Giust.it

Giurisprudenza
n. 7/8-2002 - © copyright.

CORTE COSTITUZIONALE – Ordinanza 20 giugno 2002 n. 262Pres. RUPERTO, Red. ZAGREBELSKY – (giudizio promosso con ordinanza emessa il 7 marzo 2001 dal T.A.R. del Lazio sul ricorso proposto da Daniela Zangrilli e altri contro l’Università degli studi di Roma "Tor Vergata" e altri, iscritta al n. 858 del registro ordinanze 2001 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 43, prima serie speciale, dell’anno 2001).

Pubblico impiego - Dipendenti universitari - Tecnici laureati medici - Disciplina prevista dell’art. 8, comma 10, della legge 19 ottobre 1999, n. 370 - Parziale assimilazione dei compiti svolti dai tecnici laureati a quelli dei ricercatori - Mancata assimilazione delle due categorie sotto altri profili - Questione di legittimità costituzionale - Sollevata in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione - Manifesta infondatezza.

E’ manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 8, comma 10, della legge 19 ottobre 1999, n. 370 (Disposizioni in materia di università e di ricerca scientifica e tecnologica), sollevata in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione, nella parte in cui non prevede la piena e definitiva equiparazione dello status giuridico ed economico dei tecnici laureati a quello dei ricercatori.

 

Deve infatti escludersi la possibilità di addivenire, tramite una pronuncia additiva, all’inquadramento automatico nella categoria dei ricercatori della distinta categoria degli ex-tecnici laureati, difettando di tale richiesta il presupposto, sia alla stregua dell’art. 3 della Costituzione, per le diversità di disciplina e di compiti tra l’una e l’altra categoria, sia alla stregua dell’art. 97 della Costituzione, invocato in modo improprio in vista della mera attribuzione di miglioramenti di trattamento normativo e retributivo (1).

----------------------------

 

(1) Come si ricorda nella motivazione dell’ordinanza in rassegna, recentemente la Corte costituzionale (con l’ordinanza 10 aprile 2002 n. 94*, in questa Rivista Internet n. 4-2002) aveva già dichiarato manifestamente infondata analoga questione, riferita ai medesimi parametri costituzionali (oltre che all’art. 36 della Costituzione), concernente la mancata piena assimilazione dello status giuridico ed economico della categoria dei tecnici laureati a quella dei ricercatori a opera degli artt. 12 e 16 della legge n. 341 del 1990.

 

Sullo status giuridico dei tecnici laureati v. in questa Rivista:

TAR LAZIO, SEZ. III – Ordinanza 6 febbraio 2002 n. 817

CONSIGLIO DI STATO, SEZ. VI – Sentenza 26 giugno 2001 n. 3452

TAR LAZIO, SEZ. III - Ordinanza 10 maggio 2001 n. 4050

TAR SICILIA-CATANIA, SEZ. I – 12 febbraio 2001 n. 294

CORTE COSTITUZIONALE - Ordinanza 11 febbraio 1999 n. 28

LEGGE 14 gennaio 1999 n. 4

 

 

Commento di

ALICE BARADELLO
(Tecnico laureato dirigente medico di I livello
Divisione di Riabilitazione Neurologica
Clinica Neurologica II - Policlinico Universitario di Messina)

Sulla base dell’evoluzione normativa, l’art. 8 comma 10 della legge 370/99 colloca il personale di cui all’art. 6, comma 5 DL 502/92 sul medesimo piano giuridico del ricercatore medico; quindi va inteso come inquadramento ex lege dei tecnici laureati medici nel ruolo dei ricercatori universitari.

Le sentenze 294/2001, 300/2001, 321/2001 e 1514/2001 TAR CT hanno definitivamente affermato questo principio, interpretando correttamente la volontà del legislatore (v. interpellanza e interrogazione dell’On. Napoli, presentatrice del comma 10 art. 8 della legge 370/99- seduta 863 del 20/02/2001, su Internet al sito: www.camera.it/_dati/leg13/lavori/stenografici/sed863/aint01.htm).

La Corte Costituzionale con la sentenza 262/2002 ha dichiarato manifestamente infondata la questione di costituzionalità dell’art. 8, comma 10, della legge 370/99, sollevata per primo dal TAR Lazio (sez. III - ordinanza 10 maggio 2001 n. 4050), affermando che la differenza di stato giuridico tra tecnico laureato medico e ricercatore permane per la “persistente differenziazione per quanto riguarda i compiti primariamente assegnati alle due categorie in esame, cioè la ricerca, propria ed esclusiva dei ricercatori, e la direzione e gestione dei laboratori, propria ed esclusiva dei tecnici laureati”.

In estrema sintesi, il ricercatore è nato per la ricerca, il tecnico laureato per la direzione e gestione dei laboratori.

La Corte rileva le seguenti diversità di disciplina che giustificano la persistente differenziazione tra le due categorie:

per i TECNICI LAUREATI

-  la legge istitutiva n. 1255 del 1961

-   l’art. 35 del DPR 382/80

-   il DPCM 24/9/1981

-   il CCNL Comparto Università

per i RICERCATORI

-    art. 3 e 7 legge 28/1980

-     art. 1 e 54 DPR 382/80

-     art. 32 DPR 382/80

-     art. 1 e 2 DL 57/87 convertito nella legge 158/87

Dimentica la Corte che:

1)  dalla legge istitutiva dei tecnici laureati (n.1255 del 1961) sono trascorsi 41 anni, durante i quali sono state promulgate numerose norme di settore ed in particolare questo è avvenuto, per ovvi motivi storici, per la speciale categoria dei tecnici laureati medici. La legge istitutiva prevedeva che la laurea del tecnico laureato da assumere fosse quella della facoltà cui il posto era assegnato. Sin da tale epoca esistevano “attrezzature di particolare complessità” (elettromiografi, elettroencefalografi, ecc.) utilizzate esclusivamente dai medici; questo ha determinato già da allora l’accesso sul ruolo di tecnici laureati con laurea in Medicina e Chirurgia. 

2)  l’art. 35 DPR 382/80, che la stessa Corte cita per negare, invece afferma che “i posti di tecnico laureato sono assegnati ai laboratori dotati di attrezzature scientifiche di particolare complessità per le esigenze della ricerca,…. Quindi per la ricerca , che adesso la Corte dice essere la differenza fondamentale che residua tra le due categorie. Oltre l’evidenza relativa alla produzione scientifica di ogni singolo tecnico laureato medico (tra cui pubblicazioni scientifiche con alto impact factor).

