TAR PUGLIA-LECCE, SEZ. I – Sentenza 18 aprile 2002 n. 1569 – Pres. Ravalli, Est. Severini – Dimitri (Avv. Adamo) c. Sovrintendenza Archeologica per la Puglia ed altro (Avv.ra Stato) - (accoglie e condanna al risarcimento dei danni).
1. Giustizia amministrativa - Risarcimento del danno - Per lesione di interessi legittimi - Danno da ritardo - Per l'illegittimo protrarsi dell’efficacia di provvedimenti di sospensione dei lavori adottati da una Soprintendenza archeologica - Va riconosciuto.
2. Giustizia amministrativa - Risarcimento del danno - Per lesione di interessi legittimi - Danno da ritardo - Per l'illegittimo protrarsi dell’efficacia di provvedimenti di sospensione dei lavori adottati da una Soprintendenza archeologica - Natura del danno e della posizione giuridica azionata - Individuazione - Distinzione tra danno "da ritardo" e danno "da disturbo" delle facoltà del titolare di un diritto soggettivo - Conseguenze.
3. Giustizia amministrativa - Risarcimento del danno - Per lesione di interessi legittimi - Di tipo oppositivo - Mancato o ritardato conseguimento del bene di vita - E’ in re ipsa.
4. Giustizia amministrativa - Risarcimento del danno - Per lesione di interessi legittimi - Danno da ritardo - Per l’illegittimo protrarsi dell’efficacia di provvedimenti di sospensione dei lavori - Nel caso in cui la P.A. non abbia risposto alle diffide e non abbia effettuato in tempi ragionevoli gli accertamenti conseguenti all’emissione dell’ordine di sospensione - Va riconosciuto.
5. Giustizia amministrativa - Risarcimento del danno - Per lesione di interessi legittimi - Danno da ritardo - Per l’illegittimo protrarsi dell’efficacia di provvedimenti di sospensione dei lavori - Indisponibilità delle somme necessarie per effettuare gli accertamenti necessari - Non esclude la colpa della P.A.
6. Giustizia amministrativa - Risarcimento del danno - Per lesione di interessi legittimi - Danno da ritardo - Criteri per la sua quantificazione - Individuazione - Interessi legali - Vanno riconosciuti - Rivalutazione monetaria - Spetta solo nel caso in cui sia stata fornita idonea prova.
1. Va accolta la richiesta di risarcimento dei danni cagionati ad un privato, titolare di una concessione edilizia, da una Soprintendenza archeologica per l’illegittimo protrarsi dell’efficacia di provvedimenti con i quali quest’ultima aveva disposto la sospensione dei lavori in attesa di accertamenti.
2. Nel caso di illegittimo protrarsi dell’efficacia di un provvedimento di sospensione dei lavori, non si versa in una ipotesi di danno c.d. "da ritardo", al quale è correlato la lesione di un interesse legittimo di tipo pretensivo, ma in una situazione – rientrante, per ciò che concerne la natura della situazione giuridica tutelata, nell’ambito degli interessi legittimi di tipo oppositivo – consistente nella pretesa del privato di non essere "disturbato" nel libero esercizio delle facoltà, inerenti al suo diritto di proprietà, da attività provvedimentali della P.A. che – sia pur legittime, al momento della loro emanazione – si siano successivamente trasformate in illegittime, poiché i loro effetti si sono protratti (a causa dell’inerzia della stessa P.A., che ha omesso di porre in essere gli ulteriori atti della serie procedimentale, entro un termine congruo), oltre il limite temporale normalmente necessario e ragionevolmente tollerabile dal privato (1).
3. Nel caso di procedure amministrative coinvolgenti interessi di tipo oppositivo, la lesione dell’interesse legittimo implica, ex se, la lesione del bene della vita, che preesisteva al provvedimento, affetto da vizi d’illegittimità (o dal ritardo, con cui la P.A. ha posto in essere gli ulteriori passaggi dell’iter procedimentale); sicché l’accertamento della circostanza che la P.A. ha agito non iure di per sè stesso implica la consolidazione di un danno ingiusto nella sfera del privato.
4. E’ da ritenere colposo il ritardo nel concludere il procedimento di verifica che va intrapreso a seguito di un provvedimento di sospensione dei lavori adottato da parte di una Soprintendenza Archeologica, allorché la Soprintendenza stessa non abbia - senza giustificato motivo - risposto alle numerose diffide inoltrate dal privato interessato e, soprattutto, non abbia eseguito i lavori di scavo archeologico tendenti a verificare la presenza di reperti in termini ragionevoli e legittimamente tollerabili da parte del privato.
5. L’indisponibilità di somme nel bilancio dell'Amministrazione non può essere considerata di per sè stessa causa di forza maggiore e, pertanto, tale vincolo non esclude la colpa, insita invece nel ritardo con cui la P.A. ha esercitato la propria attività doverosa, atteso che la P.A. ha comunque l’obbligo di terminare nel modo più rapido ed efficace il procedimento in itinere, predisponendo all’uopo tutti gli adempimenti necessari, ivi compreso l’inserimento nel bilancio delle somme necessarie a tale scopo.
6. L’ammontare del risarcimento del danno cagionato al privato titolare di una concessione edilizia dall’illegittimo ed ingiustificato protrarsi del procedimento di verifica susseguente all’adozione di provvedimenti di sospensione di lavori, va commisurato tenendo conto: 1) del danno dovuto alla lievitazione dei prezzi di manodopera e dei materiali necessari per ultimare i lavori; 2) dei danni dovuti al degrado per abbandono del cantiere, a seguito dell'ordine di sospensione; 3) dei danni per mancato uso dell’immobile; 4) dei danni dovuti al pagamento di canoni di locazione corrisposti dal privato per l’uso di altro appartamento necessario per soddisfare le sue esigenze abitative; 5) dei danni conseguenti al rinnovo della concessione edilizia. Le somme risultanti dovranno tenere conto degli interessi legali, mentre non può essere accolta la domanda di rivalutazione monetaria nel caso in cui i ricorrenti non abbiano provato la circostanza che, se avessero disposto della somma di danaro dovuta a titolo di risarcimento, sin dal momento della maturazione del credito, l’avrebbero investita in maniera più proficua, traendone il relativo maggiore guadagno.
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(1) Sul c.d. "danno da ritardo" e sui presupposti per il suo riconoscimento v. da ult. la sentenza dello stesso T.A.R. Puglia-Lecce, Sez. I, 19 aprile 2002 n. 1572, in questa Rivista Internet, pag. http://www.giustamm.it/private/tar/tarpugliale1_2002-04-19.htm.
