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n. 12-2002 - © copyright.

TAR CAMPANIA - SALERNO, SEZ. I - Sentenza 24 dicembre 2002 n. 2420 - Pres. Fedullo, Est. Gaudieri - Mazzei e altri (Avv.ti Lauro e Cavuoto) c. Comune di Montoro Inferiore (AV) (Avv. Landi) - (accoglie).

1. Espropriazione per p.u. - Decreto di occupazione di urgenza - Avviso di inizio del procedimento - Necessità - Non sussiste – Ragioni.

2. Espropriazione per pubblica utilità - Dichiarazione per p.u. - Per implicito - Avviso di inizio del procedimento - Necessità - Mancanza – Illegittimità.

3. Espropriazione per pubblica utilità – Dichiarazione per p.u. - Annullamento in s.g. – Per omesso avviso del procedimento ex artt. 7 e segg. L. n. 241/1990 - Radicale trasformazione del fondo – Occupazione appropriativa – Non si realizza – Illecito permanente – Si realizza - Risarcimento del danno – Criteri per la liquidazione – Individuazione.

1. Il provvedimento di occupazione d’urgenza non ha bisogno, ai fini della sua legittimità, della previa comunicazione di avvio del procedimento, trattandosi di provvedimento che si pone quale necessaria conseguenza sul piano giuridico della dichiarazione di pubblica utilità.

2. Per ciò che concerne le garanzie partecipative, le norme previste per la dichiarazione di pubblica utilità esplicita debbono ritenersi valevoli, in quanto compatibili, per la dichiarazione implicita; sussiste pertanto l’obbligo, ai sensi dell’art. 7 L. 7 agosto 1990 n. 241, di dare all’interessato comunicazione dell’avvio del procedimento preordinato alla realizzazione dell’opera pubblica ex L. n. 1/1978.

3. Nel caso in cui sia venuta meno la dichiarazione di pubblica utilità, a seguito dell’annullamento in s.g. della relativa deliberazione ed il fondo risulti radicalmente trasformato, non si verifica il fenomeno dell’occupazione appropriativa, ma un illecito permanente generatore di danno; la liquidazione di tale danno (ove il privato, optando per la tutela risarcitoria, rinunci implicitamente al diritto dominicale), non avviene utilizzando il criterio previsto dall’art. 5 bis comma 7 bis l. 8 agosto 1992, n. 359, ma nella forma del risarcimento per equivalente senza i limiti previsti dal suddetto art. 5 bis (1).

In tale ipotesi, pertanto, l’Amministrazione espropriante va condannata al risarcimento del danno in misura pari al valore della porzione occupata dei fondi, alla data di ultimazione dei lavori (a titolo di risarcimento del danno derivante dall’occupazione di tale porzione a titolo definitivo), tenendo altresì conto dell’eventuale deprezzamento del valore residuo dei beni di proprietà, parimenti alla data di ultimazione dei lavori, da calcolarsi in misura non inferiore al venti per cento del valore venale dei predetti cespiti. Vanno altresì corrisposti gli accessori di legge ed in particolare gli interessi legali sulla somma pari al valore venale della porzione di fondo occupato, calcolati dalla data di immissione in possesso fino alla data di ultimazione dei lavori. Trattandosi di debito di valore, le somme sopra descritte debbono essere rivalutate, secondo gli indici Istat, dalla data di ultimazione dei lavori fino al deposito della sentenza.

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(1) Cass. Civ., 10 gennaio 1998, n. 148, in Giust. civ. Mass. 1998, 33 ed in Riv. giur. edilizia 1998,I, 646, secondo cui "nel caso in cui si sia verificata la decadenza della dichiarazione di pubblica utilità non è configurabile un'ipotesi di accessione invertita, bensì soltanto un fatto illecito generatore di danno; ne consegue che, ai fini della liquidazione di detto danno, non potrà farsi ricorso ai criteri di cui all'art. 5 bis l. n. 359 del 1992 neppure alla luce della modifica introdotta dall'art. 3, comma 65, l. n. 662 del 1996, posto che tale articolo, riferendosi alle occupazioni illegittime "per causa di pubblica utilità", chiaramente pone un collegamento teologico tra l'occupazione, ancorchèillegittima, e le finalità pubbliche perseguite con la procedura espropriativa, collegamento che verrebbe meno in difetto di una valida dichiarazione di pubblica utilità.

