CORTE COSTITUZIONALE - Ordinanza 16 aprile 2002 n. 123 - Pres. RUPERTO, Red. BILE - (giudizi promossi con ordinanze emesse il 12 marzo 2001 dal Tribunale di Trapani - limitatamente al comma 1 e il 7 maggio 2001 - n. 2 ordinanze - dal Tribunale di S. Angelo dei Lombardi, rispettivamente iscritte ai numeri 523, 575 e 576 del registro ordinanze 2001 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica numeri 27 e 32, prima serie speciale, dell'anno 2001).
Giurisdizione e competenza - Giurisdizione esclusiva del G.A. - In materia di urbanistica ed edilizia - Ex art. 34 D.L.vo n. 80/1998 - Questioni di legittimità costituzionale - Per eccesso rispetto alla delega conferita con L. n. 59/1997 - A seguito dell’art. 7 della L. n. 205/2000 - Che ha conferito all’art. 34 del D.L.vo n. 80/1998 valore di legge formale - Manifesta inammissibilità per difetto di motivazione sulla persistente rilevanza della questione - Riferimento all’art. 5 c.p.c. per i giudizi instaurati prima dell’entrata in vigore della L. n. 205/00 - Insufficienza, potendosi adottare una opzione esegetica diversa.
Sono manifestamente inammissibili le questioni di legittimità costituzionale - sollevate in riferimento all’art. 76 della Costituzione e per eccesso rispetto alla delega conferita dall’art. 11, comma 4, lett. g), della legge n. 59 del 1997 - dell’art. 34 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80, nella parte in cui sottrae al giudice ordinario e devolve alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le cause su diritti soggettivi connessi a comportamenti materiali della pubblica amministrazione in procedure finalizzate alla gestione del territorio.
I giudici remittenti, infatti, per giustificare la persistente rilevanza delle questioni, pur a seguito dell’art. 7 della sopravvenuta legge n. 205 del 2000, nei riguardi dei giudizi instaurati anteriormente all'entrata in vigore di quest'ultima legge, si limitano a richiamare l’art. 5 del codice di procedura civile, secondo cui la giurisdizione si determina in base alla legge vigente al momento della proposizione della domanda e i mutamenti successivi della legge sono irrilevanti.
Essi quindi non prendono in esame la diversa opzione interpretativa secondo cui l’art. 7 della legge n. 205 del 2000 - sostituendo il testo dell’art. 34 (nonché degli artt. 33 e 35) all’interno del decreto legislativo n. 80 del 1998 - avrebbe non solo trasformato la natura di tali norme, da leggi in senso materiale a leggi in senso formale (così affrancandole dal vizio di eccesso di delega, per il quale questa Corte aveva dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 33 del decreto: sentenza n. 292 del 2000), ma anche disciplinato direttamente la giurisdizione per i giudizi innanzi indicati (così derogando al principio posto dall’art. 5 cod. proc. civ.).
A questo ultimo risultato potrebbe condurre il coordinamento del nuovo testo degli articoli del decreto n. 80 del 1998 introdotto dalla legge n. 205 del 2000 con le altre disposizioni del decreto rimaste immutate, ed in particolare con l’art. 45, comma 18, il quale – pur dopo la sostituzione dell’art. 34 operata dalla legge del 2000 – continua a disporre che «le controversie di cui agli art. 33 e 34 del presente decreto sono devolute al giudice amministrativo a partire dal 1° luglio 1998»; per effetto di questa interpretazione la giurisdizione sarebbe nella specie regolata dall’art. 34 nel nuovo testo, norma avente natura di legge in senso formale, nei confronti della quale la questione di legittimità costituzionale per eccesso di delega non avrebbe potuto essere proposta (1).
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(1) Verso un nuovo "concordato giurisprudenziale"?