Per ulteriori pronunce in materia di risarcibilità degli interessi legittimi v. in questa rivista, l’apposita pagina di approfondimento.
Per l’accertamento
- dell’illegittimità del comportamento tenuto dalla Soprintendenza Archeologica per la Puglia-Taranto – in occasione dell’interveto, nell’immobile di proprietà dei ricorrenti:
nonché per la condanna
della Soprintendenza Archeologica per la Puglia-Taranto – e del Ministero per i Beni e le Attività Culturali al risarcimento dei danni, provocati ai ricorrenti dal comportamento illegittimo tenuto, dalla prima in occasione dell’intervento nell’immobile di proprietà dei ricorrenti;
(omissis)
FATTO
Con l’atto indicato in epigrafe, i ricorrenti rappresentavano quanto segue:
- essi erano comproprietari d’un immobile sito in Manduria, tra le Vie De Ferrarsi, Gatti e Duca Castromediano, per il quale, in data 29.09.97, il Comune di Mandria rilasciava concessione edilizia n. 283, per lo svolgimento di lavori di ristrutturazione e di risanamento, a condizione che vi fosse la supervisione della Soprintendenza di Taranto, attesa la sua rilevanza storico-artistica;
- che durante i lavori di risanamento, venivano alla luce ritrovamenti di materiale archeologico, sicchè con provvedimento n. 8951 del 6.05.99 la Soprintendenza ordinava loro di sospendere i lavori in corso, in attesa degli accertamenti tecnici di sua competenza;
- che, quindi, perveniva loro la nota, prot. n. 1244 del 22.06.99, a firma del Sovrintendente dr. Andreassi, con la quale si precisava che, visti i ritrovamenti effettuati, si rendeva necessario l’intervento della Soprintendenza, per mezzo di manodopera specializzata; detto intervento, peraltro, si sarebbe potuto attuare, solo in presenza dì adeguata disponibilità economica sul capitolo di bilancio relativo; con lo stesso atto si consentiva loro, quindi, di riprendere tutti i lavori che non interferivano con l’area d’interesse, mentre era inibita l’impossibilità di proseguire i lavori nei locali interessati dai ritrovamenti;
- che, tuttavia, era risultato tecnicamente impossibile continuare le opere previste nei vani, non interessati dai ritrovamenti, poiché i locali inutilizzabili si erano rivelati funzionali alla distribuzione dei percorsi degli impianti elettrico, idrico, etc., sicchè essi avevano dovuto bloccare, del tutto, i lavori;
- che trascorso più di un anno dalla nota suddetta, Dimitri Grazio Salvatore, rilevato che la Soprintendenza non aveva ancora realizzato alcun tipo d’intervento, inviava una raccomandata a.r., in data 17/07/2000, con cui chiedeva l’emissione d’un provvedimento, che stabilisse con certezza le date d’inizio e fine dei lavori; detta raccomandata rimaneva peraltro priva di riscontro, come prive di riscontro restavano, del resto, altre due diffide, del 28/09/2000 e del 18/01/2001;
- il Sig. Dimitri, inviava quindi, alla Soprintendenza altro atto di diffida, in data 16.03.2001, con cui la invitava ad emanare, nel termine di gg. trenta, un provvedimento d’inizio e fine lavori; stavolta, quasi allo scadere dei trenta giorni assegnati, la Soprintendenza notificava un atto, recante n. di prot. 7430 dell’11/04/2001, con cui tentava di giustificare il proprio contegno omissivo, sostenendo d’avere, comunque, autorizzato i ricorrenti a continuare i lavori nei locali non interessati dai ritrovamenti; poi affermava che, con nota del 22.06.99, aveva già comunicato la mancanza di disponibilità economica sul capitolo di bilancio 7753, per l’anno in corso, e che tale disponibilità sembrava conciliarsi con l’assenza di particolari motivi d’urgenza; e comunicava la volontà di riprendere, finalmente, i lavori di scavo nell’immobile in questione, in data 7 maggio 2001, e di volersi concludere non oltre la prima decade del mese di giugno 2001;
- con nota prot. n. 14562 del 12.07.2001, la Soprintendenza comunicava al Sig. Dimitri la conclusione dei lavori di scavo, ed accordava la possibilità di riprendere i lavori in tutto l’immobile, tale possibilità, in particolare, era concessa, poiché "le presenze antiche, riscontrate a livello del banco tufaceo nell’area occupata dall’immobile, non hanno una valenza tale, da dover essere preservate".
I ricorrenti rilevavano che da tale comunicazione s’evinceva che la loro attesa era stata non solo lunga, ma anche inutile; ed articolavano avverso i comportamento tenuto dalla P.A. nella vicenda, i seguenti motivi di ricorso:
1) Eccesso di potere per violazione dei principi di buona amministrazione, di correttezza e di ragionevolezza; carenza di motivazione: il principio di buona amministrazione imponeva alla P.A. di agire in modo più efficace, al fine di conseguire obiettivi d’efficienza, speditezza ed economicità, con il minore sacrificio possibile degli interessi dei privati,; a tali canoni la P.A. doveva uniformarsi, per non incorrere in responsabilità, laddove nella specie la Soprintendenza era intervenuta a distanza di due anni dall’ordinanza di sospensione dei lavori, e solo per effetto di pressanti solleciti da parte dei ricorrenti, per poi comunicare che le presenze antiche. Già riscontrate, non avevano particolare rilievo.
In particolare s’osservava che per il raggiungimento d’un obiettivo di pubblico interesse (che poi tale non s’era rilevato) s’erano sacrificate, nella specie, in maniera eccessiva ed ingiustificata le facoltà, connesse al diritto di proprietà del privato, con ciò integrando l’elemento della colpa, richiesto per il sorgere della responsabilità ex art. 2043 cod. civ.
Altro principio violato dalla P.A. era quello di ragionevolezza, che imponeva all’Amministrazione di uniformarsi a criteri di logica, proporzionalità ed adeguatezza, in modo da evitare decisioni arbitrarie, illogiche, certamente assai più ragionevole sarebbe stato, nella specie, compiere degli accertamenti immediati ed esaustivi, su l’effettivo valore delle presenze antiche riscontrate, prima d’ordinare la sospensione dei lavori, o al massimo eseguirli, altrettanto rapidamente e scrupolosamente, nel periodo immediatamente successivo all’emissione di detta ordinanza, si da incidere al minimo sugli interessi dei ricorrenti;
2) Violazione artt. 7 e ss. legge 241/90; carenza di motivazione: nel periodo intercorso tra l’ordinanza di sospensione dei lavori e la nota dell’11.04.2001, l’Amministrazione non s’era preoccupata di dare alcun riscontro ai numerosi solleciti del Sig. Dimitri: con ciò impedendo al privato di partecipare al relativo procedimento; inoltre l’unica giustificazione, offerta dalla Soprintendenza per giustificare il comportamento, complessivamente inerte, tenuto nella vicenda, era consistita nell’assenza di disponibilità economica, con il che non si poteva certamente ritenere assolto l’obbligo motivazionale imposto dalla legge.