Fondamentale, a tal riguardo, rammentare alla Corte che i tecnici laureati hanno partecipato alla prima e seconda tornata idoneativa per professore associato proprio in virtù del possesso del requisito di avere svolto un triennio di didattica e di ricerca. Ma c’è di più: coloro che, nonostante le disposizioni legislative, hanno partecipato alla terza tornata idoneativa oggi, dopo vari contenziosi, sono professori associati, con il riconoscimento della legge (comma 7 dell’articolo 8 della 370/99).

3) una ulteriore considerazione appare opportuna sul contesto storico nel quale una norma prende corpo: all’epoca, 1980, in campo medico apparivano ulteriori e ancor più sofisticate “attrezzature di particolare complessità” (TAC, ecocardiografi, elettromiografi computerizzati, endoscopi ecc.), cosa che ha determinato un cospicuo ingresso di tecnici laureati medici nelle facoltà di Medicina (posti di ricercatore non ce n’era neanche uno grazie all’ingresso ope legis di masse di ricercatori, come previsto dallo stesso DPR 382/80).

E’ necessario fare questa precisazione, nonostante quanto stava accadendo, la laurea in Medicina e Chirurgia non è stata contemplata nel famoso allegato D del D.I. 9/11/1982. Infatti la tabella equiparativa tra personale universitario e personale ospedaliero di pari mansioni, funzioni ed anzianità prevedeva per i VII ed VIII livelli (cioè collaboratori e funzionari tecnici, come già da allora erano stati rinominati i tecnici laureati) soltanto le lauree in farmacia, biologia, chimica e fisica.

Questo ha peraltro determinato gravi problemi di corretta equiparazione ospedaliera per i tecnici con laurea in Medicina e Chirurgia. Infatti nella maggior parte dei casi, essi sono stati equiparati ai biologi del SSN, attribuendo loro l’indennità perequativa prevista dall’ art. 31 DPR 761/79 (ex legge 200) e non già dalla legge 213 - la famosa De Maria (specifica per i medici), con grave nocumento economico e determinando, inoltre, l’instaurarsi di innumerevoli contenziosi dei quali molti sono ancora pendenti (ovviamente per gli anni antecedenti al 1992, epoca in cui fu finalmente promulgato l’art. 6 comma 5 del D.L. 502/92).

4) gli articoli 12 e 16 della legge 341/90, secondo la Corte, determinano una parziale coincidenza di compiti per quanto riguarda l’attività didattica e non può riconoscersi a tali norme il carattere di disposizioni idonee ad esaurire, identificandola, la disciplina dei compiti e delle funzioni dei tecnici laureati e dei ricercatori. Si rammenta rispettosamente che all’epoca (1990) il problema dei tecnici laureati era proprio quello del riconoscimento “ufficiale” della didattica che veniva da loro regolarmente svolta “ufficiosamente” proprio nello spirito del dettato dell’art. 35 DPR 382/80, laddove la norma recita testualmente: “ i tecnici laureati coadiuvano i docenti…” A questo proposito, il vocabolario Zingarelli alla voce “coadiuvare” dice “aiutare o fare le veci”, quindi già dal 1980 i tecnici laureati potevano “sostituire” i docenti . Ma non è tutto.

Basta, infatti, ancora una volta ricordare che i tecnici laureati erano tra le categorie contemplate fra i soggetti da ammettersi alla prima e seconda tornata idoneativa a professore associato proprio in virtù del possesso del requisito del triennio di attività didattica e scientifica. A tal proposito è assolutamente opportuno menzionare la sentenza n. 93 del 1991 della stessa Corte Costituzionale per evidenziare come tale requisito, previsto ab origine per i soli tecnici laureati ex art. 50 DPR 382/80, sia stato esteso già da allora anche a coloro che lo avevano acquisito dopo l’anno accademico 1979/80.

Afferma infatti testualmente la Corte: “Fermo restando per i tecnici laureati il requisito del triennio di attività scientifica e didattica, il compimento di esso può intendersi così compreso fra la scadenza dei termini per la presentazione delle domande di partecipazione fissati dal bando relativo alla prima tornata (13 aprile 1981) e quella dell’analogo bando per la terza.” Delle due l’una, o la Corte rinnega se stessa oppure didattica e ricerca sono state svolte (documentatamente) da sempre.

5) la speciale categoria dei tecnici laureati medici comincia ad essere distinta dalla categoria globale dei tecnici laureati nell’anno 1992. Ai collaboratori e funzionari tecnici medici (VII e VIII livelli statali), dopo avere sofferto sin dall’origine per i suddetti problemi di equiparazione ospedaliera, viene finalmente riconosciuta “ufficialmente” l’assistenza con la prima di una serie di norme specifiche di settore.

L’art. 6 comma 5 DL 502/92 concerne infatti la “formale” attribuzione delle suddette funzioni assistenziali mediche già di fatto espletate (dal momento che un laureato in Medicina non può fare altro che il medico) con la conseguente attribuzione della equiparazione al dirigente medico del SSN di pari anzianità (esattamente come per i ricercatori). “Detta disposizione appare significativa dell’intento di uno scorrimento in avanti della categoria dei tecnici in questione, le cui funzioni originarie risultavano modificate ed arricchite con l’aggiunta delle attività assistenziali; con la conseguenza che i ruoli dei tecnici, sostanzialmente svuotati sul piano funzionale, non potevano essere rincalzati con nuove assunzioni, per evidenti fini di contenimento della spesa per tale personale” (sentenza 294/2001 TAR CT): tale assunto non credo meriti alcun ulteriore commento.

6) Il suddetto articolo è stato quindi sostituito dall’art. 7 del DL 517/93 che modifica definitivamente il profilo funzionale dei tecnici laureati medici nel senso che le funzioni assistenziali mediche diventano parte integrante del loro stato giuridico. Ebbene, dice invece la Corte, tale disposizione “si limita ad attribuire le funzioni assistenziali al personale in questione, nella logica, più volte sottolineata da questa Corte, della stretta compenetrazione tra l’attività di assistenza ospedaliera e la funzione didattica (sentenze 71/2001, 136 e 134/97)”.

