TAR PUGLIA - BARI, SEZ. II – Sentenza
18 luglio 2002 n. 3399 – Pres. Perrelli, Est. Rotondo - Consorzio Ravennate delle Cooperative di Produzione e Lavoro soc. coop. a r.l. (Avv.ti R. Decimo e N. Matassa) c. Comune di Barletta (Avv.ti I. Palmiotti e G. Caruso) – (accoglie il ricorso e condanna il Comune di Barletta a risarcire il danno alla ricorrente).1. Contratti della P.A. – Gara – Commissione di gara – Natura – Individuazione - Imputazione degli atti alla P.A. appaltante – Responsabilità amministrativa dei componenti – Nel caso di atti adottati con colpa grave o dolo che abbiano cagionato danno all’erario – Sussiste.
2. Giustizia amministrativa – Risarcimento dei danni – Derivante da lesione di interessi legittimi – A seguito di annullamento dell’aggiudicazione di una gara d'appalto – Legittimazione passiva – Dei componenti della commissione di gara - Non sussiste – Ragioni.
3. Giustizia amministrativa – Risarcimento dei danni – Derivante da lesione di interessi legittimi – Presupposti – Colpa grave - Non si identifica con la mera illegittimità dell’atto – Criteri per ritenere sussistente o per escludere tale presupposto - Individuazione.
4. Giustizia amministrativa – Risarcimento dei danni – Derivante da lesione di interessi legittimi – Nel caso di annullamento dell’aggiudicazione – Con contestuale riconoscimento del diritto di aggiudicazione dell’appalto alla ricorrente – Risarcimento per equivalente monetario – Va attribuito integralmente – Criteri per la sua determinazione - Individuazione.
5. Giustizia amministrativa – Risarcimento dei danni – Derivante da lesione di interessi legittimi – Danno emergente – Quantificazione – Criteri – Nel caso di difficoltà di determinazione - Liquidazione in via equitativa in misura pari al 3% dell’offerta – Rivalutazione monetaria ed interessi legali – Vanno riconosciuti – Liquidazione delle spese legali – Non può essere riconosciuta.
6. Giustizia amministrativa – Risarcimento dei danni – Derivante da lesione di interessi legittimi – Lucro cessante – Quantificazione – Applicazione analogica dell’art. 345 della L. fondamentale sui LL.PP. – In misura pari al 10% dell’offerta – Interessi legali e rivalutazione monetaria delle somme dovute – Vanno riconosciuti.
1. La commissione di gara è organo strumentale dell’Amministrazione appaltante; gli atti da essa compiuti, nell’esercizio delle relative attribuzioni, hanno rilevanza interna al procedimento concorsuale e sono direttamente imputati, in virtù del rapporto di servizio occasionale e necessario che si instaura tra i suoi membri e l’amministrazione di riferimento, all’Ente - Persona che l’ha nominata. Pertanto, i suoi componenti rispondono a titolo di responsabilità amministrativa (dinanzi alla Corte dei Conti) per gli eventuali danni causati all’erario nell’esercizio della loro attività, ove abbiano agito con colpa grave o dolo.
2. I membri della commissione di gara non assumono la qualità di controinteressati (litisconsorzio necessario) nel giudizio risarcitorio per lesione di interessi legittimi proposto a seguito dell'annullamento dell'aggiudicazione della gara, in quanto essi sono privi di legittimazione passiva (non sussistendo nei loro confronti una posizione giuridica differenziata rispetto all’atto impugnato ed una distinta legitimatio ad causam) (1).
3. La colpa grave - che è elemento costitutivo della responsabilità aquiliana e costituisce presupposto per accordare il risarcimento dei danni derivanti da lesione di interessi legittimi - non si identifica con la mera illegittimità dell’atto (culpa in re ipsa), ma richiede gli estremi della contrarietà ai principi di legalità, di buona amministrazione e ragionevolezza, nonché piena consapevolezza dell’atto adottato ed inosservanza di norme non suscettibili di interpretazione soggettiva; non si rinviene l’estremo della colpa grave, viceversa, nel caso in cui la normativa applicabile sia equivoca o contraddittoria, ovvero nel caso in cui la questione sia nuova, nonché nel caso di oscillazioni giurisprudenziali che hanno potuto condizionare l’illegittima condotta (2).
4. La conseguibilità in termini di certezza dell’aggiudicazione di un appalto (attività vincolata che consegue all’annullamento giurisdizionale che sia avvenuto non sulla base di un difetto di motivazione, in via di principio sanabile con la ripetizione del provvedimento – vizio formale - ma sulla base di una violazione di legge e/o di un difetto di funzione dell’atto a suo tempo impugnato), comporta il risarcimento del danno nella misura del 100% delle voci legate al profitto derivante dall’aggiudicazione mancata. L’ammontare dei danni va determinato secondo i criteri dell’art. 1223 cod. civ., tendendo presente, sul versante del danno emergente: a) il pregiudizio economico subito dall’impresa per la perdita di chances legata alla impossibilità di far valere, nelle future contrattazioni, il requisito economico corrispondente alla mancata fatturazione dei lavori; b) l’inutile immobilizzazione di risorse umane e mezzi tecnici (tra cui, mancata economia di scala - materiali e/o attrezzature necessariamente acquistati per l’esecuzione dello specifico appalto di due edifici scolastici in luogo di sei previsti in gara).
5. La difficoltà di quantificazione delle voci del danno emergente, nonché, la circostanza che l’impresa abbia potuto compensare, tramite incarichi sostitutivi, la diminuzione della sua capacità economica e della propria potenzialità produttiva, giustificano il ricorso al criterio equitativo di risarcimento del detto danno, il cui ammontare può essere quantificato nella misura pari al 3% del valore rinveniente dalla offerta economica di progetto (prezzo dell’appalto) siccome praticato in sede di gara dalla ricorrente, percentuale da calcolarsi esclusivamente sulla parte di progetto non realizzata; gli importi risultanti vanno incrementati degli interessi legali nella misura storicamente vigente nonché della rivalutazione monetaria da calcolarsi a far data dalla stipula del contratto d’appalto tra la P.A. appaltante e l’illegittima aggiudicataria. Non possono invece essere ricomprese nel computo dell’ammontare del risarcimento le spese legali sostenute a fronte dei giudizi intrapresi, in quanto la loro liquidazione è stata già disposta, con statuizione autonoma ed accessoria, nelle sentenze che hanno definito il giudizio di merito.
