CONSIGLIO DI STATO, SEZ. VI - Sentenza 1 ottobre 2002 n. 5105 - Pres. Giovannini, Est. Montedoro - Autorità per l'energia elettrica ed il gas (Avv. Stato D'Elia) c. A.E.M. S.p.a. (Avv. Besostri) - (conferma T.A.R. Lombardia-Milano, Sez. II, n.5288 del 2001).
1. Giustizia amministrativa - Appello - Termini per la proposizione - Nel caso di procedimenti soggetti al rito speciale ex art. 4 L. n. 205/2000 - E' di 30 giorni dalla notificazione o di 120 giorni dal deposito della sentenza di primo grado.
2. Giustizia amministrativa - Appello - Termini per la proposizione dell'appello - Computo - Periodo feriale di sospensione dei termini - Data del 16 settembre - Non si computa solo nel caso di termini che sono caduti nel periodo di sospensione feriale.
3. Industria e commercio - Tariffe - Provvedimenti determinativi - Adottati dall'Autorità per l'energia elettrica ed il gas - Senza il rispetto delle norme sul contraddittorio - Illegittimità.
4. Industria e commercio - Tariffe - Provvedimenti determinativi - Esigenza di salvaguardare un margine equo di profitto per l'imprenditore - Va tenuta presente.
1. Il termine per appellare le sentenze soggette al rito speciale abbreviato introdotto dall'art. 4 legge n. 205/2000 è di trenta giorni dalla notificazione e di centoventi giorni dalla pubblicazione della sentenza (v. art. 23 bis della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, introdotto dall'art. 4, comma 1, della legge n. 205/2000).
2. Ai sensi della legge 7 ottobre 1969 n. 742 (secondo cui il decorso dei termini processuali è sospeso dal 1° agosto al 15 settembre di ciascun anno) deve ritenersi che - nel caso in cui il termine venga a cadere nel periodo di sospensione feriale, il computo dei termini stessi deve essere effettuato, dopo il periodo estivo, secondo la regola ordinaria alla stregua della quale il dies a quo non viene computato (e quindi non computando il giorno del 16 settembre, da cui inizia a decorrere il termine); nel caso invece in cui il decorso dei termini abbia avuto inizio prima del periodo di sospensione, il giorno 16 settembre va computato (1).
3. E' illegittimo un provvedimento determinativo delle tariffe adottato dall'Autorità per l'energia elettrica ed il gas senza contraddittorio con i soggetti interessati e senza il rispetto delle forme stabilite dalla stessa Autorità per l'acquisizione degli interessi da ponderare ai fini dell'adozione di atti generali, in casi analoghi, riconducibili all'esercizio in senso lato dei poteri di determinazione tariffaria. Scopo delle autorità amministrative indipendenti istituite dalla legge n. 481/1995, per la tutela della concorrenza e la regolazione dei servizi di pubblica utilità, è infatti la definizione di un sistema tariffario, certo, trasparente e basato su criteri predefiniti, che armonizzi gli obiettivi economico-finanziari dei soggetti esercenti i servizi con gli obiettivi generali di carattere sociale, di tutela ambientale e di uso efficiente delle risorse; contrasterebbe con tale finalità l'adozione di provvedimenti determinativi delle tariffe senza contraddittorio (2).
4. Le discrezionali valutazioni rimesse all'amministrazione competente in tema di fissazione dei prezzi di beni di generale consumo debbono essere rispettose dell'esigenza di salvaguardare un margine equo di profitto per l'imprenditore, posto che il fine sociale che risponde al prezzo «amministrato» non può condurre al pratico svuotamento del principio di libertà economica privata (3).
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(1) Cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 15 luglio 1986 n. 523.
Nella motivazione della sentenza viene ricordato che, secondo la giurisprudenza del Consiglio di Stato, il giorno 16 settembre va escluso dal calcolo del tempo utile solo nell'ipotesi di termini che iniziano a decorrere nel periodo compreso tra il 1° agosto ed il 15 settembre, essendo il primo giorno utile per svolgere una qualsiasi attività legata al decorso dei termini processuali (Sez. V, 21 dicembre 1992, n. 1538) e quindi dies a quo non computabile, secondo la regola generale prevista dall'art. 155, 1° comma, del c.p.c. (Sez. V, 8 marzo 1994, n. 154) equiparato al dies a quo del giorno di notifica o pubblicazione della sentenza (Sez. VI, 19 luglio 1996, n. 954).
Nel caso invece in cui il termine abbia iniziato a decorrere prima del periodo di sospensione feriale dei termini, la regola del dies a quo non computatur non può essere applicata con riferimento alla data (del 16 settembre) in cui il termine riprende a decorrere.
Nel senso di ritenere comunque applicabile la sospensione feriale dei termini anche nel caso di rito speciale ex art. 4 L. n. 205/00 v. nel n. 3/2001 di questa Rivista Cons. Stato, Sez. V, sent. 5 marzo 2001 n. 1247.
(2) Ha aggiunto la Sez.VI che il principio affermato è in linea con i precedenti della Sezione (ex plurimis Cons. Stato, Sez. VI, 16 febbraio 2002 n. 961, in questa Rivista, n. 3/2002), in quanto si è sempre escluso che i procedimenti per l'aggiornamento dei prezzi debbano essere preceduti da una comunicazione individuale di avvio del procedimento alle società destinatarie del provvedimento in quanto l'art.13 della legge n. 241/1990 esclude l'obbligo di comunicazione dell'avvio del procedimento quando l'attività procedimentale sia diretta all'emanazione di atti amministrativi generali, ma con ciò non si è voluto significare che l'Autorità non debba rispettare le forme della partecipazione procedimentale prevista dalla normativa di settore vigente, che, per gli atti di determinazione della tariffa base, nonché di parametri o elementi di riferimento della medesima (fra cui ben si possono annoverare i prezzi di cessione dell'energia elettrica all'ingrosso destinata ai clienti del mercato vincolato) è da individuare nell'art.5 della delibera dell'Autorità n. 61/1997.
(3) Cons. Stato, Sez. VI, 16 gennaio 1998, n. 80.
FATTO
La AEM s.p.a., impresa elettrica degli enti locali che svolge il servizio di produzione, distribuzione e vendita di energia elettrica, prevalentemente ai clienti del mercato vincolato, proponeva ricorso dinanzi al Tar Lombardia - Milano avverso la delibera n.238/2000 dell'Autorità per l'energia elettrica ed il gas recante definizione dei prezzi dell'energia elettrica all'ingrosso per i clienti del mercato vincolato per l'anno 2001, che riduce del 20% la componente di costo a copertura dei costi fissi, nonché avverso le delibere della medesima Autorità n.204/1999, n.112/2000, n.4/2000, n.5/2000.
A sostegno del ricorso la ricorrente deduceva una serie di censure procedimentali e sostanziali sotto il profilo della violazione di legge e dell'eccesso di potere, articolate in quattro motivi.
In sostanza la delibera impugnata, secondo la ricostruzione operata dal ricorrente ponendo a riferimento rilevazioni di mercato condotte due anni prima, inerenti i costi di investimento di impianti con ciclo combinato a gas di nuova tecnologia, si porrebbe innanzitutto in contrasti con l'art.1 della legge n.481/1995 che, con la previsione di un sistema tariffario, certo trasparente e basato su criteri predefiniti, si pone l'obiettivo primario di armonizzare gli obiettivi economico-finanziari dei soggetti esercenti l'industria con le esigenze di carattere generale di tutela ambientale e d'uso efficiente delle risorse.
Non essendo, infatti, possibile ottenere in tempi brevi un recupero di efficienza del 20%, mediante il corrispondente abbattimento dei costi considerati nella delibera (costi fissi, personale ed attrezzature) la riduzione colpirebbe la redditività degli impianti più datati, ma non inquinanti, a favore di quelli più moderni termoelettrici, invece inquinanti, e ciò anche in contrasto con la ratio del decreto n.79/1999, che prevede a carico dell'Acquirente Unico, l'obbligo di garantire la diversificazione delle fonti energetiche.