Premesso che l’inscindibilità è da sempre stata tra assistenza, didattica e ricerca, e che questo principio è pacificamente accolto (vedi sentenze della Corte 136/97, 126/91, 103/77, ecc.), la Corte stessa nella citata sentenza 71/2001 si spinge persino oltre. Infatti al punto 2.1 si legge testualmente “ Questa Corte ha ripetutamente osservato che l’attività di assistenza ospedaliera e quella didattico-scientifica affidata dalla legislazione vigente al personale medico universitario si pongono tra loro in un rapporto che non è solo di stretta connessione, ma di vera e propria compenetrazione.

Ciò in considerazione della natura necessariamente teorico-pratica dell’insegnamento medico… Ciò che non può invece ritenersi consentito – pena la violazione del generale criterio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., oltre che del principio di buon andamento tutelato dall’art. 97 Cost. – è la scissione tra l’uno e l’altro settore di attività .” QUINDI stretta compenetrazione per tutto il personale medico universitario, tranne che per i tecnici laureati medici per i quali, si contraddice la Corte, è sufficiente la compenetrazione tra assistenza e didattica.

7) Ulteriore norma specifica per i tecnici medici è l’art. 73 comma 2 DL n. 29/93 che ha consentito la iscrizione agli ordini professionali ai tecnici laureati medici, o meglio il “formale” riconoscimento a rimanere iscritti agli Ordini dei Medici, Chirurghi ed Odontoiatri (il rischio era infatti quello della cancellazione dall’Ordine di appartenenza dopo anni di contributi versati all’ENPAM e anni di quote versate agli stessi Ordini.), in deroga alla vigente disciplina che esclude l’iscrizione agli albi professionali per i pubblici dipendenti

8) Ancora l’art. 1 comma 6 legge 662/96 ha esteso ai tecnici laureati medici la normativa sull’opzione tra intra ed extramoenia della attività libero-professionale: i commi da 1 a 19 si applicano anche al personale di cui all’art. 102 DPR 382/80 (cioè ricercatori e altro personale docente.), e al personale di cui all’art. 6,comma 5, DL 502/92 (cioè tecnici laureati medici). Addirittura tecnici laureati medici e ricercatori accomunati nella stessa norma. Per la Corte entrambe le due ultime disposizioni legislative sono soltanto “delle disposizioni di contorno sorrette dalla medesima compenetrazione tra assistenza e didattica”. Valgono a questo proposito le medesime riflessioni già fatte al punto 6 circa la compenetrazione tra assistenza, didattica e ricerca .

9) Nonostante la suddetta enorme stratificazione di norme di settore, di cui l’art. 8 comma 10 della legge 370/99 rappresenta il momento ultimo della piena equiparazione funzionale tra tecnici laureati medici e ricercatori, la Corte afferma che in effetti nulla è innovato dall’articolo in questione.

Tra le disposizioni legislative per contraddistinguere i tecnici laureati medici, la Corte cita addirittura il DPCM 24 settembre 1981 ovvero la famosa declaratoria dei profili professionali. Una più attenta disamina della questione avrebbe dovuto evidenziare quanto appresso: in merito all’odierna valenza giuridica del citato DPCM la VI Sezione del Consiglio di Stato (sentenza 407/2000) così testualmente si è espressa: “ Quanto, infine, al valore del Davo 502/92, il suo carattere di sanatoria e la modifica del profilo funzionale per i tecnici laureati in medicina, almeno di quelli operanti alla data indicata dal Legislatore, fanno parte della portata della norma, per cui è vano risalire ai profili professionali “ordinari” previsti dal DPCM 24/9/1981”.

Quindi il profilo professionale dei tecnici laureati medici è MUTATO , come d’altra parte testualmente recita l’art. 7 DL 517/93: “in tal senso è modificato il contenuto delle attribuzioni dei profili del collaboratore e funzionario tecnico socio-sanitario in possesso del diploma di laurea in Medicina e Chirurgia ed in odontoiatria”.  A far data dal 1992, per i tecnici laureati medici non valgono più i profili professionali previsti dal DPCM 24/9/1981 citato dalla Corte .

10)   Per escludere la possibilità che si possa addivenire all’inquadramento automatico nella categoria dei ricercatori, la Corte afferma addirittura che l’art. 97 della Costituzione è stato invocato in modo improprio “in vista della mera attribuzione di miglioramenti di trattamento normativo e retributivo. E’ UNA GROSSOLANA SVISTA. Prima di tutto perché, proprio in virtù dell’art. 6 comma 5 DL 502/92, ai tecnici laureati medici è stata attribuita l'equiparazione ospedaliera ai dirigenti medici del SSN.

Quindi, a far data dal 1/1/93, lo stipendio globalmente considerato (parte derivante dall’inquadramento statale + parte derivante dal corrispondente inquadramento ospedaliero) di un tecnico laureato medico è assolutamente identico a quello di un ricercatore dell’area medica di pari anzianità.

E’ facilmente dimostrabile infatti che lo stipendio statale di un tecnico laureato medico (ex VIII livello, oggi D3) è inferiore senz’altro allo stipendio statale di un ricercatore medico di pari anzianità, ma viceversa la quota legata all’integrazione ospedaliera di un tecnico laureato medico è decisamente maggiore rispetto a quella del ricercatore medico. DI CERTO, però, la somma delle due parti di stipendio, sia nel caso del tecnico laureato medico sia nel caso del ricercatore medico, genera una cifra che è assolutamente identica , poiché entrambe le categorie sono equiparate al medesimo dirigente medico di I livello del SSN di pari anzianità e di conseguenza il loro stipendio complessivamente considerato non può che essere identico. 

Poniamo, infatti, che lo stipendio statale di un tecnico laureato medico sia 1000 euro e che lo stipendio di un dirigente medico del SSN sia 3000 euro, la quota di integrazione ospedaliera sarà in questo caso di 2000 euro.

Viceversa, se lo stipendio statale di un ricercatore medico è per esempio di 2000 euro, la relativa integrazione ospedaliera sarà 1000 euro: ovvero lo stipendio globale di entrambe le categorie considerate ammonterà a 3000 euro, e cioè pari allo stipendio del dirigente medico di I livello di pari anzianità.

 Non è quindi ravvisabile alcuna disomogeneità tra la retribuzione dei tecnici laureati medici e dei ricercatori medici di pari anzianità, neanche a voler evidenziare, come fa la Corte, che “il trattamento economico dei ricercatori è pari al 70% della retribuzione prevista per i professori universitari di ruolo di seconda fascia di pari anzianità”. Tale ragionamento della Corte può valere solo e soltanto per i tecnici laureati non medici che non godono della equiparazione ospedaliera ai dirigenti medici di I livello del SSN, ma mai e poi mai per i tecnici laureati medici.

