TAR LAZIO, SEZ. II TER - Sentenza 8 aprile 2003 n. 3276 - Pres. Scognamiglio, Est. Amicuzzi - Govino (Avv. Di Raimondo) c. Ministero delle politiche agricole e forestali (Avv.ra Stato), Istituto sperimentale per l’olivicoltura (n.c.), Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura (Avv.ti Tedeschini e Grisostomi) e Fauci (n.c.) - (accoglie).
1. Giurisdizione e competenza - Enti pubblici - Provvedimenti di nomina di commissari straordinari - Controversie - Giurisdizione amministrativa - Sussiste - Ragioni - Fattispecie.
2. Giustizia amministrativa - Ricorso giurisdizionale - Atto impugnabile o no - Atto politico - Nozione - Individuazione.
3. Atto amministrativo - Atti di nomina - Di organi di enti pubblici - Sono atti di alta amministrazione e, come tali, impugnabili innanzi al G.A.
4. Enti pubblici - Spoils system - Previsto dall’art. 6 della L. n. 145/2002 - Finalità - Individuazione.
5. Enti pubblici - Spoils system - Previsto dall’art. 6 della L. n. 145/2002 - Revoca commissario straordinario di Ente pubblico - Motivazione adeguata in ordine all’accertamento della idoneità tecnica - Necessità - Mancanza - Illegittimità.
6. Enti pubblici - Spoils system - Previsto dall’art. 6 della L. n. 145/2002 - Revoca commissario straordinario di Ente pubblico - Comunicazione di inizio del procedimento - Ex art. 7 della L. n. 241/1990 - Necessità - Mancanza - Illegittimità.
1. La nomina del commissario straordinario di un ente pubblico non è assimilabile alla attribuzione di funzioni dirigenziali, in quanto con tale provvedimento non si viene a costituire un rapporto di pubblico impiego, ma unicamente il contingente inserimento funzionale, per un periodo determinato, di un organo straordinario nella struttura dell’ente; poichè tale nomina non ha effetti surrogatori delle funzioni svolte dai dirigenti che, pur in regime di commissariamento, continuano a svolgere le loro funzioni istituzionali (1) e comunque non comporta la costituzione di un rapporto di impiego pubblico, ma di servizio onorario, le relative controversie rientrano nella giurisdizione di legittimità del giudice amministrativo.
2. Hanno natura politica solo gli atti che sono riferibili a organi costituzionali dello Stato, collegati immediatamente e direttamente alla Costituzione e alle leggi costituzionali, nei quali si estrinsecano l’attività di direzione suprema della cosa pubblica e l’attività di coordinamento e controllo delle singole manifestazioni in cui la direzione stessa si esprime nel rispetto degli interessi del regime politico canonizzati nella Costituzione.
3. I provvedimenti di revoca e di nomina dell’organo di vertice di un ente pubblico rientrano non già nell’ambito degli atti politici, ma nella distinta categoria degli atti di "alta amministrazione", i quali costituiscono il primo grado di attuazione dell’indirizzo politico del Governo in campo amministrativo. Gli incarichi conferiti ai supremi organi di direzione della pubblica amministrazione, infatti, pure assolvendo a una funzione del tutto peculiare (in quanto segnano il raccordo tra la funzione di governo e la funzione amministrativa), ineriscono all’attività amministrativa dell’esecutivo e sono quindi sottoposti al sindacato del giudice amministrativo, non diversamente da tutti gli atti amministrativi che coinvolgono posizioni di interesse legittimo (art. 113 della Costituzione) e, diversamente dagli atti politici, non sono liberi nella scelta dei fini, ma sono legati, pure nell’ampia discrezionalità che caratterizza l’alta amministrazione, ai fini segnati dall’ordinamento giuridico.
4. L'art. 6 della L. 15 luglio 2002 n. 145 (recante "Disposizioni per il riordino della dirigenza statale e per favorire lo scambio di esperienze e l'interazione fra pubblico e privato"), il quale prevede la possibilità per il primo Governo di una nuova legislatura di confermare o revocare le nomine degli organi di vertice conferite dal Governo precedente nei sei mesi antecedenti la scadenza naturale della legislatura (c.d."spoil system"), ha lo scopo di assicurare la sussistenza di un rapporto sereno tra quest'ultimo e l'apparato burocratico, che consenta la più proficua realizzazione del programma politico, salvaguardando pur sempre i valori dell'imparzialità e del buon andamento che devono informare l'attività degli organi di vertice dell'Amministrazione (2).
5. E' illegittimo un provvedimento che, ai sensi dell'art. 6 della L. 15 luglio 2002 n. 145, dispone la revoca di un commissario straordinario di un Ente pubblico, il quale non rechi un'adeguata motivazione in ordine all’accertamento della inidoneità tecnica del soggetto a garantire, nel rispetto dei principi della imparzialità e del buon andamento, continuità all’azione amministrativa, pure in occasione del cambiamento del programma e degli obiettivi che sono da raggiungere come impegno politico del nuovo Governo.
6. E' illegittimo il provvedimento di revoca del commissario straordinario di un Ente pubblico, disposto dal Governo ai sensi dell'art. 6 della L. 15 luglio 2002 n. 145, che non sia stato preceduto dall'avviso di avvio del procedimento ai sensi dell'art. 7 della L. 7 agosto 1990 n. 241. Il destinatario del provvedimento di revoca deve infatti essere posto in condizioni di capire - tramite apposito avviso di inizio del procedimento - le ragioni (serie e di spessore) che hanno indotto il Governo a procedere al ricambio nel posto di vertice.
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(1) Cfr. Corte Conti, Sez. Contr., 4 ottobre 1995, n. 127, in Riv. corte conti 1995, fasc. 6, 27, secondo cui "la nomina del commissario straordinario di un ente pubblico non è assimilabile ad una attribuzione di funzioni dirigenziali, in quanto con tale provvedimento non si viene a costituire un rapporto di pubblico impiego, ma unicamente il contingente inserimento funzionale, per un periodo determinato del commissario nella struttura dell'ente, non avendo altresì la nomina effetti surrogatori delle funzioni svolte dai dirigenti che, pur in regime di commissariamento continuano, di regola, a svolgere le loro funzioni istituzionali".
Ha osservato il T.A.R. Lazio che quello del commissario straordinario è un rapporto di servizio con attribuzioni di pubbliche funzioni, espressione di incarico conferito con scelta discrezionale di alta amministrazione, nell’ambito di poteri pubblicistici, ai quali sono correlati interessi legittimi: con la conseguenza che la relativa controversia appartiene alla giurisdizione di legittimità del giudice amministrativo (v. in tal senso Cass. civ., Sez. Un., 13 febbraio 1991 n. 1521, in Giust. civ. Mass. 1991, fasc. 2).
Nè è applicabile alla nomina di un commissario straordinario l'art. 63 T.U. 30 marzo 2001 n. 165, il quale attribuisce al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, le controversie che concernono l'assunzione al lavoro, il conferimento e la revoca degli incarichi dirigenziali, atteso che la nomina in questione non è assimilabile, sotto alcun profilo, al conferimento di incarichi dirigenziali.