La ordinanza del Tribunale di S. Angelo dei Lombardi 7 maggio 2001, che aveva sollevato la questione, è stata pubblicata nel n. 6/2001 di questa Rivista Internet, pag. http://www.giustamm.it/private/ago/tribsangelolomb_2001-05-07.htm, con nota di A. CHIARAVALLO. V. anche la successiva nota di M. AMBROSELLI, pag. http://www.giustamm.it/articoli/ambroselli_art34.htm
L’ordinanza del Tribunale di Trapani 12 marzo 2001 n. 523, che è stata esaminata congiuntamente all'ordinanza del Tribunale di S. Angelo dei Lombardi, è stata pubblicata in questa Rivista, pag. http://www.giustamm.it/private/ago/tribtrapani_2001-03-12.htm
Come si ricorderà, nell'approvare in via definitiva la legge n. 205/2000, la Commissione Affari costituzionali del Senato aveva anche approvato un ordine del giorno - in data 19 luglio 2000 (consultabile alla seguente pagina della presente Rivista http://www.giustamm.it/leggi/legge_processoamm.htm#ORDINE), con il quale si tentava di dare una prima risposta ai problemi sorti a seguito della dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'art. 33 del D.L.vo n. 80/1998 per i giudizi instaurati anteriormente alla L. n. 205/2000.
Con tale ordine del giorno la Commissione aveva richiamato in particolare "il più recente arresto delle Sezioni unite della Cassazione civile (sentenza 27 luglio 1999, n. 516)", secondo cui "esigenze di economia processuale impongono di attribuire rilevanza alla giurisdizione sopravvenuta anche alla luce del nuovo testo dell’articolo 5 del codice di procedura civile".
Tuttavia, rilevato che "il testo dell’articolo 5 del codice di procedura civile, assunto nel suo tenore letterale, potrebbe al limite autorizzare anche un’interpretazione diversa, attribuendo in punto di giurisdizione rilievo esclusivo alla situazione non solo di fatto, ma anche di diritto esistente al momento della proposizione della domanda", la Commissione Affari costituzionali aveva chiesto al Governo di "assumere ogni opportuna iniziativa che, al fine di evitare eventuali rischi di un contrasto giurisprudenziale, conduca all’emanazione di norme interpretative idonee a cristallizzare il principio di rilevanza della giurisdizione sopravvenuta già affermato dal diritto vivente".
Da parte governativa tuttavia non è stata adottata alcuna specifica iniziativa legislativa, forse anche confidando sul fatto che, successivamente all'entrata in vigore della L. n. 205/2000, la giurisprudenza amministrativa aveva avuto modo di affermare che "ai giudizi pendenti innanzi al Giudice amministrativo, anche se pregressi, debbono ritenersi applicabili le norme processuali contenute nella legge 21 luglio 2000 n. 205, ivi comprese quelle in materia di giurisdizione" (v. in tal senso TAR CAMPANIA-NAPOLI, SEZ. I – Sentenza 21 febbraio 2001 n. 868, in questa Rivista, pag. http://www.giustamm.it/private/tar/tarcampaniana1_2001-868.htm; v. nello stesso senso CONSIGLIO DI STATO, SEZ. V - Ordinanza 28 settembre 2000 n. 4822, ivi, pag. http://www.giustamm.it/cds1/cds5_2000-4822o.htm, secondo cui "il processo deve continuare davanti al giudice adito non solo nel caso in cui il giudice stesso, originariamente competente, cessi di esserlo a seguito del sopravvenuto mutamento dello stato di fatto o di diritto, ma anche quando, aditosi un giudice incompetente, egli diventi competente per una sopravvenuta modifica legislativa").
Nonostante tale orientamento della giurisprudenza amministrativa, che si fonda peraltro proprio su un pregresso orientamento generale delle Sezioni unite della Corte di Cassazione (v. la sentenza 27 luglio 1999, n. 516, richiamata nel già citato ordine del giorno), tuttavia, anche di recente da parte dell'A.G.O. è stata ripetutamente sollevata q.l.c. dell'art. 34 D.L.vo n. 80/98 per i giudizi instaurati prima della L. n. 205/2000: v. in part. in tal senso l'ordinanza della CORTE DI CASSAZIONE - SEZIONI UNITE - 11 dicembre 2001 n. 15641, in questa Rivista, pag. http://www.giustamm.it/private/corte/casssu_2001-15641.htm; v. anche l'ordinanza del TRIBUNALE DI TERAMO, SEZ. DI ATRI - Ordinanza 7 gennaio 2002 n. 18, ivi, pag. http://www.giustamm.it/private/ago/tribteramoatri_2002-18.htm e quella del TRIBUNALE DI PARMA - SEZIONE DISTACCATA DI FIDENZA, 1 marzo 2002, ivi, pag. http://www.giustamm.it/private/ago/tribparmafid_2002-03-01.htm.