 Quanto detto finora spiega, inoltre, perché il comma 10 dell’art. 8 della legge 370/99 precisa che dalla sua attuazione non devono derivare nuovi o maggiori oneri per il bilancio dello Stato: di fatto abbiamo appena dimostrato come lo stipendio globale in atto percepito dalle due categorie è assolutamente identico. Ragionando per astratto, potrebbe persino verificarsi tale paradossale situazione: se un tecnico laureato medico con un certo numero di anni di anzianità vincesse un concorso libero per ricercatore universitario, il suo stipendio iniziale nel nuovo ruolo dovrebbe persino essere integrato con un “assegno ad personam”, per via della sua precedente migliore retribuzione .

E’ utile al riguardo ed a scanso di equivoci, ulteriormente sottolineare come, secondo giurisprudenza costante, “l’equiparazione economica del personale universitario a quello medico è obbligo precipuo dell’Università indipendentemente dalla stipula della convenzione con la Regione, la quale attiene alla provvista dei mezzi finanziari necessari per assicurare la detta equiparazione” (Consiglio di Stato, VI sez. 28 dicembre 1993 n. 1032; VI sez. 28 gennaio 2000 n. 407).

11)   La Corte, infine, afferma che l’art. 8 comma 10 della legge 370/99, norma sospettata di incostituzionalità, “si configura anch’essa come norma particolare, di (ulteriore, per l’ambito temporale che prende in considerazione) estensione dei compiti didattici propri dei ricercatori ai tecnici laureati dell’area medica”. E’ appena il caso di ricordare alla Corte che i tecnici laureati medici prima di diventare tecnici laureati “medici” , cosa avvenuta come più volte detto con l’avvento dell’art. 6 comma 5 DL 502/92, rientravano nella più ampia categoria dei “tecnici laureati” e pertanto anche per loro (i medici) era vigente l’art.16 della 341/90. Occorre ancora una volta aggiungere che l’estensione temporale del triennio di attività di didattica e di ricerca era stato esteso ben oltre l’anno accademico 1979/80 (sentenza 93/91 della Corte Costituzionale già precedentemente citata). Quindi il possesso di tale requisito è da considerarsi maturato non più e non solo dai cosiddetti tecnici laureati “doc”, cioè quelli ex art. 50 DPR 382, bensì da tutti i tecnici laureati (collaboratori e funzionari tecnici) assunti dopo l’anno 1980, tra i quali, a buon diritto, rientrano tutti i tecnici laureati, compreso quelli con laurea in Medicina e Chirurgia . E’ tanto vero che il legislatore nella legge 14/1/99 n. 4 autorizza le Università a bandire concorsi riservati a tecnici laureati che abbiano svolto “almeno tre anni di attività di didattica e di ricerca”. Delle due l’una: o l’attività di ricerca (peraltro comprovata, come più volte detto, da innumerevoli pubblicazioni scientifiche impattate) era già ampiamente possibile e regolarmente svolta dai tecnici laureati oppure come poteva il legislatore richiederla come requisito previsto nella legge 4/99 ?

12)   Alla luce di quanto sinora detto, una conclusiva considerazione merita la questione esaminata dalla Corte dell'apparente incongruenza tra l’art. 8 comma 10 legge 370/99 e la legge 4/99.

L’incongruenza consisterebbe nel fatto che “un inquadramento ope legis” , quale quello previsto dall’art. 8 comma 10 della legge 370/99 per i tecnici laureati medici “si porrebbe quale elemento di irrazionalità e di discriminazione all’interno di una medesima categoria, beneficiando alcuni e penalizzando altri”. Ed ancora tale disposizione “ sarebbe comunque incongruente con l’intervento legislativo, di pochi mesi anteriore (legge 14 gennaio 1999, n. 4) che aveva previsto l’inquadramento del personale tecnico laureato nei ruoli di ricercatore attraverso procedure concorsuali riservate”. In merito ai suddetti rilievi, è stato ampiamente dimostrato come la speciale categoria dei tecnici laureati medici si sia completamente diversificata dalla categoria globale dei tecnici laureati a far data dall’entrata in vigore del DL 502/1992 (vedi considerazioni svolte ai punti 5-6-7-8-9).

Non corrispondendo più il profilo professionale dei tecnici laureati medici con quello previsto ab origine, non si ravvisa quindi nessuna irrazionalità o discriminazione tra soggetti che non appartengono più alla “medesima categoria”.

Di questo si è reso conto il legislatore promulgando l’art. 8 comma 10 legge 370/99 ancorché a poca distanza dalla legge n. 4/99. Esaminando infatti tutte le disposizioni specifiche per i tecnici laureati medici emanate dal 1992 in poi, il legislatore ha compreso come il quadro normativo di settore, specifico per i medici, aveva nel corso degli anni determinato una completa sovrapposizione della speciale categoria dei tecnici medici con quella dei ricercatori.

Il legislatore ha quindi trasformato semplicemente uno stato di fatto in uno stato di diritto. “D’altra parte, anche sul piano strettamente formale non si capisce cosa abbia voluto dire il legislatore del 1999 quando ha disposto che nelle dizioni “ricercatori” o “ricercatori confermati” è da intendere ricompresa anche la speciale categoria dei tecnici laureati contemplata dal DL 502.

Alla norma, per il ricordato principio di significatività ed utilità, non può darsi altro significato se non quello espressivo della volontà di attribuire a quest’ultima categoria la stessa qualificazione giuridica, non essendo pensabile, secondo i predetti criteri di significanza ed effettività, che tale equiparazione denominatoria fosse mirata all’attribuzione di compiti e mansioni (assistenziali e didattiche) che i tecnici già svolgevano in base alla normativa precedente” (Consiglio di Stato parere sez. II 22 novembre 2000 n. 921/2000, sentenze n. 294/2001, 300/2001, 321/2001, 1514/2001 TAR CT). L’accesso nell’ambito del personale docente universitario è possibile solo tramite “regolare concorso” e non mai tramite ope legis: questo sarebbe l’insegnamento della Corte Costituzionale. Che dire, dunque, della legge 4/99: altro non è se non una ope legis mascherata.

Una legge che prevede concorsi riservati per i tecnici laureati: ovvero una legge che prevede per ogni posto messo a concorso un unico concorrente, di cui si può scrivere nome, cognome, settore scientifico-disciplinare di appartenenza già nello stesso bando di concorso. Con due aggravanti: la prima di ordine economico legata ai costi necessari per l’espletamento di ogni singolo concorso; la seconda, più grave, di ordine costituzionale.

