TAR PUGLIA-BARI, SEZ. II – Sentenza 13 novembre 2002 n. 4950 – Pres. Perrelli, Est. Mangialardi – Opera Pia Maria Santissima di Costantinopoli – I.P.A.B. (Avv.ti A. Sacino e F. Papadia) c. Comune di Bitritto (Avv. F. E. Lorusso) - (accoglie).
1. Edilizia e urbanistica - Denuncia di inizio d’attività (D.I.A.) - Termine per emanazione della diffida motivata di astenersi dall’esecuzione dei lavori denunciati - Ha natura sollecitatoria e non perentoria.
2. Giustizia amministrativa - Ordinanza cautelare - Provvedimento emanato in esecuzione di ordinanza cautelare - Efficacia provvedimentale - Esclusione - Conseguenze - Persistenza dell’interesse all’annullamento dell’originario provvedimento.
3. Giustizia amministrativa - Giurisdizione esclusiva - In materia di edilizia e urbanistica - Cognizione estesa alla fondatezza della pretesa del privato - Sussiste.
4. Edilizia e urbanistica - Denuncia di inizio di attività (D.I.A.) - Per modificazione di destinazione d’uso di singole unità immobiliari - Ammissibilità – Ratio.
5. Edilizia e urbanistica - Manutenzione straordinaria - Risanamento conservativo – Differenze.
1. Nella disciplina della denuncia di inizio di attività edilizia (c.d. d.i.a.), il termine di 20 giorni stabilito dall’art. 4 comma 11 del d.l. 398/1993 e s.m.i. e richiamato dal successivo comma 15, ha natura dilatoria, a parte privatorum, quanto all’inizio dell’esecuzione dei lavori e natura meramente acceleratoria, a parte administrationis, quanto all’adozione dell’ordinanza sindacale (ora dirigenziale) motivata di diffida dall’avvio dei lavori, non potendosi rinvenire, quanto alla seconda fattispecie, alcun elemento testuale o logico-sistematico che consenta di affermarne la perentorietà e la conseguente decadenza dal potere interdittivo riconosciuto all’Amministrazione, con effetti, connessi all’inutile spirare del termine, di rilievo e gravità tali da presupporre una espressa e inequivoca previsione della norma attributiva del potere (1).
2. L’adozione, in esecuzione di una ordinanza giurisdizionale cautelare, di un provvedimento motivato reiterativo di precedente atto a contenuto negativo (nella specie di divieto motivato di dar corso a interventi oggetto di denuncia d’inizio di attività), non determina alcuna carenza sopravvenuta d’interesse a coltivare l’impugnazione dell’originario provvedimento, del quale rende manifesto anzi il vizio di motivazione, dovendosi dubitare che siffatto provvedimento, stimolato dall’esercizio del potere cautelare del giudice amministrativo, abbia natura provvedimentale, anche in contemplazione del divieto di integrazione giudiziale del provvedimento impugnato (2).
3. In materia devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, quale quella afferente alle controversie edilizie, il giudice amministrativo non può attestarsi sulla mera constatazione di un vizio funzionale della motivazione dell’atto impugnato, poiché, in funzione della sua cognizione estesa al rapporto, può, se non deve, senz’altro valutare la fondatezza della pretesa vantata dal privato e quindi accertare se ricorrono i presupposti per l’esercizio dell’attività edilizia oggetto della denuncia di inizio di attività, anche allo scopo di emanare una sentenza che sia satisfattiva dell’interesse sostanziale del privato alla realizzazione dell’intervento edilizio ed eviti, nel contempo, un successivo ulteriore e defatigante spreco di attività processuale in funzione della proposizione di nuova impugnazione nei confronti di nuovo atto con motivazione integrata.
4. La denuncia di inizio di attività può comprendere anche interventi rivolti al mutamento di destinazione d’uso di unità immobiliari quando quelle preesistenti risultino oggettivamente carenti dei requisiti di abitabilità/agibilità in funzione della loro risalenza temporale, della tecnica costruttiva e dell’assenza di imprescindibili requisiti igienico-sanitari ed al contrario le opere edilizie da realizzare consentano di ricondurne la destinazione ad usi compatibili con la disciplina urbanistico-edilizia anche di natura regolamentare (3).