6. Per quanto concerne invece il lucro cessante, la dimostrata certezza di conseguimento dell'appalto comporta che la proposta di liquidazione deve considerare l’utile economico che sarebbe derivato al ricorrente dall’esecuzione (totale) dell’appalto; tale utile - in applicazione analogica dell’art. 345, della legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. F. (legge sulle opere pubbliche), nonché dell’art. 37 septies, comma 1, della legge n. 109 del 1994, come novellato dalla legge n. 415 del 18 novembre 1998 (c.d. Merloni ter) - va quantificato in misura pari al 10% da calcolarsi, al lordo delle imposizioni fiscali, dell’offerta economica praticata in sede di gara dalla ricorrente, restando assorbita nella liquidazione anche il ristoro delle spese di progettazione, nel caso in cui la gara d’appalto riguardi sia la progettazione che la costruzione dell’opera (appalto concorso – art. 24, lett. "b" della legge n. 584/77); sulla somma così determinata vanno calcolati sia gli interessi legali secondo il saggio storicamente vigente, sia la rivalutazione monetaria.
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(1) Alla stregua del principio nella specie, mentre è stata esclusa la legittimazione passiva della Commissione di gara, è stata viceversa affermata le legittimazione passiva del Comune, in quanto la Commissione di gara è organo tecnico - ausiliario dell’Amministrazione, alla quale i suoi atti vanno direttamente imputati in virtù del rapporto di servizio che si instaura (a seguito della nomina) tra l’Ente ed i componenti della Commissione medesima.
(2) Cfr. T.A.R. Lazio, Sez. II, 14 giugno 2001, n. 5244.
In applicazione del principio è stato ritenuto sussistente il presupposto della colpa grave, atteso che il comportamento dell’Amministrazione comunale si era sostanziato nella inosservanza di una clausola di bando (lex specialis) chiara, precisa e testuale. Né la vicenda aveva implicato la risoluzione di particolari questioni in materia di appalto (si era trattato, nello specifico, di fare pedissequa applicazione di una clausola di bando dal significato letterale estremamente semplice ed oggettivamente priva, nei suoi risvolti applicativi, di complessità tecnica).
Per ulteriori riferimenti, si fa rinvio all'apposita pagina di approfondimento ed al commento di M. PERIN, di seguito riportato.
La sentenza in rassegna, offre lo spunto
per alcune riflessioni in materia di danno erariale indiretto [1]
derivante dalla condanna dell’amministrazione al risarcimento del danno per la
lesione degli interessi legittimi.
La
fattispecie in parola è emersa a seguito dello svolgimento di una pubblica
gara, per la realizzazione di un appalto
di lavori, relativa alla costruzione di quattro edifici scolastici, dove
l’impresa ricorrente era stata illegittimamente pretermessa dalla
realizzazione dell’opera pubblica.
Infatti,
l’amministrazione aveva aggiudicato l’appalto ad altra impresa, nonostante
questa avesse omesso la produzione di una specifica dichiarazione, richiesta, a
pena di esclusione, dal bando di gara.
Successivamente,
l’amministrazione comunale interessata, con propria deliberazione aveva
recepito l’operato della commissione giudicatrice ed aveva anche disposto
l’ammissione con riserva dell’impresa, risultata carente sul piano della
produzione documentale, stabilendo, altresì, che prima delle aperture delle
offerte quest’ultima integrasse la documentazione incompleta.
A
tal punto, l’impresa danneggiata ha proposto ricorso contro il risultato della
gara e, sulla base delle prescrizioni del bando di gara, il giudice
amministrativo ha annullato l’aggiudicazione in parola, in quanto l’impresa
aggiudicataria doveva essere, invece, estromessa dalla gara stessa.
In
seguito all’annullamento, la parte residua della progettazione e
l’affidamento dei lavori di costruzione degli edifici scolastici, è stata
affidata all’impresa ricorrente, anche se con l’intervento del commissario ad
acta, in ragione
dell’inerzia tenuta dall’amministrazione, dopo la decisione del Tar.
A
conclusione della vicenda l’impresa ricorrente, dopo aver ottenuto
l’annullamento dell’aggiudicazione e l’assegnazione della parte restante
dei lavori, con altro ricorso (deciso dalla sentenza in rassegna) ha chiesto
anche il risarcimento del danno da lesione di interesse legittimo.
Il
Tar Puglia ha accolto anche questo ricorso ed ha condannato l’amministrazione
a risarcire il danno patito dal ricorrente, stabilendo alcuni principi di
indubbio interesse per quella che sarà, poi, la successiva valutazione delle
responsabilità di coloro che personalmente hanno arrecato, in via indiretta, il
danno all’amministrazione a causa del risarcimento che dovrà essere
corrisposto al soggetto danneggiato.
In via preliminare, i giudici
amministrativi hanno specificato, ai fini del giudizio, la possibile
responsabilità della commissione di gara, quale organo strumentale
dell’amministrazione appaltante, in quanto gli atti da essa compiuti,
nell’esercizio delle relative attribuzioni, hanno rilevanza interna al
procedimento concorsuale e sono direttamente imputati, in virtù del rapporto di
servizio occasionale e necessario che si instaura tra i suoi membri e
l’amministrazione che ha proceduto alla loro nomina [2].
Conseguentemente,
i suoi componenti rispondono a titolo di responsabilità amministrativa (dinanzi
alla Corte dei Conti) per gli eventuali danni causati all’erario
nell’esercizio della loro attività, ove abbiano agito con colpa grave o dolo.
Lo stesso Tar ha, poi, fornito una
definizione di colpa grave, quale elemento costitutivo della responsabilità
aquiliana che costituisce il presupposto per accordare il risarcimento dei danni
derivanti da lesione di interessi legittimi.
Essa
non si identifica con la mera illegittimità dell’atto (culpa in re ipsa),
ma richiede gli estremi della contrarietà ai principi di legalità, di buona
amministrazione e ragionevolezza, nonché la piena consapevolezza dell’atto
adottato e l’inosservanza di norme non suscettibili di interpretazione
soggettiva.
La
colpa grave può essere esclusa, invece, nel caso in cui la normativa
applicabile sia equivoca o contraddittoria, ovvero nel caso in cui la questione
sia nuova, nonché nel caso di oscillazioni giurisprudenziali che hanno potuto
condizionare l’illegittima condotta.
Tale
impostazione è in linea con quella giurisprudenza (Tar Lazio, sez. II, n. 6115
del 3.7.2002, pubblicata in questa Rivista Internet, pag. www.giustamm.it/private/tar/tarlazio2_2002-07-03-1.htm)
che individua, ai fini del risarcimento del danno, l’elemento psicologico
della colpa non sul dato obiettivo dell’illegittimità dell’azione
amministrativa, bensì sulla «violazione delle regole di imparzialità, di
correttezza e di buona amministrazione alle quali l’esercizio della funzione
amministrativa deve ispirarsi e che si pongono come limiti alla discrezionalità».