(2) Ha osservato preliminarmente il T.A.R. Lazio che, allo scopo di descrivere il sistema previsto dalla legge n. 145/2002, occorre innanzitutto evitare di adoperare il nome di "spoil system": sia perché negli atti pubblici deve essere adoperata la lingua italiana; sia perché con la detta espressione, mutuata dagli ordinamenti anglosassoni, è designato un istituto particolare, che non ha corrispondenza nel nostro ordinamento.
Ed invero - ha aggiunto il T.A.R. del Lazio - negli Stati Uniti, dove vi è alternanza di governo piena e una concreta e diffusa mobilità del lavoro, il "sistema delle spoglie" consente allo schieramento politico vincente di occupare tutti i posti dell’apparato di governo, dopo avere licenziati i precedenti occupati.
Il meccanismo, introdotto a opera di Andrew Jackson nel primo quarto del secolo XIX e che realizza quello che Max Weber definisce "patronato degli impieghi", è tuttavia di difficile trasferimento dall’ordinamento nord-americano alla realtà amministrativa italiana.
Anche nella versione più morbida (nella quale i precedenti occupati cessano dall’incarico, ma non perdono il lavoro per essere assegnati ad altri uffici ovvero collocati in posizione di disponibilità, salvo il successivo licenziamento), l’istituto si manifesta estraneo alla nostra consuetudine giuridica e la sua applicazione in ogni caso troverebbe ostacolo nei principi costituzionali che reggono l’organizzazione della pubblica amministrazione.
Per vero, gli articoli 97 e 98 della Costituzione assegnano alla pubblica amministrazione un ruolo fondamentale per la democrazia, riconoscendole attribuiti che concorrono a esprimere l’essenza dello Stato di diritto.
L’apparato burocratico, destinato a dare concreta attuazione alle scelte politiche del Governo, per definizione costituzionale ha caratteri di professionalità (agli uffici pubblici, e non solo a quelli iniziali, si accede in base al merito, con procedure selettive, non per scelta libera e immotivata), esclusività (i pubblici dipendenti sono all’esclusivo servizio della Nazione), produttività nel pubblico interesse (perseguire interessi privati costituisce reato), imparzialità, legalità e indipendenza.
La posizione di indipendenza dal potere politico è accentuata (non certo introdotta, perché la Costituzione già la presuppone) dall’art. 2 della legge di delega 23 ottobre 1992 n. 421, attuato con gli articoli 3 e 14 del decreto legislativo 3 febbraio del 1993 n. 29, come sostituito prima dall’art. 2 del decreto legislativo 10 novembre 1993 n. 470, poi (sulla base della nuova delega conferita con legge 15 marzo 1997 n. 59) dagli articoli 3 e 9 del decreto legislativo 31 marzo 1998 n. 80, successivamente modificati dall’art. 1 del decreto legislativo 29 ottobre 1998 n. 387 e ora trasfusi negli articoli 4 e 14 del testo unico sull’ordinamento del lavoro alla dipendenze delle amministrazioni pubbliche approvato con decreto legislativo 30 marzo 2001 n. 165.
In materia di spoil system v. in questa Rivista di recente:
TRIBUNALE DI ROMA, SEZ. IV LAVORO – Ordinanza 25 novembre 2002* (sulla necessità di interpretare restrittivamente le disposizioni di cui alla L. 145/2002 e sull'inapplicabilità di tali disposizioni agli enti vigilati dotati di propria autonomia); v. anche il commento di M. ROSSI, La cessazione degli incarichi dirigenziali generali nello Stato al vaglio del giudice del lavoro: tanto rumore …. per nulla*.
TRIBUNALE DI BELLUNO - Ordinanza 3 ottobre 2002* (la rotazione degli incarichi dirigenziali, prevista dall’art. 19 d.lgs n. 165/2001, deve essere applicata nel rispetto dei principi di partecipazione, del contraddittorio e della trasparenza), con commento di A. TAMBURRANO, Le garanzie per i dirigenti sottoposti allo spoils system ad personam; v. anche il commento di L. OLIVERI, Rotazione dei dirigenti.
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO, DIPARTIMENTO DELLA FUNZIONE PUBBLICA - Circolare 1 agosto 2002 – Oggetto: modalità applicative della legge sul riordino della dirigenza.
CONSIGLIO DI STATO, COMMISSIONE SPECIALE P.I. - Parere 29 luglio 2002* (sull’ambito di applicazione e sulle modalità attuative dell’art. 3, 7° comma, della L. n. 145/02, che prevede la cessazione degli incarichi di funzioni dirigenziali di livello generale dopo 60 giorni dall'entrata in vigore della legge);
(omissis)
per l’annullamento
del decreto del Ministro delle Politiche Agricole e Forestali n. 772 del 9.8.2002, di revoca dall’incarico di Commissario Straordinario dell’Istituto Sperimentale per la Olivicoltura;
del decreto del Ministro delle Politiche Agricole e Forestali n. 779 del 9.8.2002, di nomina della dott. Maria Antonia Fauci quale sostituto nella carica;
delle note n. 112042 e n. 112044 del 12.8.2002 del Direttore Generale del M.P.A.F., di trasmissione di detti decreti;
(omissis)
FATTO
Con il ricorso in esame la dott. Sandra Govino, nominata Commissario Straordinario dell’Istituto Sperimentale per la Olivicoltura con decreto del Ministro delle Politiche Agricole e Forestali del 2.3.2001, impugna il decreto del Ministro delle Politiche Agricole e Forestali n. 772 del 9.8.2002, di revoca da detto incarico, il decreto del Ministro delle Politiche Agricole e Forestali n. 779 del 9.8.2002, di nomina della dott. Maria Antonia Fauci quale sostituto nella carica, e le note n. 112042 e n. 112044 del 12.8.2002 del Direttore Generale del M.P.A.F., di trasmissione di detti decreti.
A sostegno del gravame sono stati dedotti i seguenti motivi:
1.- Violazione e falsa applicazione di legge. Violazione e falsa applicazione dell’art. 9, II c., del D.Leg.vo n. 454 del 1999. Eccesso di potere. Erroneità dei presupposti. Contraddittorietà ed illogicità manifeste. Illegittimità derivata.
E’ stata violata detta norma, citata nelle premesse del provvedimento di revoca, perché questo si fonda sull’erroneo presupposto che siano maturate le condizioni per la soppressione degli organismi per l’amministrazione straordinaria e la gestione degli Istituti di ricerca.
2.- Violazione di legge. Violazione e falsa applicazione dell’art. 6 della L. n. 145 del 2002. Eccesso di potere. Erroneità dei presupposti. Contraddittorietà ed illogicità manifeste. Sviamento. Illegittimità derivata.
La norma in epigrafe indicata non è applicabile ai Commissari straordinari dell’IRSA perché essi non sono tecnicamente organi di vertice degli stessi in regime ordinario.