5. Nella graduazione della tipologia degli interventi edilizi ammessi sul patrimonio edilizio esistente, come definiti dall’art. 31 della legge 457/78, la differenza essenziale tra opere di manutenzione straordinaria e opere di risanamento conservativo è nella limitazione soltanto per le prime dell’esigenza della conservazione delle unità immobiliari quali esistenti, anche nella loro destinazione d’uso, mentre per le seconde il suddetto vincolo non sussiste in quanto rivolte a conservare l’organismo edilizio mediante insieme sistematico di opere che possono comprendere, in relazione alla polarizzazione dei caratteri strutturali dell’intervento sul concetto di funzionalità dell’edificio, anche l’accorpamento di unità immobiliari prima distinte o aventi caratteristiche diverse e la modifica della loro destinazione d’uso, purché compatibile coi tipi edilizi di zona.
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(1) Con riferimento alla disciplina generale della denuncia di attività di cui agli artt. 19 e 20 legge 241/90, da ritenere applicabile in rapporto da genus ad species anche alla c.d. d.i.a., e per l’affermazione del principio in quella sedes materiae, cfr. Cons. Stato, Ad. Gen., 6 febbraio 1992, n. 27, parere su schema di regolamento, ove si rileva che:
"Gli artt. 19 e 20 L. 7 agosto 1990 n. 241, che prevedono quali attività private possono essere intraprese dopo la denunzia alla competente P.A. e quali attività possano invece essere svolte solo in seguito alla formazione del silenzio-assenso conseguente all’inerzia dell'Amministrazione per un tempo determinato sulla domanda presentata dall'interessato, non stabiliscono termini decadenziali per l'esercizio dell’attività di controllo e repressiva da parte della P.A."
(2) Vedi, tra le tante, Cons. Stato, Sez. IV, 12 marzo 2001, n. 1936 e 1 settembre 1999, n. 1396; nonché T.A.R. Abruzzo-Pescara, 1 settembre 2000, n. 591.
(3) In materia di denuncia di inizio di attività v. di recente in questa Rivista:
TAR Lombardia-Brescia, 13 aprile 2002 n. 686
TAR Lombardia-Brescia, 1° giugno 2001 n. 397
T.A.R. Campania-Napoli, Sez. I, 6 dicembre 2001, n. 5272
per l'annullamento
dell’ordine n. 1 del 31.12.1998, notificato il 7.1.1999, del Dirigente del Settore Urbanistico del Comune di Bitritto, e di ogni altro atto ad esso connesso, presupposto o consequenziale;
(omissis)
FATTO
In data 14 dic. 1998 l’attuale ricorrente produceva denuncia di inizio attività (d.i.a.) di intervento di manutenzione straordinaria e risanamento conservativo tendente alla salvaguardia della pubblica incolumità ed al recupero funzionale di immobile di sua proprietà sito in Bitritto alla via Fascilla nn. 4 -6- 10- 12 composto da tre piani fuori terra, in catasto partita 955, fg. 11, particella 198, subalterni 2-4-6 di Categoria A/4 e subalterno 5 di Categoria A/5. Detto fabbricato versava in condizioni di degrado a causa di incendio; le opere a farsi consistevano nel consolidamento, ripristino e rinnovo degli elementi costitutivi e strutturali con integrazione dei servizi igienico sanitari e tecnologici.
Il Comune con la nota dirigenziale in epigrafe evidenziata diffidava a dare inizio ai lavori "in quanto l’intervento edilizio non rientra tra quelli previsti ai sensi della legge n. 662 del 23/12/1996, art. 2 comma 60".
Di qui il ricorso notificato il 5.3.99 e depositato il successivo 15 marzo, in cui si deduce:
1) Decadenza dell’Amministrazione Comunale dal potere di emanare l’atto impugnato.
In caso di d.i.a. ed ex art. 4, comma 15, legge 493/93, l’Amministrazione deve notificare all’interessato "l’ordine motivato di non effettuare le previste trasformazioni" entro il termine di venti gg. dalla presentazione della denuncia; nella specie detto termine, di ordine perentorio, è elasso. La decorrenza di detto termine abilita l’interessato a dare inizio ai lavori senza dover attendere alcun previo consenso dalla p.a.
2) Eccesso di potere e/o violazione di legge per difetto di motivazione.
Nell’atto gravato è carente la motivazione. Il dovere di motivazione è previsto dall’art. 4 comma 15 legge 493/93 in caso di diniego di d.i.a., e più in generale dall’art. 3 legge 241/90. L’omissione in cui è incorso il Comune impedisce poi all’interessata Opera Pia di conoscere le analitiche ragioni di diniego agli interventi edilizi, talchè è pure preclusa la facoltà di riproporre la d.i.a. eventualmente completata di dati, elementi e documenti.