L’art. 1 comma 10 della legge 14 gennaio 1999 n. 4 è infatti sospettato di incostituzionalità, in riferimento agli artt. 3 e 97 Cost., nella parte in cui prevede la partecipazione ai concorsi riservati a posti di ricercatore universitario per i soli tecnici laureati assunti mediante pubblici concorsi che prevedevano come requisito di accesso il diploma di laurea.

Escludendo quindi i tecnici laureati cosiddetti “mansionati” ovvero assunti a seguito di concorso che non richiedeva come requisito di accesso il diploma di laurea e che, possedendo comunque la laurea, hanno successivamente acquisito un identico status in virtù di leggi (312/80, 63/89, 21/91) tramite concorso interno “riservato” del tutto simile a quello pubblico, e che possiedono ovviamente il richiesto requisito di almeno tre anni di attività didattica e scientifica (ordinanza 2439/2002 TAR Lazio, sez. III – Pres. Cossu, Est. Mollica).

Auspichiamo almeno per questa ultima questione una favorevole pronuncia della Corte Costituzionale, non fosse altro che per porre rimedio ad una incredibile ed irrazionale discriminazione all’interno, questa volta sì, di una medesima categoria soltanto in base alla modalità di assunzione in servizio, una condizione del tutto estrinseca e formale per giunta superata da successiva acquisizione di un identico status in virtù di leggi dello Stato Italiano. Gli esclusi sono infatti tutti in possesso alla data di entrata in vigore della legge n. 4/99 della posizione formale e funzionale di funzionario tecnico laureato nonché del previsto triennio di attività di ricerca.

Per di più, oltre il danno anche la beffa: in diversi pubblici concorsi per collaboratori e funzionari tecnici che prevedevano come requisito di accesso il diploma di laurea, gli esclusi dalla legge 4/99 sono stati commissari in quanto possedevano da anni la qualifica di funzionario tecnico laureato.

Alla luce dei fatti, sarebbe stato meglio partecipare a tali concorsi in qualità di “concorrente” anziché fare il “commissario” per valutare se i concorrenti erano idonei a diventare “tecnici laureati” con un futuro assicurato da “ricercatori”.

 

 

ORDINANZA N. 262

ANNO 2002

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Cesare RUPERTO Presidente

- Massimo VARI Giudice

- Riccardo CHIEPPA "

- Gustavo ZAGREBELSKY "

- Valerio ONIDA "

- Fernanda CONTRI "

- Guido NEPPI MODONA "

- Piero Alberto CAPOTOSTI "

- Annibale MARINI "

- Franco BILE "

- Giovanni Maria FLICK "

- Francesco AMIRANTE "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 8, comma 10, della legge 19 ottobre 1999, n. 370 (Disposizioni in materia di università e di ricerca scientifica e tecnologica), promosso con ordinanza emessa il 7 marzo 2001 dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio sul ricorso proposto da Daniela Zangrilli e altri contro l’Università degli studi di Roma "Tor Vergata" e altri, iscritta al n. 858 del registro ordinanze 2001 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 43, prima serie speciale, dell’anno 2001.

Visti l’atto di costituzione di Maurizio Balducci e altri nonchè gli atti di intervento di Rita Bella e altri e del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 9 aprile 2002 il Giudice relatore Gustavo Zagrebelsky;

uditi l’avvocato Piero Biasiotti per Maurizio Balducci e altri e l’avvocato dello Stato Nicola Bruni per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto che il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, con ordinanza del 7 marzo 2001, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 8, comma 10, della legge 19 ottobre 1999, n. 370 (Disposizioni in materia di università e di ricerca scientifica e tecnologica), che così dispone: "Al personale di cui all’articolo 6, comma 5, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni, si applicano le disposizioni di cui all’articolo 12, commi 1, 2, 3, 4, 6 e 7, della legge 19 novembre 1990, n. 341. Il suddetto personale é ricompreso nelle dizioni previste dall’articolo 16, comma 1, della legge 19 novembre 1990, n. 341, e successive modificazioni. Dall’attuazione del presente comma non devono derivare nuovi o maggiori oneri per il bilancio dello Stato";

che nel giudizio pendente dinanzi al TAR, i ricorrenti, tecnici laureati medici e odontoiatri, funzionari tecnici e collaboratori tecnici, tutti in servizio presso l’Università degli studi di Roma "Tor Vergata" e svolgenti funzioni assistenziali, hanno impugnato un atto dell’amministrazione universitaria con il quale é stata rigettata una loro istanza rivolta a ottenere l’inquadramento nel ruolo dei ricercatori universitari confermati;

che detta istanza, e il successivo ricorso giurisdizionale – secondo quanto si riferisce nell’ordinanza di rimessione –, si basano sulla tesi secondo la quale l’art. 8, comma 10, della legge n. 370 del 1999 sarebbe il punto di arrivo di una evoluzione normativa che avrebbe determinato la totale equiparazione delle situazioni che costituiscono lo status giuridico del personale in questione e di quelle relative alla categoria dei ricercatori universitari, determinando in tal modo il titolo a ottenere il richiesto inquadramento nella medesima categoria;

che il TAR rimettente, svolgendo una complessiva disamina della normativa, esclude che la citata norma possa avere il significato, a essa attribuito dai ricorrenti, di piena e conclusiva equiparazione della categoria dei tecnici laureati medici ai ricercatori universitari;