E' da auspicare che si pervenga presto tra le due giurisdizioni ad un nuovo "concordato giurisprudenziale" in materia, anche con riferimento ai giudizi instaurati anteriormente all'entrata in vigore della L. n. 205.
Tale sembra del resto l'auspicio anche del Giudice delle leggi, ricavabile dall'invito rivolto con la ordinanza in rassegna ai Giudici ordinari che avevano sollevato la questione, a riconsiderare la rilevanza della questione alla luce della diversa opzione interpretativa che è possibile seguire e che comunque è stata indicata in passato in via generale dalle Sezioni Unite della Cassazione ed è stata recepita dalla giurisprudenza amministrativa più recente.
Commento di
MAURIZIO BORGO
(Avvocato dello Stato)
La Consulta sancisce la definitiva “separazione” tra il giudice ordinario e l’istituto dell’occupazione acquisitiva. Brevi riflessioni sull’ordinanza della Corte Costituzionale n. 123 del 16 aprile 2002.
“Tra
noi tutto è finito!”.
Con
queste parole, molti giudici ordinari si saranno rivolti, in un colloquio
immaginario, all’istituto dell’occupazione acquisitiva, nel leggere le
motivazioni dell’ordinanza n. 123/2002 della Corte Costituzionale.
Un
addio, quello sancito dai giudici della Consulta, inevitabile in quanto l’abbandono,
da parte della c.d. “accessione invertita”, della casa materna della
giurisdizione ordinaria si sarebbe, comunque, consumato all’alba del 1°
luglio di quest’anno, allorché entrerà in vigore il Testo Unico in materia
espropriativa che, com’è noto, all’articolo 43 (letto in combinato disposto
con l’articolo 53) attribuisce al giudice amministrativo la giurisdizione in
materia di “utilizzazione senza
titolo di un bene per scopi di interesse pubblico”.
Se,
come detto, l’addio era questione di tempo, lascia, tuttavia, perplessi il
modo in cui è stato reciso quell’ultimo lembo di “cordone ombelicale”
che, ancora, collegava l’istituto dell’occupazione acquisitiva al giudice
ordinario.
Ci
riferiamo, come noto, alle controversie, introdotte nel periodo di tempo
intercorrente tra l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 80/98 (1.7.98) e l’entrata
in vigore della legge n. 205/2000 (10.8.2000) con il cui articolo 7 si è
provveduto alla riscrittura dell’art. 34 del prefato decreto legislativo.
La
scarna motivazione dell’ordinanza della Corte Costituzionale si è abbattuta
su quel lembo con la stessa virulenza di una mannaia.
I
giudici del Palazzo della Consulta, senza riuscire a nascondere un malcelato
fastidio per la riproposizione di una questione che ritenevano morta e sepolta (“le
ordinanze – in quanto affette da insufficiente motivazione sulla rilevanza
della questione - devono essere dichiarate manifestamente inammissibili”),
argomentano la loro decisione nel modo seguente.
E’
sbagliato il ragionamento dei giudici rimettenti che ritengono che il riparto di
giurisdizione in materia di “uso del territorio” sia governato, con
riferimento alle controversie,
introdotte nel periodo di tempo intercorrente tra l’entrata in vigore del
D.Lgs. n. 80/98 (1.7.98) e l’entrata in vigore della legge n. 205/2000
(10.8.2000), dall’art. 34 del D.Lgs. predetto, nella sua vecchia formulazione;
il tutto in forza della disposizione contenuta nell’articolo 5
del codice di procedura civile, secondo cui la giurisdizione si determina in
base alla legge vigente al momento della proposizione della domanda e i
mutamenti successivi della legge sono irrilevanti.
Ed
invero, vi è un’altra opzione ermeneutica e precisamente quella di ritenere
che “l’art. 7 della sopravvenuta legge n. 205 del 2000 - sostituendo il
testo dell’art. 34 (nonché degli artt. 33 e 35) all’interno del decreto
legislativo n. 80 del 1998 - avrebbe non solo trasformato la natura di tali
norme, da leggi in senso materiale a leggi in senso formale (così affrancandole
dal vizio di eccesso di delega, per il quale questa Corte aveva dichiarato l’incostituzionalità
dell’art. 33 del decreto: sentenza n. 292 del 2000), ma anche disciplinato
direttamente la giurisdizione per i giudizi innanzi indicati (così derogando al
principio posto dall’art. 5 cod. proc. civ.)”.