Si è costituito in giudizio il Comune opponendosi all’avverso gravame; ha dedotto che l’intervento in questione doveva essere preceduto da concessione edilizia e non già effettuato in virtù della inoltrata d.i.a. siccome esso interevento: a) prevedeva mutamento di destinazione d’uso di alcuni locali, quelli cioè a piano seminterrato destinati ad uso deposito da pregresso uso abitativo; b) determinava fusione tra più unità immobiliari preesistenti con conseguente alterazione di volumi e superfici; c) determinava mutamenti formologici rispetto all’esistente siccome i subalterni 5 e 6 originariamente sviluppatesi in senso verticale –locale al primo piano e locale superiore con differenti altezze- venivano fusi tra di loro ed in senso orizzontale dando luogo a due piani, uniformi quanto all’altezza (mt. 2.85); d) non garantiva il rapporto 1/1 – stabilito dalle NTA all’art. 10- tra altezza dell’edificio e la larghezza della strada prospiciente.
Per suo conto parte ricorrente con memoria del 7.4.99 contro deduceva analiticamente alle avverse considerazioni.
Con ordinanza n. 271 dell’8.4.99 veniva accolta l’istanza cautelare sotto il profilo della carenza di motivazione nell’atto impugnato.
Successivamente con nota n. 3929 del 14.4.99 (depositata agli atti di giudizio dalla difesa del Comune il 13.7.2002) il Dirigente del Settore Urbanistica comunicava al legale rappresentante dell’IPAB ricorrente le ragioni sottese al diniego d.i.a., sostanzialmente ripetitive di quanto già espresso dalla difesa comunale, che per suo conto –in virtù di quanto innanzi- deduceva un ravvisabile sopravvenuto di interesse in capo al ricorrente in riferimento al secondo mezzo di gravame.
Alla pubblica udienza del 19 sett. ’02, sentiti i presenti difensori, la causa è stata introitata per la decisione.
DIRITTO
La questione sottoposta al vaglio del Collegio riguarda la possibilità, contestata dal Comune, di procedere alla realizzazione dell’intervento costruttivo progettato dalla IPAB ora ricorrente mercè denuncia di inizio di attività (d.i.a.) prevista dall’art. 4 d.l. n. 398 del 1993 conv. legge n. 493 del 1993, come sostituito dal comma 60 dell’art. 2 legge n. 662 del 1996. Per inciso rammenta il Collegio che in tema di d.i.a., prevista dalla normativa di cui innanzi per le opere minori (manutenzione straordinaria, restauro e risanamento conservativo di cui alle lettere b) e c) legge n. 457/78), di recente nuova normativa contenuta nel 6^ comma dell’art. unico legge 21 dic. 2001, n. 443 ne ha esteso l’applicazione anche alle ristrutturazioni edilizie, comprensive della demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma (in gergo super d.i.a.).
Passando all’esame dei mezzi di gravame, sul primo osserva il Collegio che, difformemente da quanto dedotto dalla parte, l’adozione di provvedimenti "divietanti" non debba avvenire necessariamente nel termine di 20 gg. Questo termine è previsto dal comma 11 art. 4 d.l. 398/93 e s.m.i. (" …venti giorni prima dell’effettivo inizio dei lavori l’interessato deve presentare la denuncia di inizio dell’attività…") e poi richiamato nel successivo comma 15^ ( "…il sindaco, ove entro il termine indicato al comma 11 sia riscontrata l’assenza di una o più delle condizioni stabilite, notifica agli interessati l’ordine motivato….." di non effettuare il lavori). Dall’esegesi delle disposizioni pare al Collegio che il termine di venti gg. sia indicato dalla norma (11^ comma) quale dies ad quem per il tempo della presentazione della denuncia (20 gg. prima dell’inizio dei lavori, o per meglio dire l’attività costruttiva non può avere inizio se non decorsi 20 gg. dalla presentazione della denuncia) e nel 15^ comma venga richiamato per consentire all’amministrazione una più efficace interdizione preventiva dell’attività del privato. Orbene non risulta nel comma da ultimo citato che il decorso di 20 gg. (interessante cioè il riscontro negativo della p.a., e che nella specie è stato comunicato con ritardo di quattro giorni) comporti la decadenza di essa p.a. dal potere di procedere all’accertamento della esistenza dei presupposti di legge che abilitano alla d.i.a. La decadenza dal potere interdittivo, stante i suoi effetti, doveva essere espressamente prevista dalla norma, il che non è; ne consegue una ravvisabile natura ordinatoria e non già perentoria dei termini per la verifica. (cfr. C.d.S., Adunanza generale, n. 27 del 1992, parere reso in riferimento alla disciplina generale della denuncia di attività di cui agli artt. 19 e 20 legge 241/90, ed applicabile –quanto alla sua analisi ermeneutica- al caso in esame).
