CORTE DEI CONTI, SEZ. GIUR. REGIONE UMBRIA - Sentenza 19 ottobre 2002 n. 498/EL/2002 - Pres. Todaro Marescotti, Est. Longavita - P.G. (Dott. Minerva) c. A., Architettura S. ed altri (Avv. Segarelli) e il P. (Avv. Rampini).
1. Giurisdizione e competenza - Corte dei conti - Azione di responsabilità - Nei confronti di progettisti di opere pubbliche che abbiano assunto anche il ruolo di direttori tecnici - Giurisdizione della Corete dei conti - Sussiste - Ragioni.
2. Responsabilità amministrativa - Danno all’immagine della P.A. - Natura giuridica - Individuazione.
3. Responsabilità amministrativa - Danno all’immagine della P.A. - Prova dell’esistenza e della patrimonialità del danno all’immagine - Non coincide con la prova della specifica spesa sostenuta per ripristinare l’immagine.
4. Responsabilità amministrativa - Danno all’immagine della P.A. - Quantificazione del danno - Va disposta in via equitativa.
5. Responsabilità amministrativa - Danno all’immagine della P.A. - Presupposti per il riconoscimento - Commissione di un reato - Non occorre - Illecito extrapenale sufficientemente grave - Sufficienza - Fattispecie in materia di errore di progettazione di una opera pubblica.
1. Sussiste la giurisdizione della Corte dei Conti sulle pretese risarcitorie nei casi in cui vi sia cumulo della posizione di progettista di opere pubbliche e di direttore dei lavori; in tali ipotesi, infatti, i doveri di verifica del progetto, propri del direttore dei lavori (ex art. 5 del R.D. 25 maggio 1895, n. 350), vengono ad attualizzarsi già nella fase della progettazione, così che la progettazione continua ad avere una sua autonomia solo ideale ed astratta dalla direzione dei lavori, mentre l’ufficio di direzione dei lavori ed i doveri che ad esso si correlano assorbono quelli del progettista. In sostanza, nei casi di che trattasi, la figura del progettista sfuma in quella del direttore dei lavori, figura questa da sempre ritenuta soggetta alla giurisdizione della Corte dei conti (1).
2. Il danno all’immagine della P.A. va inquadrato nell’ambito del "danno evento" e non nel "danno conseguenza"; l’’immagine ed il prestigio, infatti, costituiscono dei beni essenziali per l’esistenza stessa della persona giuridica pubblica ed in questo senso la loro lesione costituisce un danno esistenziale; danno che si perpetra in forza della semplice lesione dei predetti beni-valori e che pone, per ciò solo, un nocumento patrimoniale, rappresentato, da un lato, dalla vanificazione delle spese sostenute per il mantenimento e l’elevazione dell’immagine e del prestigio dell’ente pubblico e, dall’altro, dalle spese comunque occorrenti per il ripristino di tali beni-valori (2).
3. Il problema della prova dell’esistenza e della patrimonialità del danno all’immagine della P.A. va disancorato da quello della prova della specifica spesa sostenuta per ripristinare l’immagine, anche perché l’immagine dell’ente pubblico, a differenza di quella dei privati, va necessariamente "ripristinata" e non semplicemente "riparata" ed è noto che il "ripristino" è cosa diversa dalla "riparazione", non consentendo in nessun modo di stabilire esattamente i costi ed i tempi della sua realizzazione e dare, quindi, altrettanto esattamente prova degli uni e degli altri.
4. Nel caso di danno all’immagine della P.A., la determinazione della spesa necessaria al ripristino del bene giuridico leso va risolto in via equitativa, ex art. 1226 cod. civ. (3), mentre l’esercizio del relativo potere di valutazione del danno è stato attribuito alla Corte dei conti nel chiaro, sebbene inespresso, presupposto che la Corte stessa è il "giudice naturale" dell’analisi e valutazione dei costi dell’attività amministrativa e, dunque, anche di quella occorrente per il ripristino dell’immagine pubblica (ex art. 25 Cost.) .
5. Il danno all’immagine ed al prestigio della P.A. non si correla necessariamente ad un reato; raccordandosi con l’art. 2043 cod. civ. e non con il successivo 2059 cod. civ., il danno all’immagine della P.A. può discendere anche da un illecito extrapenale e, dunque, anche da un illecito amministrativo, purché idoneo, nella sua intrinseca consistenza fenomenica, a produrre una perdita di prestigio ed un grave detrimento alla personalità pubblica (4).
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(1) Cfr. v. tra le più recenti Cass., Sez. Unite, sent. n. 515/2000.
Sotto questo profilo non sono state accolte le tesi dei convenuti, secondo i quali la Corte dei Conti sarebbe carente di giurisdizione quanto ad azioni di danni pretesamene conseguenti a difetti, erroneità, lacunosità di progettazioni commissionate a professionisti esterni all’ente, specie se risalenti ad epoca antecedente alla l. n°109/1995".
In sostanza, secondo la difesa dei convenuti, in ipotesi di progettazione affidata a "professionisti esterni, costoro (sarebbero) legati, nello svolgimento dell’attività commissionata, da un contratto d’opera, riconducibile all’art. 2230 c.c., che non implica svolgimento di pubbliche funzioni e che non genera perciò un rapporto di servizio con la P.A.
E’ stata invece accolta la tesi della Procura, la quale, partendo dal fatto che nella specie i convenuti avevano rivestito, nella specie, la doppia qualifica di progettista e direttore dei lavori, aveva evidenziato come, allorquando si concentrano nello stesso soggetto i compiti di progettista e direttore lavori, deve ritenersi sussistente la giurisdizione della Corte dei conti.
E’ stato richiamato in proposito l’orientamento della Sezioni Unite della Cassazione che, nell’affermare la giurisdizione della Corte dei conti e la validità del metodo di imputazione alla persona giuridica dell’elemento soggettivo del dolo e/o della colpa grave secondo il paradigma della "immedesimazione organica" della persona fisica che ha in concreto agito (v. Cass. SS.UU. Civ. sent. n°123/ 2001), hanno sostanzialmente avallato l’orientamento finora seguito dalla stessa Corte dei conti su entrambi i cennati profili, della giurisdizione e del metodo di imputazione dell’elemento soggettivo (cfr. tra le tante Sez. Giur. Siciliana n°390/1998 e Sez. I^Giur. Cont. n°178-A/1999).
Parimenti, per le associazioni non riconosciute, si è più volte affermata la giurisdizione della Corte dei Conti su di esse, ovviamente sussistendo un rapporto di servizio con una P.A., e ci si è soffermati anche sul rapporto di solidarietà che intercorre tra il "fondo comune", proprio dell’associazione, e quello personale del soggetto che per essa ha agito, previsto dall’art. 38 cc, conformemente alla ridotta capacità patrimoniale dell’associazione, ovvero al regime di autonomia patrimoniale imperfetta che regola i rapporti tra l’Associazione stessa ed i soggetti che vi appartengono (v., Corte Conti, Sez. Giur. Sicilia n°156/1999, Id. n°201/1999 e Sez. Giur. App. Reg. Sicilia n°183-A/2001).
(2) Cfr. Corte dei Conti, Sez. Giur. Regione Umbria, sent. n. 557-R/2000.
(3) Cfr. Cass., Sez. Unite, sent. n. 5668/1997 e n.744/1999.
(4) Alla stregua del principio nella specie la Corte dei Conti ha rinvenuto tale danno in un vizio di progettazione-direzione lavori. Pur dando atto che tale vizio, di per sé, non riveste, nel novero degli illeciti amministrativi, una gravità tale da poter compromettere il prestigio dell’ente che lo subisce, la Sezione regionale dell’Umbria della Corte dei Conti ha ritenuto che, nel caso in questione, il vizio di progettazione era stato così rilevante da vulnerare significativamente l’immagine del Comune.
Documenti correlati:
http://www.giustamm.it/private/corte/ccontiabruzzo_2002-02-18.htm
http://www.giustamm.it/corte/cconticentrapp_2002-96.htm
http://www.giustamm.it/articoli/pischedda_dannoimmagine.htm
http://www.giustamm.it/corte/cortecontiriun_1999-16.htm
http://www.giustamm.it/corte/ccontipiem_2001-780.htm
http://www.giustamm.it/private/corte/ccontilomb_1999-1551.htm
Commento di
MASSIMO VALERO
Il danno all'immagine della P.A. da illecito extrapenale
La sentenza in rassegna affronta principalmente due aspetti della responsabilità amministrativa oggetto d'accertamento da parte della magistratura contabile:
- il primo riguarda la questione della sussistenza della giurisdizione della Corte dei Conti sui professionisti esterni alla P.A. incaricati della progettazione e della direzione di lavori pubblici;
- il secondo attiene alla configurabilità del danno all'immagine della Pubblica Amministrazione a seguito di fatti illeciti extrapenali posti in essere da predetti professionisti.
Quanto al primo aspetto, la Sezione giurisdizionale umbra ha ritenuto che nelle ipotesi di affidamento a professionisti esterni della progettazione di lavori pubblici, unitamente alla direzione lavori, sussiste la giurisdizione del giudice contabile, sul presupposto dell’irrilevanza della configurabilità dell’attività commissionata dalla P.A. quale contratto d’opera di cui all'art.2230 c.c. (che al contrario non implicherebbe svolgimento di pubbliche funzioni e, di conseguenza, non configurerebbe alcun rapporto di servizio tra il prestatore d'opera e la P.A., dato caratterizzante della responsabilità amministrativa).