Un risultato ermeneutico, quello fatto proprio dai giudici della Consulta, cui “potrebbe condurre il coordinamento del nuovo testo degli articoli del decreto n. 80 del 1998 introdotto dalla legge n. 205 del 2000 con le altre disposizioni del decreto rimaste immutate, ed in particolare con l’art. 45, comma 18, il quale – pur dopo la sostituzione dell’art. 34 operata dalla legge del 2000 – continua a disporre che <<le controversie di cui agli art. 33 e 34 del presente decreto sono devolute al giudice amministrativo a partire dal 1° luglio 1998>>”.
Dal
che, poi, si trae la conclusione che “per
effetto di questa interpretazione la giurisdizione sarebbe nella specie regolata
dall’art. 34 nel nuovo testo, norma avente natura di legge in senso formale,
nei confronti della quale la questione di legittimità costituzionale per
eccesso di delega non avrebbe potuto essere proposta”.
“Elementare……….”,
saremmo tentati a chiosare.
Ma
così elementare il problema non era e non è!
Accogliendo
la tesi della Consulta, si dovrebbe affermare che una norma (l’art. 7 della
legge n. 205/2000), intervenuta a distanza di due anni dall’entrata in vigore
di altra norma (l’art. 34 del D.Lgs. n. 80/98), sarebbe stata in grado non
solo di sanare un vizio di incostituzionalità che inficiava la disposizione, da
ultimo menzionata, ma addirittura di regolare, con effetto retroattivo, il
riparto di giurisdizione in relazione ai giudizi introdotti nella vigenza della
norma, sospettata (non a torto) di
illegittimità costituzionale.
Il
che significa attribuire, in contrasto con il tenore letterale stesso della
disposizione, all’art. 7 della legge n. 205/2000 la natura di norma di
interpretazione autentica del vecchio articolo 34 del D.Lgs. n. 80/98.
Né
migliore fortuna merita il collegamento, operato dala Consulta, con la
previsione dell’art. 45, comma 18 del D.Lgs. n. 80/98.
Il
fatto che la predetta norma “continui a disporre” che <<le
controversie di cui agli art. 33 e 34 del presente decreto sono devolute al
giudice amministrativo a partire dal 1° luglio 1998>> non può essere
considerato argomento decisivo.
Tale
disposizione, invero, aveva fissato la data di efficacia delle nuove ipotesi di
giurisdizione esclusiva, facendola coincidere con la data di devoluzione delle
controversie in materia di pubblico impiego al giudice del lavoro.
La
circostanza che il contenuto della norma sia rimasto invariato anche dopo la
riscrittura dell’art. 34 ad opera dell’art. 7 della legge n. 205/2000 non
può indurre a ritenere che il legislatore del 2000 abbia voluto attribuire alla
giurisdizione del giudice amministrativo anche le controversie proposte prima
della predetta riscrittura.
La
predetta invarianza di contenuto si spiega con il fatto che il legislatore del
2000 era consapevole del fatto che, esistendo nel nostro ordinamento una
disposizione del tenore di quella contenuta nell’art. 5 del c.p.c., non era
necessario andare a modificare il disposto dell’art. 45, comma 18 del D.Lgs.
n. 80/98, in quanto le controversie, introdotte anteriormente all’entrata in
vigore del, più volte citato, articolo 7, avrebbero continuato ad essere
disciplinate dal vecchio art. 34, fintanto che quest’ultima norma non fosse
stata espunta dall’ordinamento da una pronuncia che ne avesse dichiarato l’illegittimità
costituzionale.
Con
il risultato che i giudici ordinari, aditi, con riferimento a cause in materia
di occupazione acquisitiva, nel periodo 1.7.98-9.8.2000, avrebbero dovuto
ritenere la propria giurisdizione, in quanto l’art. 34 (dichiarato
incostituzionale) avrebbe dovuto essere considerato tamquam non esset.