3.- Violazione di legge. Violazione e mancata applicazione degli artt. 7 ed 8 della L. n. 241 del 1990. Mancata comunicazione dell’inizio del procedimento. Eccesso di potere. Carenza di istruttoria. Contraddittorietà ed illogicità manifeste. Violazione dell'art. 97 della Costituzione. Illegittimità derivata.
Il provvedimento non è stato preceduto dalla prescritta comunicazione dell'avvio del procedimento.
4.- Violazione di legge. Violazione dell'art. 3 della L. n. 241 del 1990. Violazione dell'art. 6, II c., della L. n. 145 del 2002. Motivazione insufficiente. Eccesso di potere per erronea valutazione dei presupposti di fatto. Contraddittorietà ed illogicità manifeste. Sviamento. Violazione dell'art. 97 della Costituzione.
L’impugnato decreto è insufficientemente motivato perché la discrezionalità che l’art. 6 di detta legge riconosce all’Amministrazione non esclude che questa debba diffusamente motivare le adottate determinazioni, esplicandone l’iter logico giuridico sottostante.
Inoltre non risulta effettuata alcuna riponderazione di interessi volta alla verifica della conformità della caducazione dell'atto all’interesse pubblico concreto ed attuale, previa comparazione con l’interesse del privato.
Infine la circostanza che un atto sia qualificabile come di alta amministrazione non esclude ma rafforza l’obbligo di congrua motivazione.
5.- Eccesso di potere per sviamento. Illogicità manifesta. Violazione dell'art. 97 della Costituzione.
Il C.R.A. non è stato posto a conoscenza dell’avvenuta sostituzione.
6.- Eccesso di potere per contraddittorietà ed illogicità manifesta. Carenza ed erronea valutazione dei presupposti.
L’incarico di Commissario straordinario è destinato a cessare a breve scadenza, con dubbi sulla sussistenza in capo al Ministro del potere di nomina del nuovo commissario straordinario.
Con atto depositato il 23.9.2002 si è costituito in giudizio il Ministero per le Politiche Agricole e Forestali.
Con atto depositato il 26.9.2002 si è costituito in giudizio il Consiglio per la Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura.
Con memoria depositata il 28.9.2002 il Ministero resistente ha eccepito il difetto di giurisdizione del giudice adito ed ha dedotto la infondatezza del ricorso, concludendo per la declaratoria di difetto di giurisdizione o per la reiezione.
Con memoria depositata l’1.10.2002 il costituito Consiglio ha eccepito la inammissibilità del ricorso, per inoppugnabilità del decreto di revoca avente natura politica e per carenza di interesse a ricorrere avverso il decreto di nomina del nuovo Commissario, e ne ha dedotto la infondatezza, concludendo per declaratoria di irricevibilità, di improcedibilità, di inammissibilità o di infondatezza del ricorso.
Con ordinanza 2 ottobre 2002, n. 5687 il Tribunale ha respinto la istanza di emanazione di misure cautelari, considerato che il provvedimento impugnato trova la sua ratio nella applicazione dell’art. 6 della L n. 145 del 2002, finalizzata in via eccezionale e temporanea a garantire al Governo l’utilizzo di soggetti in rapporto fiduciario e che, pertanto, la revoca dell’incarico di cui trattasi risulta attuata in conseguenza di valutazioni estranee all’attività gestionale svolta dall’istante, bensì inserite nel quadro complessivo dell’attuazione del programma di governo.
Con memoria depositata il 7.12.2002 parte ricorrente ha ribadito tesi e richieste.
Alla pubblica udienza del 19.2.2003 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1.- Con il decreto legislativo 29 ottobre 1999 n. 454, atto del processo di riforma della pubblica amministrazione introdotto dalla legge 15 marzo 1997 n. 59, è stato istituito il Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura: ente nazionale di ricerca e sperimentazione con competenza generale nel settore agricolo, agro-industriale, ittico e forestale, posto sotto la vigilanza del Ministero delle politiche agricole e forestali e con istituti distribuiti sul territorio, ciascuno retto da un proprio direttore.
In prima attuazione, gli istituti scientifici e tecnologici indicati nel decreto del Presidente della Repubblica 23 novembre 1967 e 1318 e nella legge 6 giugno 1973 n. 306, con le relative sezioni operative, e le altre istituzioni e strutture di ricerca incluse nell’allegato al decreto legislativo in argomento, costituiscono gli istituti del Consiglio e mantengono la propria autonomia scientifica, amministrativa, contabile e finanziaria fino alla loro completa riorganizzazione ad opera dello statuto del nuovo ente e dei regolamenti di amministrazione e contabilità e di organizzazione e funzionamento indicati nell’art. 7 del citato decreto legislativo 454 del 1999.
Dalla data di approvazione della anzidetta normativa sono anche soppressi gli organismi preposti agli istituti sopra indicati e cessano dall’incarico i rispettivi direttori.
Il ricorso in esame riguarda l’Istituto resistente, che era retto da un commissario straordinario nominato con decreto del Ministro delle Politiche Agricole e Forestali. Quest’ultimo ora contesta il decreto del Ministro delle Politiche Agricole e Forestali di revoca da detto incarico, nonché il successivo decreto di nomina del soggetto controinteressato quale sostituto nella carica, oltre alle note del Direttore Generale del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali di trasmissione di detti decreti.
2.- In premessa è da disattendere l’eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dalle amministrazioni resistenti che richiamano l’art. 63 del decreto legislativo 30 marzo 2001 n. 165, in base al quale spettano al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, le controversie che concernono l’assunzione al lavoro, il conferimento e la revoca degli incarichi dirigenziali, nonché la responsabilità dirigenziale.
Osserva il Collegio che, a prescindere da ogni rilievo sulla incidenza del potere esercitato sull’assetto organizzativo dell’ente, inteso in termini generali, è da rilevare che il commissario straordinario di un ente pubblico viene inserito in un rapporto non di pubblico impiego, ma di servizio onorario, che non rientra nello schema di lavoro subordinato, né in quello del lavoro autonomo, né in quello della prestazione d’opera intellettuale (Cassazione civile, SS.UU. 13 febbraio 1991 n. 1521).
La nomina del commissario straordinario di un ente pubblico non è infatti assimilabile alla attribuzione di funzioni dirigenziali, in quanto con tale provvedimento non si viene a costituire un rapporto di pubblico impiego, ma unicamente il contingente inserimento funzionale, per un periodo determinato, di un organo straordinario nella struttura dell’ente, non avendo altresì la nomina effetti surrogatori delle funzioni svolte dai dirigenti che, pur in regime di commissariamento, continuano a svolgere le loro funzioni istituzionali (Corte Conti, Sez. Contr., 4 ottobre 1995, n. 127).