Inoltre la lacunosa motivazione sarebbe altresì illogica, poiché basata su valutazioni inerenti il costo di impianti entrati in esercizio dal 1997 al 2000, quando il maggior numero di impianti nazionali esistenti risale ad un periodo senz'altro anteriore.
L'iniziativa dell'autorità si rivelerebbe inoltre illegittima in quanto completamente inattesa dagli operatori ed adottata unilateralmente, in assenza di contraddittorio con gli operatori e senza rendere noti i criteri impiegati per la determinazione.
Inoltre non risulterebbe espresso il parere dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato.
La sentenza n.5288/2001 del Tar Lombardia - Milano Sezione II ha accolto il ricorso.
La sentenza ha premesso che l'Autorità, nel procedere, con la delibera n.238/2000 impugnata, alla nuova determinazione dei prezzi dell'energia elettrica all'ingrosso per i clienti del mercato vincolato, rispetto a quella precedente, incentrata sull'eguaglianza prezzi/costi riconosciuti, ha considerato necessario un nuovo intervento transitorio - in attesa dell'ingresso nel sistema dell'acquirente unico - a seguito dell'intervenuto decreto del Ministero dell'Industria, del commercio e dell'artigianato 26/1/2000, adottato ai sensi dell'art. 3 comma 11, del decreto legislativo n. 79/1999.
Tale decreto ha previsto, all'art.2 comma 1 lett. a) ed all'art.3 comma 1, lett. a) l'operatività di un meccanismo di copertura dei costi sostenuti per l'attività di generazione dell'energia a favore delle imprese produttrici-distributrici, ritenuti non recuperabili a seguito dell'intervenuta liberalizzazione del settore (c.d. stranded costs o letteralmente "costi spiaggiati o incagliati").
A seguito dell'entrata in vigore di tale meccanismo, l'Autorità ha considerato che la fissazione di prezzi pari ai costi riconosciuti dia luogo ad inefficienze. Da qui l'intervento correttivo consistente nella riduzione del 20% della componente del prezzo dell'energia elettrica all'ingrosso a copertura dei costi fissi di produzione dell'energia elettrica.
Il tutto in considerazione del raggiungimento dell'obiettivo di un avvicinamento delle condizioni esistenti in un mercato concorrenziale e contendibile.
Pur considerando in proposito, che effettivamente, il mutato quadro generale del sistema, è tale da legittimare un intervento correttivo dell'autorità in materia - la stessa delibera n.238 istituisce una ulteriore componente tariffaria, denominata A6, a carico sia dei clienti del mercato libero che dei clienti del mercato vincolato, al fine di coprire gli oneri generali della reintegrazione disposta dal citato D.M. a favore delle imprese produttrici-distributrici - il Tar ha rilevato che il provvedimento impugnato è carente sotto diversi profili.
In primo luogo il giudice di prime cure ha censurato l'assoluta mancanza di informativa agli interessati circa l'avvio del procedimento culminato con l'adozione della delibera.
La comunicazione di avvio del procedimento - si è rilevato - è istituto di carattere generale, previsto dall'art.7 della legge n.241/1990, in relazione alla finalità, che può ritenersi ormai consolidata nella regolamentazione legislativa dei rapporti tra pubbliche amministrazioni e soggetti amministrati, che il provvedimento autoritativo sia preceduto il più possibile, quando non vi ostino esigenze di riservatezza della sfera dei terzi o dell'azione amministrativa stessa, ovvero ragioni di particolare urgenza, da forme di contatto fra l'amministrazione e gli interessati, di cui l'informazione degli intendimenti che la P.A. sta per realizzare costituisce il livello minimo di garanzia.
L'applicazione degli istituti della legge n.241/1990 non risulta incompatibile con la disciplina del settore de quo, realizzando anzi un miglior livello di circolazione delle informazioni in un ambito quale è quello di cui trattasi, in cui la massimizzazione delle stesse è anche condizione necessaria per operare nel mercato.
Il Tar ha ritenuto inoltre fondata la censura incentrata sull'insufficienza del supporto istruttorio e motivazionale.
Il mutato quadro normativo operatosi con l'intervenuto decreto ministeriale 26/12/2000 rileva in proposito esclusivamente in ordine alla legittimazione dell'ulteriore intervento dell'Autorità nell'attuale fase transitoria.
La riduzione di un quinto di una delle componenti del prezzo della risorsa sul mercato vincolato, pur ammettendo che le condizioni dimostrate dal mercato hanno comportato una significativa riduzione dei costi, non risulta congruamente motivata nella sua entità, risultando invece necessario darne esplicita giustificazione considerato che, per la sua consistenza e la sua potenziale influenza sul complessivo mercato dell'energia elettrica, essa richiede anche nel breve termine significativi adeguamenti in ordine alle modalità dell'esercizio industriale da parte delle imprese.
La necessità di operare con gradualità non risulterebbe rispettata sia nell'entità della riduzione, sia nelle modalità operative prescelte.
Avverso la sentenza del Tar Lombardia ha proposto appello l'Autorità per l'energia elettrica ed il gas.
In particolare, nell'atto di appello, si è proceduto ad una ricostruzione del quadro normativo di riferimento, notando che la transizione verso il nuovo ordinamento tariffario deve aver luogo con la necessaria gradualità.
Nell'approvvigionamento dell'energia elettrica destinata ai clienti del mercato vincolato da parte delle imprese distributrici è possibile individuare due periodi transitori, prima che si possa raggiungere l'assetto definitivo prefigurato dal decreto legislativo 16/3/1999 n.79, di "attuazione della direttiva 96/92/CE, recante norme comuni per il mercato interno dell'energia elettrica" (di seguito: d.lgs. n.79/1999).
Nel primo periodo transitorio (che corrisponde alla fase attuale) le imprese distributrici continuano ad acquistare l'energia elettrica all'ingrosso dalle imprese di distribuzione.
Nel secondo periodo transitorio, caratterizzato dall'avvio dell'operatività dell'Acquirente Unico a garanzia dei clienti vincolati (di cui all'art.4 del d.lgs. n.79/1999), quest'ultimo si approvvigionerà di energia elettrica dalle imprese produttrici sulla base di contratti di fornitura, anche di lungo termine, "stipulati con procedure di acquisto trasparenti e non discriminatorie" (cfr. in particolare, l'art.4 comma 5 del d.lgs. n.79/1999).
A conclusione dei due periodi transitori, si raggiungerà un assetto definitivo, nel quale l'acquirente unico si approvvigionerà di energia elettrica (da destinare ai distributori e, quindi, al mercato vincolato) prevalentemente attraverso il sistema delle offerte gestito dal Gestore del Mercato di cui all'art.5 del d.lgs. n.79/1999.
La fase nella quale collocare la delibera impugnata è ancora la prima.
L'Autorità ha quindi ricostruito il quadro normativo e procedimentale nel quale si inserisce la delibera n.238/2000.
Con delibera 29/12/1999 n.205 recante "Definizione delle tariffe di cessione dell'energia elettrica alle imprese distributrici, per l'integrazione della deliberazione dell'Autorità per l'energia elettrica ed il gas 18/2/1999 n.13 e per la definizione dell'ulteriore componente di ricavo concernente l'energia elettrica prodotta dalle imprese distributrici e destinata ai clienti del mercato vincolato", pubblicata nella Gazzetta Ufficiale Serie Generale n.306, del 31/12/1999, supplemento ordinario n.235 (di seguito: delibera n.205/99) l'Autorità:
Quanto al profilo considerato sub a), per prezzo dell'energia elettrica all'ingrosso si intende "il prezzo al quale i produttori di energia elettrica cedono l'energia destinata alla fornitura ai clienti del mercato vincolato all'acquirente unico o, fino alla data di assunzione da parte di tale soggetto della funzione di garante della fornitura ai clienti del mercato vincolato, alle imprese distributrici".