Questo
orientamento non si discosta molto da quello della giurisdizione
amministrativo-contabile di responsabilità che, a proposito della colpa grave
nell’applicazione di norme giuridiche, prevede che essa si manifesta quando,
tenuto sempre conto della specifica professionalità posseduta dall’agente, si
verifica un errore nell’interpretazione di una norma, nonostante
l’obbiettiva certezza interpretativa della stessa, ovvero, quando la scelta
sia stata fatta in base ad opinioni soggettive, senza tenere conto di direttive,
istruzioni, indirizzi, prassi e pronunce giudiziali conoscibili [3]
.
Quanto
sopra dimostra che oggi è più che mai necessario, per non incorrere in costi
per risarcimenti che gli apparati amministrativi operino nel pieno rispetto del
buon andamento (art. 97 della Costituzione), affinché non vengano violate le regole
di imparzialità, di correttezza e di buona amministrazione. La violazione di
queste regole apre la strada, per i soggetti che abbiano patito il danno, a una
richiesta risarcitoria che, ovviamente, ricade per intero sui bilanci pubblici,
i quali, di conseguenza, dovranno fare a meno di risorse da destinare ai servizi
per la collettività.
In
questo contesto giurisprudenziale e normativo (D.L.vo n. 80 del 1998 e legge n.
205 del 2000) si può affermare che ormai sono aperti nuovi scenari nel rapporto
tra p.a. e cittadini, in quanto costoro oggi dispongono di uno strumento in
grado di incidere in modo assai pregnante per l’affermazione della legalità e
dell’imparzialità nell'azione amministrativa, dal momento che, come affermato
dalla dottrina [4]
a seguito del mutamento giurisprudenziale operato dalla nota sentenza n.
500/1999 della Sezioni Unite, è finita «una indecente immunità della
pubblica amministrazione. E, quel che è ancora più importante, viene
introdotto un formidabile incentivo a ridimensionare, sul piano normativo, i
poteri di intervento e di condizionamento delle pubbliche amministrazioni sulle
attività private: una volta che il rischio conseguente all’esercizio di tali
poteri non è più soltanto quello dell’annullamento dell’atto da parte del
giudice amministrativo, ma è quello, ben più temibile, di dover risarcire chi
avrà subito un danno dall’esercizio di quel potere. E la responsabilità, a
norma di Costituzione (art. 28 Cost.), grava non solo sulla pubblica
amministrazione, ma anche sul funzionario», evidenziando così la
possibilità reale che, in un modo o nell’altro, siano gli stessi agenti
pubblici autori del danno a dover rispondere personalmente di questo.
Ovviamente,
si profila anche una stagione di timori e paure per chi si trova ad amministrare
la cosa pubblica, perché la paura di sbagliare, con il rischio di dover poi
pagare personalmente i danni, potrebbe indurre a rallentamenti se non
addirittura all’inazione degli apparati amministrativi.
Questa
impostazione, a parere di chi scrive, deve essere rimossa, in quanto lo stato
della normativa e della giurisprudenza della Corte Costituzionale, impediscono
che amministratori e/o funzionari pubblici rispondano tout court di
qualunque danno, ma solo di quelli prodotti con dolo o colpa grave [5].
Quanto
sopra, dimostra che l’ordinamento prevede che il c.d. errore fisiologico, cioè
quello che può essere caratterizzato da profili psicologici di minore intensità,
resti, comunque, a carico dell’amministrazione e, sul punto, appare importante
anche l’affermazione del Tar Puglia che esclude una colpa grave
dell’amministrazione quando
la normativa applicabile sia equivoca o contraddittoria, ovvero, quando si
presenti una questione nuova, nonché nel caso di oscillazioni giurisprudenziali
che hanno potuto condizionare l’azione amministrativa risultata illegittima.
Quel
che deve essere evitato, per le conseguenze che inevitabilmente produrranno i
risarcimenti per danni da lesione di interessi legittimi, è che si arrivi a una
vera e propria “licenza di malamministrazione” [6]
dove amministratori incapaci e negligenti sperperino il denaro appartenente alla
comunità amministrata.
Sperpero
che potrebbe essere aumentato anche con la sottoscrizione di onerosi contratti
di assicurazione (i cui premi sono sempre a carico dei contribuenti) che la
giurisprudenza ha già affermato essere produttivi di danno erariale [7],
oltre il fatto che la stessa dottrina [8]
ha sostenuto che la sua previsione a carico dei bilanci pubblici concreterebbe
un’ipotesi di nullità del contratto per l’evidente contrarietà
all’ordine pubblico (art. 1428 c.c.), poiché mirerebbe a sottrarre il
funzionario dalle conseguenze tipiche della violazione dei suoi doveri, inoltre
concreterebbe anche una distrazione illecita di pubbliche risorse.
Occorre
sempre tenere a mente che l’amministrazione, a differenza delle organizzazioni
private, utilizza risorse non proprie e il cittadino – contribuente, il quale
sopporta il carico tributario, vuole essere garantito che siano perseguite le
cattive e colpevoli gestioni, non in termini di fumosa responsabilità politica
(ad esempio votando lo schieramento opposto alla successiva competizione
elettorale), bensì in termini di effettiva riparazione dei danni prodotti da
amministratori negligenti e inetti, caso mai condizionati anche dalla cattiva
politica.
Orbene,
a seguito dell’orientamento giurisprudenziale che si va affermando, gli
amministratori e/o agenti pubblici d'ora in avanti non potranno più
amministrare in modo approssimativo, come poteva avvenire in passato quando, sul
piano delle personali responsabilità finanziare, non poteva accadere nulla,
poiché da provvedimenti amministrativi illegittimi poteva scaturire, al
massimo, un annullamento da parte dei T.A.R. o del Consiglio di Stato in sede di
appello.
Certamente
non si deve creare un metus
da risarcimento agli agenti pubblici, ma si deve spingere l’apparato pubblico
a una maggiore professionalità e ad essere maggiormente conscia del suo ruolo
nella società civile che esige, sempre più, comportamenti responsabili
improntati al massimo rispetto della legalità, della legittimità delle azioni
amministrative e del buon andamento, nonché della considerazione dei diritti
dei cittadini che desiderano una p.a. sempre più osservante dei principi
costituzionali di cui all'art. 97 della Carta fondamentale. A ciò consegue la
necessità che
l'esercizio dei poteri autoritativi risponda a uno spirito di servizio,
rispettoso dell’honeste
vivere
e mosso per il perseguimento dell'interesse pubblico secondo i canoni fissati
dalla nostra Costituzione.
Di
sicuro agli amministratori e/o pubblici dipendenti, per evitare danni ai
cittadini e successivamente all'amministrazione sarà utile fare bene il proprio
dovere, studiare correttamente i procedimenti amministrativi da attivare e le
norme poste a loro fondamento, informare bene i cittadini, spiegarsi
educatamente con loro ed essere solleciti nello svolgimento delle funzioni
assegnate.