3) Violazione art. 2 legge 241/90: secondo tale norma la P.A. aveva il dovere di terminare in maniera esplicita il procedimento, in attuazione del dovere di trasparenza, ma ciò doveva avvenire, secondo i ricorrenti, entro un termine congruo.
Una volta stabilito, pertanto, che a causa della condotta, prolungatamente inerte, della P.A., i ricorrenti avevano subito un ingente danno (certamente risarcibile, secondo i principi sanciti dalla S.C., nella nota sentenza n. 500/99), riguardo alla quantificazione del medesimo i ricorrenti – richiamando una consulenza di parte del loro tecnico di fiducia – affermavano che tali danni erano consistiti: 1) nei danni dovuti alla lievitazione dei prezzi di manodopera e dei materiali, per lire 51.498.944; 2) nei danni dovuti al degrado e all’abbandono del cantiere, per lire 20.000.000; 3) nei danni per il mancato uso dell’immobile, per lire 28.500.000; 4) nei danni dovuti al rinnovo della concessione edilizia, per lire 8.000.000, cui andavano aggiunti: 5) canoni di locazione di un altro appartamento, pagati nel periodo di apertura del cantiere, per lire 14.300.000; 6) compensi pagati a due operai specializzati, che avevano svolto i lavori di scavo, in occasione dei primi ritrovamenti, per lire 34.000.000 (complessivamente i danni ammontavano pertanto a lire 166.298.944, oltre interessi e rivalutazione monetaria sino al soddisfo).
In data 15.01.02 si costituivano il Ministero per i Beni e le Attività Culturali e la Soprintendenza Archeologica per la Puglia, con il patrocinio dell’Avvocatura Erariale, che in data 3.04.02 depositava relazione dell’Amministrazione, con allegati documenti.
In tale relazione, a firma del Soprintendenza Archeologico della Puglia-Taranto dr. Andreassi, s’evidenziava che nella prima fase dei lavori (e dei ritrovamenti) il Sig. Dimitri aveva fornito la sua collaborazione, allo scopo di accelerare i lavori, per mezzo di un operaio munito d’attestato di frequenza ad un corso d’operatore di scavo archeologico, che raccoglieva i frammenti ceramici sparsi nel terreno e li consegnava al personale della Soprintendenza: tale collaborazione – fornita in maniera spontanea ed in un ristretto arco temporale, inferiore alle 158 giornate lavorative indicate nel ricorso – non prevedeva, sin dall’inizio, alcuna retribuzione da parte della Soprintendenza; che quanto, tuttavia, erano emerse delle stratigrafie archeologiche (crollo di tegole nel vano A) era stata emessa l’ordinanza di sospensione dei lavori, per la necessità di poter contare su operai specializzati che garantissero un intervento metodologicamente corretto.
Affermava il Soprintendente che la nota 12449/99 "forniva al proprietario Dimitri tutti gli elementi utili a comprendere … la necessità di un diverso atteggiamento della Soprintendenza nei confronti della pratica; …veniva al contempo fatto presente … che in quel momento (giugno 1999) la Soprintendenza non poteva affrontare impegni di spesa. Tuttavia, con l’intento id non penalizzare più del dovuto il proprietario … si autorizzava la ripresa di "tutte le altre opere che on interferiscono con il suolo archeologico" e si revocava l’ordinanza di sospensione dei lavori prima della scadenza dei termini".
Sosteneva poi il Soprintendente che, soltanto un anno dopo l’emissione di detta nota, il Dimitri sollecitava l’intervento di scavo, facendo presente l’urgenza di portare a termine i lavori di ristrutturazione dell’immobile, ma che l’intervento della Soprintendenza era reso sempre impossibile dall’"indisponibilità finanziaria"; la mancata risposta alle altre diffide del ricorrente, poi, era dovuta al fatto che la P.A. non era in grado di fornire un’indicazione precisa sui termini d’avvio ed ultimazione dello scavo (poi fornita con la nota dell’11.04.2001).
Il Soprintendente confutava poi la pretesa dei ricorrenti, di essere risarciti perché gli scavi non avevano consentito di rintracciare resti significativi, dal punto i vista archeologico, precisando che lo scavo, per sua natura, non consente di conoscere a priori, quel che sarà ritrovato, e che il giudizio espresso nella nota del 12.07301, di "non valenza" delle presenze antiche riscontrate, riguardava quel che era rimasto in sito al termine degli scavi, e non implicava una valutazione di merito sullo spessore scientifico dell’intervento, che aveva viceversa consentito di acquisire importanti reperti ceramici.
Nella pubblica udienza del 4 aprile 2002, sulle conclusioni rassegnate dalle parti, il ricorso è stato introitato per la decisione.
DIRITTO
Ritiene il Tribunale che il ricorso è fondato.
Esso ha per oggetto una domanda di risarcimento del danno, ex art. 2043 cod. civ., reclamato dai ricorrenti sui presupposti: a) dell’illegittimità della condotta omissiva, tenuta dalla Soprintendenza Archeologica della Puglia, nella vicenda come sopra delineata; b) della sua qualificazione in termini colposi; c) dell’emersione di un concreto pregiudizio a carico dei ricorrenti, pregiudizio articolato nelle varie voci, sopra specificate.
In particolare, nella specie i ricorrenti intendono far valere, contro la P.A., un danno c.d. da ritardo, derivato dal non avere, la Soprintendenza Archeologica per la Puglia, effettuato tempestivamente gli scavi, necessari per rimuovere l’ostacolo, alla prosecuzione dei lavori di ristrutturazione dell’immobile di loro proprietà, rappresentato dall’ordine di sospensione, emesso nel giugno 1999 dalla stessa Soprintendenza.
Detto immobile, infatti, era situato in una zona sottoposta a vincolo archeologico, e l’ordine di sospensione in oggetto s’era reso necessario, a causa del ritrovamento, durante tali lavori, di reperti antichi.
