L I P A R I - Consigliere
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
f.to Paolo Buonvino f.to Alfonso Quaranta
Depositata in segreteria in data 1 marzo 2003.