Conformandosi alla costante giurisprudenza sul punto, la Corte ha quindi affermato la propria giurisdizione nell'ipotesi di pretese risarcitorie conseguenti ad attività di progettisti - direttori lavori estranei alla P.A., fattispecie in cui "i doveri di verifica del progetto, propri del direttore dei lavori … vengono ad attualizzarsi già nella fase della progettazione, così che la progettazione continua ad avere una sua autonomia solo ideale ed astratta dalla direzione dei lavori, mentre l’ufficio di direzione dei lavori ed i doveri che ad esso si correlano assorbono quelli del progettista".
Per cui la figura del progettista "sfuma" in quella del direttore dei lavori, che è pacificamente soggetto alla giurisdizione della Corte dei conti.
Quanto all'individuazione dei soggetti chiamati in giudizio in simili fattispecie, essi possono essere sia le associazioni (società, ecc…) di professionisti di cui fanno parte i progettisti - direttori dei lavori, sia le persone fisiche che per esse concretamente agiscono.
Questo a maggior tutela della pretesa risarcitoria pubblica che, oltre avverso il singolo agente, potrà essere indirizzata, nel giudizio contabile, anche alla persona giuridica (o all'associazione di fatto) che risponderà patrimonialmente secondo i canoni civilistici.
Il secondo aspetto rilevante della sentenza attiene alla configurabilità del danno all'immagine alla P.A. nel caso di progettazione e direzione lavori definita, nello svolgimento del processo, "inutiliter data".
Il dato più interessante, in merito, è che, pur riprendendo la motivazione della sentenza i copiosi precedenti giurisprudenziali sul riconoscimento e la quantificazione del predetto danno all'immagine, la decisione in rassegna si riferisce ad una fattispecie non derivante dalla commissione di reato (i precedenti citati riguardavano in massima parte danni derivanti da episodi di corruzione o concussione), ma da un comportamento illecito dannoso extrapenale sorretto da colpa grave (nello specifico lo svolgimento dell'attività di progettazione e direzione dei lavori da parte dei professionisti incaricati).
Viene confermato così il raccordo del danno all'immagine della P.A. con la previsione di cui all'art. 2043 cod. civ. e non con l'art. 2059 cod. civ..
La quantificazione del danno patrimoniale in parola, slegato dalla prova dell'effettiva spesa sostenuta per il ripristino dell'immagine dell'Ente pubblico, è rimessa alla valutazione equitativa del giudice, secondo l'art. 1226 cod. civ, stante la difficoltà di identificare le reali dimensioni della lesione subita dall'immagine della P.A. (consistenza, gravità, durata e persistenza nel tempo).
I principali parametri di valutazione del quantum del danno all'immagine, elaborati dalla giurisprudenza e richiamati in sentenza, sono quindi:
criteri oggettivi:
- gravità dell'illecito commesso, in relazione allo specifico bene tutelato ed alle modalità della sua realizzazione;
- reiterazioni dell’illecito stesso.
criteri soggettivi
:- collocazione del convenuto nell’organizzazione amministrativa;
- capacità del convenuto di rappresentare l’Amministrazione.
criteri sociali:
- capacità esponenziali dell’Ente;
- dimensioni territoriali dell'Ente;
- rilevanza interna o internazionale delle funzioni intestate all'Ente;
- ampiezza della diffusione e del risalto dato all’illecito.
Un'applicazione congiunta e coordinata dei vari criteri condurrà alla valutazione equitativa de qua.
REPUBBLICA ITALIANA
In Nome del Popolo Italiano
LA CORTE DEI CONTI
Sezione Giurisdizionale Regionale dell’Umbria
composta dai seguenti Magistrati :
Dott. Lucio Todaro Marescotti Presidente
Dott. Lodovico Principato Consigliere
Dott. Fulvio Maria Longavita Consigliere rel.
ha pronunciato la seguente
S E N T E N Z A
nel giudizio di responsabilità istituito dal Procuratore Regionale nei confronti di A. S., P. V. ed "Architettura S. & P. di Architetti A. S., B. P., M. A.", nella persona di M. A..,
Visto l’atto introduttivo della causa, iscritto al 9787/EL del registro di Segreteria, e gli altri atti e documenti tutti della causa.
Uditi, alla pubblica udienza del 4/6/2002, con l’assistenza del Segretario, sig. Fabio Chirieleison: il relatore, nella persona del Cons. Fulvio Maria Longavita; il P.M., nella persona del dr. Massimiliano Minerva; il difensore dell’A. e dell’ "Architettura S.", avv. Umberto Segarelli; il difensore del P., avv. Mario Rampini
FATTO
1) – Con atto di citazione del 5/3/2002, regolarmente notificato in date ricomprese tra il 20 marzo ed il 9 aprile 2002, la Procura Regionale presso questa Sezione ha convenuto in giudizio i sigg. A. S., P. V. e M. A., per ivi sentirli condannare alla complessiva somma di € 429.624,787, pari a £ 822. 190.174, a favore del Comune di Ferentillo (TR), quale danno arrecato –secondo la Procura medesima – al menzionato Comune nella progettazione e costruzione di un impianto sportivo polifunzionale, destinato ad ospitare anche una struttura artificiale per l’arrampicata sportiva, oltre interessi legali, rivalutazione monetaria e spese di giudizio, quest’ultime a favore dello Stato.
2) – I predetti sono stati convenuti nella qualità : a) di Progettista e Direttore dei Lavori, l’A.; b) di Responsabile dell’Ufficio Tecnico del Comune di Ferentillo, il P.; c) di rappresentante legale, il M., della "ARCHITETTURA S. & P. di A. S., B. P. e M. A.", che aveva coadiuvato l’A. nell’espletamento del ricordato incarico di progettista-direttore dei lavori.
3) – La somma di condanna chiesta dalla Procura corrisponde a varie voci di danno, costituite, secondo la Procura medesima:
a) per £ 463.285.351, dalle spese sostenute per "operazione di risanamento e bonifica dell’impianto di arrampicata sportiva, resesi necessarie per ovviare alla completa e perdurante inutilizzabilità" della stessa ;
b) per £ 103.525.728, dai compensi corrisposti alla "Architettura S." per le attività di progettazione, e per £ 55.379.095 dai compensi per la direzione dei lavori del primo e secondo lotto di realizzazione dell’impianto, da "considerarsi inutiliter datae a causa dei vizi di progettazione";
c) per £ 100.000.000, dal "pregiudizio di sicura verificazione, ma di difficile quantificazione, consistente nella indisponibilità ed inutilizzabilità, nei tempi previsti delle opere in discorso", determinato dalla Procura, in via equitativa (ex art. 1226);
d) per £ 100.000.000, dal "pregiudizio all’immagine ed al prestigio dell’Amministrazione comunale", derivante dai fatti addebitati, determinato anch’esso in via equitativa.
4) – La citazione precisa che la vicenda ha preso le mosse da una "denuncia della Federazione dei Verdi del 24/1/2001 e da numerose notizie di stampa" e che, a seguito dell’istruttoria di competenza, è emerso che, con delibera di Giunta n°21 del 9/1/1990, il Comune di Ferentillo ha affidato alla "Architettura S." la redazione del progetto per la realizzazione del ricordato impianto sportivo. Il progetto in questione, ed il relativo piano finanziario, è stato approvato con delibera giuntale n°37 del 23/1/1990, mentre con successiva delibera giuntale n°247 del 13/7/1993 sono stati approvati i progetti per la realizzazione del primo e secondo lotto relativi alla arrampicata sportiva, presentati il giorno precedente.
5) – I lavori sono stati appaltati alla "Impresa Investimenti Immobiliari" mediante contratto sottoscritto il 18/1/1994 e, nel corso della loro esecuzione, si sono rese necessarie due perizie suppletive e di variata distribuzione della spesa, approvate dalla giunta con delibere n° 281 del 30/7/1994 e n°61 del 21/2/1995, determinate, "tra l’altro, (dalla) presenza (di) acqua a quota 4,10 m. dal piano di campagna", riscontrata a seguito di un sondaggio operato in corso d’opera. Successivamente, con delibera n°139 del 12/4/1995, la Giunta ha approvato il progetto di completamento della palestra e sono stati appaltati il terzo ed il quarto lotto. I lavori di tale ultimo lotto -precisa la citazione- sono stati consegnati il 27/9/1997 e sono stati ultimati nel settembre del 1999, dopo una serie di sospensioni per "verifiche della falda esistente e per eventuali lavori aggiuntivi relativi alla bonifica della presenza di acqua" all’interno della palestra; inconveniente, quello della presenza dell’acqua, che –precisa ulteriormente la citazione – "ha comportato e comporta la completa inutilizzabilità dell’opera", per eliminare il quale l’Amministrazione Comunale, su segnalazione del responsabile dell’Ufficio Tecnico, ha intrapreso lavori di risanamento, per un importo complessivo di £ 464. 000.000.