E’ noto come, rispetto alla specifico tema, dal danno da violazione della c.d. tempistica procedimentale, la prevalente dottrina e giurisprudenza, nell’affrontare la questione del coordinamento tra l’art. 17 lett. f) della legge 59/97 (che impegna il Governo a prevedere, per i casi di mancato rispetto del termine del procedimento, di mancata o ritardata adozione del provvedimento, di ritardato o incompleto assolvimento degli obblighi e delle prestazioni da parte della pubblica amministrazione, forme d’indennizzo automatico e forfetario a favore dei soggetti richiedenti il provvedimento) e la sentenza n. 500/99 delle SS.UU. della Corte di Cassazione, ritiene che la prima norma garantisca un minimum di ristoro patrimoniale in via forfetaria, salva la prova, da parte del privato, del danno ulteriore, causato dall’illegittimo ritardo con cui la P.A. ha esercitato la propria attività provvedimentale.
Stabilito, dunque, che legittimamente i ricorrenti hanno azionato la pretesa risarcitoria de qua, il Collegio ritiene opportuno precisare tuttavia, preliminarmente, che nella specie il danno da ritardo, che i ricorrenti intendono far valere, si connota di caratteristiche nettamente diverse da quelle tipiche del danno da ritardo, solitamente oggetto di considerazione da parte di dottrina e giurisprudenza: mentre, infatti, il danno in questione viene normalmente, individuato nella lesione di un interesse legittimo pretensivo, cagionata dal ritardo con cui la P.A. ha emesso il provvedimento finale, ampliativi della sfera giuridica del privato, nella specie i ricorrenti agiscono, invece, per ottenere il ristoro del pregiudizio, subito per l’illegittima compressione delle facoltà, connesse al loro diritto di proprietà sull’immobile in oggetto.
Detto pregiudizio sarebbe derivato, in particolare, dal decorso di ben due anni, tra la data in cui è stato emesso l’ordine di sospensione dei lavori (sul presupposto del pregio archeologico delle zone, interessate dai lavori di risanamento del fabbricato, e della conseguente necessità di far eseguire i relativi scavi da parte di personale specializzato), e la data d’esecuzione, da parte della Soprintendenza Archeologica per la Puglia, di detti scavi, indispensabili per accertare il reale valore archeologico della zona in oggetto.
All’esecuzione di detti scavi è finalmente seguita la revoca, in toto, dell’ordine di sospensione dei lavori, atteso che "le presenze antiche riscontrate a livello del bando tufaceo" non sono risultate di una valenza tale, da dover essere preservate.
I ricorrenti, in sostanza, non agiscono per ottenere il ristoro del ritardo illegittimo, con cui la P.A. avrebbe, in ipotesi, emanato un provvedimento ampliativi, della loro sfera giuridica; piuttosto, essi muovono un’iniziale posizione qualificata di tutela (rappresentata dal loro diritto a svolgere – sul presupposto del rilascio, in loro favore, di regolare concessione edilizia da parte del Comune di Mandria – lavori di risanamento dell’immobile di proprietà) e fanno valere la pretesa d’essere risarciti dal danno, derivante dall’illegittimo ritardo con cui la P.A. ha svolto gli accertamenti tecnici, indispensabili per rimuovere il limite all’esercizio di tale diritto, rappresentato dall’ordine di sospensione dei lavori (inizialmente necessario per verificare l’effettivo valore, sotto il profilo archeologico, dei reperti affiorati nell’area di cantiere).
Trattasi, com’è evidente, di una situazione diversa, da quella solitamente posta a fondamento del postulato diritto al risarcimento del danno cd. da ritardo, e caratterizzata da una più marcata lesione di un interesse del privato – assimilabile a quelli di tipo cd. oppositivo – consistente nella pretesa di non essere "disturbato" nel libero esercizio delle facoltà, inerenti al suo diritto di proprietà, da attività provvedimentali della P.A. che – sia pur legittime, al momento della loro emanazione – si siano successivamente trasformate in illegittime, poiché i loro effetti si sono protratti (a causa dell’inerzia della stessa P.A., che ha omesso di porre in essere gli ulteriori atti della serie procediemtnale, entro un termine congruo), oltre che il limite temporale normalmente necessario e ragionevolmente tollerabile dal privato.
A tal proposito, si rileva che nel caso di procedure amministrative coinvolgenti interessi, come quello fatto valere nel presente ricorso, di tipo sostanziale oppositivo (giusta quanto s’è rilevato in precedenza), secondo l’insegnamento della nota sentenza n. 500/99 delle S.U. della Corte di Cassazione, la lesione dell’interesse legittimo implica, ex se, la lesione del bene della vita, che preesisteva al provvedimento, affetto da vizi d’illegittimità (con la precisazione che nella specie detto interesse non è inciso dal provvedimento in sé, ma dal ritardo, con cui la P.A. ha posto in essere gli ulteriori passaggi dell’iter procedimentale); sicché l’accertamento della circostanza che la P.A. ha agito non iure già implica la consolidazione di un danno ingiusto nella sfera del privato.
Stante, insomma, la particolare consistenza della situazione soggettiva, preesistente l’attività della Soprintendenza Archeologica della Puglia, quel che occorre accertare, al fine di decidere se spetti il risarcimento del danno richiesto dai ricorrente, è pertanto: 1) se la P.A. abbia agito, nella vicenda in esame, in violazione di norme e principi dall’ordinamento; 2) se la sua condotta sia qualificabile come colposa, nonché sia stata posta in essere in presenza di cause di forza maggiore; 3) se, infine, sussista l’ulteriore elemento costitutivo della responsabilità c.d. aquiliana, rappresentato dal nesso di causalità tra la condotta e il danno.
Quanto al primo degli evidenziati profili, si rileva che la condanna omissiva, tenuta dalla Soprintendenza Archeologica della Puglia nella specifica situazione, si connota senz’altro in termini d’illegittimità.
Valgano, in proposito le seguenti considerazioni in data 6.05.99, era emesso, dalla Soprintendenza, ordine di sospensione dei lavori di ristrutturazione dell’edificio di proprietà dei ricorrenti (lavori iniziati l’1.12.97), "in attesa degli accertamenti tecnici di competenza" della stessa Soprintendenza; il 22.06.99 era emesso altro provvedimento, a firma del Soprintendente, in cui si avvertiva il Sig. Dimitri della necessità di "rimuovere, tramite scavo archeologico, i lembi di terreno ancora in sito, e ripulire adeguatamente il banco roccioso sulla cui superficie si conservano tracce di frequentazione umana riferibili, per quanto apparto, ad età messapica"; e nel chiedere la sua disponibilità all’esecuzione degli accertamenti tecnici in questione, in alcuni locali dell’immobile, lo si avvisava che gli stessi si sarebbero, tuttavia, svolti "solo in presenza di adeguata disponibilità economica sul capitolo di bilancio relativo, cosa al momento non verificabile".