V. anche  Cass. Civ., Sez. I, 18 febbraio 2000, n. 1814, in Giust. civ. Mass. 2000, 375 ed in Foro it. 2000,I,1857, con nota di SALVAGO nonchè Cons. Stato, Sez. IV, 2 giugno 2000, n. 3177, in Foro amm. 2000, 2096 secondo cui il privato, a seguito dell'annullamento giurisdizionale del diniego di concessione edilizia, ha diritto al risarcimento del danno subito in dipendenza dell'illegittimo diniego. Detto danno, in assenza di specifiche allegazioni probatorie, va stabilito in misura pari all'incremento del costo di costruzione dal momento in cui è intervenuto l'illegittimo diniego fino al nuovo provvedimento che verrà legittimamente adottato.

V. in argomento, Cons. Stato, Sez. V, 18 marzo 2002, n. 1562, in questa Rivista n. 3-2002.

V. anche in questo numero della Rivista T.A.R. Piemonte, Sez. I - 21 dicembre 2002 n. 2099 ed ivi ult. riferimenti.

 

 

F A T T O

Con atto notificato il 9.4.2001, depositato il 24.4.2001, il sig. Pellegrino Mazzei e gli altri consorti in lite, in epigrafe meglio specificati, hanno impugnato il decreto di occupazione d’urgenza di mq 379 di un fondo di loro proprietà, emesso dall’Amministrazione comunale di Montoro Inferiore in esecuzione di apposita deliberazione di variante al progetto di realizzazione di una scuola elementare, allocata su terreni di proprietà dei medesimi ed oggetto di apposita procedura ablatoria, deducendo violazione di legge ed eccesso di potere sotto diversi profili.

Si è costituita in giudizio per resistere l’Amministrazione comunale, chiedendo il rigetto della domanda perché infondata.

Alla pubblica udienza del 20 giugno 2002 sulla conclusione delle parti la causa è stata riservata per la decisione

D I R I T T O

Il ricorso è fondato, nei limiti di cui in motivazione.

1) Per una migliore comprensione della vicenda gioverà una sintetica ricostruzione dei fatti di causa.

I sigg. Mazzei Pellegrino, Pascucci Francesco Saverio, Pascucci Achille, Guariniello Orlando e Del Pesce Antonio, attuali ricorrenti, sono proprietari nel Comune di Montoro Inferiore, di un fondo, individuato in catasto alla partita 10528, fol. 16, particella 789, esteso per complessivi mq 10.636, già interessato per mq 4003, da una precedente procedura espropriativa intrapresa dalla medesima Amministrazione comunale per la realizzazione di una scuola elementare, la cui sistemazione urbanistica, relativamente alle strade di accesso, ha comportato l’adozione di apposita variante, e l’emissione di un nuovo decreto di occupazione, oggetto dell’impugnazione oggi in esame.

Avverso quest’ultimo decreto di occupazione sono insorti i ricorrente, deducendo:

la mancata comunicazione dell’avvio del procedimento ex art. 7 l. n. 241/90, in epoca antecedente la dichiarazione di pubblica utilità;

la mancata fissazione dei termini, iniziali e finali, relativi ai lavori ed alle espropriazioni nel primo atto del procedimento;

l’incompetenza della G.M. relativamente all’approvazione del progetto in variante allo strumento urbanistico;

l’irreversibile trasformazione del fondo all’epoca dell’emissione del decreto di occupazione oggetto del ricorso in esame.

2)Pregiudiziale ed assorbente si rivela la disamina della censura afferente la tardività della comunicazione dell’avvio del procedimento ex art. 7 l. n. 241/90 per le note acquisizioni giurisprudenziali scaturenti dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato 15 settembre 1999 n. 14, le cui statuizioni in questa sede si richiamano in quanto pienamente condivise.

Come si evince pacificamente dalla disamina delle censure, oggetto del ricorso è non soltanto il provvedimento di occupazione d’urgenza del 31.1.2001, ma anche la sottostante deliberazione di Consiglio comunale n. 86 del 21.12.2000, avente ad oggetto "approvazione ai sensi dell’art. 1 l. n. 1/78 variante planimetrica e piano particellare edificio scuola elementare fraz. Capoluogo. Determinazioni", che non risulta emanata con la previa partecipazione degli interessati né con riferimento alla previsione ex articolo 7 della legge 7 agosto 1990 n. 241, né con riferimento a quella di cui agli articoli 10 e 11 della legge 22 ottobre 1971 n. 865.

Se non vi è dubbio che il provvedimento di occupazione d’urgenza non ha bisogno, ai fini della sua legittimità, della previa comunicazione di avvio del procedimento, trattandosi di provvedimento che si pone quale necessaria conseguenza sul piano giuridico della dichiarazione di pubblica utilità, è altrettanto evidente che la violazione delle garanzie partecipative che inficia tale ultimo provvedimento non può non ripercuotersi anche sul decreto di occupazione d’urgenza.