6) – Sulla scorta dei dati emersi nel corso della acquisizione degli atti relativi ai lavori di cui sopra – quali integrati dagli accertamenti diretti, compiuti con la collaborazione del Nucleo di Polizia Tributaria di Terni il 14/3/2001, nonché dall’audizione personale di alcune persone informate dei fatti, operata dal medesimo Nucleo di Polizia Tributaria, e dalla "relazione tecnica" del Prof. Walter Dragoni e della dr.ssa Costanza Cambi del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università degli Studi di Perugia in data 29/9/2001– la Procura ha invitato gli odierni convenuti a dedurre, ai sensi dell’art. 5 della l. n° 19/1994, con atto del 13/11/2001, notificato al P. il 16 novembre seguente ed all’A. ed al M. il successivo 19 novembre. Con tale atto, nel contestare agli odierni convenuti le riferite voci di danno, la Procura ha ritenuto responsabile :
a) il progettista, "arch. A. della Architettura S.", nella misura del 60% dell’importo complessivo del danno stesso, per "palesi e gravi errori di progettazione dell’edificio di che trattasi (1° e 2° lotto), ideato con notevole imperizia e senza tener conto della realtà idrogeologico-territoriale in cui andava a realizzarsi l’opera, omettendo di prevedere e compiere gli accertamenti tecnici del caso, nonché qualsiasi indagine preventiva sulla natura e sulle caratteristiche dei luoghi interessati dall’intervento;
b) il direttore dei lavori, ossia ancora "l’arch. A. della Architettura S.", nella misura di un ulteriore 20% del danno, per "non aver rilevato e segnalato le gravi deficienze progettuali da cui era affetta l’opera, né suggerito l’ effettuazione degli opportuni accertamenti tecnici preventivi di natura idrogeologica, tenuto conto della natura e delle caratteristiche dei luoghi, il cui stato costituiva un vero e proprio fatto notorio";
c) il responsabile dell’Ufficio Tecnico Comunale, geom. P., nella misura del restante 20%, per "non aver vigilato sulla corretta progettazione dell’opera, per aver omesso di suggerire l’effettuazione delle indagini geologiche del caso, prima dell’inizio dei lavori.
7) – Con nota controdeduttiva depositata il 18/12/2001, il P. ha declinato ogni addebito, osservando che egli, "in possesso del diploma di geometra", era nell’impossibilità di "esprimere valutazioni in funzioni di controllo della progettazione", date le "dimensioni e caratteristiche dell’opera, mentre, per quel che attiene alla localizzazione dell’opera stessa, essa era stata stabilita dal Programma di Fabbricazione elaborato dalla medesima "Architettura S.", in base alla perizia del dr. Tarquini, approvato con delibera consiliare n°41 del 13/9/1984. Quanto, poi, all’addebito di non aver suggerito l’ effettuazioni di indagini prima dell’inizio dei lavori, il P. ha osservato che oltre alla indagine geologica ora detta, che localizzava la falda acquifera "alla profondità di 6 m. circa dal piano di campagna", la ditta appaltatrice dei lavori ebbe a commissionare altra indagine geologica al dr. Bronzi, "che espletò il suo incarico con relazione del 6/4/1994", prima –cioè– dell’effettivo inizio dei lavori, "riscontrando la presenza della falda a 4 m. dal piano di campagna". Quanto, invece, all’addebito di non aver indicato all’ Amministrazione la presenza della falda acquifera nel suolo sottostante l’ edificanda struttura, il P. ha osservato che una siffatta presenza "era nota a tutti, amministratori compresi, quanto meno dal 1985, da quando –cioè– venne acquisita la relazione del geologo Tarquini, in occasione della variante al piano di fabbricazione". Da ultimo, quanto all’addebito di aver sottovalutato il grave vizio di progettazione, in relazione al ritardo con cui è stato proposto all’Amministrazione (tra l’altro da un diverso Responsabile dell’ Ufficio Tecnico) l’adozione dei necessari interventi correttivi, il P. ha fatto presente che egli è andato in pensione il 30/9/1997 e che l’acqua apparve nei primi mesi del 1996, ma l’Amministrazione, "nel corso di buona parte del 1997", eliminò il problema attivando le pompe di drenaggio, mentre fu "solo nell’autunno del 1997 (che) si constatava il continuo affioramento dell’acqua, tanto da rilevare l’ insufficienza delle pompe per una definitiva soluzione del problema".
8) – Con nota controdeduttiva depositata il 19/12/2001, l’arch. A. e l’arch. Manticari, hanno declinato ogni addebito, assumendo, in fatto: di aver considerato, nella progettazione, lo s. geologico del dr. Tarquini; di aver, nella direzione dei lavori, compiuto "molteplici ed attente attività di indagine geologica preventive, in collaborazione con la ditta appaltatrice"; di aver dato luogo a "molteplici segnalazioni di possibili interventi correttivi, alcuni dei quali non presi in esame dal Comune per indisponibilità di fondi". Insomma, secondo i deducenti, "il fenomeno di emersione dell’acqua è stato causato da un anomalo ed imprevedibile innalzamento del livello della falda, a sua volta cagionato dal sopravvenire di stagioni eccezionalmente piovose"; in tal senso, è stata trasmessa una perizia giurata del geologo dr. Trastulli del dicembre del 2001. In diritto, invece, l’A. ed il M. hanno eccepito la prescrizione, relativamente: al danno da pretesi errori di progettazione, al danno da "opere supplementari (e) correttive" ed al danno derivante dalla "affermata erroneità e lacunosità di direzione lavori". I predetti hanno, inoltre, eccepito il difetto di giurisdizione di questa Corte, "quanto ad azioni conseguenti a difetti di progettazione, (siccome) commissionate a professionisti esterni all’ente", ed hanno altresì ritenuti sussistente un concorso dello stesso Comune nella produzione del danno, oltre che dei collaudatori, quanto meno – relativamente al Comune– sotto il profilo del mancato adempimento del "dovere di collaborazione", ex art. 1227 cc, per non essersi (il Comune) adoperato per rendere possibile l’attuazione delle suggerite varianti in corso d’opera e per aver ritardato le iniziative per recuperare l’utilizzabilità dell’impianto.
10) – In data 31/1/2002, gli architetti A. e M. sono stati sentiti personalmente, come da loro richiesta, e in data 11/3/2002 hanno depositato una nota integrativa del geologo Trastulli, nonché una nota del Servizio Ambiente ed Ecologia del 26/2/2002, relativa ai dati sulle precipitazioni registrate dall’Osservatorio Meteorologico "Federico Cesi", e degli elaborati grafici.
11) – Con l’atto introduttivo della causa, parte attrice ha sostanzialmente ribadito gli addebiti mossi, specificando l’imputazione a carico dello S. Associato nella misura del 20%, all’interno del 60% addebitato per i ritenuti vizi di progettazione, comunque precisando che l’anzidetto 20% è addebitato alla Architettura S. "in qualità di soggetto incaricato della progettazione e della direzione dei lavori" (v. pag. 37 della citazione), ed ha escluso l’imprevedibilità ed eccezionalità dell’innalzamento della falda, da rapportare –a suo giudizio– alla erroneità e lacunosità del progetto, in relazione alle disposizioni di cui ai DD. MM. 29/5/1895 e 11/3/1988; parte attrice, inoltre, ha negato pregio e consistenza all’eccezione di giurisdizione, evidenziando come, nel caso, si siano cumulate nel medesimo soggetto le funzioni di progettista e di direttore dei lavori.
12) – Costituitosi in giudizio nell’interesse del P. con atto depositato il 5 aprile u.s., l’avv. Mario Rampini ha avversato la pretesa attrice, con memoria depositata il successivo 15 maggio, eccependo anzitutto la prescrizione del vantato diritto risarcitorio nell’importo complessivo del danno, "dal momento che –ha precisato – sono trascorsi quasi nove anni dalla condotta ritenuta causativa di danno", ovvero -in subordine – del minor importo dei corrispettivi per progettazione e direzione lavori, in relazione al tempo del loro pagamento.
Nel merito, invece, ha fatto presente che la progettazione è avvenuta tenendo conto della falda e che "i fenomeni di affioramento sono stati determinati da fattori imprevedibili o quanto meno eccezionali", concludendo con la richiesta di assoluzione del P., "per non aver commesso il fatto causativo del danno, per assoluta carenza del nesso causale e, in ogni caso, per totale assenza della colpa".
In subordine ha contestato la ripartizione e quantificazione del danno, osservando, sotto il primo profilo, come abbiano contribuito alla causazione del danno stesso sia "i due geologi che hanno redatto le relazioni idrogeologiche sulle quali hanno fatto affidamento tutti i convenuti", sia "il sindaco ed i componenti la giunta che hanno deliberato la localizzazione dell’intervento, l’approvazione del progetto, l’indizione della gara di appalto e la stipula del relativo contratto", oltre che "l’impresa appaltatrice che, per capitolato speciale, aveva l’onere di provvedere al progetto strutturale". Sotto il secondo profilo (quantificazione del danno), invece, la difesa del P. ha osservato che manca la prova di spese effettivamente sostenute dal Comune per il ripristino della sua immagine, pretesamene lesa dai fatti dedotti in giudizio, così come mancano prove sulle perdite per il mancato utilizzo dell’impianto per competizioni sportive a livello anche internazionale, alle quali ha fatto riferimento parte attrice, essendo tutto da dimostrare che "tali eventi si sarebbero verificati e che conseguentemente gli stessi avrebbero fatto introitare nelle casse comunali le somme di cui ora si chiede la liquidazione in via equitativa". In ulteriore subordine, è stato invocato l’esercizio del potere riduttivo.
13) – Costituitosi nell’interesse dell’A. e dell’ "Architettura S." con memoria depositata il 17 aprile scorso, l’avv. Umberto Segarelli ha avversato la pretesa attrice, eccependo la prescrizione del diritto risarcitorio e la carenza di giurisdizione per i danni da pretesi vizi di progettazione, prospettando altresì l’esigenza di integrare il contraddittorio con i componenti la giunta che hanno adottato la delibera n°90 del 6/3/1993, con cui è stato approvato in linea tecnica il progetto, e con i collaudatori dell’opera.