La nota del 22.06.99 si concludeva con l’invito, rivolto al Dimitri, "a non proseguire i lavori nei locali indicati", mentre potevano essere riprese "tutte le altre opere che non interferiscono con il suolo archeologico".
A tale nota seguiva, in effetti, un periodo di silenzio, da parte del Sig. Dimitri, interrotto peraltro con la trasmissione alla Soprintendenza di una raccomandata, a sua firma, del 17.07.2000 (ricevuta con prot. 15885 del 1/08/2000), con la quale il ricorrente: a) evidenziava che ad oltre un anno dalla notifica del provvedimento del 22.06.99, non vi era stato alcun intervento nel suo immobile, da parte della Soprintendenza; b) comunicava che – malgrado l’ordine di sospensione dei lavori fosse limitato solo ai locali dell’edificio, interessati dalle presenze archeologiche – dal 22.06.2000 i lavori di risanamento dell’immobile erano, di fatto, fermi, data l’impossibilità tecnica di realizzare gli impianti idrico, elettrico e termico, escludendo i tronchi di tali impianti che passavano nei quattro vani, in cui vigeva il divieto di prosecuzione delle opere; c) chiedeva la fissazione "di un preciso termine entro il quale si intende dare inizio ai lavori di cui si versi, e di un termine entro il quale i suddetti lavori dovranno ritenersi conclusi"; d) avvertiva la Soprintendenza che tale situazione gli stava cagionando ingenti danni, che specificava in dettaglio, riservandosi di agire nelle sedi competenti per la tutela dei suoi diritti.
A tale diffida ne seguivano altre due, la prima in data 28.09.00 (ricevuta con prot. 19388 del 4.10.00) e la seconda in data 16.11.2000 (ricevuta con prot. 22641 del 22.11.00); nella prima, di contenuto analogo alla precedente del 17.0.2000, il ricorrente dava inoltre atto della circostanza che, alla notifica della prima diffida, era seguita unicamente la trasmissione, da parte della Soprintendenza, di una nota, con cui gli si comunicava il nome del responsabile del procedimento, nella seconda, invece, entrambi i ricorrenti chiedevano alla Soprintendenza "un resoconto sulla natura degli scavi archeologici effettuati presso la loro abitazione, da marzo 1998 a fine maggio 1999" (quindi nel periodo, precedente l’ordine di sospensione dei lavori, ed in cui , pure, le opere di ristrutturazione s’erano svolte sotto la supervisione della Soprintendenza), nonché una serie di indicazioni tecniche, tra cui "il numero complessivo delle giornate lavorative impiegate per tali scavi da operai (in numero di due) retribuiti dai sottoscritti proprietari dell’immobile", specificando che risultavano loro 158 giornate lavorative, per una somma totale, pagata dai ricorrenti, di oltre 34.000.000 di lire.
La missiva si chiudeva con la preghiera di "confermare la presenza dei seguenti Vostri funzionati alternatisi per tutto il periodo suddetto nel cantiere di lavoro" (seguiva l’elenco di tali funzionari).
Non risulta, dagli atti prodotti in giudizio, che a tali missive sia stata data alcuna risposta da parte della P.A.
Seguiva pertanto la trasmissione, da parte del Sig. Dimitri, di due ulteriori diffide, in data 18.01.2001 (ricevuta con prot. 1302 del 22.01.2001) e in data 16.03.2001 (ricevuta con prot. 5861 del 22.03.2001); il ricorrente, premessa una nuova ricapitolazione degli eventi, alla prima diffida allegava una consulenza di parte, contenente la quantificazione dei danni subiti, ed in entrambe chiedeva, per l’ennesima volta, la fissazione del termine iniziale e finale degli scavi, riservandosi di agire in separata sede per il risarcimento del danno.
Mentre nessuna risposta risulta essere stata fornita, dalla P.A., alla prima di dette ulteriori diffide, finalmente, in data 11.04.01 (quasi allo scadere del termine ultimativo di giorni trenta, assegnato dal Sig. Dimitri con l’ultima di tali missive) la Soprintendenza inviava al ricorrente una nota, prot. n. 7430, nella quale si precisava, anzitutto, che l’ordine di sospensione era stato soltanto parziale, quindi che la mancanza di disponibilità economica per l’anno in corso (1999; nde), comunicata con la nota del 22.06.99, sembrava conciliarsi "con l’assenza di particolari motivi di urgenza a terminare i lavori di ristrutturazione, manifestata dal proprietario", e che, allorquando il ricorrente, con missiva del 17.07.2000 , aveva chiesto, per la prima volta, l’"accelerazione delle procedure di indagine", la Soprintendenza s’era trovata "ancora una volta con le disponibilità economiche già impegnate", la lettera si concludeva con l’avviso che, "potendo contare sull’attuale disponibilità dell’apposito capitolo di spesa", i lavori di scavo sarebbero "ripresi" il 7.05.2001, e conclusi non oltre la prima decade del mese di giugno 2001, e che alla conclusione dei medesimi, sarebbe stata "rilasciata alla proprietà una relazione illustrativa del contesto archeologico indagato, e un elenco sommario del materiale archeologico rinvenuto".
Con nota prot. 14562 del 12.07.2001, infine il Soprintendente Archeologico per la Puglia comunicava al Sig. Dimitri "la conclusione dell’intervento di scavo previsto nell’immobile in argomento, entro i termini prefissati nella nota prot. n. 7430 dell’11.04.2001"; e revocava pertanto l’ordine di sospensione dei lavori, giusta la motivazione che, come già detto, le presenze antiche riscontrate non avevano una valenza tale, da dover essere preservate.
Alla nota erano, effettivamente, allegate una "sintesi dell’indagine di scavo archeologico condotta nell’immobile di proprietà Dimitri", e un "elenco immissioni materiale archeologico Via De Ferrarsi – proprietà Dimitri", su carta intestata della Soprintendenza Archeologica della Puglia – Taranto, entrambe senza data e firma.