Sostanzialmente,
anche se può apparire utopico, almeno, in via tendenziale, si dovrebbe aspirare
alla c.d. amministrazione ideale richiamata dalla dottrina
[9]
dove gli apparati amministrativi conoscono le norme e le applicano con
prudenza e perizia. Condizione questa che l’ordinamento, in maniera sempre più
forte, richiama nella legislazione come, ad esempio, all’art. 78 del T.U.
degli Enti locali, dove il comportamento degli amministratori, nell’esercizio
delle proprie funzioni, deve essere improntato all’imparzialità e al
principio di buona amministrazione [10].
Principi
questi che, anche se hanno un carattere indeterminato [11],
impongono, comunque, il divieto di fare preferenze ed essere faziosi e/o
parziali nello svolgimento dei compiti amministrativi, nonché impongono di
perseguire l’efficacia e l’efficienza dell’azione amministrativa, al fine
di raggiungere i risultati adeguati alle risorse di cui si dispone evitando,
altresì, che le stesse vadano sprecate in attività più o meno dannose e
inutili.
Certamente,
occorre ricordare che la valutazione della responsabilità amministrativa del
funzionario agente non può essere effettuata dal giudice amministrativo e/o dal
giudice ordinario, in quanto le Sezioni Unite, con la nota pronuncia n. 500 del
1999, hanno affermato che la valutazione della colpa, deve essere effettuata non
nei confronti del funzionario agente (da riferire ai parametri della negligenza
o imperizia), «ma della p.a. intesa come apparato…» e la colpa «…sarà
configurabile nel caso in cui l'adozione e l'esecuzione dell'atto illegittimo
(lesivo dell'interesse del danneggiato) sia avvenuta in violazione delle regole
di imparzialità, di correttezza e di buona amministrazione alle quali
l'esercizio della funzione amministrativa deve ispirarsi e che il giudice
ordinario può valutare, in quanto si pongono come limiti esterni alla
discrezionalità».
Sul
punto, poi, un’attenta dottrina [12]
ha sostenuto che il criterio della colpa da accertare nei confronti
dell’amministrazione non sarà semplice, perché “nella realtà concreta
quasi mai l’illegittimità è frutto di dolo o colpa per imprudenza e
imperizia nel senso civilistico”, dovendosi fare i conti con il fatto che
la lesione degli interessi legittimi molto spesso è frutto di “un
ordinamento caotico, alluvionale in stato di rivoluzione permanente” che
rende certamente difficile il lavoro per gli operatori della pubblica
amministrazione.
Occorre
dire che il caso affrontato dai giudici pugliesi non appare, dalla lettura della
sentenza, possa mandare esente da responsabilità gli amministratori, dal
momento che la mancata aggiudicazione della gara all’impresa danneggiata è
originata da un’evidente e macroscopica illegittimità che, con un po’ di
attenzione e cura dell’interesse pubblico, poteva essere evitata.
Ovviamente
la prova della colpa dei singoli funzionari dovrà venire in rilievo nella
successiva azione di rivalsa ad iniziativa di un organo pubblico requirente [13],
una volta che questi rinvenga, nella condotta degli agenti pubblici, gli
elementi strutturali dell’illecito amministrativo erariale (danno finanziario,
nesso causale, rapporto di servizio ed elemento psicologico caratterizzato da
dolo o da colpa grave).
Anche
in questo caso, per aversi la colpa grave degli agenti pubblici, quale
presupposto della responsabilità amministrativa, non è sufficiente, come
evidenziato dalla giurisprudenza [14],
il mero riscontro della violazione da parte del pubblico amministratore e/o
dipendente, di norme di legge o regolamentari, o di istruzioni o disposizioni
interne o esterne all’apparato, ovvero delle norme, generali o specifiche del
settore professionale di appartenenza, di diligenza, di prudenza e relative alle
conoscenza professionali, inerenti il settore medesimo, nonché in generale
delle norme di comportamento attinenti alla migliore tutela dell’interesse
pubblico, bensì è necessario che tali violazioni, ove non abbiano carattere
macroscopico, di per sé, siano accompagnate da un quid pluris,
sintomatico di volontà colpevole caratterizzata da particolare intensità.
Sostanzialmente,
per rispondere dei danni, l’agente pubblico, nello svolgimento dei compiti
amministrativi, deve aver posto in essere una condotta caratterizzata da una
particolare negligenza, imprudenza o imperizia e che sia realizzata senza
l'osservanza, nel caso concreto, di un livello minimo di diligenza, prudenza o
perizia in relazione al tipo di attività concretamente richiesto all'agente
medesimo e alla sua particolare preparazione professionale, in quel settore
della p.a. al quale è preposto [15].
Tutto
ciò dimostra che, una volta intervenuta una condanna della p.a. per il
risarcimento della lesione dell’interesse legittimo, si dovranno valutare, da
parte del giudice contabile, i comportamenti di coloro che hanno concorso alla
produzione del danno erariale e, nel caso in cui gli stessi comportamenti siano
caratterizzati da colpa di rilevante gravità, il danno dovrà essere
addebitato, con tutte le garanzie previste nell’ambito della giustizia
contabile, agli autori di esso.
A
questo proposito si deve anche ricordare che esiste il potere discrezionale del
giudice contabile di porre a carico del responsabile la sola quota di danno
corrispondente alla gravità della sua colpa, secondo il canone di equità che
discende dalla norma sull’uso del potere riduttivo (art. 52 del R.D. del
12.7.1934, n. 1214), la quale dispone che la Corte dei conti, dopo aver valutato
le singole responsabilità, può porre a carico dei responsabili tutto o solo
una parte del danno accertato.
Infine,
si deve osservare, in tema di risarcimento del danno da lesione d’interesse
legittimo, che gli amministratori e/o agenti pubblici dovranno fare anche
attenzione (per difendere le risorse economiche della propria amministrazione)
anche alle pretestuose richieste di risarcimento, le quali, in un paese malato
da eccesso di contenzioso, sicuramente non mancheranno.
Infatti,
non si può escludere che soggetti privati (forse spinti dalla ricerca di un
nuovo e remunerativo contenzioso), i quali a fronte di provvedimenti
amministrativi, forse confezionati male, ma sostanzialmente corretti,
invaderanno le amministrazioni di richieste risarcitorie convenendole,
successivamente, in giudizio.
In questo caso, sarà bene, a fronte di istanze risarcitorie giuridicamente insostenibili, attrezzarsi per difendere l’amministrazione, studiando bene la fattispecie (a tal fine diviene essenziale la ricerca giurisprudenziale), in modo da dimostrare nelle sedi contenziose (per il tramite delle proprie avvocature) l’infondatezza e la pretestuosità delle richieste avanzate per lucrare risarcimenti in danno della collettività [16].