Quello del commissario straordinario è un rapporto di servizio con attribuzioni di pubbliche funzioni, espressione di incarico conferito con scelta discrezionale di alta amministrazione, nell’ambito di poteri pubblicistici, ai quali sono correlati interessi legittimi: con la conseguenza che la relativa controversia appartiene alla giurisdizione di legittimità del giudice amministrativo (Cassazione civile, Sezioni Un., 13 febbraio 1991 n. 1521, cit.).
3.- Per ragioni di logica processuale appare opportuno disattendere subito il secondo motivo di ricorso, con il quale è stato dedotto che l’art. 6 della legge n. 145 del 2002 non è applicabile ai Commissari straordinari dell’IRSA (perché essi non sarebbero tecnicamente organi di vertice degli stessi in regime ordinario), con incostituzionalità della legge in caso di diversa interpretazione. Osserva il Collegio che, sulla base di una interpretazione logico-sistematica, la norma in esame trova applicazione anche nei confronti degli organi straordinari posti nei momenti di crisi in sostituzione di quelli ordinari e ai quali sono conferiti, al pari di questi ultimi, "tutti i poteri di ordinaria e straordinaria amministrazione".
Cade di conseguenza, anche per genericità della sua formulazione, la questione di legittimità costituzionale sollevata con il motivo in esame.
4.- Nello stesso modo va disatteso l’altro rilievo di parte ricorrente, che nel primo mezzo di censura denuncia la contraddittorietà del provvedimento impugnato laddove, attraverso la revoca dell’incarico di commissario straordinario che a suo tempo le era stato conferito, dà applicazione alla disposizione dell’art. 9, comma secondo, del decreto legislativo 454 del 1999 (modificato dalla legge 6 luglio 2002 n. 137) senza che si siano ancora verificati gli eventi che ne subordinavano l’operatività.
E invero, osserva parte ricorrente, la cessazione degli incarichi conferiti ai direttori degli istituti (e, quindi, ai loro eventuali commissari straordinari) in conseguenza della soppressione degli istituti stessi per effetto del loro assorbimento nel Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura, sarebbe subordinata alla definitiva attuazione degli adempimenti di cui all’art. 9, comma secondo, del decreto legislativo 29 ottobre 1999 n. 454. Questi ultimi hanno come atto conclusivo l’approvazione ministeriale dello statuto e dei regolamenti di amministrazione e contabilità e di organizzazione e funzionamento previsti dall’art. 7 del decreto legislativo 454 del 1999 sopra ricordato. Al momento attuale le dette condizioni non si sarebbero ancora realizzate.
Il rilievo è frutto di un equivoco, peraltro facilmente evitabile dalla attenta lettura del provvedimento impugnato.
E invero, la circostanza che gli eventi risolutivi non si siano tuttora verificati ha posto l’amministrazione, che ha intesto esercitare il potere straordinario del tutto diverso che le riconosce la legge 15 luglio 2002 n. 145, nella necessità di sostituire il commissario straordinario dell’istituto, sempre in attesa di dichiararne la decadenza in seguito alla (sia pure prossima, come sembrerebbe) soppressione dell’istituto medesimo.
E’ proprio la attuale sopravvivenza dell’istituto che ha consentito all’amministrazione di mantenerne in vita la direzione, sia pure commissariata, nella persona di un differente soggetto sulla base delle valutazioni consentite dalla legge 145 del 2002 innanzi citata.
5.- E’ il momento di affrontare le ulteriori eccezioni di inammissibilità del ricorso sollevate dalle amministrazioni resistenti sotto il duplice profilo della inoppugnabilità del decreto di revoca e della conseguente carenza di interesse a ricorrere avverso il decreto di nomina del nuovo commissario.
Le dette eccezioni, le quali muovono dal presupposto che la "valenza politica" del potere esercitato attribuirebbero agli atti impugnati "natura politica", sono entrambe da disattendere.
Hanno, difatti, natura politica solo gli atti che sono riferibili a organi costituzionali dello Stato, collegati immediatamente e direttamente alla Costituzione e alle leggi costituzionali, nei quali si estrinsecano l’attività di direzione suprema della cosa pubblica e l’attività di coordinamento e controllo delle singole manifestazioni in cui la direzione stessa si esprime nel rispetto degli interessi del regime politico canonizzati nella Costituzione.
All’opposto, il fondo politico della scelta del Governo attraverso gli atti in questa sede impugnati costituisce solo il motivo dell’esercizio di questo nuovo potere, che, come verrà spiegato, non persegue "interessi politici", cioè interessi di parte, ma l’interesse pubblico che è collegato al diritto (anzi, al dovere) del Governo di realizzare il proprio programma politico attraverso un apparato amministrativo imparziale e rispettoso delle regole del buon andamento.
I provvedimenti in questa sede impugnati (di revoca e di nomina dell’organo di vertice di ente pubblico) rientrano, pertanto, nella distinta categoria degli atti di "alta amministrazione", i quali costituiscono il primo grado di attuazione dell’indirizzo politico del Governo in campo amministrativo.
Gli incarichi conferiti ai supremi organi di direzione della pubblica amministrazione, pure assolvendo a una funzione del tutto peculiare (in quanto segnano il raccordo tra la funzione di governo e la funzione amministrativa) pur sempre ineriscono all’attività amministrativa dell’esecutivo e sono soggetti al regime giuridico proprio degli atti amministrativi.
Essi scaturiscono da un normale procedimento amministrativo, sia pure estremamente semplificato in considerazione dell’ampia discrezionalità che dà carattere al provvedimento che lo conclude.
Gli atti impugnati sono, quindi, sottoposti al sindacato del giudice amministrativo non diversamente da tutti gli atti amministrativi che coinvolgono posizioni di interesse legittimo (art. 113 della Costituzione) e, diversamente dagli atti politici, non sono liberi nella scelta dei fini, ma sono legati, pure nell’ampia discrezionalità che caratterizza l’alta amministrazione, ai fini segnati dall’ordinamento giuridico.
6.- Prima di entrare nel merito del ricorso è opportuno chiarire che la normativa della quale è stata fatta applicazione, la legge 15 luglio 2002 n. 145, che reca disposizioni per il riordino della dirigenza statale e per favorire lo scambio di esperienze e l’interazione tra pubblico e privato, riguarda sia gli incarichi di funzione dirigenziale delle amministrazioni dello Stato, anche a ordinamento autonomo (art. 3, comma primo, della legge 145 del 2002, che modifica l’art. 19 del testo unico sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, approvato con decreto legislativo 30 marzo 2001 n. 165), sia gli incarichi conferiti dal Governo o dai Ministri agli organi di vertice e ai componenti dei consigli di amministrazione o agli organi equiparati degli enti pubblici, delle società controllate o partecipate dallo Stato, delle agenzie o di altri organismi comunque denominati (art. 6 della legge 145 del 2002, che nell’ultima parte del primo comma estende le stesse disposizioni ai rappresentanti del Governo e dei Ministri in ogni organismo e a qualsiasi livello, nonché ai componenti di comitati, commissioni e organismi ministeriali e interministeriali nominati dal Governo o dai Ministri).