che il rimettente osserva specificamente che: (a) la figura del tecnico laureato é stata istituita nell’università con la specifica funzione di coadiuvare i docenti per il funzionamento dei laboratori, con la corrispondente responsabilità delle attrezzature scientifiche e con il compito di direzione dell’attività del personale tecnico non laureato assegnato ai laboratori [art. 35 del d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382 (Riordinamento della docenza universitaria, relativa fascia di formazione nonchè sperimentazione organizzativa e didattica)]; (b) la legge n. 341 del 1990, nello stabilire (art. 12) i compiti didattici affidati ai ricercatori universitari (affidamenti e supplenze di corsi e moduli, partecipazione alle commissioni di esame, relazione di tesi di laurea, copertura di insegnamenti sdoppiati), ha altresì disposto (art. 16) l’estensione di detti compiti ai tecnici laureati in possesso dei requisiti di cui all’art. 50 del d.P.R. n. 382 del 1980 alla data di entrata in vigore di quest’ultimo decreto, cioé ai tecnici laureati che - entro la data del 1° agosto 1980 - avessero svolto un triennio di attività scientifica e didattica; (c) per effetto dell’anzidetta estensione, ai tecnici laureati aventi i requisiti richiesti sono stati affidati, tramite una norma di rinvio, i medesimi compiti di docenza già assegnati ai ricercatori, sia quelli di cui alla medesima legge n. 341 sia quelli già in precedenza elencati nel contesto dello stesso d.P.R. n. 382 del 1980, cioé compiti didattici integrativi, esercitazioni, cicli di lezioni interne e attività di seminario (art. 32 del d.P.R. n. 382), e ciò in aggiunta alle funzioni assistenziali svolte di fatto dal personale in questione nelle facoltà di medicina, per la carenza di personale medico; (d) l’art. 6, comma 5, del decreto legislativo di riforma sanitaria 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421) – norma che definisce i soggetti destinatari della disposizione oggi sospettata di incostituzionalità - ha stabilito, con una previsione di sostanziale sanatoria di situazioni consolidatesi di fatto, che nelle strutture delle facoltà mediche il personale laureato medico e odontoiatra di ruolo delle aree tecnico-scientifica e socio-sanitaria, in servizio alla data del 31 ottobre 1992, dovesse svolgere anche le funzioni assistenziali; (e) il progressivo accostamento funzionale dei tecnici laureati ai ricercatori é espresso da ulteriori disposizioni, come l’art. 73, comma 2, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 (Razionalizzazione dell’organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego, a norma dell’articolo 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), che consente al personale tecnico laureato l’iscrizione agli ordini professionali, e come l’art. 1, comma 6, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), che estende allo stesso personale la disciplina in tema di attività libero-professionale intra ed extra-muraria;

che, secondo il rimettente, l’art. 8, comma 10, della legge n. 370 del 1999 va oltre la disposizione di "estensione" ai tecnici laureati dei compiti dei ricercatori, quale precedentemente posta dalla legge n. 341 del 1990 (legge oggetto di testuale richiamo a opera della prima), poichè comprende il personale tecnico laureato "in servizio alla data del 31 ottobre 1992", in tal modo prescindendo dal requisito del triennio di attività scientifica e didattica richiesto invece dalla citata legge n. 341;

che, posto l’anzidetto quadro normativo, il TAR esclude che all’art. 8, comma 10, della legge n. 370 del 1999 possa riconoscersi l’effetto di determinare la piena e totale equiparazione di status tra le due categorie, dei tecnici laureati dell’area medica e dei ricercatori, come vorrebbero i ricorrenti nel giudizio principale, e ciò per il dato letterale della norma; per l’esigenza inoltre, anche in rapporto al principio di buon andamento dell’amministrazione, di una chiara e precisa disposizione di "assimilazione", disposizione che non é stata adottata e che sarebbe comunque incongruente con l’intervento legislativo, di pochi mesi anteriore (legge 14 gennaio 1999, n. 4), che aveva previsto l’inquadramento del personale tecnico laureato nei ruoli di ricercatore attraverso procedure concorsuali riservate, onde un inquadramento ope legis quale quello che i ricorrenti prospettano si porrebbe quale elemento di irrazionalità e di discriminazioni all’interno di una medesima categoria, beneficiando alcuni e penalizzando altri; infine, per il previsto impegno nel senso dell’assenza di oneri di bilancio;

che muovendo dalla suddetta lettura, che condurrebbe al rigetto dei ricorsi proposti, il giudice rimettente dubita della costituzionalità del citato art. 8, comma 10, poichè, in presenza del quadro legislativo complessivo sopra esposto e della sostanziale equiparazione di compiti tra le due categorie nell’ambito della medesima struttura organizzativa dell’università, la mancata piena identificazione di status e di trattamento giuridico ed economico appare al TAR in contrasto (a) con il principio di uguaglianza e di ragionevolezza (art. 3 della Costituzione), sia per l’ingiustificata differenziazione che tuttora sussiste tra i tecnici laureati e i ricercatori, nonostante la riferita progressiva assimilazione, sia per l’incoerenza del mancato collocamento dei primi in una posizione formale corrispondente alle funzioni effettivamente svolte e affidate dalla legge, e (b) con l’art. 97 della Costituzione, per la sperequazione consistente nell’addossare a una categoria di personale (i tecnici laureati) compiti spettanti in origine a un’altra categoria (i ricercatori) senza riconoscere la complessiva disciplina di status riservata a quest’ultima, ciò che non risponderebbe alle esigenze di buon funzionamento dell’amministrazione universitaria;

che la rilevanza della questione, conclude il TAR, é nella necessità della pronuncia additiva richiesta quale unica possibile premessa giuridica del soddisfacimento delle pretese dei ricorrenti;

che è intervenuto nel giudizio così promosso il Presidente del Consiglio dei ministri, tramite l’Avvocatura generale dello Stato, che (a) valorizzando il carattere eccezionale e come tale non estensibile della norma impugnata; (b) osservando che l’affidamento di funzioni mediche e assistenziali ai tecnici laureati non é influente ai fini del problema posto (perchè l’esercizio della didattica non autorizza ex se un organico inserimento nella docenza universitaria, e inoltre perchè l’esercizio delle funzioni assistenziali si collega alle attività già in precedenza svolte dai tecnici laureati medici nell’area specifica della medicina e chirurgia, cosicché divengono ininfluenti, ai fini che interessano, l’iscrizione agli albi professionali o la disciplina dell’incompatibilità con l’attività extra-muraria); (c) infine rilevando che all’accoglimento della richiesta additiva del TAR così come prospettata osta la circostanza che essa si porrebbe in sostanza come una forma di inquadramento ope legis, senza alcun criterio selettivo idoneo ai fini delle determinazioni dell’amministrazione circa la distribuzione del personale docente nei diversi settori scientifico-disciplinari, ha concluso per una dichiarazione di infondatezza della questione;

che si sono costituiti nel giudizio Maurizio Balducci, Francesco Giacomello, Giulio Sacchetti, Edoardo Valli, Francesco Russo, Filippo Milano, Placido Araco, Cristina De Marchis, Claudia Di Domenico, Maria Paola Canale, Claudio Manna, Raffaele Mancino, Andrea Corsi, Anna Neri e Marzia Lazzari, ricorrenti nel giudizio principale, i quali, facendo proprie le censure di disparità di trattamento e di contrasto con il principio di buon andamento dell’amministrazione dedotte dal TAR, hanno concluso per l’accoglimento della questione di costituzionalità;