La delibera n.205/1999 all'art.2 ha stabilito che il prezzo dell'energia elettrica all'ingrosso comprende: a) una componente a copertura dei costi fissi di produzione dell'energia elettrica , differenziata per fasce orarie F1, F2, F3, ed F4.; b) una componente a copertura dei costi variabili di produzione di energia elettrica non differenziata per fascia oraria.
In base al citato art.2 (prezzo dell'energia elettrica all'ingrosso) ed all'art.3 (corrispettivo per il trasporto sulla rete di trasmissione nazionale dell'energia elettrica destinata ai clienti del mercato vincolato) l'impresa distributrice che acquista da un produttore l'energia (per l'appunto all'ingrosso) destinata al mercato vincolato è tenuta a corrispondere al produttore medesimo il prezzo dell'energia elettrica all'ingrosso (id est il prezzo di cessione dell'energia alle imprese distributrici) ed è altresì tenuta a corrispondere al GRTN il corrispettivo per il trasporto sulla rete di trasmissione nazionale dell'energia destinata ai clienti del mercato vincolato.
La ratio della delibera n.205/1999 è nitidamente illustrata nelle premesse motivazionali della stessa delibera, laddove si afferma che, nelle more dell'attuazione del piano per le cessioni degli impianti di produzione di ENEL s.p.a., ai sensi dell'art.8 comma 1 del d.lgs. n.79/1999, ENEL s.p.a. si trova in una posizione dominante nel settore della produzione dell'energia elettrica disponendo della maggior parte della capacità di generazione nazionale di energia elettrica (cfr. il primo "premesso" della delibera n.205/1999).
Di qui il rischio di "un'alterazione delle condizioni di mercato dell'energia elettrica fino all'assunzione delle competenze da parte dell'Acquirente Unico istituito ai sensi dell'art.4 del d.lgs. n.79/1999 (cfr. il secondo "premesso" della medesima delibera).
ENEL s.p.a. potrebbe, abusando della sua posizione dominante nel settore della produzione dell'energia elettrica, imporre prezzi di cessione dell'energia all'ingrosso disallineati (per eccesso) rispetto ai costi fissi e variabili di generazione dell'energia elettrica.
Le conseguenze dell'ipotizzato abuso di posizione dominante da parte di ENEL s.p.a. si tradurrebbero in un aumento ingiustificato dei prezzi di cessione dell'energia alle imprese distributrici, e, di riflesso, in un altrettanto ingiustificato aumento delle tariffe da queste ultime praticate alle utenze finali.
Di qui l'esigenza di una regolazione diretta dei prezzi di cessione dell'energia elettrica dai produttori alle imprese distributrici, esigenza che rimane confinata al solo primo periodo transitorio, che si protrarrà fino all'avvio dell'Acquirente unico a garanzia dei clienti vincolati di cui all'art.4 del d.lgs. n.79/1999. Infatti, già nel secondo periodo transitorio, l'Acquirente unico si approvvigionerà dalle imprese produttrici, sulla base di contratti di fornitura stipulati con "procedure di acquisto trasparenti e non discriminatorie", ai sensi dell'art.4 comma 5 del d.lgs n.79/1999.
Il prezzo dell'energia elettrica all'ingrosso è stato stabilito direttamente dall'Autorità in modo tale da garantire la copertura dei costi fissi e variabili riconosciuti per l'attività di generazione (cfr. pag.3 della relazione tecnica allegata alla delibera n.205/99).
Il prezzo è un meccanismo di copertura dei costi riconosciuti di generazione dell'energia elettrica, operante transitoriamente, nel tempo necessario per avvicinare la struttura dei prezzi ai prezzi che emergeranno in un mercato dell'energia elettrica all'ingrosso.
Va anche ricordato che la delibera n.205/99 introduce un'ulteriore componente di ricavo a favore della produzione di energia elettrica delle imprese produttrici-distributrici per il mercato vincolato, stabilendola pari lire 6 per KWH.
L'introduzione di questa ulteriore componente di ricavo ha la finalità di garantire, come anticipato nella "Nota informativa sulla regolazione delle tariffe elettriche per la liberalizzazione del mercato", approvata dall'Autorità in data 4/8/1999 la gradualità degli effetti sui ricavi delle imprese produttrici-distributrici della riduzione dei costi di generazione riconosciuti (pag.5 della relazione tecnica allegata alla delibera).
In altri termini la componente di ricavo delle c.d. 6 lire KWH è stata introdotta all'esplicito fine di compensare o attenuare le diminuzioni dei ricavi derivanti da riduzioni dei costi di generazione riconosciuti.
Per le imprese produttrici-distributrici una riduzione dei costi di generazione riconosciuti significa :
Proprio per mitigare questo effetto si prevede un ulteriore componente del prezzo, ma ciò che importa sottolineare secondo l'Avvocatura dello Stato, è che, sin dalla delibera n.205/99 si ipotizzava, sul piano tecnico, una possibile riduzione dei costi di generazione riconosciuti, per attuare una sorta di morbido scivolamento verso il nuovo regime, nell'ambito della transizione verso un nuovo ordinamento, ed i livelli di prezzo connotanti un mercato contendibile.
Ciò premesso su un piano generale la difesa erariale ha poi illustrato diffusamente le ragioni della deliberazione n.238/2000 recante una nuova "Definizione dei prezzi dell'energia elettrica all'ingrosso per i clienti del mercato vincolato per l'anno 2001".
Anche la delibera n.238/2000 si propone di definire un regime transitorio dei prezzi, semplicemente collocandosi nella stessa ottica della delibera precedente la n.205/1999 che costituirebbe il primo stadio di un processo da cui risulteranno prezzi all'ingrosso dell'energia elettrica efficienti, allorché la raggiunta operatività del sistema delle offerte di acquisto e vendita dell'energia elettrica e dell'Acquirente unico consentiranno il pieno dispiegarsi degli effetti della concorrenza nella produzione di energia elettrica in termini di riduzione di prezzi".
La delibera n.238/2000 reca una nuova definizione dei prezzi dell'energia elettrica all'ingrosso per l'anno 2001, sovrapponendosi alla precedente delibera n.205/1999, in ragione di un contesto mutato rispetto a quello esistente a fine del 1999.
Il radicale mutamento dipende essenzialmente da due fattori:
Quanto al recupero dei c.d. stranded costs l'art.2 comma 1, lett. a) del d.m. 26/1/2000 ascrive tra gli oneri generali afferenti al sistema elettrico anche la reintegrazione alle imprese produttrici-distributrici della quota non recuperabile, a seguito dell'attuazione della direttiva europea 9/92 /CE dei costi sostenuti per l'attività di generazione dell'energia elettrica.
L'art.3 comma 1, lett. a) del d.m. citato, specifica poi che è inclusa, fra gli oneri generali afferenti al sistema elettrico la reintegrazione, per un periodo di sette anni a partire dall'1/1/2000, dei costi derivanti da obblighi contrattuali ed investimenti, associati ad impianti di produzione di energia elettrica e che non possono essere recuperati a causa dell'entrata in vigore della direttiva europea 96/92/CE, a condizione che trovino giustificazione di opportunità economica nel momento e nel contesto in cui furono assunti o che comunque siano stati imposti all'impresa produttrice-distributrice da atti legislativi o di programmazione nazionale."
L'art.5 del d.m. 26/1/2000 stabilisce poi le modalità per la quantificazione della reintegrazione degli stranded costs. In seguito la nota informativa approvata dall'Autorità in data 3/8/2000 con delibera n.136/2000 ,in materia di oneri generali afferenti il sistema elettrico, ha definito i criteri per la determinazione dei parametri rilevanti ai fini della quantificazione dei costi non recuperabili e reintegrabili.