In particolare, l’art. 6 della legge 145 del 2002 statuisce al primo comma che, a regime, le nomine degli organi di vertice e delle altre posizioni analoghe conferite dal Governo o dai Ministri nei sei mesi antecedenti la scadenza naturale della legislatura, computata con decorrenza dalla data della prima riunione delle Camere, o nel mese antecedente lo scioglimento anticipato di entrambe le Camere, possono essere confermate, revocate, modificate o rinnovate entro sei mesi dal voto di fiducia al Governo. Decorso tale termine gli incarichi per i quali non si sia provveduto si intendono confermati fino alla loro naturale scadenza.
Al secondo comma del citato art. 6 della legge 145 del 2002 è inoltre previsto, in via transitoria, che le nomine dei cui all’articolo stesso, conferite o, comunque, rese operative negli ultimi sei mesi antecedenti la fine naturale della tredicesima legislatura, nonché quelle conferite o comunque rese operative nel corso della quattordicesima legislatura fino alla data di insediamento del nuovo Governo, possono essere confermate, revocate, modificate o rinnovate entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge stessa.
La fattispecie in esame cade sotto l’art. 6, comma secondo, della citata legge n. 145 del 2002.
7.- La parte centrale della controversia è introdotta dal terzo e dal quarto motivo di ricorso, con i quali il soggetto interessato deduce da un lato la violazione delle norme sul procedimento amministrativo per la mancata comunicazione di avvio del procedimento di revoca della sua nomina, dall’altro la carenza di istruttoria e l’insufficienza della motivazione. La discrezionalità che la norma riconosce all’amministrazione impone di adottare l’eventuale revoca sulla base di una idonea motivazione che tenga conto anche delle osservazioni del destinatario dell’atto allo scopo di garantire, attraverso l’ingresso nel procedimento di tutti gli interessi coinvolti dall’emanando provvedimento, una tendenziale imparzialità nell’esercizio della funzione amministrativa e un pieno sindacato giurisdizionale da parte del giudice eventualmente adito.
Il mancato intervento di parte ricorrente al procedimento avrebbe gravemente inciso sulla completezza dell’istruttoria, atteso che l’interessato avrebbe potuto fornire elementi utili e sicuramente sufficienti a evitare l’adozione del provvedimento di revoca. Pertanto, conclude la parte interessata, la mancata comunicazione dell’avvio del procedimento ha determinato una valutazione incompleta dei presupposti di fatto e di diritto a causa della mancata acquisizione di elementi utili ai fini della determinazione adottata.
Le doglianze appaiono entrambe fondate.
E’ da premettere che non è controverso il fatto che nella specie sia mancata la comunicazione dell’avvio del procedimento e che il provvedimento di revoca si presenti in forma del tutto immotivata.
Infatti, dopo avere richiamato in astratto i poteri conferiti dall’art. 6, comma secondo, della legge 145 del 2002 (applicato nel caso di specie), l’atto impugnato si limita a enunciare la "necessità" di dovere provvedere, in attuazione della richiamata disposizione, alla revoca della nomina: peraltro senza spiegare di quale necessità si tratti e senza dare conto di quali elementi rilevanti siano emersi nella fase istruttoria, quale la valutazione degli opposti interessi coinvolti nell’operazione, quanti i tempi di osservazione che abbiano attribuito fondamento di serietà all’esame della figura del soggetto da revocare, quali i presupposti del convincimento.
D’altra parte, l’assenza di motivazione per decretare la cessazione dell’incarico precedente appare in contrasto con la sia pure timida giustificazione addotta (a riprova della riconosciuta esigenza di una qualche motivazione) nel conseguente provvedimento di nomina del successore, definito come "persona idonea a ricoprire la suddetta carica".
Alle due pesanti censure, mosse dalla parte ricorrente, risponde l’abile difesa delle amministrazioni che, per dimostrare la legittimità degli atti impugnati, ribadiscono che gli stessi, per essere caratterizzati da spiccata "valenza politica", non sono assoggettati alla disciplina del procedimento amministrativo.
Nel particolare, non sarebbe necessaria la partecipazione dell’avvio del procedimento di revoca al funzionario da sostituire, né sarebbe richiesta alcuna motivazione delle scelte operate.
La tesi ha fondamento nella considerazione, da un lato, che l’esecutivo sarebbe libero di preferire i soggetti cui affidare la realizzazione del proprio programma di governo; dall’altro, che l’atto di revoca, che si inquadra nel processo di revisione delle nomine collegato al succedersi delle legislature e al conseguente avvicendarsi delle maggioranze di Governo, è disposto per mera scelta politica: questo rende irrilevante la mancata comunicazione dell’avvio del procedimento, atteso che il singolo non potrebbe mai incidere sul contenuto politico dell’atto finale.
La difesa pubblica insiste poi col dire che, ove sussistano i presupposti fissati dalla norma, al Governo non residua altro che un limitato potere discrezionale di scelta tra le diverse opzioni offerte dalla norma (conferma, revoca, modifica o rinnovo dell’incarico).
Una volta operata la scelta, di "natura politica", si dispiegano in forza di legge gli effetti tipici del provvedimento adottato, senza necessità di motivazione specifica.
La tesi non convince, anche se è da condividere il rilievo che, nel caso concreto, la nomina di parte ricorrente a opera del Governo precedente era avvenuta nello spazio temporale previsto dalla norma e che, quindi, nel procedere alla revoca il nuovo Governo si è attenuto ai presupposti temporali fissati dalla legge.
Il punto è un altro: nella specie manca qualsiasi considerazione sui presupposti soggettivi indispensabili per legittimare il Governo a intervenire con le modalità indicate nella legge 145 del 2002 e procedere alla operazione di ricambio al vertice.
Per chiarire quanto detto è opportuno considerare la natura e la finalità del potere esercitato.
Allo scopo di descrivere l’istituto che lo contempla occorre innanzitutto evitare di adoperare il nome di "spoil system": sia perché negli atti pubblici deve essere adoperata la lingua italiana; sia perché con la detta espressione, mutuata dagli ordinamenti anglosassoni, è designato un istituto particolare, che non ha corrispondenza nel nostro ordinamento.
E invero, negli Stati Uniti, dove vi è alternanza di governo piena e una concreta e diffusa mobilità del lavoro, il "sistema delle spoglie" consente allo schieramento politico vincente di occupare tutti i posti dell’apparato di governo, dopo avere licenziati i precedenti occupati.
Il meccanismo, introdotto a opera di Andrew Jackson nel primo quarto del secolo XIX e che realizza quello che Max Weber definisce "patronato degli impieghi", è di difficile trasferimento dall’ordinamento nord-americano alla realtà amministrativa italiana.
Anche nella versione più morbida (nella quale i precedenti occupati cessano dall’incarico, ma non perdono il lavoro per essere assegnati ad altri uffici ovvero collocati in posizione di disponibilità, salvo il successivo licenziamento), l’istituto si manifesta estraneo alla nostra consuetudine giuridica e la sua applicazione in ogni caso troverebbe ostacolo nei principi costituzionali che reggono l’organizzazione della pubblica amministrazione.