Il successivo 15 maggio, il predetto avvocato ha depositato un’altra memoria, con la quale ha più diffusamente illustrato le ragioni delle eccezioni e deduzioni già prospettate ed ha altresì contestato, sia sul piano della valenza probatoria, sia nel merito, la relazione peritale dei consulenti della Procura. A tal proposito, sono state allegate due perizie tecniche, redatte il 10 ed il 14 maggio u.s., a firma – rispettivamente– dell’ing. Bigini e dell’ing. Balucca, che espongono valutazioni positive sulla adeguatezza della relazione geologica del dr. Tarquini ai fini della redazione del progetto dell’opera in discorso. Sulla scorta di tali perizie, la difesa dei convenuti ha anche ipotizzato una carenza di colpa, per errore scusabile. Parimenti, poi, la difesa ha escluso ogni colpa e manchevolezza nella direzione dei lavori, atteso che –si è evidenziato– ancor prima dell’inizio dei lavori venne realizzata, su proposta dell’A., una seconda relazione geologica e che, a seguito del verbale di constatazione del 4/10/1994, nel quale si registra l’affiorare di "materiale torboso", vennero realizzate "opere di drenaggio, tubazioni, pozzetto di raccolta con pompa per lo scarico, vespaio e doppia rete metallica per un miglior massetto", idonei ad evitare ogni danno, tant’è –si soggiunge – che solo il 19/2/1998, "durante l’ esecuzione dei lavori del 3° e 4° lotto, venne, per la prima volta, constato l’affioramento dell’acqua all’interno della palestra", che pure si sarebbe potuta togliere usando il predisposto sistema di drenaggio con l’ausilio della pompa. Ciò non venne fatto e quindi, ad avviso della difesa, il danno relativo alle spese sostenute per eliminare il problema dell’allagamento della palestra, mediante una paratia intorno all’ edificio (realizzata successivamente), andrebbe posto a carico dei responsabili del settore tecnico del Comune di Ferentillo susseguitesi dal marzo 1999 in poi, da chiamare in causa ad integrazione del giudizio, per la mancata attivazione del sistema di drenaggio, e sui componenti della giunta che hanno adottato le delibere che hanno comportato la spesa per la realizzazione della predetta paratia, "del tutto superflua, stante l’idoneità dei sistemi di drenaggio e della pompa a risolvere il problema", da chiamare parimenti in causa.
Sul piano istruttorio, invece, è stato chiesto di disporre una consulenza tecnica per accertare se la palestra "era ed è dotata di impianti idonei a superare l’inconveniente della risalita d’acqua dalla falda e del suo ristagno sul piano di gioco", nonché di acquisire elementi per stabilire le ragioni per cui, verificatosi la comparsa d’acqua nella palestra, il Comune non ha attivato il sistema di drenaggio, mediante l’uso della pompa e se la pompa stessa era o meno alimentata da energia elettrica nel periodo 1999-2000. Ancora, sul piano istruttorio, è stato chiesta la prova per testi sulla veridicità del fatto che nel redigere il progetto venne "esaminato e vagliato lo s. del geologo Tarquini" e vennero "effettuati diversi sopralluoghi sull’area prescelta per la localizzazione dell’opera e sulle superfici circostanti", nonché sulla veridicità del fatto che, "riscontrato l’affioramento dell’acqua al di sopra del piano di gioco (il) 19/2/1998, l’inconveniente venne eliminato grazie all’attivazione per una giornata della pompa".
In via subordinata, poi, è stata contestata la determinazione del danno, sostenendosi che le spese di progettazione e di direzione dei lavori, in quanto hanno consentito la realizzazione di un’opera che è in via di recupero, non possono dirsi affetti da "inutilità assoluta", come sostenuto dalla Procura, e "non v’è luogo ad annoverare i compensi de quibus tra le partite di danno".
14) – All’odierna pubblica udienza, il PM ed i difensori dei convenuti hanno ribadito le loro tesi concludendo in conformità.
In particolare, il P.M. ha sostanzialmente riconosciuto un qualche fondamento all’eccezione di prescrizione, per il diritto risarcitorio relativo al danno da progettazione e direzione dei lavori, ed ha esposto argomenti per escludere la necessità di una qualsivoglia integrazione del contraddittorio.
DIRITTO
15) – Il Collegio ritiene, anzitutto, infondata l’eccezione di giurisdizione, dedotta dalla difesa dell’arch. A. e dell’associazione "Architettura S. & P. di Architetti A. S., B. P., M. A.".
Sostiene, al riguardo, la predetta difesa che questa Corte sarebbe "carente di giurisdizione quanto ad azioni di danni pretesamene conseguenti a difetti, erroneità, lacunosità di progettazioni commissionate a professionisti esterni all’ente, specie se risalenti ad epoca antecedente alla l. n°109/1995", e richiama in proposito "la copiosa e risalente giurisprudenza (e) in particolare, da ultimo, C.d.C., III^ C.A. 11/VII/2001 n°186" (v. pag. 4 della nota controdeduttiva del dicembre del 2001); tanto per farne discendere la inammissibilità "in parte qua della chiamata in giudizio dell’arch. A. e dello S. Architettura" per, rispettivamente, il "40% e 20% del danno totale" (v. pag. 2 della memoria difensiva del maggio 2002).
In sostanza, secondo la suddetta difesa, in ipotesi di progettazione affidata a "professionisti esterni, costoro (sarebbero) legati, nello svolgimento dell’attività commissionata, da un contratto d’opera, riconducibile all’art. 2230 c.c., che non implica svolgimento di pubbliche funzioni e che non genera perciò un rapporto di servizio con la P.A." (v. pag. 3 della ricordata memoria del maggio 2002).
Sul versante opposto, la Procura, partendo dal fatto che l’A. e lo S. Associato hanno rivestito, nel caso, "la doppia qualifica di progettista e direttore dei lavori", evidenzia come, allorquando si concentrano "nello stesso soggetto i compiti di progettista e direttore lavori, è univoco l’orientamento della giurisprudenza circa l’assoggettabilità di tali figure alla giurisdizione della Corte dei conti"; cita in proposito varia giurisprudenza e richiama pure l’altro "recente orientamento che … afferma la giurisdizione della Corte dei conti sul progettista privato professionista" anche quando questi non cumuli, con detto ruolo di progettista, quello di direttore dei lavori.
Ebbene, in disparte tale ultimo orientamento, irrilevante in fattispecie, data la confluenza nei soggetti evocati in giudizio della doppia posizione di progettista e direttore dei lavori, non v’è dubbio che la tesi della Procura, sulla sussistenza della giurisdizione di questa Corte relativamente al progettista che sia stato anche direttore dei lavori, è perfettamente consonante con i principi elaborati dalla giurisprudenza in proposito; principi che, basati sull’analisi funzionale dei doveri che correlano il direttore dei lavori al progettista, vanno condivisi e ribaditi, data la loro intrinseca razionalità.
I fatti di causa, invero, dimostrano ampiamente che l’A. e la Architettura Studi hanno operato non già come semplici progettisti, ma entrambi come "progettisti-direttore dei lavori", ed in questa doppia veste sono stati chiamati in giudizio ( v. pagg. 27 e ss. e pag. 37 della citazione), come –del resto– ammette la loro stessa difesa (v. pag. 1 della memoria dell’avv. Segarelli del maggio 2002).
Ora, in casi del genere, ossia in casi di cumulo della posizione di progettista e di direttore dei lavori, la giurisprudenza è fermissima nel ritenere sussistente il potere cognitorio e decisorio di questa Corte sulle pretese risarcitorie connesse alla complessiva attività di progettazione-direzione dei lavori.
In realtà, in simili ipotesi, i doveri di verifica del progetto, propri del direttore dei lavori (ex art. 5 del RD 25/5/1895, n°350), vengono ad attualizzarsi già nella fase della progettazione, così che la progettazione continua ad avere una sua autonomia solo ideale ed astratta dalla direzione dei lavori, mentre l’ufficio di direzione dei lavori ed i doveri che ad esso si correlano assorbono quelli del progettista.
In sostanza, nei casi di che trattasi, la figura del progettista sfuma in quella del direttore dei lavori: figura da sempre ritenuta soggetta alla giurisdizione della Corte dei conti (v. tra le più recenti SS.UU. Cass. n°515/2000).
Di qui, dunque, la sussistenza della giurisdizione di questa Corte sulla complessiva vicenda all’esame e, quindi, anche sulla parte di essa che attiene alla progettazione, alla quale parte attrice rapporta il 60% del complessivo danno addebitato.
Peraltro, il fatto che la Procura abbia ritenuto, nel caso, di considerare in maniera autonoma la progettazione dalla direzione dei lavori, alla quale ha rapportato il 20% del danno, non sposta minimamente i termini della questione sulla giurisdizione e le conclusioni del Collegio al riguardo : la valutazione separata della progettazione dalla direzione dei lavori, rilevante essenzialmente sul piano causale, infatti, attiene semplicemente alle scelte discrezionali dei modi concreti di esercizio dell’azione (obbligatoria) di responsabilità, riservate alla Procura .
16) – In effetti, la sostanziale unificazione, a fini di giurisdizione, della fase della progettazione a quella della direzione dei lavori, in ipotesi di cumulo nel medesimo soggetto dei compiti di progettista e di direttore dei lavori, non esclude che, a fini diversi, si possa anche avere un certo interesse a stabilire il peso causale e di concreta responsabilità che si lega alle due fasi, idealmente ed astrattamente pur sempre distinguibili; e ciò almeno nei casi in cui il soggetto che cumula le due posizioni non sia una persona fisica, ma un’entità soggettiva complessa, quale –in fattispecie– un’associazione di professionisti.
Un distinguo del genere, in realtà, è funzionale al bilanciamento ed al contemperamento delle esigenze, a volte contrapposte e pur sempre perseguite entrambe dalla Procura, del pieno ed integrale risarcimento del danno erariale, da un lato, e della piena e completa attuazione del principio di personalità della responsabilità amministrativo-contabile, dall’altro.