Un
ragionamento, quest’ultimo, per nulla peregrino; lo dimostra il fatto che gli
stessi giudici della Consulta, dopo avere evidenziato l’inesistenza “sul
punto, di un orientamento consolidato del giudice regolatore della giurisdizione”,
ammettono che la Corte di Cassazione “esaminando il rapporto fra il
testo originario del decreto n. 80 del 1998 e quello modificato dalla legge n.
205 del 2000, per determinare, ai fini del riparto di giurisdizione, l’ambito
temporale di applicabilità di ciascuno di essi – ha una sola volta preso
espressamente in esame l’argomento desumibile dall’art. 45, comma 18
(peraltro in via complementare e con esclusivo riguardo all’art. 33 del
decreto n. 80), e successivamente ha sempre risolto il problema alla stregua
dell’art. 5 cod. proc. civ. senza più considerare il citato comma 18, nè
specificare le ragioni di tale mancata considerazione”.
Ma se questo era il diritto vivente, perché la Corte Costituzionale ha dichiarato la questione sottopostale “manifestamente inammissibile”?
Perché,
ancora una volta, ha “espropriato” la Suprema Corte di legittimità del
ruolo di custode dell’uniforme interpretazione del diritto che il nostro
ordinamento le attribuisce?
La
risposta a queste domande sta, forse, proprio nelle parole di apertura di questa
breve nota di commento: l’addio era scontato e, come in tutte le storie d’amore
finite, è meglio lasciarsi in fretta per conservare quello che di bello si è
vissuto assieme.
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CORTE
COSTITUZIONALE - Sentenza 17 luglio 2000 n. 292
Ordine del
giorno adottato dalla Commissione Affari costituzionali del Senato in sede
di approvazione definitiva della L. n. 205/2000.
CONSIGLIO
DI STATO, SEZ. V - Ordinanza 28 settembre 2000 n. 4822
TAR
CAMPANIA-NAPOLI, SEZ. I – Sentenza 21 febbraio 2001 n. 868
I. PAGANI, Perpetuatio
iurisdictionis e declaratoria d’incostituzionalità (riflessioni circa
l’incidenza della sentenza C. Cost. n. 292/2000 sui giudizi introdotti
anteriormente alla Legge n. 205/2000).
M. AMBROSELLI, Riflessioni sulla presunta permanenza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 34 del Dlgs. 31.3.1998 n. 80.
ORDINANZA N.123
ANNO 2002
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai Signori:
- Cesare RUPERTO Presidente
- Massimo VARI Giudice
- Riccardo CHIEPPA "
- Gustavo ZAGREBELSKY "
- Valerio ONIDA "
- Carlo MEZZANOTTE "
- Guido NEPPI MODONA "
- Piero Alberto CAPOTOSTI "
- Annibale MARINI "
- Franco BILE "
- Giovanni Maria FLICK "
ha pronunciato la seguente
O R D I N A N Z A
nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 34 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80 (Nuove disposizioni in materia di organizzazione e di rapporti di lavoro nelle amministrazioni pubbliche, di giurisdizione nelle controversie di lavoro e di giurisdizione amministrativa, emanate in attuazione dell’art. 11, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59), promossi con ordinanze emesse il 12 marzo 2001 dal Tribunale di Trapani (limitatamente al comma 1) e il 7 maggio 2001 (n. 2 ordinanze) dal Tribunale di S. Angelo dei Lombardi, rispettivamente iscritte ai numeri 523, 575 e 576 del registro ordinanze 2001 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica numeri 27 e 32, prima serie speciale , dell'anno 2001.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 5 dicembre 2001 il Giudice relatore Franco Bile.