Per vero, gli articoli 97 e 98 della Costituzione assegnano alla pubblica amministrazione un ruolo fondamentale per la democrazia, riconoscendole attribuiti che concorrono a esprimere l’essenza dello Stato di diritto.
L’apparato burocratico, destinato a dare concreta attuazione alle scelte politiche del Governo, per definizione costituzionale ha caratteri di professionalità (agli uffici pubblici, e non solo a quelli iniziali, si accede in base al merito, con procedure selettive, non per scelta libera e immotivata), esclusività (i pubblici dipendenti sono all’esclusivo servizio della Nazione), produttività nel pubblico interesse (perseguire interessi privati costituisce reato), imparzialità, legalità e indipendenza.
La posizione di indipendenza dal potere politico è accentuata (non certo introdotta, perché la Costituzione già la presuppone) dall’art. 2 della legge di delega 23 ottobre 1992 n. 421, attuato con gli articoli 3 e 14 del decreto legislativo 3 febbraio del 1993 n. 29, come sostituito prima dall’art. 2 del decreto legislativo 10 novembre 1993 n. 470, poi (sulla base della nuova delega conferita con legge 15 marzo 1997 n. 59) dagli articoli 3 e 9 del decreto legislativo 31 marzo 1998 n. 80, successivamente modificati dall’art. 1 del decreto legislativo 29 ottobre 1998 n. 387 e ora trasfusi negli articoli 4 e 14 del testo unico sull’ordinamento del lavoro alla dipendenze delle amministrazioni pubbliche approvato con decreto legislativo 30 marzo 2001 n. 165.
Non a caso è stato adoperato il termine di "indipendenza" e non quello di autonomia.
Occorre ricordare che nel nostro ordinamento è netta la divisione del lavoro e delle responsabilità tra potere governativo, al quale spetta l’indirizzo politico-amministrativo e il controllo dei risultati conseguiti dal potere amministrativo, e quest’ultimo, competente in via esclusiva alla funzione di gestione e attuazione dei fini voluti dal Governo con i mezzi amministrativi a disposizione, scelti e resi operanti nei tempi e nei modi ritenuti opportuni sulla base di valutazioni tecniche rimesse alla discrezionalità amministrativa dell’organo che agisce.
E’ significativo che nel precedente sistema disciplinato dal R.D.L. 10 luglio 1924 n. 1100, relativo ai gabinetti dei ministri e alle segreterie particolari dei sottosegretari di Stato, era stabilito che le strutture di supporto all’organo politico non potevano intralciare l’azione normale degli uffici amministrativi, né sostituirsi agli stessi: vi era, pertanto, una chiara previsione normativa che impediva all’ufficio di gabinetto di esercitare funzioni amministrative.
Il principio vale anche nel sistema attuale, ora che per effetto dell’art. 7 del decreto legislativo 30 luglio 1999 n. 300 sono stati costituiti gli uffici di diretta collaborazione del Ministro per l’esercizio delle funzioni attribuite dagli articoli 3 e 14 del decreto legislativo 3 febbraio 1993 n. 29 e successive modificazioni.
Resta, pertanto, escluso ogni legame gerarchico tra l’organo di vertice dell’apparato e l’organo di direzione politica.
Pure, la anzidetta posizione di indipendenza non ha i connotati dell’autonomia, come succede per gli organi soggetti solo alla legge ovvero che hanno la possibilità di perseguire specifici interessi settoriali sulla base di scelte proprie: autonome anche nei fini, perciò non soggette agli indirizzi del Governo e meno lontane dagli schemi dell’autonomia privata.
Non è questo il caso della pubblica amministrazione, che deve essere conforme alle specifiche regole dettate dalla Costituzione.
In modo chiaro la Corte Costituzionale, con ordinanza 30 gennaio 2002 n. 11, ha affermato che l’indipendenza dell’apparato amministrativo dagli uffici che detengono il potere di indirizzo politico non estende ai primi le guarentigie proprie di altri organismi dello Stato, quali l’autonomia e la inamovibilità riconosciute da norme di rango costituzionale.
Le considerazioni svolte trovano conferma negli articoli 97 e 98 della Costituzione, i quali non escludono, anzi la implicano come premessa, una dipendenza funzionale del potere amministrativo dal potere di governo.
E’, difatti, compito della pubblica amministrazione dare attuazione all’indirizzo e alle scelte di fondo degli organi politici: compito che deve essere realizzato da una posizione di indipendenza operativa, che comprende la elezione dei mezzi da utilizzare e la valutazione della loro idoneità a raggiungere i fini in modo imparziale e nel rispetto delle regole costituzionali che si sono viste.
Non può esistere il dirigente che non realizzi l’indirizzo politico del Governo in modo imparziale e nel rispetto dei doveri inderogabili che sono insiti nelle regole del buon andamento.
L’elemento che caratterizza l’organizzazione dei pubblici uffici secondo le disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità, è la sua naturale continuità.
Questa non sopporta cambiamenti estemporanei, in rottura con la continuità anzidetta, determinati da eventi contingenti o da scelte del momento suggerite da convenienze di parte.
Pure, l’azione amministrativa ha carattere dinamico e deve procedere nella stessa direzione e con le stesse cadenze dell’azione politica del governo, né può divergere da quest’ultima negli obiettivi, come non può raggiungere risultati configgenti con quella.
Continuità dell’azione amministrativa significa corrispondenza costante di questa con i fini del Governo condotta da una posizione di indipendenza e di imparzialità.
Il binomio "dipendenza funzionale e indipendenza organica" è, pertanto, il centro del discorso, prima d’ora non emerso a pieno in considerazione del nostro sistema politico, che cessata l’egemonia di un solo partito, trovava i necessari adattamenti attraverso variegate forme di coalizioni definite, destinate a reggere le sorti del Paese, senza rendere neppure pensabile un cambiamento radicale della direzione politica.
Il metodo maggioritario (sia pure non perfetto) ha attribuito alla alternanza carattere di evento non più eccezionale e, nello stesso tempo, ha dato rilievo al problema della consonanza tra azione di governo e la sua concreta realizzazione da parte della pubblica amministrazione.
E’ evidente che in una situazione fisiologica non vi è alcun motivo di procedere al ricambio degli organi di vertice della pubblica amministrazione, che diano concreta e coerente attuazione agli indirizzi politici del nuovo, come del precedente governo.
La storia ci tramanda, tra le tante, la figura emblematica del principe Charles – Maurice di Talleyrand – Perigord, che seppe porsi a servizio dei diversi regimi che si succedettero in Francia a cavallo dei secoli XVIII e XIX.
Deputato del clero agli Stati generali, dove vi sostenne i principi liberali, fu ministro degli esteri sotto il Direttorio, il Consolato e nei primi anni dell’Impero; Gran ciambellano di Napoleone; nuovamente ministro degli esteri della Restaurazione; poi, dopo i cento giorni, presidente del Consiglio, pari di Francia e, ancora, ambasciatore a Londra di Luigi Filippo.