Sono noti infatti, sotto questo ultimo profilo, i problemi ai quali ha dato luogo l’esercizio dell’azione di responsabilità nei confronti delle persone giuridiche, in rapporto oltre che alla sussistenza della giurisdizione di questa Corte, anche alla verifica dello stato soggettivo del dolo o della colpa grave, essendosi finanche dubitato che la persona giuridica potesse rispondere in luogo della persona fisica che per essa ha agito.
Su simili problemi sono intervenute, anche di recente, le Sezioni Unite della Cassazione che, nell’affermare la giurisdizione della Corte dei conti e la validità del metodo di imputazione alla persona giuridica dell’elemento soggettivo del dolo e/o della colpa grave secondo il paradigma della "immedesimazione organica" della persona fisica che ha in concreto agito (v. Cass. SS.UU. Civ. sent. n°123/ 2001), hanno sostanzialmente avallato l’orientamento finora seguito dalla stessa Corte dei conti su entrambi i cennati profili, della giurisdizione e del metodo di imputazione dell’elemento soggettivo (cfr. tra le tante Sez. Giur. Siciliana n°390/1998 e Sez. I^Giur. Cont. n°178-A/1999).
Parimenti, per le associazioni non riconosciute, si è più volte affermata la giurisdizione di questa Corte su di esse, ovviamente sussistendo un rapporto di servizio con una P.A., e ci si è soffermati anche sul rapporto di solidarietà che intercorre tra il "fondo comune", proprio dell’associazione, e quello personale del soggetto che per essa ha agito, previsto dall’art. 38 cc, conformemente alla ridotta capacità patrimoniale dell’associazione, ovvero al regime di autonomia patrimoniale imperfetta che regola i rapporti tra l’Associazione stessa ed i soggetti che vi appartengono (v., Sez. Giur. Sicilia n°156/1999, Id. n°201/1999 e Sez. Giur. App. Reg. Sicilia n°183-A/2001).
Sulla spinta delle esigenze di "personalizzazione" della responsabilità amministrativo-contabile, di recente, però, non sono mancati casi in cui, all’opposto, la Procura ha citato in giudizio la persona fisica in luogo della persona giuridica per la quale essa aveva agito.
Sul punto si registrano le prime positive valutazioni, essendosi evidenziato come "le caratteristiche peculiari della responsabilità amministrativa, e in particolare la sua personalizzazione, non potrebbero non indirizzare l’azione pubblica di responsabilità, al di là dello schermo societario, verso gli effettivi responsabili della società medesima" (cfr. Sez. Giur. Reg. Molise n°64/1998).
Ora, è evidente che, in siffatto nuovo contesto, il superamento dello "schermo" organizzativo che ha permesso l’entificazione, reca con sé il limite di ancorare la misura della responsabilità al solo patrimonio della persona fisica che in concreto ha agito ed è stata chiamata in giudizio; ciò che, a sua volta, può avere riflessi negativi sulla integrale soddisfazione della pretesa risarcitoria, non potendosi certo aggredire il patrimonio o (in caso di associazione non riconosciuta) il "fondo comune" dell’ente rimasto addirittura estraneo al giudizio.
In questa ottica, le ipotesi di chiamata congiunta in giudizio della persona giuridica (o dell’associazione di fatto) e della persona fisica che per essa ha agito, con chiara e specifica indicazione della rispettiva misura di responsabilità, vanno riguardate come tentativi di contemperare e bilanciare al meglio le esigenze risarcitorie con quelle di realizzazione del principio di personalità della responsabilità, e consentono di ritenere legittimati passivamente entrambe le persone chiamate (quella giuridica, o l’ente di fatto, e quella fisica), ma negli stretti ambiti patrimoniali fissati in citazione.
17) – In relaziona a ciò dunque, l’A. e l’Architettura S. sono entrambi legittimati all’odierno giudizio, e sul punto -del resto- mancano eccezioni di parte, nella stretta misura fissata in citazione, ossia –rispettivamente– 60% e 20% del complessivo danno contestato, secondo le conclusive richieste di cui a pag. 37 dell’atto introduttivo della causa, per il diverso apporto causale indicato nella citazione stessa, che il Collegio ritiene di condividere e sul quale –pure– mancano eccezioni di parte.
Va da sé che si il riparto ffatto di responsabilità di cui sopra vale solo nei rapporti esterni dei convenuti con il danneggiato comune di Ferentillo, laddove i rapporti interni tra i convenuti stessi restano disciplinati dalle norme di diritto comune che li riguardano e dalle specifiche, eventuali pattuizioni contrattuali fissate in proposito dai professionisti che fanno parte dell’Associazione medesima, e non impegnano questa Corte.
18) – Tanto premesso, nel merito, la pretesa attrice è parzialmente fondata, con riguardo al solo danno all’immagine.
Relativamente alle altre poste di danno si osserva quanto segue.
19) – Con riferimento, anzitutto, alle somme (£ 463.285.351) erogate per le "operazioni di risanamento e bonifica dell’impianto di arrampicata sportiva", difetta per esse l’intrinseco profilo oggettivo dell’inutilità della spesa, ontologicamente necessario per considerare dannoso un qualsivoglia esborso di pubblico danaro.
La spesa in questione, allo stato degli atti, risulta imposta dalla necessità di recuperare la palestra polifunzionale di Ferentillo; essa, quindi, appare utile e certamente non dannosa, salvo a dimostrare che l’intervento di recupero non sia stato idoneo a raggiungere lo scopo, così vanificando la spesa in questione.
Verificandosi tali ipotesi, però, il danno andrebbe posto a carico di chi ha ordinato la spesa stessa e/o ha eseguito i lavori di risanamento, ma certamente non andrebbe posto a carico di chi ha realizzato la palestra da risanare, da ritenere comunque intrinsecamente utile, nonostante i limiti della sua realizzazione, perché diversamente non si sarebbe speso nulla per il suo risanamento.
20) Con riferimento, poi, al pregiudizio da: "indisponibilità e inutilizzabilità nei tempi previsti" della palestra (£ 100.000.000), determinato dalla Procura in via equitativa, ex art. 1226 cc, siccome –ha precisato la Procura medesima– "di sicura verificazione, ma di difficile se non impossibile quantificazione" (v. pag 12 della citazione), deve dirsi che in realtà difetta, per esso, una qualche prova della sua effettiva "verificazione", come giustamente hanno osservato, al riguardo, i difensori dei convenuti.
In particolare, sotto il profilo, dei "mancati introiti" connessi all’uso della palestra per la disciplina dell’ "arrampicata sportiva, per la quale il comune di Ferentillo si era candidato a divenire sede di eccellenza per lo svolgimento di competizioni a livello europeo" (v. ancora pag. 12 della citazione), difettano in atti elementi di riscontro di tali "mancati introiti", non risultando neanche che le aspettative del predetto Comune al riguardo si siano mai tradotte in concrete ed avanzate iniziative di accordi per competizioni sportive; giusta le considerazioni espresse in proposito dalla difesa del P. (v. pagg. 18-19 della memoria dell’avv. Rampini del maggio 2002).
Peraltro, la carenza di un autonomo danno da "indisponibilità e inutilizzabilità nei tempi previsti" della palestra non esclude che la vicenda, avendo avuto una certa risonanza, abbia inciso negativamente sulla stessa prefigurazione del Comune di Ferentillo come "sede di eccellenza" per lo svolgimento di competizioni di "arrampicata sportiva", e di ciò, quindi, dovrà tenersi conto ai fini della emersione e determinazione del danno all’immagine subito dal Comune stesso.
21) Venendo, da ultimo, alle spese per i compensi corrisposti per la progettazione (£ 103.525.728) e per la direzione dei lavori del primo e secondo lotto di realizzazione della palestra (£ 53.379.095), che la Procura ritiene "inutiliter datae", deve dirsi che per tale posta di danno risulta prescritto il relativo diritto risarcitorio; giusta le eccezioni formulate in tal senso dalle difese dei convenuti.
Peraltro, l’accoglimento di tale eccezione rende superfluo ogni più approfondito esame sul carattere dannoso dell’intera spesa di progettazione e direzione dei lavori, o non piuttosto di una parte soltanto di essa, come sostenuto dalla difesa dell’A. e dell’Associazione S. (v. pag. 12 della memoria dell’avv. Segarelli del maggio 2002).
In effetti, alla stregua della documentazione versata in atti dalla Procura, il pagamento delle spese di progettazione e direzione dei lavori del I° e del II° lotto è avvenuto in date ricomprese tra il maggio del 1992 (v. mandato n°308 del 12/5/1992) ed il gennaio del 1996 (v. mandato n°29 del 18/1/1996); di talché, decorrendo la prescrizione, nel caso "di danno da erogazione di una somma di denaro, dalla data del pagamento" (ex SS. RR. n°7-QM/2000), è evidente che il diritto risarcitorio si era già prescritto al tempo del suo esercizio, anche a voler accordare effetto interruttivo all’invito a dedurre, siccome notificato ai convenuti il 16-19/11/2001: ben dopo, cioè, lo spirare del termine quinquennale, di cui all’art. 58, comma 4, della l. n°142/1990.
22) – A diversa conclusione, invece, deve pervenirsi relativamente alla pretesa risarcitoria per il danno all’immagine : l’unica per la quale, come anticipato, l’azione della Procura deve ritenersi fondata, sia pure entro limiti quantitativi minori da quelli indicati in citazione.
Anche per il diritto risarcitorio vantato per tale danno, in realtà, può ritenersi eccepita la prescrizione, da parte dei convenuti, data l’ampiezza della relativa formulazione nei loro scritti difensivi.
Per il danno in questione, tuttavia, l’eccezione stessa non è fondata.