Tale essendo la ricostruzione della vicenda in esame, quale risulta dalla documentazione versata in atti, ritiene il Collegio che il ritardo, da parte della Soprintendenza Archeologica per la Puglia, a rispondere alle numerose diffide inoltrate dal Sig. Dimitri, e soprattutto ad eseguire i lavori di scavo archeologico nell’immobile di proprietà Dimitri – Campobasso, onde consentire a questi ultimi, a loro volta, di riprendere i lavori di ristrutturazione del medesimo, sia senz’altro illegittimo, venendo in rilievo, anzitutto, la violazione dell’obbligo di terminare il procedimento in modo espresso, sancito dall’art. 2 della legge 241/90.
Detta disposizione di legge prevede, infatti, che le P.A. determinano, per ciascun tipo di procedimento, il termine entro cui esso deve concludersi, che decorre dall’inizio d’ufficio del procedimento o dal ricevimento della domanda del privato; e qualora le P.A. non provvedano in tal senso, il termine è di trenta giorni.
Nella specie, è evidente che la P.A. ha manifestamente violato tale precetto di legge, non fornendo alcun riscontro alle numerose diffide del Sig. Dimitri (tranne che all’ultima), e non concludendo il procedimento, volto all’accertamento del valore archeologico delle presenze antiche, emerse nell’immobile di proprietà del ricorrente in termini ragionevoli, nonché legittimamente tollerabili da parte del privato.
Ma la condotta, troppo a lungo omissiva, della Soprintendenza si è posta, altresì, in contrasto con alcuni principi generali, stabiliti dalla stessa legge generale sul procedimento amministrativo, principi da ritenersi immediatamente precettivi, poiché prescriventi precise regole di comportamento, cui la P.A. deve sempre attenersi nell’esplicazione dei suoi compiti: in particolare, essa ha violato i principi di trasparenza dell’azione amministrativa, nonché di leale collaborazione tra P.A. e cittadino (che, del primo principio, rappresenta un ineliminabile corollario), non fornendo alcuna risposta a ben quattro, tra richieste e diffide, del Sig. Dimitri; e, inoltre, ha violato il principio di ragionevolezza dell’agire amministrativo, che impone di ricercare, tra più soluzioni, quella più rispondente a canoni di logica e di razionalità, nonché incidente il meno possibile, sacrificandoli, sugli interessi dei privati.
Infine, l’attività della P.A. si è posta in contrasto, nella specie, con il principio di buona amministrazione, che si esprime tra l’altro, secondo il fondamentale dettato dell’art. 1 della legge 241/90, nel criterio dell’efficacia: detto criterio postula, a sua volta, l’uguaglianza tra obiettivi prefissati e risultati raggiunti dalla P.A., e ad esso s’accompagna, naturalmente, la necessità che detti risultati siano raggiunti in un termine congruo, evitando omissioni, ritardi ed incertezze.
Stabilito, pertanto, che nella specie il ritardo con cui la P.A. ha agito è senza dubbio illegittimo e quindi (potenzialmente) fonte di responsabilità aquiliana, e trascorrendo all’altro profilo dell’accertamento dell’elemento soggettivo, che del pari deve sorreggere l’accertamento, da parte del Giudice, di detta responsabilità, s’osserva anzitutto che per la Cassazione la colpa va riferita all’Amministrazione, intesa come apparato (piuttosto che al singolo funzionario agente), ed è presente quando "l’adozione e l’esecuzione dell’atto illegittimo (lesivo dell’interesse del danneggiato) sia avvenuta in violazione delle regole di imparzialità, di correttezza e di buona amministrazione alle quali l’esercizio delle funzione amministrativa deve ispirarsi … in quanto si pongono come limiti esterni alla discrezionalità".
Orbene, da quanto sopra rilevato ritiene il Tribunale che emerge in maniera palese la colpa della Pubblica Amministrazione, la quale è rimasta per troppo tempo inerte e non ha sostanzialmente fornito – quando, finalmente, ha riscontrato la varie diffide del Sig. Dimitri – alcun elemento, in grado di giustificare la sua condotta omissiva, limitandosi ad affermare che l’ordine di sospensione dei lavori, del 22.06.99, era solo parziale, nonché trincerandosi dietro l’argomento del vincolo d’indisponibilità derivante dalla destinazione impressa dal bilancio alle somme di denaro a disposizione della P.A.
A tale riguardo, s’impongono alcune doverose precisazioni.
Quanto alla prima motivazione addotta dalla Soprintendenza, si rileva che se è certamente vero che il divieto di prosecuzione delle opere fu limitato soltanto ai vani, in cui erano affiorate le tracce di presenze antiche, è altrettanto vero che sin dalla prima diffida, ricevuta dalla Soprintendenza il 1° agosto 2000, il ricorrente segnalava, in maniera inequivocabile, che l’imposizione di detto divieto aveva reso impossibile l’ultimazione dei lavori anche negli altri vani dell’immobile, attesa l’impossibilità di completare i tracciati dei vari impianti e le altre opere di rifinitura, e che pertanto i lavori erano, di fatto, dalla data di notifica dell’ordine di sospensione parziale, completamente fermi.
Quanto appena rilevato riveste un rilievo decisivo, peraltro anche allo scopo di fissare il termine, a partire dal quale il Collegio ritiene che la condotta omissiva della P.A. possa considerarsi connotata dal requisito della colpa: poiché, sino alla ricezione della raccomandata del Sig. Dimitri del 17.07.2000 (avvenuta, lo si ripete, il 1° agosto 2000, come si ricava dal timbro della Soprintendenza, apposto nella missiva del ricorrente), la Soprintendenza medesima non era stata resa edotta, formalmente, della circostanza che l’ordine di sospensione parziale, emesso in data 22.06.1999, aveva comportato l’interruzione completa dei lavori di ristrutturazione dell’immobile di proprietà Dimitri – Campobasso, deve ritenersi che prima del 1° agosto 2000 nessuna responsabilità possa ascriversi alla P.A. (ignara di tale circostanza), e che tale responsabilità, invece, decorra proprio da tale data.
E’ evidente, infatti, che l’obbligo giuridico della P.A., di attivarsi per terminare in modo esplicito l’iter procedimentale, sia pur sorto insieme all’emissione dell’ordine di sospensione dei lavori, acquista un rilievo colposo, solo dal momento in cui deve ritenersi che la stessa P.A. abbia acquisito piena conoscenza del pregiudizio, che il ritardo nell’eseguire lo scavo stava arrecando al privato.
Quanto invece alla seconda giustificazione, addotta dalla Soprintendenza, con essa si vorrebbe opporre, all’istanza risarcitroria dei ricorrenti, la sussistenza di una causa di forza maggiore, rappresentata dal predetto vincolo d’indisponibilità delle somme in bilancio, la qual cosa impedirebbe, in radice, di poter qualificare come colposa la condotta della P.A., intesa (secondo l’insegnamento della Cassazione) come apparato.