La legge 15 luglio 2002 n. 145 mira a impedire, per quanto possibile, che il nuovo Governo si trovi a operare in un rapporto istituzionale non sereno con l’apparato burocratico e che nella realizzazione del suo programma politico in conformità agli impegni presi con gli elettori incontri difficoltà e ostacoli frapposti dall’azione contraria di funzionari "infedelmente" fedeli alla parte politica che a suo tempo li espressero.
"Infedelmente" fedeli perché i compiti del burocrate ineriscono a un ruolo tecnico-amministrativo, non politico
E’ infedele il funzionario che prende le parti di uno schieramento politico.
E’ tutt’altra cosa il funzionario che esegue fedelmente, con le proprie capacità tecniche, gli indirizzi del Governo in carica da una posizione di imparzialità e con l’obiettivo esclusivo del buon andamento.
A ben vedere, la possibilità riconosciuta al Governo dalla legge 145 del 2002 di provvedere al ricambio degli organi di vertice dell’apparato amministrativo non solo non imprime a quest’ultimo uno stampo politico, ma soprattutto non rompe la continuità dell’azione amministrativa: anzi, la rafforza.
E invero, la continuità dell’azione amministrativa, la quale -è opportuno ripeterlo- certamente concorre a garantire il buon andamento, non richiede una rigorosa stabilità delle persone che compongono l’apparato burocratico, atteso il carattere oggettivo degli Uffici pubblici.
La legge 145 del 2002, correttamente applicata (questo è ovvio), è rivolta a tenere a freno le situazioni di contrasto che potrebbero emergere dal cambio di Governo proprio al fine di assicurare l’efficienza della pubblica amministrazione, nonché di garantire una gestione amministrativa in piena assonanza con le regole costituzionali del buon andamento.
La continuità della pubblica amministrazione risulterebbe indebolita dove gli organi di vertice conducessero una azione contraria al Governo.
E’ bene sottolineare che il potere riconosciuto al Governo dalla legge 145 del 2002 ha carattere straordinario.
Peraltro, detta legge, sulla base di una logica e corretta interpretazione, non attribuisce al Governo un potere assoluto, eccezionale, sciolto da regole, rimesso a una volontà senza controllo.
Il potere conferito dalla legge 145 del 2002 è "straordinario" perché il Governo ha l’opportunità di esercitarlo in determinate e limitate occasioni.
Con riferimento alla ipotesi che interessa e che riguarda il ricambio dell’organo di vertice di ente pubblico (art. 6, comma secondo, della legge 145 del 2002), la possibilità di ricambio investe esclusivamente le nomine conferite dal Governo precedente nei sei mesi antecedenti la fine naturale della tredicesima legislatura, nonché quelle conferite o comunque rese operative nel corso della quattordicesima legislatura fino alla data di insediamento del nuovo Governo.
Non si tratta, pertanto, di un potere eccezionale che richiede una deroga alla normativa in vigore.
Non è un potere da esercitare in situazioni contingibili e urgenti ovvero in momenti di emergenza; soprattutto, non è affatto collegato a uno stato di crisi dell’organo da sostituire, a risultati conseguiti non soddisfacenti, a incapacità di gestione e, in ultima considerazione, a ipotesi di responsabilità dirigenziale.
A fronteggiare simili situazioni sono preordinati i normali poteri di vigilanza e controllo che consentono, attraverso l’allontanamento del soggetto, di scongiurare le conseguenze di uno scorretto modo di amministrare.
Il ricambio al vertice disciplinato dalla legge 145 del 2002 è tutt’altra cosa ed è collegato a un presupposto completamente differente.
Esso si rende necessario quando, a seguito di una (ovviamente ponderata) valutazione della personalità del soggetto nominato dal precedente Governo, risulti ragionevole il convincimento (non è sufficiente il mero sospetto) che la sua attività di direzione non sia esercitata con il connotato della imparzialità e nel pieno rispetto delle regole del buon andamento, che comprendono la legittimità e la opportunità delle scelte in sintonia con gli indirizzi politici del Governo in carica.
Oggetto della valutazione è, pertanto, l’idoneità tecnica del dirigente a fornire leale e fattiva collaborazione al perseguimento degli obiettivi del potere esecutivo.
Nella sostanza la legge 145 del 2002 attribuisce al nuovo Governo un potere di verifica della fedeltà del funzionario e della sua capacità di godere di piena fiducia.
E’ bene sottolineare che non si tratta di fiducia politica ovvero, peggio ancora, di fedeltà politica.
Il Governo deve essere in grado di fare affidamento sui valori oggettivi della persona sulla base della valutazione delle sue possibilità di produrre il risultato migliore nel rispetto degli obiettivi politici programmati. La fiducia tecnica, presupposto soggettivo della scelta, si basa su una conoscenza personale del funzionario e delle sue qualità, come il carattere, l’esperienza, la preparazione professionale, la cultura, l’equilibrio, le sue capacità di relazione e di collaborazione, dalle quali è dato pervenire a una ragionevole previsione che la sua azione sarà coerente con gli obiettivi politici perseguiti dal Governo e sarà espletata da una posizione di imparzialità e finalizzata alla corretta esecuzione della volontà politica.
Il governo ha sei mesi per saggiare la fedeltà tecnica del soggetto che era stato nominato dal Governo precedente ai limiti del suo mandato.
Il periodo di osservazione, che si svolge nella fase istruttoria del procedimento, può anche essere più breve o brevissimo a seconda del grado di conoscenza che il Governo ha delle doti tecniche del soggetto.
Anche la impossibilità di approfondire una qualsiasi conoscenza di soggetti eventualmente privi di titoli può giustificare la revoca di fiducia da parte del nuovo Governo entro il detto termine, purchè questo emerga dal relativo provvedimento congruamente motivato.
Le considerazioni innanzi svolte rendono chiaro che punto centrale della controversia è la corretta valutazione da parte del nuovo Governo dei presupposti soggettivi che lo legittimano a procedere al ricambio al vertice: non per rompere, ma per assicurare la continuità dell’azione amministrativa che è alla base dell’indipendenza della pubblica amministrazione.
E’ pure vero che la nomina ai limiti della precedente legislatura può generare sospetto che il Governo uscente abbia voluto inserire nell’apparato destinato a servire il nuovo Governo dei cunei infedeli al fine di sabotarne gli obiettivi politici, ma è anche vero che questo deve essere verificato sulla base di elementi certi e oggettivi, non costituendo da sola la prova di un simile progetto.
Il Governo subentrante deve essere sicuro (quanto meno sulla base di serie congetture) che il vecchio funzionario sia privo dei requisiti necessari per realizzare nella stessa misura, con lealtà e capacità tecnica, gli obiettivi che sono al centro del nuovo programma politico.
La legge 145 del 2002 non autorizza un gioco al massacro, ma offre un ingegnoso meccanismo di difesa volto a salvaguardare (se correttamente applicato) il principio costituzionale di continuità dell’azione amministrativa.