Il danno all’immagine si inquadra, come ben osservato in aula dalla Procura, tra i "danni di durata"; tra i danni, cioè, che non esauriscono subito i loro effetti, ma che vedono gli effetti stessi della lesione protrarsi nel tempo "per un periodo variabile da caso a caso, in relazione anche alle dimensioni ed alla consistenza della lesione medesima, rinnovando ed alimentando di momento in momento il corrispondente diritto risarcitorio" (cfr. in proposito, di questa Sezione sent. n°557-R/2000).
D’altronde, nel caso, il clamor e la divulgazione giornalistica della vicenda, alla quale pure va assegnato un certo ruolo nella emersione e dimensionamento del danno all’immagine (v. di questa Sez. sent. n°39/2002, paragrafo 6.4, nonché Sez. I^ Giu. Centr. d’Appello n°305-A/2001) si è avuto entro il predetto termine quinquennale di prescrizione, pur accordando -per favor debitoris- effetto interruttivo alla citazione e non all’invito a dedurre: gli articoli di stampa che si sono occupati della vicenda sono tutte del gennaio 2001 ed il clamor (anche quello interno) è pressoché coevo.
23) – Così respinta l’eccezione di prescrizione per il diritto risarcitorio relativo al danno all’immagine, nel merito, il Collegio ritiene fondato l’addebito su cui poggia tutta la linea ragionativa dell’accusa: l’aver, cioè, i convenuti dato per scontato "la stabilità nel tempo della falda" sulla quale è stata costruita la palestra, segnalata nello s. geologico del dr. Tarquini del 1984, elaborato per la "Variante al Programma di Fabbricazione" del Comune di Ferentillo (v. pag.33 della citazione).
Trattasi di un errore tecnico inescusabile, che evidenzia, in relazione alle caratteristiche del caso, la colpa grave dei convenuti, per aver usato nell’attività di progettazione-direzione dei lavori, da un lato, e nell’adempimento dei doveri propri del capo dell’ufficio tecnico comunale, dall’altro, uno sforzo di diligenza ampiamente al disotto di quello medio, proprio delle figure professionali ora dette, ex art. 1176 cc .
Dopo la redazione dello s. del dr. Tarquini, che indicava la presenza della falda "a 6.00 m. circa dal p.c." (v. pag. 27 della relativa copia in atti), infatti, non è stato operato nessun altro approfondimento sulla falda stessa, ai fini specifici della redazione del progetto della palestra, che –si badi – proprio su tale falda doveva essere costruita.
E’, questa, una mancanza gravissima, resa ancor più significativa, sul piano normativo, dal fatto che tra la data del predetto s. (1984) e quella di redazione del progetto del I° e II° lotto funzionale è intervenuto il DM 11/3/1988, recante norme integrative dei "Criteri generali e (delle) prescrizioni per la progettazione, la esecuzione ed il collaudo delle opere di sostegno delle terre e delle opere di fondazione".
Trattasi, vale evidenziarlo, di decreto che, come correttamente rilevato in citazione da parte attrice, prevede tutta una serie di studi e di accertamenti sui quali basare la progettazione di un’opera, in relazione alla "caratterizzazione geotecnica del suolo (v. lettera A.2. : "Prescrizioni Generali" del citato DM) e tenendo anche conto della "circolazione idrica superficiale e sotterranea" (v. lettera B.5. "Relazioni sulle indagini. del predetto DM).
In particolare, sotto questo ultimo profilo, nel cennato decreto si precisa che "le indagini geotecniche (devono comprendere) perforazioni di sondaggi o scavi, prelievo di campioni, rilievo delle falde acquifere, prove in laboratorio, prospezioni geofisiche" (v. lettera B.4. "mezzi di indagine" del ripetuto D.M.).
Tutta la normativa del DM in questione, in sostanza, orienta la progettazione in termini tali da indurre a considerare i fattori che possono influire sull’opera da costruire, all’evidente fine di ridurre al minimo gli "imprevisti", se non di eliminarli completamente (v. pag. 22 della citazione).
Ora, come giustamente ha osservato parte attrice, "a fronte di un quadro normativo-tecnico così chiaro, e soprattutto tale da consentire di graduare le indagini geologiche a seconda del tipo di sito e di terreno sul quale realizzare l’opera, i progettisti della palestra polifunzionale di Ferentillo non compiono, e dal canto suo il responsabile dell’Ufficio Tecnico comunale non fa compiere, non solo alcuno s. geologico o geotecnico da allegare alla progettazione, ma nemmeno alcuna indagine, rilevazione o ispezione che sia ; il progetto agli atti del (predetto) comune, presentato il 12/7/1993 e approvato il giorno dopo, non presentava in allegato alcuna relazione geologica o idrogeologica, nonché alcun cenno tecnico al contesto territoriale in cui l’ edificio si andava ad inserire" (v. pag. 23 della citazione).
Trattasi effettivamente di una carenza gravissima, che evidenzia l’assoluta mancanza di ogni considerazione tecnica dello s. del dr. Tarquini del 1984.
La difesa dei progettisti-direttori dei lavori, invero, confutano la "inadeguatezza" delle indagini funzionali alla progettazione lamentata dalla Procura e, con l’ausilio di una consulenza tecnica, sostengono che lo s. del Tarquini, elaborato per la variante al Piano di Fabbricazione, era sufficiente ad orientare la progettazione; chiedono, quindi, la escussione di testi per provare che, "nell’elaborazione del progetto dell’impianto sportivo, è stato esaminato e vagliato lo s. del dr. Tarquini" e per provare "che, in fase di elaborazione del (predetto) progetto, sono stati effettuati diversi sopralluoghi sull’area prescelta" (v. pagg. 5–6 della memoria dell’avv. Segarelli del maggio 2002).
A ben vedere, nel caso, non v’è stata "inadeguatezza", ma mancanza assoluta di una qualsivoglia "attività di cognizione preventiva" per la progettazione, ulteriore rispetto al ricordato s. del dr. Tarquini del 1984.
D’altro canto, che lo s. del dr. Tarquini sia stato considerato dai convenuti è alquanto probabile, e sul punto il Collegio ritiene superflua anche la prova per testi chiesta dalla difesa dei medesimi; ma trattasi, ed è questo il profilo dell’addebito, di una considerazione meramente cognitivo-pscicologica e non tecnico-normativa, ex citato DM del 1988.
I convenuti, insomma, hanno preso atto della falda e di quanto su di essa diceva lo s. del Tarquini, ma non ne hanno tratto, a fini progettuali, le logiche conseguenze, con i necessari approfondimenti imposti dalla particolarità dell’area sulla quale costruire la palestra, conformemente ai canoni introdotti dal ripetuto DM del 1988, e dal costo dell’opera; e tutto ciò è ancor più grave ove si consideri che lo s. del dr. Tarquini risaliva al 1984 e dedicava alla falda appena 11 riga (v. pag. 27 della relativa copia in atti).
Palese, nel descritto contesto, la colpa grave dei convenuti, vale solo precisare, quanto al capo dell’Uffico Tecnico, che ciò che gli si imputa non è di non aver verificato il merito della progettazione, come mostra di ritenere la difesa del medesimo laddove invoca il non eccessivo livello di conoscenza tecnica del P., legata alla sua qualifica di Geometra (v. pag. 2 della nota controdeduttiva e pag. 6 della memoria del maggio 2002), ma di aver consentito l’approvazione del progetto sebbene non recasse in allegato alcuno s. atto a dimostrare che la falda, segnalata da tempo, fosse stata davvero esaminata, in relazione alle prescrizione ed ai fini perseguiti dalla più volte richiamata normativa di settore.
24) – Una volta che il progetto è stato così lacunosamente elaborato ed approvato, la sua concreta esecuzione, e la connessa direzione dei lavori, ha finito per costituire un inutile tentativo di rimediare agli inconvenienti della presenza dell’acqua a livelli via via minori dei 6 metri indicati nello s. del dr. Tarquini; e di tanto danno atto le varie perizie di variante, tutte determinate -in larga parte- da problemi connessi alla risalita della falda.
In questo senso, come giustamente osservato da parte attrice, "il proliferare di relazioni geologiche durante l’esecuzione dei lavori, e non in sede di progettazione, dimostra la sussistenza e la rilevanza del problema della risalita della falda e, per converso, l’assoluta inidoneità del progetto a supportare tecnicamente la corretta costruzione dell’ opera" (v. pag. 26 della citazione).
La prima relazione geologica, redatta il 6/4/1994 dal dr. Bronzi su incarico della ditta appaltatrice, prima dell’inizio dei lavori (su questo dato il Collegio condivide le argomentazioni della difesa del Capo Ufficio Tecnico P., di cui a pag. 7-8 della memoria del maggio 2002), rileva la presenza della falda non più a 6 metri, ma a 4 metri.
Ad essa fa seguito la prima perizia di variante, preannunciata dall’arch. A. al Sindaco di Ferentillo con la nota del 14/5/1994, nella quale –vale riportarla per esteso– veniva precisato che : "nel corso dei lavori si sono verificate condizioni diverse da quanto previsto precedentemente", consistenti, tra l’altro, nella "presenza di acqua a meno di 4 metri dal piano di campagna" (v. allegato 6 alle controdeduzioni dell’A.).
Nell’agosto seguente, nonostante la predetta relazione geologica del dr. Bronzi, la ditta appaltatrice dei lavori partecipava all’A. "perplessità sulla idoneità dello strato del sottosuolo destinato a sedime di fondazione delle strutture interrate della palestra" (v. nota della Impr. Investimenti Immobiliari 3 I, in data 5/8/1994, ex allegato 8 alle controdeduzioni dell’A.).
Nel successivo mese di ottobre, poi, si hanno le prime, concrete manifestazioni dell’acqua della falda, sub specie di "materiale torboso" e si redige apposito "Verbale di Constatazione", nel quale si precisa che "in corrispondenza della soletta di fondo della cavea della gradinata, a partire dalla quota 241,50, sono comparsi materiali torbosi umidi, costituenti il fondo del lago che in antico occupava la zona" (v copia di tale verbale, ex allegato 10 delle controdeduzioni dell’A.).