Siffatte considerazioni, calate nella fattispecie per cui è causa, comporta l’illegittimità degli atti della procedura espropriativa del suolo interessato dalla variante planimetrica al progetto dell’opera pubblica relativa alla costruzione di un edificio di scuola elementare, ivi compresi quelli afferenti l’occupazione d’urgenza, atteso che gli espropriandi, giusta indicazione emergente dagli atti, sono stati notiziati, soltanto con il decreto di occupazione d’urgenza del 31.1.2001, prot. n. 1926, del procedimento ablatorio relativo a mq 379 del suolo di loro proprietà.

La comunicazione dell’avvio del procedimento espropriativo dell’ulteriore suolo occorrente, dunque, come emerge per tabulas, non è stata mai inviata ( non può, infatti, ritenersi tale la nota prot. n. 1926 del 31.1.2001 relativa al deposito degli atti ex art. 10 l. n. 865/71 relativa al procedimento preordinato alla dichiarazione di pubblica utilità esplicita, che nella specie risulta già essere stata dichiarata implicitamente) mentre avrebbe dovuto necessariamente precedere la dichiarazione di pubblica utilità implicita anche di siffatta porzione di fondo al fine di consentire alla parte di intervenire nel procedimento e far valere le proprie ragioni, atteso che "il contraddittorio degli interessati può apportare elementi di valutazione non marginali ai fini della proporzionalità e del buon andamento dell’azione amministrativa, specialmente ove esistano situazioni di interesse qualificato nelle quali una determinata ma non ineluttabile compressione del diritto di proprietà può implicare un sacrificio sproporzionato dell’interesse pubblico" (Ad. Plen. citata).Come è stato chiarito, altresì, nella sopra menzionata decisione del Consiglio di Stato, "il progetto dell’opera pubblica, che nel suo fieri è preliminare e poi definitivo prima di divenire esecutivo, e la sua localizzazione di dettaglio sono altrettanti oggetti di potere amministrativo sui quali il contraddittorio degli interessati può apportare elementi di valutazione non marginali ai fini della proporzionalità e del buon andamento dell’azione amministrativa, …(e ciò anche) considerato che il progetto dell’opera pubblica non scaturisce automaticamente dalle previsioni degli strumenti urbanistici generali (o attuativi), ma dipende da scelte progettuali discrezionali che si articolano, ora, in tre successivi livelli di approfondimenti tecnici".

L’esclusione della previa comunicazione non risulta, dunque, percorribile, in tutti i procedimenti in cui sia configurabile la dichiarazione implicita di pubblica utilità, atteso che, "in presenza del criterio orientativo del "giusto procedimento", non par dubbio che le norme previste per la dichiarazione di pubblica utilità esplicita debbano valere, in quanto compatibili, per la dichiarazione implicita". Di qui l’obbligo, ai sensi dell’art. 7 l. 7 agosto 1990 n. 241 di dare all’interessato comunicazione dell’avvio del procedimento preordinato alla realizzazione dell’opera pubblica ex l. n. 1/78.

2.a)Nella specie, l’Amministrazione comunale ha violato le garanzie partecipative avendo approvato gli atti progettuali ( relativi alla variante planimetrica incidente nella sfera giuridica dei destinatari, attuali ricorrenti, con un ulteriore sacrificio del fondo di proprietà per mq 379 ) recanti la dichiarazione implicita di pubblica utilità dell’opera senza la previa comunicazione alla parte interessata.

2.b)Ed infatti, le emergenze processuali provano che il fondo dei ricorrenti è stato interessato per mq 4003, da una prima occupazione di urgenza (decreto del 9.6.200), posta in essere nel corso di un procedimento espropriativo, i cui provvedimenti non risultano impugnati con autonomo ricorso giurisdizionale e come tali esulano dall’ambito della presente disamina.

In esecuzione del citato decreto di occupazione, l’ente ha proceduto in data 12 luglio 2000, anche alla presa di possesso e redazione dello stato di consistenza, giusta documentazione in atti.

Con il successivo decreto di occupazione d’urgenza del 31.1.2001, notificato il 7.2.2001, oggetto del presente gravame, (che, contrariamente a quanto dedotto dalla parte ricorrente non configura affatto alcun annullamento del precedente decreto) l’Amministrazione comunale ha proceduto alla presa di possesso di ulteriori 379 mq di suolo di proprietà degli istanti.

La nota prot. n. 2924 del 18 febbraio 2000, versata in copia in atti, a dimostrazione dell’avvenuta comunicazione dell’avvio del procedimento ex art. 7 l. n. 241/90, risulta pertinente all’originaria procedura ablatoria di mq 4003.