Una reale cesura nella continuità dell’azione amministrativa vi sarebbe se il dirigente non seguisse l’indirizzo del nuovo Governo e se non realizzasse dal punto di vista tecnico il programma politico secondo i parametri della imparzialità e del retto amministrare indicati nell’art. 97 della Costituzione.
Il corretto esercizio del potere attribuito dalla legge 145 del 2002 non conduce, quindi, a soggiogare la burocrazia alla politica, ma risponde alla opposta esigenza di impedire che i dirigenti agiscano nella logica della interferenza politica nell’esercizio della loro attività esecutiva.
Come si è ripetutamente detto, il Governo non può mantenere gli impegni assunti con gli elettori se le amministrazioni restano affidate a dirigenti che, indipendentemente dal credere o no al nuovo indirizzo politico, non eseguono con fedeltà istituzionale il compito di dare attuazione concreta agli obiettivi del Governo.
E’, pertanto, possibile concludere nel senso che la tesi delle amministrazioni resistenti, in base alle quali i provvedimenti previsti dall’art. 6 della legge 145 del 2002 non debbano essere "assolutamente assoggettati alla disciplina sul procedimento amministrativo", non appare convincente.
All’opposto, il procedimento amministrativo attraverso il quale prende corpo il potere di ricambio al vertice riconosciuto al nuovo Governo dalla legge 145 del 2002 affonda le proprie radici nei due elementi essenziali di una adeguata ed esauriente motivazione e di una puntuale attività istruttoria.
Quanto al primo punto, non si tratta di riempire l’atto di formule inconsistenti.
La motivazione deve essere mirata all’accertamento della idoneità tecnica del soggetto a garantire, nel rispetto dei principi della imparzialità e del buon andamento, continuità all’azione amministrativa pure in occasione del cambiamento del programma e degli obiettivi che sono da raggiungere come impegno politico del nuovo Governo.
Il destinatario del provvedimento di revoca deve essere posto in condizioni di capire le ragioni (serie e di spessore) che hanno indotto il Governo a procedere al ricambio nel posto di vertice.
Le cautele e la trasparenza che la legge 145 del 2002 richiede nell’operazione di ricambio al vertice hanno fondamento nel pericolo concreto di incidere indebitamente sulla continuità dell’azione amministrativa, laddove l’esercizio di questo straordinario potere mira proprio al risultato di salvaguardare la anzidetta continuità, presupposto fondamentale del buon andamento.
Quanto al secondo punto, con riferimento particolare al fatto che la partecipazione dell’avvio del procedimento ai soggetti destinati a cessare dall’incarico costituisce per sua natura un elemento essenziale dell’attività istruttoria, non si riesce a comprendere la resistenza dell’amministrazione a ottemperare a un elementare obbligo di legge.
E’ l’equivoco di ritenere la partecipazione come un istituto posto nell’esclusivo interesse del destinatario del provvedimento sfavorevole a indurre l’amministrazione a dire che la mancata comunicazione dell’avvio del procedimento non inficia assolutamente la legittimità dell’atto finale, atteso che l’interessato, in considerazione della "valenza politica" dell’atto di revoca, "pure partecipando non avrebbe potuto incidere sul contenuto dell’atto finale".
A questo proposito è utile osservare che compito della pubblica amministrazione è in ogni caso quello di adottare provvedimenti legittimi.
Per questo l’ordinamento prevede organi e istituti volti a coadiuvare con l’amministrazione attiva per armonizzare gli interessi pubblici perseguiti con gli eventuali altri interessi (pubblici o privati) coinvolti nel procedimento e per evitare, nello stesso interesse pubblico, i possibili errori, le casuali omissioni, le indebite deviazioni nell’esercizio del potere esercitato.
L’art. 7 della legge 7 agosto 1990 n. 241 introduce uno di quegli istituti di garanzia del corretto operare della pubblica amministrazione.
La diretta partecipazione al procedimento del destinatario dell’emanando atto sfavorevole consente all’amministrazione di acquisire documenti, dati significativi, elementi utili o anche solo argomenti che potrebbero indurla a un ripensamento sulla legittimità (o anche sulla sola opportunità) del provvedimento che essa si appresta ad adottare.
E’ questo il motivo per il quale l’art. 7 della legge 241 del 1990 soddisfa in primo luogo l’interesse della pubblica amministrazione al corretto esercizio dei suoi poteri.
Nella operazione di ricambio al vertice l’interessato potrebbe fornire all’amministrazione utili elementi di valutazione della propria fedeltà tecnica e della sicura capacità professionale di eseguire i programmi anche del nuovo Governo, favorendo in tale modo l’operazione di verifica sulla correttezza della scelta effettuata dal precedente Governo con gli obiettivi irrinunciabili di indipendenza, imparzialità e buon andamento dell’apparato amministrativo.
8.- E’ solo una esigenza di coerenza con una visione unitaria della legge 145 del 2002 che spinge il Collegio a rilevare, al di fuori della controversia in esame, che il potere di sostituzione degli alti dirigenti dello Stato previsto nell’art. 3 della citata legge 145 del 2002 partecipa della stessa natura del potere esercitato nel caso di specie e che ha, invece, fonte nel successivo art. 6.
Anche nei casi dell’art. 3 della legge 145 del 2002 si tratta di un potere straordinario che persegue fini di stabilità dell’azione di Governo, del tutto scollegato a qualsiasi valutazione di responsabilità dirigenziale.
Non si tratta, pertanto, dell’ordinario potere di revoca di incarico dirigenziale disciplinato dalla normativa contrattuale.
Questo rileva anche ai fini della giurisdizione, atteso che il discrimine discende dalla fonte che regola il rapporto.
Il ricambio al vertice non è atto di gestione del rapporto di lavoro compiuto in applicazione di precise disposizioni contrattuali.
L’illegittimità del ricambio al vertice, quale potere che ha fonte diretta nella legge e incide su posizioni di interesse legittimo, travolge ovviamente il successivo provvedimento di nomina del nuovo dirigente.
9.- Per le ragioni che si sono esposte, il ricorso deve essere accolto e, per l’effetto, annullati i due atti impugnati (il secondo, di nomina del successore, ovviamente per illegittimità derivata). Restano assorbiti gli ulteriori motivi di ricorso.
10.- La novità della questione trattata giustifica la compensazione tra le parti delle spese di lite.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio –Sezione seconda ter- accoglie il ricorso in epigrafe e, per l’effetto, annulla i provvedimenti impugnati nei limiti e nei termini indicati in motivazione.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dalla pubblica amministrazione.
Così deciso in Roma, dal Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio - Sezione II ter -, nella camera di consiglio del 19.2.2003, con l’intervento dei signori Magistrati elencati in epigrafe.
Consigliere Roberto SCOGNAMIGLIO Presidente
Consigliere Antonio AMICUZZI Estensore
Depositata in segreteria in data 8 aprile 2003.