[1] Per danno erariale indiretto si intende quel danno conseguente all'erogazione, da parte dell'amministrazione, di una somma di denaro a favore di terzi disposta a seguito di sentenza del giudice civile e ora, con il risarcimento del danno da lesione d’interesse legittimo, anche del giudice amministrativo o di transazione (cfr. C.d.C. I sez. centrale 3.3.1997, n. 14 e sempre I sez. centrale del 23.11.1999, n. 317); questo risarcimento al terzo si pone come il presupposto per l'esercizio dell'azione di rivalsa prevista, per i pubblici dipendenti, dall'art. 22, ult. comma, d.P.R. 10.1.1957, n. 3 (cfr. F. Garri, I giudizi innanzi alla Corte dei Conti, Milano 1997, pag. 152), sempreché il Procuratore Regionale ravvisi l’elemento psicologico della colpa grave o del dolo. La prescrizione, in tema di danno contabile indiretto, secondo la giurisprudenza prevalente inizia a decorrere dal momento in cui avviene il pagamento della somma a titolo di risarcimento del terzo danneggiato (Corte dei Conti, Sez. II centrale, n. 392/A del 20.12.2001 e n. 157/A del 2.5.2001).
[2] Tra le numerose sentenze della Cassazione in materia di rapporto di servizio si segnala la n. 4060 del 5.4.1993 delle S. U., la quale riconosce il rapporto di servizio, sulla base dello svolgimento del servizio effettivo delle funzioni pubbliche, anche se non si fa riferimento a specifiche norme. Da ultimo si segnala l’Ordinanza n. 715 del 22.1.2002, sempre delle S.U. , con la quale si ribadisce che l’inserimento di soggetti privati nell'organizzazione pubblica e nello svolgimento delle pertinenti attività, determina una partecipazione funzionale all’esercizio di una specifica azione amministrativa, con la conseguente configurazione di un particolare rapporto di servizio, cui deriva l'assoggettamento alla giurisdizione della Corte dei Conti in materia di responsabilità per danno erariale. Si segnala, poi, che, in base all’art. 107 del T.U. degli Enti locali (D.L.vo n. 267/2000), la presidenza delle Commissioni di gara e di concorso rientra nell’esclusiva competenza dei dirigenti degli enti locali, sui quali ricade tutta la responsabilità in tema di procedura di gara e di stipulazione dei contratti (Cons. Stato, sez. V, n. 2293 del 12.4.2001, in Foro amm., n. 4/2001, pag. 871).
[3] Così la giurisprudenza delle Sezioni Riunite n. 49 del 1997 e della II sez. giur. centrale n. 40 del 1997, come richiamate da A. Ciaramella in “Spunti per una riflessione sulla colpa grave nella responsabilità amministrativa” pubblicato su www.amcorteconti.it.
[4] G. Corso, in “Pubblica amministrazione in ritirata”, consultabile alla pag. web http://www.cittadinolex.kataweb.it/CommentView/0,1527,1696|163,00.html.
[5]
Nella responsabilità amministrativa, per l’esercizio della relativa
azione, è necessario che l’elemento psicologico dell’autore del danno
sia rappresentato dal dolo o dalla colpa grave (art. 1, comma 1 della legge
14 gennaio 1994, n. 20, come modificata dalla legge n. 639 del 1996), con
esclusione degli stati psicologici colposi di minore intensità come la
colpa lieve o lievissima. Questa limitazione della responsabilità
amministrativa al dolo e alla colpa grave è stata valutata positivamente
dalla Corte Costituzionale, con la sentenza n. 371 del 20 novembre 1998,
perché ciò risponde all’intento di «predisporre, nei confronti dei
dipendenti e degli amministratori pubblici, un assetto normativo in cui il
timore della responsabilità non esponga all’eventualità di rallentamenti
ed inerzie nello svolgimento dell’attività amministrativa». La Consulta
è ritornata sulla vicenda con la sentenza n. 340 del 24.10.2001 (in
Giustizia amministrativa n. 11 del 2001, pag. 1223), nella quale ha
affermato che «l’imputazione della responsabilità amministrativa ha come
limite minimo quello della colpa grave», di conseguenza oltre non si può
andare, in quanto vi sarebbe solo l’impunità di coloro che con vera e
propria mala gestio
distruggono le risorse pubbliche (n.d.r.).
[6] Termine richiamato da Angelo Panebianco sul Corriere della Sera del 1° agosto 1996.
[7] Cfr. Corte dei Conti, sez. Lombardia n. 942 del 2002, pubblicata su Giustizia amministrativa n. 3 del 2002, pag. 678 e Sezione del controllo, n. 29/P del 20.8.2000 dove, in sede di controllo, viene affermata l’illegittimità della totale copertura assicurativa per i rischi connessi con le ipotesi di responsabilità amministrativa contabile e, più in generale, per tutte le ipotesi di danno erariale, in Foro Amm. , n. 7/8 del 2001, pag. 2166.
[8] . I. Cacciavillani, in “Note minime sulla liceità della polizza assicurativa dei funzionari per il danno erariale” in Foro amm., n. 9/1998, pag. 2615 e segg.; cfr. anche P. L. Rebecchi, Osservazioni a margine del diniego di visto da parte della Corte dei Conti per il nuovo accordo concernente la carriera prefettizia, con riguardo all’estensione della copertura assicurativa alla responsabilità amministrativo – contabile, in Foro amm., n. 7/8 del 2001, pag. 2167.
[9] R. Caranta, Attività amministrativa e illecito aquiliano, Milano, 2001, pag. 1 e segg.
[10] A questo proposito si ricorda anche la presenza di un «Codice di comportamento dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche», di cui al Decreto 28 novembre 2000, pubblicato nella G.U. n. 84 del 10 aprile 2001, nel quale viene ribadito, come principio cardine della condotta del pubblico dipendente (ma anche del pubblico amministratore), il rispetto della legge e il perseguimento esclusivo del pubblico interesse, cui consegue l’esigenza di portare al massimo dell’espressione il principio della legalità nello svolgimento della quotidiana attività amministrativa.
[11] A. Sandulli, Trattato di diritto amministrativo a cura di S. Cassese, voce Procedimento, Milano, 2000, pag. 955.
[12] S. Giacchetti, La risarcibilità degli interessi legittimi è "in coltivazione", in questa Rivista Internet, pag. http://www.giustamm.it/articoli/giacchetti_risarcibilita.htm
[13] Una volta corrisposto il risarcimento del danno per lesione di posizione d'interesse legittimo, si realizza un fatto dannoso per la finanza pubblica e, quindi, incomberà a carico degli organi amministrativi (in generale organi di vertice; organi dirigenziali delle singole amministrazioni; funzionari ispettivi) un obbligo di denunzia alla competente Procura Regionale della Corte dei Conti (art. 20 d.P.R. n. 3 del 1957; art. 32 legge n. 335/1976) essendo devoluto a questa e non all’amministrazione ogni valutazione sulle componenti dell’illecito amministrativo causativo di danno finanziario per l’erario pubblico.