Quanto al secondo motivo (carenza di motivazione), la censura venne già apprezzata in sede cautelare concedendosi, con motivazione sul punto, la chiesta sospensiva. E’ poi accaduto che il dirigente comunale, come detto nella parte in fatto, ha esplicitato le ragioni del diniego comunicandole a parte ricorrente. La deduzione di conseguente difetto di interesse al mezzo di gravame, avanzata dalla difensore del Comune, non è accoglibile, stante la natura non provvedimentale della comunicazione dirigenziale che ha integrato la motivazione del provvedimento amministrativo impugnato. E’ noto infatti che i provvedimenti amministrativi debbano essere esaurientemente motivati e che la insufficiente motivazione non può essere sanata mediante argomentazioni svolte nel corso del processo (ex multis CdS Sez. IV, 12 marzo 2001, n. 1396; 1 sett. 1999 n. 1378; TAR Pescara, 1 sett. 2000 n. 591). Dovrebbe quindi derivarne l’accoglimento del ricorso per carenza di motivazione nell’atto impugnato. Detta conclusione non risulterebbe però sattisfattiva dell’interesse sostanziale dell’IPAB, ravvisabile nella realizzazione dell’ intervento costruttivo proposto con la d.i.a.; vi contrasterebbe infatti la possibilità per il Comune, a seguito di una sentenza così assunta, di reiterazione del suo provvedimento negativo, questa volta ben motivato.
Pertanto, e nella considerazioni che le motivazioni rappresentate nella nota dirigenziale del 14.4.99 risultano sostanzialmente ripetitive di quanto espresso nella memoria della difesa comunale del 30.3.99 e che a riguardo ha puntualmente contro dedotto parte ricorrente nella sua memoria del 7 aprile ‘99, ritiene il Collegio di poter esaminare "nel merito" la vicenda sottoposta al suo esame, decidendo cioè se all’intervento costruttivo in questione possa presiedere o meno la procedura della d.i.a.
Va premesso, per la migliore comprensione della fattispecie, che le opere oggetto della contestata procedura seguita dal privato sono rivolte a creare nell’organismo edilizio, di proprietà esclusiva della ricorrente, una unità immobiliare per civile abitazione ed annesse pertinenze. Come risulta dalla documentazione catastale (risalente al 1940) in atti, il fabbricato terra-cielo confinante con via Fascilla, proprietà eredi Loconte, vico Fioni, proprietà Albergo ed eredi Valerio si componeva di 4 unità immobiliari (subalterni 2,4,5 e 6). Le prime due, con piano di calpestio a –cm. 50 rispetto al piano stradale e costituite ciascuna da un vano privo di servizi igienici, erano accatastate rispettivamente quale A4 ed A5 (abitazione popolare ed ultra popolare); le altre due, al piano superiore e di cat. A4, si sviluppavano in senso verticale (vano più soppalco). Allo stato i solai di copertura di 1^ e 2^ piano sono crollati per incendio del 1989; permangono i muri perimetrali a confine con le proprietà private; quelli prospicienti Via Fascilla e Vico Fioni sono in parte crollati.
Le contestazioni comunali in ordine alla possibilità della d.i.a. – e che come rappresentato nella parte in fatto si appuntano su quattro motivi- non paiono fondate. Analiticamente:
a) Il mutamento della destinazione d’uso dei due locali a piano terra da abitativo a deposito, non può ritenersi motivo ostativo alla procedura seguita dal privato. Essi locali, risalenti agli anni quaranta, non potrebbero ora conseguire abitabilità siccome privi dei più elementari servizi igienici e tecnologici; parte ricorrente deduce pure, e sul punto non v’è smentita ex adverso, che detti locali posti a -50cm dal piano stradale erano stati originariamente adibiti al ricovero degli animali ed al deposito di legna e vettovaglie. Esso mutamento comunque risponde all’evolversi sociale dei costumi e si caratterizza proprio nella tendenza di evitare eccedenti carichi urbanistici.