E' necessario rilevare che "in assenza di regimi volti a garantire l'equilibrio economico-finanziario delle imprese produttrici che alla data del 19/2/1997 (data di entrata in vigore della direttiva 96/92/CE) svolgevano il servizio di distribuzione producendo in proprio in tutto o in parte, l'energia elettrica distribuita, al fine di assicurare la copertura dei costi riconosciuti, l'Autorità ha fissato, con deliberazione n.205/99 prezzi all'ingrosso dell'energia elettrica per il mercato vincolato pari a i costi riconosciuti, determinati sulla base dei costi effettivi medi nazionali di generazione di energia elettrica relativi al 1997" (primo considerato della delibera n.238/2000).
L'Autorità, pur consapevole, nell'adottare la delibera n.205/1999 che i costi effettivi medi di generazione di energia elettrica relativi al 1997 non costituivano già allora "costi efficienti" si era nondimeno indotta ad assumerli come costi riconosciuti di generazione nel prezzo dell'energia elettrica all'ingrosso, in assenza di regimi volti a garantire l'equilibrio economico-finanziario delle imprese produttrici-distributrici.
Ne deriva che l'introduzione, con d.m. 26/1/2000 del descritto meccanismo di copertura e reintegrazione dei costi sostenuti dalle imprese produttrici-distributrici ha creato le condizioni per un ulteriore intervento transitorio, finalizzato all'avvicinamento alle condizioni che si determinerebbero in un sistema delle offerte efficiente in un mercato concorrenziale e contendibile.
In altri termini l'Autorità ha constatato che la fissazione dei prezzi pari ai costi riconosciuti, determinati sulla base dei costi effettivi medi nazionali di generazione di energia elettrica relativi al 1997 che pure era giustificata in un contesto (quale quello della fine del 1999) in cui mancavano regimi volti a garantire l'equilibrio economico-finanziario delle imprese produttrici distributrici, dà luogo nel 2001 ad inefficienze nella misura in cui tali costi si discostino dai prezzi che si determinerebbero in un mercato concorrenziale e contendibile, nel mutato contesto indotto dall'introduzione di un meccanismo di copertura e reintegrazione dei c.d. stranded costs e dall'approssimarsi della seconda fase transitoria, incentrata sul sistema delle offerte di cui all'art.5 del d.lgs. n.79/99.
Di qui la decisione di ridurre del 20% la componente del prezzo dell'energia elettrica all'ingrosso a copertura dei costi fissi di produzione dell'energia elettrica (componente originariamente delineata dall'art.2 comma 1, lett. a) della delibera n.205/1999): decisione trasfusa nell'art.2 della delibera n.238/2000, rubricato per l'appunto "Aggiornamento del prezzo dell'energia elettrica all'ingrosso".
Acclarato quindi il complesso delle ragioni sotteso al provvedimento, la difesa erariale sottolinea la gradualità dell'operato dell'Autorità, consapevole della necessità di operare interventi transitori sui costi di generazione riconosciuti nei prezzi di cessione dell'energia elettrica all'ingrosso al fine di consentire un graduale avvicinamento ad un mercato concorrenziale e contendibile.
La gradualità era apprezzabile nella componente di ricavo a favore delle imprese produttrici-distributrici delle c.d. 6 lire KWH, come, nella delibera n.238/2000 nell'ulteriore componente tariffaria A6, direttamente connessa al meccanismo di reintegrazione degli stranded costs e riversata nel conto per la reintegrazione alle imprese produttrici-distributrici dei costi sostenuti per l'attività di produzione di energia elettrica nella transizione istituito presso la Cassa Conguaglio del settore elettrico (art. 4, comma 1 della delibera n.238/2000).
Ciò premesso in via generale, la difesa erariale passa poi ad analizzare le censure accolte dal Tar ed in particolare il preteso obbligo di comunicazione dell'avvio del procedimento e la pretesa inadeguatezza dell'istruttoria e della motivazione.
Si richiama in particolare - sul primo motivo - la delibera n.61/1997 recante "disposizioni generali in materia di svolgimento dei procedimenti per la formazione delle decisioni" che è stata adottata dall'Autorità in base all'autonomia organizzativa, amministrativa e regolamentare che la legge n.481/1995 (ed, in particolare, il suo art.2, commi 27 e 28) le attribuisce.
Occorre dunque esaminare il rapporto che intercorre tra la legge n.241/1990 (ed in particolare il suo art.7) e la delibera n.61/1997 (ed in particolare il suo art.5) adottata in base all'art.2 commi 27 e 28 della legge n.481/1995.
Il rapporto fra le due normative deve essere analizzato mediante il criterio della lex specialis.
Tale delibera all'art.5 disciplina i procedimenti diretti alla predisposizione degli atti normativi, degli atti a contenuto generale di cui all'art.2 comma 12 lett. e) della legge n.481/1995, prevedendo l'obbligo di dare notizia, mediante pubblicazione di un avviso sul Bollettino o in altra forma ritenuta idonea dell'avvio dei suddetti procedimenti.
La delibera n.238/2000, non integrando gli estremi di un atto normativo, né quelli di un atto generale di definizione delle tariffe di distribuzione e vendita di energia ai clienti del mercato vincolato (art.2 comma 12 lett. e) della legge n.481/1995) si colloca al di fuori dell'ambito applicativo della delibera n.61/1997.
Il sillogismo giuridico proposto dall'Autorità appellante è quindi il seguente:
L'Avvocatura dello Stato sottolinea come non sia asistematica la disciplina procedimentale dettata da una semplice delibera dell'Autorità, stante la particolare connotazione istituzionale delle amministrazioni indipendenti, e menziona anche il caso dei procedimenti sanzionatori, regolati da delibere dell'Autorità e non dalla legge n.689/1981.
In secondo luogo osserva che il regolamento governativo di cui al d.p.r. 9/5/2001 n.244 intitolato "Regolamento recante disciplina delle procedure istruttorie dell'Autorità per l'energia elettrica ed il gas, a norma dell'art.2 comma 24 lett. a) della legge 14/11/1995 n.481" disciplina i soli procedimenti diretti all'adozione di provvedimenti individuali o all'esercizio di poteri conoscitivi e , nel suo art.2 comma 1 primo periodo, fa salva la disciplina che l'Autorità ha già apprestato o intenda apprestare per i procedimenti di formazione degli atti normativi o degli atti a contenuto generale, con ciò demandando all'Autorità la disciplina della partecipazione a quei procedimenti.
In ogni caso la difesa erariale, ribadisce che, anche a voler ritenere applicabile la legge n.241/1990, l'applicazione della normativa di cui alla legge n.241/1990 postula necessariamente l'applicazione dell'art.13 della stessa legge, a mente del quale "le disposizioni contenute nel presente capo (ossia il Capo III della legge, intitolato partecipazione al procedimento amministrativo, fra cui l'art.7) non si applicano nei confronti dell'attività della pubblica amministrazione diretta all'emanazione di atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e programmazione".
Inoltre si rileva che l'applicazione dell'art.7 della legge n.241/1990 non si può tradurre in un indiscriminato obbligo dell'Amministrazione di comunicare l'avvio del procedimento ad una platea di tale varietà ed ampiezza da rendere impossibile individuare tutti i soggetti che , anche solo in via indiretta o mediata o riflessa, potrebbero ricevere qualche nocumento dall'adozione dell'atto finale.
E' chiaro che la delibera n.238/2000 rientra nella clausola di esclusione di cui all'art.13 della legge n.241/1990, recata dall'art.13 della stessa legge.
Quanto poi all'art.7 della legge n.241/1990, vi sono tre categorie di soggetti che hanno diritto a ricevere una comunicazione personale dell'avvio del procedimento ossia 1) i destinatari del provvedimento finale, i soggetti che debbono intervenirvi ossia 2) gli interventori necessari,ed in ultimo 3) i soggetti che possono riceverne un pregiudizio ove individuati o facilmente individuabili.