A questo si deve aggiungere che,
molto spesso, gli stessi giudici amministrativi con la pronuncia di condanna
dell’amministrazione ordinano anche la trasmissione degli atti alla
competente Procura regionale (cfr. TAR Abruzzo - Pescara, sentenza 22 giugno
2002 n. 562, in questa Rivista Internet, pag. http://www.giustamm.it/tar1/tarabruzzopesc_2002-562.htm)
e ciò avviene anche nella giusta ottica di dare maggiore effettività alla
giustizia amministrativa.
[14] Corte dei Conti, I sezione centrale, n. 178/A del 3.6.1999, in Riv. Corte dei Conti, n. 5/1999, pag. 56.
[15] Corte dei Conti, Sez. Sicilia, 2 marzo 1998, n. 68.
[16] Cfr. M.E. Schinaia, L'esperienza giurisprudenziale dei TAR, in Cons. Stato, 1994, II, 1037, il quale aveva prospettato che il risarcimento del danno da lesione di interesse legittimo avrebbe pure avviato "pretestuosi assalti alla diligenza del pubblico Erario".
FATTO
Con atto notificato il 17 ottobre 2000 e depositato il successivo giorno 31, il ricorrente propone l’epigrafato ricorso col quale chiede la condanna del Comune di Barletta al risarcimento dei danni subiti a seguito dell’illegittima pretermissione, di essa ricorrente, nella realizzazione dell’appalto di lavori per la costruzione di quattro edifici scolastici.
Con memoria depositata il 27 aprile 2002 il ricorrente insiste nelle proprie rivendicazioni patrimoniali.
Si è costituito in data 9 maggio 2002 il Comune di Barletta chiedendo il rigetto del ricorso.
Con memoria depositata in data 7 giugno 2002, parte resistente eccepisce il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo nonché l’inammissibilità del ricorso per difetto di integrazione del contraddittorio; chiede, nel merito, il rigetto del gravame.
All’udienza del 20 giugno 2002 il ricorso è trattenuto in decisione.
DIRITTO
Preliminarmente, vanno disattese le eccezioni sollevate da parte resistente.
I) La questione sottoposta all’esame del Collegio involge l’accertamento della pretesa risarcitoria azionata dal ricorrente per i danni asseritamente subiti a seguito di lesione della sua sfera giuridica conseguente l’illegittimo esercizio della funzione pubblica (violazione delle norme di azione sull’evidenza pubblica che regolano le procedure di appalti) la cui tutela rientra de – plano nella piena cognizione del giudice amministrativo ai sensi dell’art. 7 della legge n. 205 del 2000 – impingendo, la stessa, l’ambito della giurisdizione generale di legittimità -.
II) La commissione di gara è organo strumentale dell’Ente locale. Gli atti da essa compiuti, nell’esercizio delle relative attribuzioni, hanno rilevanza interna al procedimento concorsuale e sono direttamente imputati, in virtù del rapporto di servizio occasionale e necessario che si instaura tra i suoi membri e l’amministrazione di riferimento, all’Ente - Persona che l’ha nominata. Pertanto, i suoi componenti rispondono a titolo di responsabilità amministrativa (dinanzi alla Corte dei Conti) per gli eventuali danni causati all’erario nell’esercizio della loro attività ove abbiano agito con colpa grave o dolo.
Ne consegue, che i membri della commissione tecnico amministrativa che conduce le operazioni di gara per conto dell’Ente non assumono la qualità di controinteressati (litisconsorzio necessario) nel giudizio risarcitorio intentato per la tutela dell’interesse legittimo siccome (asseritamente) leso per effetto dell’illegittimo esercizio della funzione pubblica in quanto privi di legittimazione passiva (insussistenza della posizione giuridica differenziata rispetto all’atto impugnato e della legitimatio ad causam).
III) La questione sottoposta all’esame del Collegio involge l’accertamento di responsabilità civile del Comune di Barletta ex art. 2043 del Cod. civ. per lesione di interesse legittimo.
La vicenda origina dall’annullamento giurisdizionale (sentenze TAR Puglia – Bari, n. 489 del 26/7/89; C.d.S., V Sez., dec. n. 1078 del 31/7/91) del provvedimento di aggiudicazione, in favore della Società Montedil, dei lavori per la costruzione di sei edifici scolastici.
Ragione del prefato annullamento è stata, tra le altre, l’illegittima decisione della Commissione di ammettere alla gara l’impresa Montedil nonostante questa avesse omesso la produzione di una specifica dichiarazione richiesta dal bando a pena di esclusione.
La Giunta del Comune di Barletta, con deliberazione del 7 gennaio 1987, ha recepito l’operato della Commissione ed ha disposto l’ammissione con riserva dell’impresa Montedil stabilendo che prima delle aperture delle offerte venisse riscontrata l’integrazione della documentazione siccome incompleta.
A seguito delle successive operazioni di gara il raggruppamento Montedil è risultato aggiudicatario dell’appalto mentre il Consorzio ricorrente si è classificato secondo.
Il giudice amministrativo, con le prefate sentenze, ha stabilito, tra l’altro, che la "disciplina del bando era inequivocabile, sia nelle indicazioni tassative delle dichiarazioni richieste, sia nel sanzionare l’esclusione per mere irregolarità formali sin dalla stessa fase di prequalificazione".
In sede di ottemperanza il TAR Puglia – Bari, con decisione n. 439 del 5/3/94, ha ordinato al Comune di Barletta di stilare una nuova graduatoria e di procedere ad una nuova aggiudicazione.
Il Commissario ad acta, all’uopo nominato per la persistente inerzia dell’Amministrazione, ha riapprovato (con delibera n. 132 del 30/3/94) gli atti di gara affidando (con successiva determinazione n. 133) al Consorzio Ravennate (odierno ricorrente) la progettazione e costruzione dei sei edifici scolastici.
Soltanto nel 1995, con atto n. 1222 del 5 dicembre, il Comune di Barletta ha proceduto all’integrazione dello schema di convenzione siccome approvato dal Commissario con la citata delibera 133 del 1994..
Nel frattempo, però, quattro dei sei edifici erano già stati costruiti sicché la successiva convenzione stipulata tra il Comune ed il Consorzio ha avuto ad oggetto l’affidamento della progettazione ed esecuzione delle due sole scuole residue.
Con l’odierno ricorso, il ricorrente si ripropone di conseguire il "risarcimento del danno ingiusto subito per effetto della mancata realizzazione di quattro delle sei scuole previste nell’appalto a suo tempo indetto dal Comune di Barletta".