Non risulta versata in atti alcun ulteriore comunicazione ex art. 7 l. n. 241/90 in ordine alla successiva deliberazione di variante che, in quanto afferente all’espropriazione di una porzione di suolo non ricompressa nell’originaria procedura espropriativa, andava necessariamente preceduta dalle garanzie partecipative, configurandosi quale nuovo procedimento, avente ad oggetto una diversa porzione del fondo : siffatta violazione comporta l’illegittimità della deliberazione consiliare n. 86 del 21.12.2000 e del susseguente decreto di occupazione d’urgenza del 31.1.2001 (Ad. Plen. 27 ottobre 1970 n. 4; Cons. St. Sez. IV 12 aprile 1989 n. 234; 5 luglio 1989 n. 499; Sez. VI 15 settembre 1986 n. 692; Tar Puglie Bari Sez. II 10 maggio 1999 n. 278), che pertanto vanno annullati, previo assorbimento delle restanti censure.

3) Per completezza di trattazione il Collegio ritiene di dover precisare che, contrariamente a quanto dedotto dalla parte, nella specie non ricorre, né in punta di fatto (vedi le foto allegate al fascicolo di parte ricorrente), né in punta di diritto, l’ipotesi dell’occupazione appropriativa.

Come è stato già chiarito dalla giurisprudenza della S.C. di Cassazione e da quella del G.A., nel caso in cui sia venuta meno la dichiarazione di pubblica utilità per essere stata annullata dal giudice amministrativo la relativa deliberazione, non per questo si realizza, pur se il fondo sia stato radicalmente trasformato, il fenomeno dell’occupazione appropriativa, ma un illecito permanente generatore di danno, per la liquidazione del quale, ove il privato, optando per la tutela risarcitoria, rinunci implicitamente al diritto dominicale, non si applica l’art. 5 bis comma 7 bis l. 8 agosto 1992 n. 359 (Cass. Civ. 10 gennaio 1998 n. 148; Cass. Sez. I 18 febbraio 2000 n. 1814; Cons. St. Sez. IV 2 giugno 20000 n. 3177), bensì il danno è da liquidarsi nella forma del risarcimento per equivalente senza i limiti previsti dal suddetto art. 5 bis.

Nella specie, parte ricorrente non ha formulato istanza di reintegrazione in forma specifica, bensì domanda di risarcimento danni, non specificamente quantificata.

Ciò comporta che la Sezione possa utilizzare lo strumento dei criteri in base ai quali l’Amministrazione deve proporre a favore dell’avente titolo il pagamento di una somma di denaro entro un congruo termine.

Il Comune soccombente dovrà, pertanto, elaborare una proposta risarcitoria, da sottoporre agli aventi titolo entro 90 (novanta) giorni dal passaggio in giudicato della presente pronunzia, che tenga conto, nel computo, del valore della porzione occupata dei fondi di proprietà dei ricorrenti, alla data di ultimazione dei lavori (a titolo di risarcimento del danno derivante dall’occupazione di tale porzione a titolo definitivo), nonché del deprezzamento del valore residuo dei beni di proprietà, parimenti alla data di ultimazione dei lavori, da calcolarsi in misura non inferiore al venti per cento del valore venale dei predetti cespiti.

Vanno altresì corrisposti gli accessori di legge, ed in particolare gli interessi legali sulla somma pari al valore venale della porzione di fondo occupato, calcolati dalla data di immissione in possesso fino alla data di ultimazione dei lavori.

Trattandosi inoltre di debito di valore, le somme sopra descritte dovranno essere rivalutate, secondo gli indici Istat, dalla data di ultimazione dei lavori fino al deposito della presente sentenza.

3)Le spese seguono la soccombenza. Esse sono liquidate in dispositivo.

P.Q.M

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, sede di Salerno, sezione I, accoglie, nei limiti di cui in motivazione, il ricorso n. 1205 R.G. del 2001 proposto da Mazzei Pellegrino, Pascucci Francesco Saverio, Pascucci Achille, Guariniello Orlando e Del Pesce Antonio e per l’effetto annulla gli atti impugnati.

Condanna il Comune di Montoro Inferiore al risarcimento dei danni da liquidarsi ai ricorrenti, nei termini di cui in motivazione.

Condanna il Comune di Montoro Inferiore al pagamento in favore dei ricorrenti delle spese processuali che liquida in euro 1549.37 (millecinquecentoquarantanove/37), oltre Iva e Cpa..

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.

Così deciso in Salerno nella c.c. del 20 giugno 2002, con l’intervento dei Magistrati

Dr. Alessandro FEDULLO Presidente

Dr. Francesco GAUDIERI Consigliere Estensore.

Depositata in segreteria il 24 dicembre 2002.

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