Da ciò l'ulteriore corollario per cui l'art. 7 è riferibile solo ai procedimenti preordinati all'adozione di provvedimenti individuali, infatti solo in relazione a questi procedimenti è possibile individuare uno o più diretti destinatari , ovvero uno o più soggetti, diversi dai destinatari diretti e tuttavia individuati o facilmente individuabili, che possono risentire un pregiudizio dal provvedimento finale (i c.d. controinteressati procedimentali).
La ratio dell'art.13 della legge n.241/1990 sarebbe in stretta correlazione con l'ambito applicativo dell'art.7 della legge n.241/1990, poiché le disposizioni sulla partecipazione procedimentale sono calibrate sui soli procedimenti diretti all'adozione di provvedimenti individuali.
Si richiama la decisione del Cons. Stato VI 15/9/1999 n.1197 secondo la quale l'attualità e la conoscibilità dell'interesse rilevante al fine di individuare il destinatario dell'obbligo legale di comunicazione dell'avvio del procedimento vanno riferite al momento in cui il procedimento sta per essere aperto non devono richiedere particolari indagini.
Nei casi, come quello in esame in cui risulti essere vasto e vario il novero degli interessi in qualche modo coinvolti dal procedimento (volto alla determinazione del prezzo di cessione dell'energia elettrica all'ingrosso e, segnatamente, della sua componente remunerativa dei costi fissi di generazione) ritenere sussistente l'obbligo di comunicazione personale dell'avvio del procedimento significherebbe introdurre un aggravio del procedimento, in palese violazione dei principi di economicità ed efficacia dell'azione amministrativa affermati dall'art.1 della legge n.241/1990, principi che assumono valore ermeneutico delle disposizioni dalla stessa dettate.
Si ricorda che CdS VI n.1197/1999 ha escluso la sussistenza dell'obbligo della comunicazione di avvio in favore di proprietari frontisti nel procedimento di rilascio della concessione edilizia e del nulla osta paesaggistico, e che, a maggior ragione, si deve escludere tale obbligo in un procedimento di fissazione del prezzo che può coinvolgere migliaia di soggetti interessati.
Si ricorda infine che la società ricorrente AEM, quale produttrice distributrice riceve anche utilità dal provvedimento, in forza dell'istituzione della componente tariffaria A6.
In ordine al secondo motivo, relativo alla pretesa inadeguatezza dell'istruttoria e della motivazione, si richiama la delibera n.81/99 in materia di aggiornamento dei prezzi di cessione dell'energia elettrica e dei contributi riconosciuti alla nuova energia prodotta da impianti utilizzanti fonti rinnovabili ed assimilate ai sensi degli art.20 comma 1, e 22 comma 5 della legge 9 gennaio 1991 n.9.
In occasione di tale determinazione l'Autorità aveva provveduto ad effettuare rilevazioni di mercato, avvalorate anche da dati forniti da qualificati produttori nazionali ed esteri del settore elettromeccanico, relative ai costi di investimento di un ciclo combinato a gas di nuova tecnologia, che hanno indicato un costo fisso unitario di produzione sensibilmente inferiore al livello medio delle componenti del prezzo all'ingrosso dell'energia elettrica a copertura dei costi fissi, fissate nella deliberazione n.205/99, con riferimento all'anno 2000 (così il quarto considerato della delibera n.238/2000).
Peraltro tale istruttoria, emersa nel corso del procedimento di adozione della delibera n.81/99, aveva fin da allora indotto l'Autorità a determinare coerentemente rispetto ad essa, le componenti di costo evitato, (ed, in particolare, la componente di costo evitato di impianto) per gli impianti utilizzanti fonti rinnovabili ed assimilate delle imprese produttrici-distributrici la cui nuova energia è soggetta al Titolo IV lett. b) del provvedimento del Comitato Interministeriale Prezzi 28/4/1992 n.6 (c.d. CIP n.6/92).
Le suddette componenti relative al costo evitato di impianto erano state fissate, con la delibera n.81/1999 in misura pari a lire 26,3 KWH per gli impianti entrati in esercizio nel biennio 1997-1998 e pari a lire 22,4 KWH per gli impianti entrati in esercizio nel biennio 1999-2000 (il quinto considerando della delibera n.238/2000).
Il confronto di tali costi evitati di impianto (stabiliti con la delibera n.81/99) con il parametro PG (che riflette la componente del prezzo dell'energia elettrica all'ingrosso relativa ai costi fissi di generazione) di cui all'art.7 comma 4 della delibera n.204/99, parametro il quale, a seguito della delibera n.112/2000 è stato fissato in misura pari a lire 49,6 KWH, è decisivo, secondo la difesa dell'Autorità, per dimostrare la ragionevolezza della scelta operata dall'amministrazione.
I costi evitati di impianto sono un termine certamente rapportabile alla componente copertura dei costi fissi di produzione di energia elettrica, mentre anche solo la constatazione del netto divario esistente fra i due termini di raffronto dà conto della possibilità di interventi ancora più incisivi di quello effettuato dall'Autorità con la delibera impugnata.
In ultimo la difesa erariale fa rilevare che la riduzione del prezzo all'ingrosso si ripercuote favorevolmente sulle tariffe praticate agli utenti finali, la delibera n.238/2000 contiene la decisione di diminuire il suddetto parametro PG (che figura nella tariffa elettrica praticata agli utenti finali) ed, in particolare, di aggiornare, diminuendole, le componenti tariffarie per le forniture a bassa tensione per usi domestici a copertura dei costi fissi di generazione dell'energia elettrica.
L'istruttoria che ha condotto all'adozione della delibera n.81/99 ha appurato l'esistenza di un costo fisso di produzione significativamente inferiore rispetto al livello medio della componente del prezzo all'ingrosso dell'energia elettrica a copertura dei costi fissi di generazione dell'energia elettrica stabilita nella delibera n.205/1999.
La contestata decisione si fonda su approfondite rilevazioni (per di più confortate da dati forniti da qualificati produttori nazionali ed esteri) relative ai costi di investimento di un ciclo combinato a gas che, nel 1999, era definito di nuova tecnologia.
Si è costituita la società appellata eccependo la tardività del ricorso e la sua infondatezza nel merito.
All'udienza pubblica del 9 luglio 2002 il ricorso è stato ritenuto per la decisione e poi deciso, come da dispositivo pubblicato.
DIRITTO
L'appello deve essere respinto essendo inammissibile per tardività ed infondato.
In primo luogo infatti deve esser esaminata l'eccezione di tardività del ricorso.
L'AEM s.p.a. ha eccepito che la sentenza impugnata è stata pubblicata in data 31/7/2001. I termini per proporre appello pertanto, secondo l'appellata, scadevano in data 13/1/2002 e non 14/1/2002, data di notifica del ricorso.
Nel computo dei termini, in caso di sospensione feriale degli stessi, deve essere incluso - secondo l'AEM s.p.a. - anche il 16 settembre non essendo accoglibile la tesi che fa decorrere il termine utile dal 17 settembre.
Il termine per appellare le sentenze soggette al rito speciale abbreviato introdotto dalla legge n.205/2000 è di trenta giorni dalla notificazione e di centoventi giorni dalla pubblicazione della sentenza (art.23 bis della legge Tar 6 dicembre 1971 n.1034 introdotto dall'art.4 comma 1 della legge n.205/2000).
Sui criteri di computo del termine per appellare, stabilito a giorni, v'è una giurisprudenza consolidata del Consiglio di Stato, formatasi in relazione agli ordinari termini di impugnazione, che afferma che , contrariamente a quanto si verifica nell'ipotesi di decorso del termine breve per l'impugnazione durante il periodo di sospensione feriale dei termini processuali, nel caso in cui tale decorso abbia avuto inizio prima del periodo di sospensione, il giorno 16 settembre va computato ai fini della valutazione della tempestività del gravame (CdS IV 15/7/1986 n.523).