In limine, va rilevato che la stipula della convenzione per la progettazione e la costruzione dei residui due edifici costituisce, in parte qua, risarcimento in forma specifica che elimina l’area del danno da risarcire per equivalente limitandola al solo danno emergente (per il risarcimento del quale, però, non è stata azionata pretesa).
Va, altresì, affermata le legittimazione passiva nel presente giudizio del Comune di Barletta in quanto, per un verso, la Commissione di gara è organo tecnico - ausiliario dell’Amministrazione alla quale i suoi atti vanno direttamente imputati in virtù del rapporto di servizio che si instaura (a seguito della nomina) tra l’Ente locale ed i componenti della commissione medesima; per l’altro, gli atti censurati in sede di legittimità sono stati fatti propri dalla Giunta comunale con la deliberazione del 7 gennaio 1987, sicché gli effetti e le conseguenze della loro esecuzione vanno riferiti direttamente all’Ente pubblico.
In merito all’istanza risarcitoria per il danno ingiusto conseguente alla mancata realizzazione delle altre quattro scuole previste nell’appalto, il ricorso è ammissibile e fondato.
Va preliminarmente osservato che nel presente giudizio viene in considerazione unicamente il risarcimento del danno per equivalente in quanto l’appalto per cui è causa è stato completamente eseguito.
Pertanto, una reintegrazione in forma specifica, peraltro non postulata dal ricorrente, si dimostrerebbe troppo onerosa per l’amministrazione (art. 2058 Cod. civ.).
Osserva il Collegio, che la violazione di norme giuridiche e/o d’azione, siccome consumata dalla pubblica amministrazione sia con atti che con comportamenti, determina una lesione della posizione soggettiva del richiedente (nella specie, di interesse legittimo) suscettibile, ai sensi dell'art. 7, IV comma, della legge n. 205 del 2000, di essere risarcita ove sia configurabile un comportamento illecito da parte dell'Amministrazione, fonte di responsabilità civile, che richiede la sussistenza della colpa dell’Amministrazione; colpa desumibile non solo, sotto il profilo oggettivo, dalla violazione della norma, ma anche, sotto il profilo soggettivo, dalle modalità complessive della condotta amministrativa nella vicenda.
Come affermato dalla Suprema Corte di Cassazione, l’accertamento della responsabilità della P.A. conseguente all’adozione di atti e provvedimenti illegittimi postula una penetrante indagine tesa a verificare se "l’adozione e l’esecuzione dell’atto illegittimo sia avvenuta in violazione delle regole di imparzialità, di correttezza e di buona amministrazione alle quali l’esercizio della funzione amministrativa deve ispirarsi…".
Ed invero, l’illiceità dell’agere amministrativo è il prodotto di una azione oltre che illegittima anche colpevole della Pubblica amministrazione.
Infatti, la condotto colposa (elemento costitutivo della responsabilità aquiliana) non si identifica con la mera illegittimità dell’atto (culpa in re ipsa) ma richiede gli estremi della contrarietà ai principi di legalità, di buona amministrazione e ragionevolezza, nonché piena consapevolezza dell’atto adottato ed inosservanza di norme non suscettibili di interpretazione soggettiva.
Sul punto, è stato affermato dalla giurisprudenza (cfr TAR Lazio – RM- Sez. II, n. 5244 del 14/6/01) che l’imputazione della colpa all’apparato amministrativo considerato nel suo complesso rende estremamente difficoltosa e incerta l’individuazione di una responsabilità in capo alla P.A. che non sia identificabile con la mera illegittimità dell’atto, all’infuori delle ipotesi in cui possa ammettersi che l’operato dell’Amministrazione sia da correlarsi all’esistenza di particolari ed obiettive circostanze.
Tali circostanze sono state individuate nella equivocità e contraddittorietà della normativa applicabile, nella novità della questione nonché in oscillazioni giurisprudenziali che hanno potuto condizionare l’illegittima condotta.
Orbene, deve affermarsi che, nel caso in esame, non sono ravvisabili situazioni particolari del tipo di quelle indicate.
Il comportamento dell’Amministrazione comunale si è sostanziato nella inosservanza di una clausola di bando (lex specialis) invero chiara, precisa e testuale (come rimarcato dalla stessa sentenza n. 489/89) che non può trovare alcuna giustificazione nel soggettivismo interpretativo. Né la vicenda ha implicato la risoluzione di particolari questioni in materia di appalto (si è trattato, nello specifico, di fare pedissequa applicazione di una clausola di bando dal significato letterale estremamente semplice ed oggettivamente priva, nei suoi risvolti applicativi, di complessità tecnica).
Altrettanto devono escludersi sia la novità della questione che eventuali oscillazioni giurisprudenziali: ed invero, risulta pacifico l’orientamento secondo il quale una clausola di bando, a meno di un suo contrasto con la normativa comunitaria, non può essere disapplicata dal seggio di gara.
Sotto altro profilo, rileva una più generale condotta del Comune contrassegnata da indifferenza ed inerzia nel (non) riscontrare le continue sollecitazioni del ricorrente per una definizione bonaria della questione e da ritardi nel conformarsi alla pronunzia giurisdizionale (sentenza n. 489/89) – che hanno sospinto il Consorzio a chiederne l’esecuzione -; ed ancora, viene in rilievo il notevole lasso di tempo (più di venti mesi) fatto intercorrere tra la deliberazione del Commissario ad acta e la stipula della convenzione per la progettazione e la costruzione dei residui due edifici scolastici: così frustrandosi (con una condotta amministrativa, successiva ai giudizi, - gravemente - poco diligente e – affatto - non collaborativa) l’interesse economico (progressivamente erososi) del ricorrente alla realizzazione – se non integrale almeno più cospicua - dell’appalto.
Ordunque, le esposte circostanze comprovano la violazione da parte del Comune delle regole di buona amministrazione; esse, pertanto, sono esplicative di una condotta colposamente imputabile - contra legem - foriera di danno (ingiusto) risarcibile.
Ne consegue che il ricorso va accolto e, per l’effetto, va dichiarata la responsabilità del Comune di Barletta per il danno ingiusto causato al ricorrente per il fatto della mancata realizzazione di quattro edifici scolastici di cui all’appalto indetto dall’Amministrazione comunale.
Occorre, a questo punto, procedere alla individuazione dei profili di danno patiti dalla ricorrente ed alla conseguente loro quantificazione.
Il Collegio, anche aderendo alla richiesta avanzata, in subordine, dalla ricorrente, ritiene opportuno, nella fattispecie, di fare applicazione analogica dell’art. 35, del D.Lvo n. 80, del 1998, come riprodotto nel testo dell’art. 7, della legge n. 205, del 1990, ed utilizzare, quindi, nell’interesse di una sollecita definizione della causa la facoltà concessagli di stabilire – come di seguito - i criteri in base ai quali il Comune di Barletta dovrà proporre al ricorrente, entro il termine di sessanta giorni decorrenti dalla comunicazione dell’avvenuto deposito della motivazione della sentenza, il pagamento di una somma di danaro atta a ristorarlo dei danni subiti.