Si arriva, così, alla seconda perizia di variante, redatta nel febbraio del 1995, nella quale si chiarisce che sono emersi degli imprevisti e che, "per maggior sicurezza contro il pericolo di risalita della falda e l’inconsistenza del piano attuale, è necessario costituire un sottofondo con vespaio in pietrame e realizzare una rete di drenaggio con conseguenti scavi, rinterri, tubazioni, canalette di scolo, pozzetti (e) creare il piano dell’area di gioco con soletta in calcestruzzo armata con doppia rete" (v. Relazione del Direttore dei Lavori alla seconda perizia di variante del 18/2/1995 in atti).
I lavori vengono realizzati e collaudati, e ai suddetti "accorgimenti" i convenuti assegnano un ruolo risolutivo del problema, fino a sostenere che, se correttamente usati, essi avrebbero impedito l’ allagamento della palestra ; inviano, a dimostrazione di ciò, altra relazione peritale di parte e chiedono anche di sentire dei testi ed un consulente tecnico d’Ufficio (v. pagg. 8, 9 e 11 della memoria dell’avv. Segarelli del maggio 2002).
La documentazione in atti dimostra ben altro, rispetto alla idoneità dei predetti "accorgimenti" ed al loro colpevole non utilizzo da parte del Comune.
Dopo neanche un anno dal collaudo, il Comune di Ferentillo, nel corso della realizzazione del 3° e 4° lotto per il completamento dell’impianto sportivo, chiede alla Geostudi la redazione di una nuova relazione geologica e geotecnica, che viene redatta il 29/7/1996, nella quale, per la prima volta, vengono rilevati i termini esatti del problema della falda e delle sue concrete caratteristiche.
Frattanto i lavori proseguono con alterne vicende, venendo sospesi per la comparsa dell’acqua nella palestra che, in disparte le affermazioni del P. sulla comparsa della stessa già nel 1997 (v. scritti difensivi del medesimo), è documentalmente attestata in atti una prima volta nel febbraio-aprile 1998 (v. verbale di sospensione del 19/2/1998 e di riperesa del 28/4/1998 in atti) e subito dopo, nel successivo mese di luglio.
Tale ultima sospensione risulta determinata dalla necessità di procedere "alla variante di progetto per lavori imprevisti" (cfr. verbale di sospensione di pari data in atti); lavori che sostanzialmente sono quelli occorrenti per "una eventuale bonifica (della) falda esistente", dalla "stensione imponderabile" (v. perizia di variante suppletiva, redatta dallo stesso A. il 20/7/1998).
Seguono ulteriori riprese e sospensioni, "per la presenza di acqua all’interno della palestra" (v., testualmente, verbale di sospensione del 19/3/1999), fino a quando lo stesso A., con nota del 18/8/1999, relazionando al sindaco di Ferentillo sull’andamento dei lavori, fa presente che:
a) i lavori del 4° lotto "risultano completati in ogni loro parte e che comunque non sono stati formalmente ultimati, allo scopo di definire la soluzione più idonea alla bonifica della falda";
b) a seguito di "una precisa verifica tecnica risulta possibile eliminare il noto problema dell’acqua della falda, prevedendo delle idonee canalizzazioni di deflusso per una lunghezza di circa ml. 580,00";
c) la spesa per "la realizzazione di tali opere è stata preventivamente valutata in £ 140.000.000 circa" e "si ritiene opportuno prevedere l’integrazione dei nuovi lavori di bonifica con quelli relativi al 4° lotto di completamento, (quale) variante suppletiva, che, come ricordato in precedenza, sono in attesa di essere formalmente chiusi" (v. relativa copia in atti).
Ebbene, una lettera del genere ha senso solo a condizione di ritenere gli "accorgimenti" realizzati a seguito della seconda perizia di variante (quella, per intenderci, del 1995) assolutamente inidonei ad evitare la risalita dell’acqua nella palestra.
Di qui l’inutilità di sentire, ora, testi e/o consulenti tecnici sulla pretesa attitudine degli accorgimenti stessi a tenere, allora, la situazione sotto controllo.
La vicenda, poi, si è chiusa con l’apposito intervento di risanamento (£ 463.285.351) di cui si è detto al precedente paragrafo 19) : in maniera diversa, quindi, dalla perizia di variante ipotizzata dall’A..
25) – Così definiti i profili relativi all’addebitata condotta ed alla colpa grave che l’ha sostenuta, il Collegio ritiene di non poter accogliere le richieste di integrazione del contraddittorio, avanzate dalle difese dei convenuti; tanto con riferimento agli Amministratori che hanno localizzato l’opera (evocati dall’avv. Rampini a pag. 17 della sua memoria del maggio 2002), non inserendosi una simile localizzazione nella catena causale del danno, come attesta la relazione peritale del consulente tecnico della Procura; quanto con riferimento ai due "geologi che hanno redatto le relazioni idrogeologiche sulle quali hanno fatto affidamento tutti i convenuti" (v. ancora pag. 17 della memoria dell’avv. Rampini), atteso che entrambe dette relazioni non sono mai state funzionalizzate alla redazione del progetto della palestra, ma a fasi diverse da essa.
Relativamente, poi, all’impresa appaltatrice, che pure aveva "l’onere di provvedere al progetto strutturale" (cfr. ancora pag. 17 della memoria dell’avv. Rampini), deve osservarsi che essa si è trovata a redigere tale progetto senza il benché minimo orientamento sull’entità e soprattutto sulle caratteristiche della falda, e ciò proprio a causa della mancata realizzazione di uno s. ad hoc nella fase della redazione del progetto di massima, o di quello relativo al I° e II° lotto funzionale, quale sede "naturale" di realizzazione di un siffatto s., per consentire, nelle fasi successive (e segnatamente in quella esecutiva), i necessari approfondimenti del caso.
Parimenti non possono essere chiamati in giudizio gli amministratori che hanno approvato il progetto (evocati sia dall’avv. Rampini che dall’avv. Segarelli) e i collaudatori del 1° e 2° lotto (evocati dal solo avv. Segarelli), posto che la natura tecnica della materia su cui è intervenuta l’approvazione stessa lascia, quanto ai primi, agevolmente intravedere -allo stato degli atti- l’assenza di una qualche loro colpa grave, mentre i secondi si sono limitati a verificare la rispondenza dei lavori eseguiti ai progetti, senza che con ciò si possa muovere loro alcun addebito; giusta le considerazioni espresse in aula dal PM, per entrambi i predetti, evocati soggetti.
26) – Passando –a questo punto– al danno, il Collegio ritiene che effettivamente il comportamento addebitato ai convenuti sia stato idoneo, in relazione alla sua gravità in concreto, a ledere l’immagine del Comune di Ferentillo, con ciò stesso determinando una "spesa necessaria al (suo) ripristino" (ex Cass. SS.UU. Civ. n°5668/1997 e n°744/1999).
Al riguardo, contrariamente all’assunto della difesa del P., che fa dipendere l’esistenza del danno all’immagine dalla specifica prova della "spesa necessaria (rectius: sostenuta) per il ripristino della immagine", richiamando Sez. I^ Giur. Centr. d’Appello n°209-A/1999 (v. pagg. 17-18 della memoria dell’avv. Rampini del maggio 2002), deve qui ribadirsi quanto già considerato da questa Sezione in ordine all’inquadramento del danno all’immagine nell’ambito del "danno evento" e non nel "danno conseguenza" (v. al riguardo, di questa stessa Sezione, sent. n°557-R/2000).
L’immagine ed il prestigio costituiscono dei beni essenziali per l’esistenza stessa della persona giuridica pubblica, ed in questo senso la loro lesione costituisce un danno esistenziale; danno che si perpetra in forza della semplice lesione dei predetti beni-valori e che pone, per ciò solo, un nocumento patrimoniale, rappresentato -da un lato- dalla vanificazione delle spese sostenute per il mantenimento e l’elevazione dell’immagine e del prestigio dell’ente pubblico e -dall’altro- dalle spese comunque occorrenti per il ripristino di tali beni-valori (cfr., al riguardo, la già citata sent. n°557-R/2000 di questa Sezione).
Il problema della prova dell’esistenza e della patrimonialità di un siffatto danno va, dunque, disancorato da quello della prova della specifica spesa sostenuta per ripristinare l’immagine, anche perché –si badi– l’immagine dell’ente pubblico, a differenza di quella dei privati, va necessariamente "ripristinata" e non semplicemente "riparata" (cfr. le richiamate sentenze delle SS.UU. della Cassazione), ed è noto che il "ripristino" è cosa diversa dalla "riparazione", non consentendo in nessun modo di stabilire esattamente i costi ed i tempi della sua realizzazione e dare, quindi, altrettanto esattamente prova degli uni e degli altri.
Per tali ragioni, quindi, il problema della "determinazione della spesa necessaria al ripristino del bene giuridico leso" (ex ripetute SS.UU. n°5668/1997 e n°744/1999) va risolto in via equitativa, ex art. 1226 cc, mentre l’esercizio del relativo potere di valutazione del danno è stato attribuito alla Corte dei conti nel chiaro, sebbene inespresso, presupposto che la Corte stessa è il "giudice naturale" dell’analisi e valutazione dei costi dell’attività amministrativa e, dunque, anche di quella occorrente per il ripristino dell’immagine pubblica (ex art. 25 Cost.) .