Ciò perché a norma della legge 7 ottobre 1969 n.742 il decorso dei termini processuali è sospeso dal 1 agosto al 15 settembre di ciascun anno; pertanto, il computo dei termini per l'impugnazione deve essere effettuato, dopo il periodo estivo, a partire dal 16 settembre (ancora CdS IV 15/7/1986 n.523).
In tema di sospensione dei termini del periodo feriale il giorno 16 settembre va escluso dal calcolo del tempo utile nell'ipotesi di termini che iniziano a decorrere nel periodo compreso tra il 1° agosto ed il 15 settembre, essendo il primo giorno utile per svolgere una qualsiasi attività legata al decorso dei termini processuali (CdS V 21/12/1992 n.1538) e quindi dies a quo non computabile, secondo la regola generale prevista dall'art.155, 1° comma del c.p.c. (CdS V 8/3/1994 n.154) equiparato al dies a quo del giorno di notifica o pubblicazione della sentenza (CdS VI 19/7/1996 n.954).
Non convince quindi l'orientamento giurisprudenziale, richiamato dall'appellante che - a suo dire - non distinguerebbe fra termine iniziato durante il periodo feriale e termine iniziato prima, dando comunque rilievo al 16 settembre come primo giorno utile per proporre l'impugnazione (ex plurimis Cass. II, n.6635/2000; Cass. n.7720/1990, Cass. n.6116 che tuttavia - a ben vedere - fanno riferimento a fattispecie concrete in cui la sentenza era stata notificata durante il termine di sospensione feriale e quindi non significative di una rilevanza assoluta del 16 settembre quale primo giorno utile per il decorso del termine di impugnazione).
Infatti altro è che il primo giorno di decorso del termine per impugnare cada durante la sospensione feriale dei termini, altro che si verifichi in data antecedente, nel primo caso non potendo operare il computo per effetto della sospensione feriale, nel secondo caso potendo iniziare il decorso del termine, con scomputo del primo giorno, nel caso di termine a giorni, in ossequio alla regola generale di cui all'art.155 comma 1 c.p.c. per cui nel computo dei termini a giorni o ad ore si escludono il giorno e l'ora iniziali.
Il primo giorno utile per l'impugnazione della sentenza depositata il 31/7/2001 era il 16/9/2002, poiché il 31/7/2001 non era computabile in ossequio alla regola generale di calcolo del termine a giorni secondo cui dies a quo non computatur (art.155 c.p.c.) (CdS IV n.1278/1998).
Nella specie quindi , poiché il deposito della sentenza non è avvenuto durante il periodo feriale ed il termine di cui all'art.23 bis della legge n.1034/71 ha iniziato a decorrere prima del periodo compreso fra il 1° agosto ed il 15 settembre, essendo stata la sentenza depositata in data 31 luglio 2001, il 16 settembre non è equiparabile al primo giorno di decorso del termine, giorno non computabile (tale giorno dovendo invece essere individuato nel 31/7/2001).
Ne deriva la tardività dell'appello in quanto il centoventesimo giorno dal deposito scadeva in data 13/1/2002.
Né potrebbe opinarsi che il 31/7/1997 non sia il primo giorno di decorso del termine per impugnare, in quanto giorno non computabile ex art.155 c.p.c. e che, quindi, il 16 settembre vada scomputato in quanto equiparabile al primo giorno di decorso del termine a giorni poiché ciò comporterebbe un'applicazione doppia dello scomputo ex art.155 c.p.c. per due giorni.
In ogni caso deve rilevarsi l'appello - pur approfondito ed articolato come rilevato nella narrativa in fatto - è infondato nel merito.
Il primo profilo da considerare è quello relativo alla lamentata illegittimità dell'azione amministrativa per l'inosservanza dell'obbligo di partecipazione procedimentale.
In primo luogo ritiene il Collegio che non appare condivisibile l'affermazione secondo cui la delibera n.238/2000 si collocherebbe al di fuori dell'ambito oggettivo di applicazione dell'art.5 della delibera n.61/1997 in quanto non costituirebbe un atto a contenuto generale di cui all'art.12 comma 12 lettera e) della legge n.481/1995.
Detta disposizione conferisce all'Autorità il potere di stabilire ed aggiornare in relazione all'andamento del mercato, la tariffa base, nonché i parametri e gli altri elementi di riferimento per determinare le tariffe di cui ai commi 17, 18 e 19 (ossia prezzi massimi unitari dei servizi al netto delle imposte, variazioni Istat e variazioni dei tassi annuali di produttività, standards prefissati per il recupero di qualità del servizio, costi derivanti da eventi imprevedibili ed eccezionali, da mutamenti del quadro normativo o dalla variazione degli obblighi relativi al servizio universale, costi derivanti dall'adozione di interventi volti al controllo e alla gestione della domanda attraverso l'uso efficiente delle risorse).
Le tariffe elettriche poi sono determinate ai sensi dell'art.3 comma 2 della legge n.481/1995 in modo identico, per tipologia di utenza, su tutto il territorio nazionale.
Tali tariffe comprendono anche le voci derivanti da costi connessi all'acquisizione di combustibili fossili ed agli acquisti di energia dai produttori nazionali e agli acquisti di energia importata nonché le voci derivanti dagli oneri connessi all'incentivazione della nuova energia elettrica prodotta con fonti rinnovabili ed assimilate.
Appare indubbio che la delibera n.238/2000, quale atto a contenuto generale recante la definizione dei prezzi dell'energia elettrica all'ingrosso nel mercato vincolato, costituisca applicazione del potere conferito all'Autorità da tale disposizione (art.2 comma 12, lettera e) della legge n.481/1995) dato che tra i parametri e gli elementi di riferimento per la determinazione delle tariffe base dei servizi di fornitura dell'energia elettrica rientra sicuramente anche il prezzo dell'energia elettrica all'ingrosso.
Per avere prova concreta che il prezzo dell'energia elettrica all'ingrosso costituisce parametro per la determinazione della tariffa base basti guardare alla delibera n.204/1999 art.11 lett. cc) e lett. dd) ove sono definiti due parametri "PG" rispettivamente con riferimento alla media bimestrale ed alla media annuale dei prezzi dell'energia elettrica all'ingrosso.
La stessa difesa erariale (nell'atto di appello a pag.29 nota 13) chiarisce che il parametro PG figura nella tariffa elettrica praticata ai clienti finali e riflette la componente del prezzo dell'energia elettrica relativa ai costi fissi di generazione.
Si deve quindi ritenere che la delibera impugnata, al pari del resto della delibera n.205/1999, costituisca un esercizio del potere di cui all'art.2 comma 12 lettera e) della legge n.481/1995 (rimanendo in diverso caso incerto il fondamento normativo del potere esercitato).
La norma fa riferimento ai parametri ed agli altri elementi di riferimento per la determinazione delle tariffe, fra cui devono intendersi ricompresi i prezzi di cessione all'ingrosso dell'energia elettrica.
Si deve altresì considerare che la delibera n.238/2000 è modificativa delle delibere n.205/1999 e n.204/1999 - (cfr. artt.2, 3, 5 della delibera n.238/2000 ove si dispongono le modifiche e la novellazione delle predette precedenti delibere).
Le delibere nn.204 e 205 del 1999 costituiscono indiscutibilmente esercizio del potere di cui all'art.2 comma 12 lettera e); tali delibere inoltre sono state entrambe precedute da comunicazione di avvio del procedimento (delibera n.57/1997) e da audizioni speciali con i soggetti interessati per cui l'atto impugnato, costituente espressione dello stesso potere di regolazione dei prezzi di cessione dell'energia elettrica all'ingrosso nella fase transitoria, avrebbe dovuto essere preceduto da analoga istruttoria procedimentale e dalla comunicazione nelle forme idonee dell'avvio del procedimento .