Osserva il Tribunale, viceversa, che l’indisponibilità di somme rinvenienti dal bilancio non può essere considerata causa di forza maggiore, e che – pertanto – tale vincolo non esclude la colpa, insita invece nel ritardo con cui la P.A. ha esercitato la propria attività doverosa (tra l’altro, finalmente, dando riscontro alle numerose diffide, in tal senso rivolte dal ricorrente).
A tale proposito, va ripetuto, anzitutto, che l’intervento nell’immobile di proprietà Dimitri – Campobasso era doveroso, proprio perché incidente – sacrificandola in misura rilevante – su una situazione soggettiva qualificata dei proprietari, e che pertanto la P.A. aveva l’obbligo di terminare nel modo più rapido ed efficace il procedimento in itinere, predisponendo all’uopo tutti gli adempimenti necessari, ivi compreso l’inserimento nel bilancio delle somme, necessarie a tale scopo.
E’ del tutto incongruo affermare, come ha fatto il Soprintendente nella nota dell’11.04.2001, che a mancanza di disponibilità economica, comunicata al Sig. Dimitri con la precedente missiva del 22.06.99 "per l’anno in corso" (quindi solamente per il 1999) sembrava conciliarsi "con l’assenza di particolari motivi d’urgenza, manifestati dal proprietario, a terminare i lavori di ristrutturazione".
E, infatti (stante la natura qualificata della posizione soggettiva, di spettanza, nella specie, dei ricorrenti), l’obbligo della P.A. di terminare – nel più breve tempo possibile – il procedimento, con l’adozione d’un provvedimento espresso, non dipendeva, certo, da segnalazioni o sollecitazioni del privato, inciso dall’atto iniziale del procedimento medesimo (l’ordine, sia pure parziale, di sospensione dei lavori), ma discendeva in maniera ineludibile, dalle disposizioni e dai principi legislativi citati in precedenza.
Stabilito pertanto che la P.A. aveva l’obbligo, dipendente dalla legge e non da istanze esterne, di attivarsi al più presto, per reperire le risorse economiche, necessarie per far fronte allo scavo archeologico in questione, si rileva che l’altra giustificazione, adottata dalla Soprintendenza (il fatto che quando le era stata notificata la prima diffida del Sig. Dimitri, vale a dire l’1.08.2000, ancora una volta le somme, iscritte in bilancio per l’anno 2000, non consentivano l’esecuzione dell’intervento in oggetto) non può avere alcun’efficacia scriminante, sotto il profilo della colpa, la condotta omissiva tenuta dalla P.A.
E, infatti, anche mettendo da parte, in ipotesi, quanto rilevato in precedenza (circa la sussistenza, in ogni caso, di un ben preciso obbligo della P.A., d’attivarsi, tempestivamente, per trovare i mezzi finanziari, necessari allo svolgimento dei prefigurati lavori), deve ritenersi che – acquisita in data 1.08.2000 piena consapevolezza dell’urgenza dello scavo archeologico in proprietà Dimitri/Campobasso – la Soprintendenza Archeologica per la Puglia non doveva rinviare l’esecuzione di detto intervento all’anno successivo, opponendo – quale impedimento insormontabile – la mera indisponibilità delle somme, già destinate in bilancio ad altre opere.
Ritiene, infatti il Tribunale che tale ragione, di natura esclusivamente formale, no sia tale, da consentire alla P.A. di derogare a ben precisi obblighi derivanti dalla legge, e che (fermo restando che, già dall’anno precedente, la P.A. avrebbe dovuto attivarsi), sia comunque addebitabile all’esclusiva colpa dell’Amministrazione la circostanza della mancata predisposizione, in bilancio, di un apposito capitolo, destinato a "fondo spese impreviste", dal quale poter attingere, in casi d’urgenza come quello in esame, al fine di poter sollecitamente eseguire le opere, necessarie alla tutela dei rilevanti interessi pubblicistici, affidati alla competenza della Soprintendenza Archeologica.
E’ poi del tutto evidente – in ciò dovendosi concordare con la parte pubblica – che la circostanza che lo scavo archeologico si sia concluso, senza importantissimi ritrovamenti, non esplica alcun effetto, sulla qualificazione della condotta della Soprintendenza in termini di colpa, non potendosi ovviamente sapere, in anticipo, quale sarà il risultato dello scavo (che comunque, osserva il Collegio, ha consentito di riportare alla luce numerosi reperti, giusta l’elenco degli stessi, allegato alla nota della Soprintendenza del 12.07.2001); ma tale osservazione rimane estranea al tema che ci occupa, venendo in rilievo – in esso – non già l’importanza, o meno, dei reperti rinvenuti, quanto – piuttosto – il dovere della P.A. di attivarsi sollecitamente, in ogni modo necessario (ivi compreso il reperimento delle necessarie risorse finanziarie), allo scopo di concludere un procedimento, sia pur legittimamente iniziato, ma la cui pendenza (protrattasi, nella specie, oltre ogni ragionevole limite) si ponga quale ostacolo insormontabile alla libera esplicazione delle facoltà, connesse al diritto di proprietà del provato su un immobile.
Quanto, infine, al nesso di causalità tra la condotta omissiva della P.A. e il pregiudizio, subito dai ricorrenti, ritiene il Tribunale che l’accertamento di tale successivo fondamento della responsabilità aquiliana sia, per così dire, in re ipsa, posto che non è chi non veda come tra il ritardo della P.A. e la gran parte dei danni, reclama i danni ricorrenti, sussista, nella specie, un rapporto di necessaria derivazione logica, in considerazione della circostanza che prima l’ordine di sospensione dei lavori, e poi il mancato completamento degli accertamenti, di competenza della P.A., entro un termine ragionevole, hanno determinato inevitabilmente (come efficacemente spiegato dal Sig. Dimitri) il fermo del cantiere e, di conseguenza, la produzione di una serie di danni, i cui limiti di risarcibilità ed i cui criteri di quantificazione saranno esaminati in seguito.