Ritenuto che il Tribunale di Trapani - il quale in precedenza, con ordinanza del 30 novembre 1999, aveva sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 34, comma 1, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80 (Nuove disposizioni in materia di organizzazione e di rapporti di lavoro nelle amministrazioni pubbliche, di giurisdizione nelle controversie di lavoro e di giurisdizione amministrativa, emanate in attuazione dell’art. 11, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59), in relazione all’art. 76 della Costituzione, per eccesso rispetto alla delega conferita dall’art. 11, comma 4, lett. g), della legge 15 marzo 1997, n. 59 (Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della pubblica amministrazione e per la semplificazione amministrativa), ed a cui questa Corte aveva restituito gli atti con ordinanza n. 12 del 23 gennaio 2001, per una nuova valutazione della rilevanza alla luce dell’art. 7 della sopravvenuta legge 21 luglio 2000, n. 205 (Disposizioni in materia di giustizia amministrativa) - ha riproposto la questione con ordinanza del 12 marzo 2001, ritenendo che il problema della devoluzione o meno del giudizio alla giurisdizione ordinaria deve essere deciso, ai sensi dell’art. 5 del codice di procedura civile, in base alla normativa vigente al momento della proposizione della domanda, ossia in base all’art. 34 del d.lgs. n. 80 del 1998 nel testo originario, e non a quello successivamente riprodotto dall’art. 7 della citata legge n. 205 del 2000;
che l’ordinanza è stata resa nel corso di una causa promossa – tra il 1° luglio 1998 e il 9 agosto 2000 – da un privato contro un Comune per ottenere il risarcimento del danno derivante da un’occupazione appropriativa;
che, ad avviso del giudice rimettente, l’art. 34 del d.lgs. n. 80 del 1998, nel testo originario, - devolvendo alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie aventi per oggetto gli atti, i provvedimenti e i comportamenti delle amministrazioni pubbliche in materia urbanistica ed edilizia, ed in particolare le controversie concernenti il risarcimento del danno derivante da occupazione appropriativa - ha violato i criteri direttivi fissati dalla legge di delega, che prevedeva l’estensione della giurisdizione amministrativa, in materia edilizia e urbanistica, alle controversie concernenti diritti patrimoniali consequenziali, comprese quelle relative al risarcimento del danno, ma non consentiva l’istituzione di una nuova giurisdizione esclusiva;
che è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l’infondatezza della questione in quanto è possibile interpretare la norma denunciata in modo da ricondurla nei limiti della delega;
che il Tribunale di S. Angelo dei Lombardi, con due separate ordinanze del 7 maggio 2001, di identico testuale tenore, ha parimenti sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 34 del d.lgs. n. 80 del 1998 in relazione all’art. 76 Cost., per eccesso rispetto alla delega conferita dall’art. 11, comma 4, lett. g), della legge n. 59 del 1997, nella parte in cui sottrae al giudice ordinario e devolve alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le cause su diritti soggettivi connessi a comportamenti materiali della pubblica amministrazione in procedure finalizzate alla gestione del territorio;
che le ordinanze sono state rese nel corso di cause proposte – tra il 1° luglio 1998 e il 9 agosto 2000 – da privati contro un comune, per ottenere il risarcimento dei danni derivanti da occupazioni di suoli disposte per un quinquennio in esecuzione di piani di zona, divenute illegittime per il decorso del termine, durante il quale, malgrado la realizzazione dell’opera pubblica e la conseguente irreversibile trasformazione dei suoli, non era intervenuto alcun decreto di esproprio;
che, ad avviso del giudice rimettente, il problema della devoluzione o meno delle controversie in esame alla giurisdizione ordinaria deve essere deciso, ai sensi dell’art. 5 cod. proc. civ., in base alla normativa vigente al momento della proposizione delle domande, ossia in base all’art. 34 del d.lgs. n. 80 del 1998 nel testo originario, e non in quello riprodotto dall’art. 7 della sopravvenuta legge n. 205 del 2000;
che, secondo il rimettente, la legge di delega prevedeva l’estensione della giurisdizione amministrativa, in materia edilizia e urbanistica, alle controversie concernenti diritti patrimoniali consequenziali, comprese quelle sul risarcimento del danno, ossia ai diritti di contenuto patrimoniale nascenti dall’esercizio della giurisdizione di legittimità su atti e provvedimenti, ma non consentiva l’istituzione di una nuova giurisdizione esclusiva cui potessero essere devoluti i diritti nascenti da fatti e comportamenti, quali i diritti alla restituzione del bene occupato senza titolo o al risarcimento del danno derivante da occupazione illegittima o da accessione invertita;
che in entrambi i giudizi è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo la dichiarazione di infondatezza della questione, per gli stessi motivi svolti nell’atto d’intervento nel giudizio scaturito dall’ordinanza del Tribunale di Trapani.