D’altronde, la giurisprudenza prevalente, successiva alla Sezione I^ Giur. Centr. d’Appello n°2009-A/1999, citata dalla difesa del P., è andata sempre più orientandosi nel senso di non richiedere, ai fini dell’esistenza del danno all’immagine, una prova specifica sulle spese sostenute per il ripristino dell’immagine stessa (cfr., tra le tante, Sez. Giur. Reg. Piemonte n°935 e 937/2000; Sez. III^ Giur. Centr. d’Appello n°279-A/2001 e Sez. I^ Giur. Centr. d’Appello nn. 16-A e 48-A/2002).
27) – Così definiti i termini generali del problema, nel caso, bisogna anzitutto chiarire che la condotta addebitata ai convenuti è stata, come anticipato, idonea in concreto a ledere l’immagine del Comune di Ferentillo.
Questa Sezione, in conformità al prevalente indirizzo della giurisprudenza di questa Corte ed in assonanza con le pronunce delle SS.UU. della Corte di Cassazione, da tempo ritiene che il danno all’immagine ed al prestigio della P.A. non si correli necessariamente ad un reato. Raccordandosi con l’art. 2043 cc. e non con il successivo 2059 c.c., il danno all’immagine della P.A. può discendere anche da un illecito extrapenale, e dunque anche da un illecito amministrativo, "purché idoneo, nella sua intrinseca consistenza fenomenica, a produrre una perdita di prestigio ed un grave detrimento alla personalità pubblica" (cfr., tra le tante, di questa stessa Sez. sent. n°628-R/1998 e n°620-EL/2000).
Ebbene, in fattispecie, non può seriamente dubitarsi dell’ idoneità causale della condotta addebitata ai convenuti a determinare un danno all’immagine del Comune di Ferentillo, ove si consideri che tale Comune, proprio con l’impianto di arrampicata sportiva, previsto all’interno della palestra che poi si è allagata, si era candidato a divenire sede di eccellenza per tale competizione.
Del resto, nella stessa relazione dell’A. al progetto del I° e II° lotto funzionale per la realizzazione del predetto impianto si legge che: "con la previsione di una struttura artificiale al coperto, si offre a Ferentillo la possibilità di effettuare Campionato del mondo, Coppa europea , Campionato italiano di Arrampicata sportiva e soprattutto l’Italia centrale può rispondere ad un crescente e rilevante domanda di questa specifica attrezzatura" (v. pag. 4 della cennata relazione in atti).
Alla stregua di una siffatta aspettativa, ben si comprende come un vizio di progettazione-direzione lavori, che di per sé non riveste, nel novero degli illeciti amministrativi, una gravità tale da poter compromettere il prestigio dell’ente che lo subisce, nel caso, abbia finito per vulnerare significativamente l’immagine del Comune di Ferentillo, fiaccandola nel punto più alto delle sue aspettative in quel momento, come d’altronde indicano gli articoli di giornale in atti che, con facile ironia, hanno parlato di "Una arrampicata sull’acqua", di "Mare e montagna" e di "Palestra–piscina".
28) – Certa dunque la lesione dell’immagine, ad essa si collega anche una "spesa necessaria al ripristino" dell’immagine stessa; spesa da determinare principalmente con riferimento alla dimensione della lesione e non piuttosto con riferimento a quanto specificamente sborsato, come chiarito poc’anzi; anche perché, come detto in altre vicende analoghe, quantunque "si dovessero individuare ed isolare spese specificamente rivolte alla riparazione della immagine pubblica, non può realisticamente ritenersi che esse siano di per sé sole sufficienti al ripristino dell’immagine stessa, dipendendo un tale ripristino da spese molto più consistenti, articolate e trasversali, che sfuggono alla determinazione del loro preciso ammontare e mal si prestano ad una specifica prova, mentre gli oneri complessivi, per la parte non sopportata dal responsabile, restano comunque a carico della collettività" (cfr. ancora le citate sent. n°557-R e n°620-EL/2000).
In siffatto contesto, è evidente che il problema della determinazione della "spesa occorrente per ripristinare il bene giuridico leso", si trasfonde essenzialmente in quello della individuazione delle dimensioni, per consistenza e gravità, della lesione stessa; lesione che, radicata nell’ambiente sociale, a sua volta, mal si presta ad una puntuale identificazione, tenuto anche conto delle incertezze legate alla sua durata e persistenza nel tempo, e può essere apprezzata solo in via equitativa.
Nel concreto esercizio di tale potere, e per l’individuazione delle dimensione del danno nel senso più aderente possibile alla "spesa necessaria al ripristino del bene giuridico leso", soccorreranno i vari criteri elaborati dalla giurisprudenza a tal proposito, pure richiamati in citazione da parte attrice.
Trattasi peraltro di criteri che, facendo riferimento a specifici elementi, "oggettivi, soggettivi e sociali" (cfr. in tal senso sent. n°211/1995 di questa stessa Sezione), colgono -ognuno di essi- solo una parte del danno, la cui completa determinazione -nel senso sopra precisato- resta affidata all’applicazione congiunta e coordinata di tutti i cennati criteri.
Così, per citarne alcuni, ai criteri "oggettivi" della gravità dell’illecito commesso -in relazione allo specifico bene tutelato ed alle modalità della sua realizzazione- e delle eventuali reiterazioni dell’illecito stesso, si affiancheranno quelli "soggettivi", relativi alla collocazione che il convenuto ha nell’organizzazione amministrativa ed alla sua capacità di rappresentare l’Amministrazione, e quelli " sociali", basati sulle capacità esponenziali dell’ente, sulle sue dimensioni territoriali, sulla rilevanza -interna o internazionale- delle funzioni al medesimo intestate, sull’ampiezza della diffusione e del risalto dato all’illecito, ecc. .
Orbene, in applicazione dei suddetti criteri, nel caso, il danno non può superare £ 30.000.000; somma comprensiva degli oneri rivalutativi chiesti da parte attrice.
Tanto nella considerazione che sebbene la condotta addebitata ai convenuti ha leso l’immagine del Comune di Ferentillo nel punto e nel momento più elevato del suo tendere, è però altrettanto vero che: a) trattasi di un comune di modeste dimensioni; b) i convenuti, pur rivestendo un ruolo di vertice nei rispettivi settori di competenza, non esplicavano attività alle quali si raccorda una rilevante capacità rappresentativa del comune stesso; c) la vicenda ha avuto diffusione solo sulla stampa locale e per un periodo limitato di tempo (dagli atti forniti dalla Procura non emergono articoli ulteriori e successivi rispetto a quelli del gennaio 2001).
Sotto altro profilo, deve anche considerasi che, sebbene non siano ipotizzabili – allo stato degli atti – responsabilità concorrenti con quelle dei convenuti, per assenza di colpa grave e/o di nesso di causalità, è tuttavia innegabile che una certa valenza di occasionalità, anche se non di vero e proprio condizionamento causale, può essere ravvisato in taluni fattori che pure sono emersi nella vicenda, quale – ad esempio– la rapidità con cui è stato approvato il progetto del I° e II° lotto funzionale (il giorno dopo la sua presentazione); d’altro canto, lo stesso agire procedimentalizzato, proprio degli Enti Pubblici, ha tendenzialmente rallentato le operazioni di recupero e/o di limitazione dei danni.
Sotto questo duplice punto di vista, quindi, il Collegio ritiene di poter ridurre l’importo del danno come sopra determinato, dando così sfogo anche alla richiesta di riduzione dell’addebito formulata nella nota controdeduttiva dell’A. e dell’Architettura S. con riferimento all’art. 1227 cc (v. pag. 4 di tale nota), e di fissare la somma di condanna in £ 25.000.000, pari a € 12.9111.
29) – Su tale somma, pertanto, andranno applicate le percentuali entro cui la Procura ha ritenuto di stabilire la misura della responsabilità dei convenuti : l’A., quindi, dovrà pagare il 60% del predetto importo, pari -in cifra tonda- a € 7.746; i restanti convenuti, invece, dovranno pagare il 20% ciascuno dell’importo stesso, pari -in cifra tonda- a € 2.5582 ciascuno.
30) – Resta stabilito che sulle somme di condanna come sopra fissate andranno corrisposti gli interessi legali, dalla data di pubblicazione della sentenza al soddisfo, ai sensi dell’art. 1282 c.c. .
Le spese di giudizio seguono la soccombenza e vanno ripartite in proporzione della relativa condanna, ai sensi dell’art. 1, comma 1 quater, della l. n°20/1994.
Conseguentemente, le spese per gli atti propri dei singoli convenuti restano a loro esclusivo carico, mentre quelli collettivi si ripartiscono tra i convenuti medesimi in proporzione della relativa condanna e, dunque, nella misura del 60% a carico dell’A. e dell 20% ciascuno a carico degli altri due convenuti.
P. Q. M.
LA CORTE DEI CONTI
Sezione Giurisdizionale dell’Umbria
CONDANNA
A. S., P. V. ed "Architettura S. & P. di Architetti A. S., B. P., M. A.", al pagamento a favore del Comune di Ferentillo della somma – rispettivamente– di € 7.746 (settemilasettecentoquarantasei euro), quanto all’A., e di € 2.582 (duemilacinquecentottantadue euro) ciascuno, quanto agli altri convenuti.
Sulle somme di cui sopra sono dovuti gli interessi legali, dalla data di pubblicazione della presente sentenza al soddisfo.
Liquida altresì, a favore dello Stato, le spese di giudizio, da ripartire tra i predetti come in motivazione, nella misura, alla data di pubblicazione della sentenza, di €
Così deciso in Perugia, nella Camera di Consiglio del 4/6/2002.
L’Estensore Il Presidente
(Fulvio Maria Longavita) (Lucio Todaro Marescotti)
Depositata in Segreteria il 19/10/2002
Il Direttore della Segreteria
(Maria Borsini)