b) Fusione di più unità immobiliari. Va sottolineato che gli interventi di recupero dell’edilizia esistente sono definiti dall’art. 31 legge 457/78 secondo un ordine di progressiva importanza e complessità delle opere, talchè ogni intervento che segue nell’ordine assorbe quello che lo precede. In concreto alla manutenzione ordinaria (lettera a) non soggetta ad alcun controllo preventivo, segue la lettera b <manutenzione straordinaria> e poi ancora la lettera c <intereventi di restauro e risanamento conservativo>. Orbene nel mentre la manutenzione straordinaria comprende riguarda interventi intesi a mantenere in efficienza l’edificio e le singole unità, il risanamento conservativo (accomunato al restauro, che nel significato storico e/o estetico dell’immobile qui non sovviene) riguarda opere di maggiore complessità di quelle rientranti nella tipologia precedente di manutenzione straordinaria, e cioè interventi volti a conservare l’organismo edilizio (se del caso formato da più unità), assicurandone nel tempo la funzionalità mediante un insieme sistematico di opere. In sintesi il rispetto delle singole unità immobiliari è espressione che si rinviene nella lettera b) e non anche nella lettera c). La conclusione è che nella tipologia del risanamento conservativo le opere possono essere intese sia a mutare la destinazione d’uso (vedi quanto si è detto in precedenza) sia ad accorpare i singoli subalterni che concorrono a formare l’organismo edilizio da considerarsi nella sua interezza rispetto all’esistente.
c) Mutamenti formologici siccome i subalterni 5 e 6 sviluppantesi originariamente in senso verticale, vengono accorpati ed in senso orizzontale.
Vale quanto detto nella narrativa che immediatamente precede circa la possibilità nell’ambito del risanamento conservativo, tipologia che consente la d.i.a., di accorpare unità immobiliari formanti l’organismo edilizio.
d) Altezze e volumi.
Il problema sollevato dal Comune non pare in realtà sussistente. Esistono infatti i muri perimetrali a confine con le proprietà contigue e per tutta la loro altezza (vedi relazione tecnica allegata alla d.i.a.); essi costituiscono punto di riferimento, rectius elemento strutturale dell’esistente organismo edilizio e che nelle opere a farsi risulta rispettato e non già obliterato, con l’ulteriore conseguenza che non può parlarsi di abbattimento e ricostruzione.
In particolare quanto al rapporto (1/1) tra altezza dell’edificio e strade prospicienti -art. 10 NTA del PdF- osserva il Collegio che trattasi di edificio preesistente e la stessa norma fa salvi allineamenti prevalenti. Sull’altezza dei solai, andati distrutti per incendio, va premesso che non pare che nella nota dirigenziale si metta in contestazione la complessiva altezza dell’edificio, quanto piuttosto le quote dei solai preesistenti (primo e secondo piano), tra loro ab inizio sfalsati e poi, nel progettato intervento, coincidenti con aumento complessivo di cubatura.
A riguardo, come rappresentato dall’ IPAB, sovviene l’art. 5 del Regolamento Edilizio (esibito agli atti) che prevede al p. 9 che le superfici utili sono rappresentate dalla somma delle superfici edificate chiuse perimetralmente di tutti i piani ivi compresi i soppalchi, ed al p. 13 (volume) che il volume di un edificio è rappresentato dalla somma delle superfici utili moltiplicate per un altezza teorica dei piani che viene fissata in ml. 3,20, parametro che si applica anche in presenza di altezze lorde di piano reali diverse da quella teorica e comunque non superiore a m. 4,50.
Nella specie, come da atti progettuali, le altezze lorde di piano non superano i m. 3,20 di altezza e quindi anche questo motivo ostativo perde di consistenza.
In conclusione le considerazioni comunali di opposizione alla procedura d.i.a per l’intervento de quo non paiono fondate; ne consegue l’accoglimento della pretesa di parte ricorrente, previo annullamento degli atti ostativi.
Quanto alle spese di giudizio, si ravvisano comunque ragioni per disporne la compensazione tra le parti in causa.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia - sede di Bari Sez. II. Accoglie il ricorso ravvisando legittima la proposta d.i.a. per l’intervento di cui si è discusso e per l’effetto annulla l’atto gravato.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dalla Autorità amministrativa.
Così deciso in Bari, nella camera di consiglio del 19 settembre 2002, con l'intervento dei Magistrati
Dott. Michele Perrelli - Presidente
Dott. Vito Mangialardi - Componente Est.
Dott. Maria Abbruzzese - Componente
Depositata in segreteria il
13 novembre 2002.