Anche il documento per la consultazione per la formazione di provvedimenti di cui all'art.2 comma 12 lett. e) della legge n.481/1995 al capitolo 7.2 tratta i costi di acquisto dell'energia elettrica da parte delle imprese distributrici.
Si appalesa in conclusione applicabile l'art.5 della delibera n.61/1997 del 20/5/1997 dell'Autorità per l'energia elettrica ed il gas , rubricato " Procedimenti per la formazione di atti normativi ed atti a contenuto generale". Tale articolo recita: "L'Autorità dà notizia, mediante pubblicazione di un avviso sul bollettino o in altra forma ritenuta idonea, dell'avvio delle attività dirette alla predisposizione degli atti normativi e degli atti a contenuto generale di cui all'art.2 comma 12 lettera e) della legge istitutiva. Nella deliberazione di avvio l'Autorità.fissa il termine entro il quale è possibile far pervenire all'autorità osservazioni e memorie scritte".
La sentenza impugnata poi non ha fatto applicazione puntuale dell'art.7 della legge n.241/1990, ma dei principi in tema di partecipazione procedimentale, principi che hanno lo scopo di assicurare, secondo le norme previste dagli speciali ordinamenti di settore, usualmente mediante forme di istruttoria pubblica e di audit nei procedimenti per la formazione di atti normativi ed a contenuto generale, l'acquisizione corretta ed imparziale degli interessi privati coinvolti nell'esercizio del pubblico potere.
In tal senso può condividersi la notazione della sentenza di primo grado secondo la quale "può ormai ritenersi consolidata nella regolamentazione legislativa dei rapporti tra pubbliche amministrazioni e soggetti amministrati, che il provvedimento autoritativo sia preceduto il più possibile, quando non vi ostino esigenze di riservatezza della sfera dei terzi o dell'azione amministrativa stessa, da forme di contatto tra l'amministrazione e gli interessati, di cui l'informazione degli intendimenti che la p.a. sta per realizzare costituisce il livello minimo".
Per cui il complesso dei principi ricavabili dalla legge n.241/1990 in tema di partecipazione procedimentale, si pone come canone interpretativo della disciplina di settore, eventualmente imponendo di non fermarsi ad un'interpretazione letterale della lex specialis, ma di cercare, fra i significati e le interpretazioni possibili di un testo quello che è meglio in grado di soddisfare le esigenze conoscitive e partecipative tutelate in via generale dal legislatore.
Deve anche considerarsi che, nell'ambito delle autorità amministrative indipendenti istituite dalla legge n.481/1995, per la tutela della concorrenza e la regolazione dei servizi di pubblica utilità, una delle finalità perseguite dalla creazione di tali nuove amministrazione è la definizione di un sistema tariffario, certo, trasparente e basato su criteri predefiniti, che armonizzi gli obiettivi economico-finanziari dei soggetti esercenti i servizi con gli obiettivi generali di carattere sociale, di tutela ambientale e di uso efficiente delle risorse, sempre promuovendo la tutela degli interessi degli utenti e dei consumatori.
Orbene una regolazione che venga disposta senza contraddittorio con i soggetti interessati, dall'alto, senza il rispetto delle forme stabilite dalla stessa Autorità per l'acquisizione degli interessi da ponderare ai fini dell'adozione di atti generali, in casi analoghi, riconducibili all'esercizio in senso lato dei poteri di determinazione tariffaria (interpretati, ben a ragione, in senso estensivo nella fase transitoria), non può che dirsi viziata per quanto già ritenuto dal giudice di primo grado con argomentazioni che il Collegio sostanzialmente condivide e ritiene di potere integrare nel senso prima indicato della possibilità di applicazione al caso di specie dell'art.5 della delibera dell'Autorità n.61/1997.
Quanto poi innanzi affermato è in linea con i precedenti della Sezione (ex plurimis CdS VI 16/2/2002 n.961) in quanto si è sempre escluso che i procedimenti per l'aggiornamento dei prezzi debbano essere preceduti da una comunicazione individuale di avvio del procedimento alle società destinatarie del provvedimento in quanto l'art.13 della legge n.241/1990 esclude l'obbligo di comunicazione dell'avvio del procedimento quando l'attività procedimentale sia diretta all'emanazione di atti amministrativi generali, ma con ciò non si è voluto significare che l'Autorità non debba rispettare le forme della partecipazione procedimentale prevista dalla normativa di settore vigente, che, per gli atti di determinazione della tariffa base, nonché di parametri o elementi di riferimento della medesima (fra cui ben si possono annoverare i prezzi di cessione dell'energia elettrica all'ingrosso destinata ai clienti del mercato vincolato) è da individuare nell'art.5 della delibera dell'Autorità n.61/1997.
In ultimo va considerata la questione relativa all'eccesso di potere per incongruità del supporto istruttorio e motivazionale della delibera impugnata.
Le finalità del provvedimento impugnato sono chiare e sono state illustrate in modo completo ed analitico nell'atto di appello, riportato nella narrativa in fatto.
La necessità di intervenire sui prezzi di cessione dell'energia elettrica all'ingrosso deriva dalla presenza, nel mercato elettrico, dal lato dell'offerta, di un alto grado di concentrazione, per la quota di capacità produttiva detenuta dall'ENEL.
Ciò comporta evidenti rischi di abuso di posizione dominante (segnalati anche nell'ultima relazione 2002 dell'Autorità per l'energia elettrica ed il gas descrittiva della concorrenza e della regolazione nei settori energetici pag.137).
Le misure che potrebbero risolvere il problema in modo strutturale - quali segnalate più volte dalla stessa Autorità - sono le dismissioni e la contrattualizzazione degli impianti di modulazione e di picco che intervengono direttamente sulla struttura dell'offerta. Altre misure come quelle regolatorie dei prezzi, cercano di mitigare gli effetti della situazione a vantaggio dei consumatori, ad es. con tetti ai prezzi di offerta, ma si rivelano assimilabili alla regolazione amministrativa dei meccanismi di mercato e sono quindi da adottare solo in via transitoria.
La misura adottata a partire dalla delibera n.205/1999 mira a definire in modo diretto le tariffe di cessione dell'energia elettrica alle imprese che svolgono attività di distribuzione e vendita dell'energia elettrica ai clienti del mercato vincolato (ossia ai clienti finali legittimati a stipulare, in ragione delle loro caratteristiche dimensionali e di consumo, esclusivamente con il distributore che esercita il servizio nell'area territoriale in cui detto cliente è localizzato).
La delibera n.238/2000 (atto impugnato) in attesa dell'entrata a regime del sistema delle offerte di acquisto e vendita dell'energia elettrica nei tempi previsti dal d.lgs. n.79/1999, e non avendo l'Acquirente unico assunto la funzione di garante della fornitura ai clienti vincolati, tenuto conto anche della introduzione di un meccanismo di reintegrazione dei c.d. stranded costs, mira a ridurre del 20% la componente del prezzo dell'energia elettrica all'ingrosso prevista a copertura dei costi fissi di energia elettrica.
Si tratta di misure di regolazione diretta dei prezzi, latamente riconducibili ai poteri di cui all'art.2 comma 12 lett. e ) della legge istitutiva dell'Autorità e comunque in linea con le finalità della legge istitutiva dell'Autorità, che deve assicurare un sistema tariffario certo, trasparente e basato su criteri predefiniti (art.1 della l. n.481/1995) e giustificabili comunque, sulla base del sistema amministrativo dell'ordinamento sezionale dell'energia elettrica e del gas ed in considerazione del complesso dei compiti affidati all'autorità, ma solo nel periodo transitorio.