che hanno depositato atto di intervento in giudizio Rita Bella, Vito Sofia, Francesco Patti, Ignazio Vecchio, Alfio Antonio Grasso, Roberto Catanzaro, Giuseppe Trama, Pietro Caglià, Agata Sciacca, Vito Emanuele Catania, Salvatore Luca, Rosaria Sorace, Pietro Naso, Rosaria Furnari, Domenico Grasso, Calogero Rinzivillo, Tiziana Maria Di Prima, Ildebrando Patamia, Luigi Samperisi, Antonio Carbonaro, Salvatore Bellanca, Giuseppa Rosalia, Mario Trainiti, Maria Elisabetta Ferreri, Giovanni Cantarella, Liliana Ciotta, Salvatore Ferlito, Venera Giuseppa Ursino, Antonino Petralia, Maria Domenica Di Vita, Biagio Di Stefano e Maria Teresa Bruno, dipendenti dell’Università degli studi di Catania con la qualifica di funzionari tecnici e di collaboratori tecnici dell’area tecnico-scientifica e socio-sanitaria, laureati in medicina e chirurgia e in odontoiatria, i quali, sulla premessa di avere ottenuto dai competenti organi di giurisdizione amministrativa di primo grado pronunce di accoglimento dei ricorsi da essi proposti contro il rifiuto dell’amministrazione universitaria di riconoscere loro il pieno e integrale status di ricercatori, e attraverso considerazioni di ordine sistematico, hanno dedotto (a), in via principale, l’inammissibilità della questione sollevata dal TAR, nell’assunto – opposto a quello da cui muove il giudice a quo sollevando la questione – che alla piena equiparazione di status tra tecnici laureati e ricercatori si possa pervenire già in base alla normativa in vigore, senza necessità della richiesta pronuncia additiva, come appunto si é finora verificato nei giudizi che li riguardano e (b), subordinatamente, l’accoglimento della questione sollevata;

che in prossimità dell’udienza l’Avvocatura dello Stato ha depositato una memoria oltre il termine stabilito dall’art. 10 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

Considerato, preliminarmente, che l'intervento da parte di terzi nel giudizio sulla legittimità costituzionale delle leggi e degli atti aventi forza di legge é regolato dal principio, più volte affermato da questa Corte, della necessaria corrispondenza tra le parti del giudizio incidentale di costituzionalità e quelle costituite nel giudizio principale (per tutte, ordinanza n. 183 del 2001), non rilevando l’eventuale partecipazione ad altri giudizi di identico o analogo oggetto;

che inoltre questa Corte ha ammesso l’intervento di soggetti che non sono parti del giudizio principale ma alla condizione che esso sia basato su una situazione giuridica individualizzata, riconoscibile quando l’esito del giudizio di costituzionalità sia destinato a incidere direttamente su una posizione giuridica propria della parte intervenuta (tra molte, sentenza n. 333 del 2001; ordinanza n. 456 del 2000);

che nel presente caso i soggetti che hanno spiegato intervento, i quali non rivestono la qualità di parti nel giudizio principale, sono portatori di un interesse puramente riflesso a una determinata decisione di questa Corte sulla questione sollevata, per le possibili conseguenze che la soluzione del presente giudizio costituzionale potrebbe assumere circa l’interpretazione e applicazione della disciplina denunciata, nell’ambito dei giudizi di merito pendenti - tra essi e l’amministrazione universitaria di appartenenza - dinanzi al giudice amministrativo;

che, pertanto, difettandone i necessari presupposti, l'intervento dei soggetti sopra elencati nella parte narrativa deve essere preliminarmente dichiarato inammissibile (tra molte, da ultimo: ordinanza del 22 maggio 2001, allegata alla sentenza n. 291 del 2001; ordinanza del 20 febbraio 2001, allegata alla sentenza n. 189 del 2001);

che, nel merito, il TAR del Lazio dubita della costituzionalità dell’art. 8, comma 10, della legge 19 ottobre 1999, n. 370 (Disposizioni in materia di università e di ricerca scientifica e tecnologica), in quanto detta disposizione - che estende ai tecnici laureati, (poi qualificati funzionari tecnici e collaboratori tecnici) dell’area tecnico-scientifica e socio-sanitaria in possesso del diploma di laurea in medicina e in odontoiatria, in servizio alla data del 31 ottobre 1992, le mansioni e i compiti didattici già attribuiti in generale ai tecnici laureati (in possesso del requisito di un triennio di attività didattico-scientifica, ex art. 50 del d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382) dagli artt. 12 e 16 della legge 19 novembre 1990, n. 341, in termini corrispondenti agli omologhi compiti assegnati ai ricercatori universitari dalla stessa legge n. 341 e cioé: affidamenti e supplenze di corsi e moduli, partecipazione alle commissioni di esame, relazione di tesi di laurea, copertura di insegnamenti sdoppiati – non porterebbe a compimento la propria ratio con la piena e definitiva equiparazione dello status giuridico ed economico dei tecnici laureati a quello dei ricercatori, in violazione dell’art. 3 della Costituzione, per l’ingiustificata differenziazione tra le due categorie, assimilate sotto l’aspetto funzionale, e per irragionevolezza della norma a fronte di un complessivo quadro normativo di progressivamente crescente sovrapposizione dei compiti affidati alle due categorie, incluse le funzioni assistenziali, nonchè in violazione dell’art. 97 della Costituzione, per essere affidata alla categoria dei tecnici laureati una funzione complessivamente analoga a quella propria dei ricercatori, ma senza la corrispondente perequazione, in contraddizione con le esigenze di buon andamento dell’amministrazione universitaria nel settore medico;

che, chiamata a pronunciarsi su analoga questione, riferita ai medesimi parametri costituzionali (oltre che all’art. 36 della Costituzione), concernente la mancata piena assimilazione dello status giuridico ed economico della categoria dei tecnici laureati a quella dei ricercatori a opera degli artt. 12 e 16 della legge n. 341 del 1990, i quali dispongono, rispettivamente, circa i compiti didattici affidati ai ricercatori universitari quali sopra indicati e circa l’"estensione" dei compiti medesimi ai tecnici laureati (in possesso del requisito di un triennio di attività scientifica e didattica, a norma dell’art. 50 del d.P.R. n. 382 del 1980; requisito sussistente anche se maturato in epoca successiva alla data del 1° agosto 1980 originariamente prevista dallo stesso d.P.R. n. 382, secondo quanto disposto dall’art. 1, comma 10, della legge 14 gennaio 1999, n. 4), questa Corte ne ha dichiarato, con l’ordinanza n. 94 del 2002, la manifesta infondatezza;