Considerato che i giudizi possono essere riuniti, in quanto i rimettenti prospettano sostanzialmente la medesima questione;
che - secondo i giudici rimettenti - nei giudizi innanzi ad essi pendenti la giurisdizione è regolata dall’art. 34 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80 (Nuove disposizioni in materia di organizzazione e di rapporti di lavoro nelle amministrazioni pubbliche, di giurisdizione nelle controversie di lavoro e di giurisdizione amministrativa, emanate in attuazione dell’art. 11, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59), nel testo originario avente valore di legge in senso sostanziale, e non nel testo, avente invece valore di legge in senso formale, risultante dalla sostituzione disposta dall’art. 7 della legge 21 luglio 2000, n. 205 (Disposizioni in materia di giustizia amministrativa), in quanto si tratta di giudizi promossi a partire dal 1° luglio 1998 (data di inizio dell’operatività della giurisdizione esclusiva istituita dal medesimo art. 34 del d.lgs. n. 80) e pendenti al 10 agosto 2000 (data di entrata in vigore della legge n. 205);
che a sostegno di tale affermazione i giudici si limitano a richiamare l’art. 5 del codice di procedura civile, secondo cui la giurisdizione si determina in base alla legge vigente al momento della proposizione della domanda e i mutamenti successivi della legge sono irrilevanti;
che essi quindi non prendono in esame la diversa opzione interpretativa secondo cui l’art. 7 della sopravvenuta legge n. 205 del 2000 - sostituendo il testo dell’art. 34 (nonché degli artt. 33 e 35) all’interno del decreto legislativo n. 80 del 1998 - avrebbe non solo trasformato la natura di tali norme, da leggi in senso materiale a leggi in senso formale (così affrancandole dal vizio di eccesso di delega, per il quale questa Corte aveva dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 33 del decreto: sentenza n. 292 del 2000), ma anche disciplinato direttamente la giurisdizione per i giudizi innanzi indicati (così derogando al principio posto dall’art. 5 cod. proc. civ.);
che a questo ultimo risultato potrebbe condurre il coordinamento del nuovo testo degli articoli del decreto n. 80 del 1998 introdotto dalla legge n. 205 del 2000 con le altre disposizioni del decreto rimaste immutate, ed in particolare con l’art. 45, comma 18, il quale – pur dopo la sostituzione dell’art. 34 operata dalla legge del 2000 – continua a disporre che <<le controversie di cui agli art. 33 e 34 del presente decreto sono devolute al giudice amministrativo a partire dal 1° luglio 1998>>;
che per effetto di questa interpretazione la giurisdizione sarebbe nella specie regolata dall’art. 34 nel nuovo testo, norma avente natura di legge in senso formale, nei confronti della quale la questione di legittimità costituzionale per eccesso di delega non avrebbe potuto essere proposta;
che la valutazione dell’attendibilità di tale soluzione interpretativa sarebbe stata necessaria, anche in ragione del difetto, sul punto, di un orientamento consolidato del giudice regolatore della giurisdizione;
che questi infatti – esaminando il rapporto fra il testo originario del decreto n. 80 del 1998 e quello modificato dalla legge n. 205 del 2000, per determinare, ai fini del riparto di giurisdizione, l’ambito temporale di applicabilità di ciascuno di essi – ha una sola volta preso espressamente in esame l’argomento desumibile dall’art. 45, comma 18 (peraltro in via complementare e con esclusivo riguardo all’art. 33 del decreto n. 80), e successivamente ha sempre risolto il problema alla stregua dell’art. 5 cod. proc. civ. senza più considerare il citato comma 18, nè specificare le ragioni di tale mancata considerazione;
che pertanto le ordinanze – in quanto affette da insufficiente motivazione sulla rilevanza della questione - devono essere dichiarate manifestamente inammissibili.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 34 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80 (Nuove disposizioni in materia di organizzazione e di rapporti di lavoro nelle amministrazioni pubbliche, di giurisdizione nelle controversie di lavoro e di giurisdizione amministrativa, emanate in attuazione dell’art. 11, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59), sollevate, in riferimento all’art. 76 della Costituzione, dai Tribunali di Trapani (limitatamente al comma 1) e di S. Angelo dei Lombardi, con le ordinanze indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 aprile 2002.
F.to:
Cesare RUPERTO, Presidente
Franco BILE, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 16 aprile 2002.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: DI PAOLA