Infatti tale intervento regolatorio diretto sui prezzi non era stato previsto dal d.lgs. 16/3/1999 n.79 che fino alla data di assunzione da parte dell'acquirente unico della funzione di garante della fornitura dei clienti vincolati prevedeva solo che "L'ENEL s.p.a. assicura la fornitura ai distributori sulla base dei vigenti contratti e modalità." (art.4 comma 8 del d.lgs. n.79/1999) ma viene a configurarsi come un intervento eccezionale, di competenza dell'Autorità, in forza della sua posizione di autorità di regolazione del settore, investita del compito di sorveglianza sui prezzi e di determinazione delle tariffe per la fornitura dell'energia elettrica, garantendo la transizione verso un sistema concorrenziale, di complessa attuazione.
In ogni caso non è in discussione la astratta esistenza del potere regolatorio dei prezzi di cessione dell'energia elettrica all'ingrosso destinata ai clienti del mercato vincolato in capo all'Autorità (invero nemmeno contestata nel ricorso di primo grado) ma solo l'adeguatezza dei modi di esercizio di tale potere.
Il punto di partenza per un ulteriore intervento transitorio (dopo quello posto in essere con la delibera n.205/1999) dell'Autorità è individuato nel meccanismo per la copertura dei costi di generazione riconosciuti come non recuperabili introdotto per effetto del d.m. 26/1/2000 (l'apertura alla concorrenza dell'attività di generazione dell'energia elettrica modifica in modo consistente le prospettive di ricavo delle imprese produttrici-distributrici dando luogo al fenomeno dell'impossibilità del recupero integrale dei costi sostenuti prima della liberalizzazione per lo sviluppo del parco di generazione (c.d. stranded costs) ora ricompresi fra gli oneri generali afferenti il sistema elettrico e quindi considerati reintegrabili).
Essendo introdotto tale meccanismo compensativo per le imprese produttrici-distributrici, l'Autorità ritiene possibile determinare il prezzo all'ingrosso dell'energia elettrica destinata ai clienti vincolati individuando livelli di prezzi che si avvicinino ai costi di produzione di un operatore con un parco di produzione efficiente, quali sarebbero i livelli di prezzo prevalenti in un mercato concorrenziale e contendibile (relazione tecnica allegata alla delibera impugnata n.238/2000).
Fin qui le finalità perseguite, in linea con i compiti istituzionali dell'Autorità (deve essere notato il rischio di impostazione sottilmente dirigistica del provvedimento che mira ad individuare una "impresa produttiva tipo" quale quella di un "operatore con un parco di produzione efficiente", impostazione validabile sul piano tecnico-giuridico solo ove sia intesa come adozione di un metodo - fra gli altri possibili - di individuazione della componente del prezzo relativa ai costi riconosciuti di generazione e solo in collegamento stretto al conclamato fine di assicurare un regime di salvaguardia dei clienti finali del mercato vincolato dal rischio di abusi di posizione dominante dell'ENEL s.p.a. nel periodo transitorio precedente l'operatività del sistema delle offerte gestito dall'Acquirente unico, non essendo fine dell'autorità conformare le strutture dei costi dei produttori dell'energia elettrica).
Dove l'atto si rivela carente tanto da incorrere in illegittimità per vizi sintomatici di eccesso di potere è nel supporto istruttorio e motivazionale.
Infatti l'Autorità ha utilizzato come supporto istruttorie le risultanze istruttorie emerse in occasione di un altro procedimento (quello sfociato nell'adozione della delibera n.81/1999) e consistenti in "rilevazioni di mercato, avvalorate anche da dati forniti da qualificati produttori nazionali ed esteri del settore termoelettrico, relative ai costi di investimento di un ciclo combinato a gas di nuova tecnologia che hanno indicato un costo fisso unitario di produzione sensibilmente inferiore al livello medio delle componenti del prezzo all'ingrosso dell'energia elettrica a copertura dei costi fissi, fissati nella deliberazione n.205/1999, con riferimento all'anno 2000".
E' mancata una considerazione comparativa dei costi effettivamente sostenuti da impianti esistenti, nelle diverse tipologie, oltre che un riscontro dei dati acquisiti due anni prima.
Il costo evitato di impianto definito con la delibera n.81/1999 (che mirava a definire i prezzi di cessione dell'energia elettrica e dei contributi riconosciuti alla nuova energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili ed assimilate) è costituito dal costo di un investimento nella produzione termoelettrica in impianto a ciclo combinato; tale costo viene riconosciuto, in favore delle imprese che utilizzano tecnologie di produzione utilizzanti fonti rinnovabili o assimilate, quale base per il complesso calcolo del sistema dei prezzi di cessione e dei contributi previsti per dette imprese in quanto ecologicamente "virtuose" e gravate da maggiori costi differenziati per impianto (si tratta delle imprese note come imprese incentivate ai sensi del provvedimento c.d. CIP 6).
Anche ammesso che tale costo sia rapportabile al parametro PG , giova rilevare che il vizio istruttorio risiede nell'aver assunto le caratteristiche di costo di un impianto tipo a base di un sistema di determinazione dei costi riconosciuti che doveva avere invece riferimento ad un vasto parco di generazione.
Non vi sono solo impianti a gas, ma anche impianti che generano energia da altre fonti, quali il carbone, altri combustibili o fonti rinnovabili .
L'Autorità avrebbe dovuto invece procedere ad una più compiuta analisi effettiva dei costi sostenuti dalle imprese di generazione dell'energia elettrica.
Inoltre giammai l'Autorità può prescegliere una tipologia di impianto ritenendola ottimale rispetto ad altre in modo da orientare le strutture dei costi delle imprese operanti sul mercato, attraverso provvedimenti regolatori dei prezzi di cessione delle energie in base ai costi riconosciuti.
Infatti l'art.1 della legge n.481/1995 garantisce la economicità e redditività dei servizi, e quindi demanda all'amministrazione indipendente de qua agitur un ruolo di regolazione tecnica e non di conformazione dirigistica del mercato.
In proposito rileva la copiosa giurisprudenza del Consiglio di Stato in tema di prezzi amministrati che ha sempre voluto garantire la remuneratività di tali prezzi, onde assicurare un congruo margine agli imprenditori, ovvero salvaguardare un equo profitto per l'imprenditore, in ossequio al principio costituzionale di salvaguardia della libertà economica che non può essere svuotato da un regime di prezzi amministrati.
Così si è statuito di recente con un decisum della Sezione che merita di essere richiamato che "le discrezionali valutazioni rimesse all'amministrazione competente in tema di fissazione dei prezzi di beni di generale consumo debbono essere comunque rispettose dell'esigenza di salvaguardare un margine equo di profitto per l'imprenditore, posto che il fine sociale che risponde al prezzo «amministrato» non può condurre al pratico svuotamento del principio di libertà economica privata." (C. Stato, sez.VI, 16/1/1998, n.80).
Ciò che è mancato nella specie è lo svolgimento di un'attività di esatta ricognizione dei costi effettivi che gli operatori devono affrontare, nonché una adeguata motivazione della misura della riduzione percentuale operata, non potendo considerarsi sufficiente il riferimento al costo di un ipotetico impianto di nuova tecnologia assunto come costo ottimale ed efficiente.
Va peraltro rilevato che, con successiva delibera n.318/2001, nella determinazione dei prezzi di cessione dell'energia elettrica all'ingrosso per l'anno 2002, l'Autorità sembra aver rispettato sia gli obblighi di garanzia della partecipazione procedimentale sia i doveri istruttori e motivatori ora descritti. Ne deriva il rigetto dell'appello.
Sussistono giusti motivi per compensare le spese del giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, respinge il ricorso in epigrafe indicato.
Compensa integralmente le spese del giudizio.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, il 9 luglio 2002, dal Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale - Sez.VI -, riunito in Camera di Consiglio, con l'intervento dei Signori:
Giorgio GIOVANNINI Presidente
Sergio SANTORO Consigliere
Luigi MARUOTTI Consigliere
Chiarenza MILLEMAGGI COGLIANI Consigliere
Giancarlo MONTEDORO Consigliere Est.
Depositata in segreteria il 1° ottobre 2002.