che nella decisione resa al riguardo si é osservato, in particolare, che la premessa della questione di costituzionalità allora proposta – fondata sull’assunto secondo il quale, alla stregua della successione della normativa concernente le due categorie, si sarebbe determinata una totale sovrapposizione di compiti e di funzioni: onde la censura di illegittimità costituzionale – é contraddetta dal quadro normativo complessivo concernente le due categorie poste a raffronto, dei tecnici laureati e dei ricercatori;

che infatti alla parziale coincidenza di compiti per quanto riguarda l’attività didattica, alla quale esclusivamente le norme degli artt. 12 e 16 della legge n. 341 del 1990 (oggetto di richiamo a opera della norma oggi denunciata) fanno riferimento, si contrappone la persistente differenziazione per quanto riguarda i compiti primariamente assegnati alle due categorie in esame, cioè la ricerca, propria ed esclusiva dei ricercatori, e la direzione e gestione di laboratori, propria ed esclusiva dei tecnici laureati (ora funzionari tecnici delle categorie "D" o "EP" di cui all’accordo collettivo di settore 9 agosto 2000), secondo ciò che risulta, rispettivamente: (a) per i tecnici laureati, dalla legge 3 novembre 1961, n. 1255, che ha istituito la figura in questione; dall’art. 35 del d.P.R. n. 382 del 1980, che ne ha stabilito i compiti in connessione con l’assegnazione ai laboratori; dal d.P.C.m. 24 settembre 1981, che ne ha disposto l’inquadramento nella VIII qualifica dell’area tecnico-scientifica; dal citato accordo 9 agosto 2000, che ne ha stabilito la classificazione vigente nell’ambito del personale universitario; (b) per i ricercatori, dagli artt. 3 e 7 della legge 21 febbraio 1980, n. 28, e 1 e 54 del d.P.R. n. 382 del 1980, che hanno istituito la categoria nell’ambito della "docenza universitaria", stabilendone le procedure di selezione concorsuale (poi regolate nel contesto dell’autonomia universitaria dagli artt. 1 e 2 della legge 3 luglio 1998, n. 210), in rapporto specifico all’attitudine alla ricerca; dall’art. 32 del medesimo d.P.R. n. 382, che ne delinea i compiti; nonché da ulteriori norme che disciplinano altri aspetti del relativo trattamento giuridico (come la retribuzione, o la possibilità di opzione tra tempo pieno e tempo definito, a norma degli artt. 1 e 2 del decreto-legge 2 marzo 1987, n. 57, convertito con modificazioni dalla legge 22 aprile 1987, n. 158), sempre in correlazione con la funzione primaria di ricerca;

che, posto il suddetto complessivo quadro legislativo, non può riconoscersi alle norme degli artt. 12 e 16 della legge n. 341 del 1990 - nè conseguentemente all’art. 8, comma 10, della legge n. 370 del 1999 oggi impugnato, che a quelle fa richiamo – il carattere di disposizioni idonee a esaurire, identificandola, la disciplina dei compiti e delle funzioni dei tecnici laureati e dei ricercatori, poichè accanto a detta parziale sovrapposizione di compiti didattici continua a sussistere la essenziale differenziazione di fondo tra la ricerca e la direzione e gestione di laboratori, che dà ragione della esistenza delle due categorie;

che, una volta esclusa la premessa della piena identificazione funzionale tra le due figure, cade, con essa, la conseguenza della necessaria piena identificazione di status che il rimettente vorrebbe far derivare dalla disposizione censurata, la quale, nel contesto più ampio che sopra si é sintetizzato, si configura anch’essa come norma particolare, di (ulteriore, per l’ambito temporale che prende in considerazione) estensione dei compiti didattici propri dei ricercatori ai tecnici laureati dell’area medica, come del resto lo stesso TAR del Lazio rileva nella propria ordinanza;

che a contraddire le conclusioni raggiunte non possono valere, infine, le specifiche disposizioni legislative di settore, menzionate dal giudice a quo, concernenti i tecnici laureati dell’area medica: non l’art. 6, comma 5, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (come sostituito dall’art. 7 del decreto legislativo correttivo 7 dicembre 1993, n. 517), il quale si limita ad attribuire le funzioni assistenziali al personale in questione, nella logica, più volte sottolineata da questa Corte, della stretta compenetrazione tra l’attività di assistenza ospedaliera e la funzione didattica (da ultimo, sentenze n. 71 del 2001, n. 136 e n. 134 del 1997) e con una disposizione di sanatoria di situazioni di fatto, come tale valevole solo de praeterito (tanto da disporre contestualmente l’esplicito divieto, de futuro, di assumere nel profilo del funzionario tecnico socio-sanitario i laureati in medicina e in odontoiatria); non gli artt. 73, comma 2, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 (che consente al personale in questione l’iscrizione negli ordini professionali), e 1, comma 6, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (che estende allo stesso personale la disciplina sull’attività extra-muraria), trattandosi di disposizioni di contorno sorrette dalla medesima compenetrazione tra assistenza e didattica;

che in conclusione deve escludersi la possibilità di seguire il ragionamento del TAR e di addivenire, tramite una pronuncia additiva, all’inquadramento automatico nella categoria dei ricercatori della distinta categoria degli ex-tecnici laureati, difettando di tale richiesta il presupposto, sia alla stregua dell’art. 3 della Costituzione, per le sopra rilevate diversità di disciplina e di compiti tra l’una e l’altra categoria, sia alla stregua dell’art. 97 della Costituzione, invocato in modo improprio in vista della mera attribuzione di miglioramenti di trattamento normativo e retributivo (per tutte, sentenza n. 273 del 1997);

che la questione di costituzionalità sollevata deve pertanto essere dichiarata manifestamente infondata.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 8, comma 10, della legge 19 ottobre 1999, n. 370 (Disposizioni in materia di università e di ricerca scientifica e tecnologica), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 17 giugno 2002.

Cesare RUPERTO, Presidente

Gustavo ZAGREBELSKY, Redattore

Depositata in Cancelleria il 20 giugno 2002.

Copertina Clicca qui per segnalare la pagina ad un amico