Stabilito, pertanto, che sussistono gli elementi per la condanna della Soprintendenza al risarcimento del danno ingiusto patito dai ricorrenti, per la loro quantificazione, il Collegio ritiene di avvalersi del sistema disciplinato dall’art. 35, comma 2° , del d.l.vo 80/98, secondo cui il giudice amministrativo, quando dispone il risarcimento del danno ingiusto, può stabilire i criteri in base ai quali l’amministrazione pubblica (o il gestore del pubblico servizio) deve proporre, a favore dell’avente titolo, il pagamento di una somma entro un congruo termine (con la possibilità d’attivare il rimedio dell’ottemperanza, in caso di mancato raggiungimento d’un accordo tra le parti).
La scelta di un tale sistema di determinazione del danno presuppone, quindi, che il Tribunale detti i criteri, in base ai quali privato e P.A. devono accordarsi, circa la somma effettiva da liquidare; ebbene, di seguito si enunceranno appunto questi criteri, prendendo in esame, una per una, le varie voci di danno, delle quali i ricorrenti hanno chiesto il ristoro, per stabilire quale di esse sia ammissibile e, in via approssimativa, in quale misura debba essere riconosciuta:
1) – danno dovuto alla lievitazione dei prezzi di manodopera e dei materiali: a proposito di tale pregiudizio, non può convenirsi con i ricorrenti circa la spettanza, in loro favore, del risarcimento del danno, che dev’essere peraltro loro riconosciuto – giusta quanto osservato in precedenza circa il momento, a partire dal quale la condotta della P.A. può qualificarsi come colposa – nella misura dell’incremento, registrato da tali prezzi dal 1° agosto 2000 (vale a dire dalla data della ricezione, da parte della Soprintendenza, della prima diffida del Sig. Dimitri), fino all’intervenuta revoca dell’ordine di sospensione dei lavori;
2) – danni dovuti al degrado per abbandono del cantiere: rileva il Collegio che tale danno, giusta la perizia di parte dell’ing. De Cillis, in atti, concerne il deprezzamento, derivante all’immobile dal degrado subito per opera degli agenti atmosferici; ritiene il Tribunale che esso spetti ai ricorrenti, ma sempre, ovviamente, a partire dal 1° agosto 2000; non va riconosciuto, invece, alcun danno per ciò che riguarda il degrado delle attrezzature di cantiere, posto che era onere dei ricorrenti mantenere il cantiere in efficienza (trattasi di danno, a differenza del precedente, non ricollegabile casualmente alla condotta colposa della P.A.);
3) – danni per mancato uso dell’immobile, e 4) – danni dovuti al pagamento di canoni di locazione: osserva il Tribunale che tali danni si pongono in rapporto di reciproca esclusione (non può pretendersi contemporaneamente di essere risarciti per non aver potuto dare l’immobile, oggetto dei lavori, in locazione a terzi, e nello stesso tempo aver dovuto locare un altro appartamento, per le proprie esigenze abitative): la circostanza che i ricorrenti abbiano avuto la necessità di locale altro appartamento, durante i lavori, sta evidentemente a significare che l’immobile oggetto dei lavori, qualora ristrutturato per tempo, sarebbe stato destinato a loro abitazione, sicchè ad essi spetta soltanto il danno, costituito dai canoni di locazione dell’appartamento preso in fitto: il danno in oggetto v. quindi riconosciuto, entro tali limiti, dalla P.A. e sempre – naturalmente – a partire dal 1° agosto 2000, e va liquidato sulla base delle ricevute, relative ai canoni di locazione pagati, esibite dai ricorrenti, o in mancanza di tale esibizione – sulla base dei canoni di locazione richiesti, in Mandria, per un immobile, dalle caratteristiche analoghe a quello preso da loro in fitto;
5) danno dovuti al rinnovo della concessione edilizia; anche il risarcimento di tale danno va evidentemente accordato, trattandosi di pregiudizio, direttamente ricollegabile al ritardo nel provvedere da parte della P.A., e va calcolato nella misura, derivante dall’esibizione della relativa ricevuta, rilasciata dal Comune ai ricorrenti;
6) danno derivanti dall’anticipazione, da parte del Sig. Dimitri, delle spese necessarie per eseguire i primi interventi di scavo, per mezzo di due operai specializzati: tale voce di danno, invece, a parere del Collegio non spetta, sia perché trattasi d’attività di scavo per la quale, sin dall’inizio non risulta che sia stata pattuita alcuna forma di rimborso da parte della Soprintendenza, sia, in ogni caso, per la ragione assorbente che trattasi di spese sostenute prima della data del 1° agosto 2000 (anteriormente alla quale non può dirsi sorta una responsabilità, per colpa, della P.A.);
7) interessi e rivalutazione, sugli importi dovuti a titolo di risarcimento: trattandosi di debito di valore, derivante da illecito extracontrattuale, tale voce va accordata, dalla Soprintendenza, ai ricorrenti, ma limitatamente ai soli interessi, a partire dal 1° agosto 2000, spettando certamente loro il diritto di attualizzare il valore del risarcimento del danno, funzione alla quale è specificamente volta la previsione del riconoscimento degli interessi legali; quanto, invece, alla chiesta rivalutazione di tale somma, sulla base degli indici ISTA, come risarcimento – deve ritenersi – del mancato guadagno, provocato dal ritardato pagamento dell’equivalente monetario del bene, osserva il Collegio che i ricorrenti non hanno fornito alcuna prova della circostanza che, se avessero disposto di tale somma di danaro, sin dal momento della maturazione del credito, l’avrebbero, investita in maniera più proficua, traendone il relativo maggiore guadagno, sicchè tale parte della domanda risarcitoria va disattesa.
Quanto alle spese di giudizio, le stesse seguono la soccombenza e vanno pertanto poste a carico della Soprintendenza Archeologica per la Puglia – Taranto, e liquidate complessivamente in € 2.000, oltre I.V.A. e C.A.P. come per legge.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia – Prima Sezione di Lecce – definitivamente decidendo sul ricorso emarginato (ricorso n. 3792 del 2001):
ACCOGLIE
Il ricorso suindicato, e per l’effetto
CONDANNA
La Soprintendenza Archeologica per la Puglia – Taranto – al risarcimento del danno subito dai ricorrenti, da liquidarsi nei limiti, e secondo i criteri, indicati in parte motiva;
CONDANNA
La Soprintendenza Archeologica per la Puglia – Taranto – al pagamento, in favore dei ricorrenti, delle spese del presente giudizio, che liquida in complessivi € 2.000, oltre I.V.A. e C.A.P. come per legge;
ORDINA
All’Autorità amministrativa di dare esecuzione alla presente sentenza.
Così deciso, in Lecce, nella Camera di Consiglio del 4 aprile 2002.
Aldo Ravalli Presidente
Paolo Severini Estensore
Depositata il 18 aprile 2002.