Sul piano dell’an si tratta di compiere il giudizio sulla spettanza del bene della vita cui aspira(va) la ricorrente onde poter stabilire se il risarcimento spetti in termini integrali o mediante la tecnica della chances.
Nel caso in esame, il giudicato amministrativo ha eroso la sfera di discrezionalità del Comune (illegittimità dell’ammissione del primo classificato alla quale ha fatto seguito la certezza di vittoria del secondo – odierno ricorrente -).
Pertanto, la conseguibilità in termini di certezza della vittoria finale (attività vincolata che consegue all’annullamento giurisdizionale avvenuto non sulla base di un difetto di motivazione in via di principio sanabile con la ripetizione del provvedimento – vizio formale - ma sulla base di una violazione di legge e/o di un difetto di funzione dell’atto a suo tempo impugnato) comporta il ristoro nella misura del 100% delle voci legate al profitto derivante dall’aggiudicazione mancata.
L’ammontare dei danni va determinato secondo i criteri dell’art. 1223 Cod. civ..
Sul versante del danno emergente va apprezzato:
il pregiudizio economico subito dall’impresa per la perdita di chances legata alla impossibilità di far valere, nelle future contrattazioni, il requisito economico corrispondente alla mancata fatturazione dei lavori;
l’inutile immobilizzazione di risorse umane e mezzi tecnici (tra cui, mancata economia di scala - materiali e/o attrezzature necessariamente acquistati per l’esecuzione dello specifico appalto di due edifici scolastici in luogo di sei previsti in gara).
La difficoltà di quantificazione delle prefate voci di danno, nonché, la circostanza che l’impresa ricorrente abbia potuto compensare, tramite incarichi sostitutivi, la diminuzione della sua capacità economica e della propria potenzialità produttiva inducono il Collegio a fare applicazione, in parte qua, del criterio equitativo di risarcimento il cui ammontare (tenuto conto anche di quanto previsto dal Consorzio nella sua offerta a titolo di oneri del concessionario) è ben quantificato nella misura pari al 3% (trepercento) del valore rinveniente dalla offerta economica di progetto (prezzo dell’appalto) siccome praticato in sede di gara dalla stessa ricorrente: percentuale da calcolarsi esclusivamente sulla parte di progetto non realizzata (mancata edificazione dei quattro edifici).
Gli importi come sopra determinati vanno incrementati degli interessi legali nella misura storicamente vigente nonché della rivalutazione monetaria da calcolarsi a far data dalla stipula del contratto d’appalto tra il Comune e l’illegittima aggiudicataria e fino al 31 dicembre 1999 (data, quest’ultima, indicata dalla stessa ricorrente).
Non vanno, invece, apprezzate le spese legali sostenute a fronte dei giudizi intrapresi (TAR e Consiglio di Stato) in quanto la loro liquidazione è stata già disposta, con statuizione autonoma ed accessoria rispetto alle sentenze, in esito ai rispettivi ricorsi.
Altrettanto inapprezzabili sono i prospettati "costi di struttura per gestione contenzioso" in quanto (già) inclusi, de iure, nelle liquidazioni delle prefate spese processuali.
Quanto ai "costi commerciali per iniziativa, spese, viaggi e quant’altro" la genericità della richiesta ne rende indimostrata la spettanza con conseguente infondatezza della pretesa azionata.
Sul versante del lucro cessante, la dimostrata certezza di vittoria comporta che la proposta di liquidazione dovrà considerare l’utile economico che sarebbe derivato al ricorrente dall’esecuzione (totale) dell’appalto. Tale utile si reputa pari al 10% da calcolarsi, al lordo delle imposizioni fiscali, separatamente sul singolo valore d’appalto di ciascuno dei quattro edifici scolastici non realizzati (in applicazione analogica dell’art. 345, della legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. F.- Legge sulle opere pubbliche-, nonché dell’art. 37-septies-, comma 1, della legge n. 109 del 1994, come novellato dalla legge n. 415 del 18 novembre 1998 – c.d. Merloni Ter).
Il valore da prendere a base di riferimento per il calcolo della somma come sopra ammessa a risarcimento è, anche in questo caso, quello rinveniente dall’offerta economica praticata in sede di gara dalla ricorrente per la progettazione – costruzione dei quattro edifici non realizzati.
Resta assorbita nella prefata liquidazione anche il ristoro delle spese di progettazione (ulteriore profilo di danno emergente – interesse negativo).
Ed invero, la gara d’appalto ha riguardato sia la progettazione che la costruzione dell’opera (appalto concorso – art. 24, lett. "b" della legge n. 584/77).
Sulla somma così determinata vanno calcolati sia gli interessi legali secondo il saggio storicamente vigente sia la rivalutazione monetaria, entrambi a far data dalla stipula del contratto d’appalto tra il Comune e l’illegittima affidataria e fino al 31 dicembre 1999.
Le spese processuali, nell’ammontare di cui al dispositivo, sono a carico del Comune di Barletta.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia - Sede di Bari - Sezione II, accoglie il ricorso n. 3088/00 proposto dal Consorzio Ravennate delle Cooperative di Produzione e Lavoro - Società Cooperativa a responsabilità limitata -, meglio in epigrafe specificato, e, per l’effetto, condanna il Comune di Barletta a risarcire il danno alla ricorrente.
Ai sensi dell’art. 7, della legge n. 205, del 21 luglio 2000 il Comune di Barletta è tenuto a proporre al ricorrente, entro il termine di sessanta giorni decorrenti dalla comunicazione dell’avvenuto deposito della motivazione della sentenza, una proposta vincolante relativamente all’ammontare del risarcimento del danno, sulla base dei criteri indicati nella motivazione della sentenza.
Elasso il prefato termine, e comunque in caso di mancato accordo, il Tribunale Regionale può essere adito per la determinazione della somma di risarcimento con il ricorso in ottemperanza di cui all’art. 27, comma 1, numero 4), del R.D. 26 giugno 1924, n. 1054.
Condanna il Comune di Barletta al pagamento delle spese del presente giudizio in favore del ricorrente che si liquidano in complessivi € 3.000,00 (eurotremila/00)
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità Amministrativa.
Così deciso in Bari nella Camera di Consiglio del 20 giugno 2002, con l’intervento dei Magistrati:
Michele PERRELLI Presidente
Vito MANGIALARDI Componente
Giuseppe ROTONDO Componente, Est.
Depositata in segreteria il 18 luglio 2002.