TAR TOSCANA, SEZ. I – Sentenza
27 giugno 2002 n. 1343 – Pres. ff. Nicolosi, Est. Lundini - Conti (Avv. D. Traina) c. Comune di Lucca (Avv. G. Stancanelli) - (in parte dichiara inammissibile ed in parte respinge il ricorso).1. Espropriazione per p.u. – Dichiarazione di p.u. – Avviso di inizio del procedimento – Utilizzo di forme alternative di pubblicità – Ex art. 8 della L. n. 241/90 – Nel caso di numerosi proprietari interessati, i cui indirizzi siano difficili da reperire – Legittimità.
2. Espropriazione per p.u. – Procedimento espropriativo - Avviso di inizio del procedimento – Nel caso di adozione di delibera che comporta solo una variante allo strumento urbanistico – Non occorre.
3. Espopriazione per p.u. – Procedimento espropriativo - Adozione di delibera che comporta solo una variante allo strumento urbanistico – Indicazione dei necessari mezzi finanziari – Non occorre.
4. Comune e Provincia – Spese – Impegno di spesa – Copertura finanziaria – Presuppone un’obbligazione giuridicamente perfezionata – Nel caso di progetto preliminare di una opera pubblica – Non occorre.
5. Lavori pubblici - Barriere architettoniche – Normativa prevista per il loro abbattimento - In caso di percorsi misti pedonali ciclabili e per gli slarghi da realizzare al fine di consentire le manovre di persona su sedia a ruote – Interpretazione.
1. Non è illegittimo l’operato di una P.A., la quale, per la comunicazione dell’avviso dell’inizio del procedimento espropriativo, abbia utilizzato forme alternative di pubblicità ai sensi dell’art. 8, comma 3°, della legge n. 241/90 (nella specie erano stati pubblicati appositi avvisi all’albo pretorio comunale ed in due giornali di larga diffusione locale ed erano stati effettuati dei comunicati televisivi sulle TV locali), in considerazione del consistente numero di proprietari iscritti negli atti catastali interessati dalla procedura espropriativa e delle difficoltà insorte ai fini dell’individuazione degli indirizzi personali di ciascuno di essi (1).
2. Non è necessario l’avviso di inizio del procedimento di cui all’art. 7 della L. 241/90 nel caso in cui la delibera adottata nell’ambito di una procedura espropriativa abbia solo l’effetto di variante urbanistica, atteso che l’avviso di inizio del procedimento è dovuto solo per l’approvazione del progetto di opera pubblica, nel caso in cui tale approvazione implichi la dichiarazione di pubblica utilità a fini espropriativi (2).
3. Una delibera che comporta la sola adozione di variante urbanistica, non postula analitica, completa e concreta indicazione dei mezzi finanziari necessari per la realizzazione dell’opera pubblica; legittimamente, pertanto, l’Amministrazione, per tale delibera, indica genericamente i mezzi finanziari disponibili, facendo anche riferimento, per parte della spesa prevista, ad un mutuo ancora da stipulare.
4. Anche se, ai sensi degli artt. 27 e 35 del D.Lgs. n. 77 del 25 febbraio 1995 e 55 L. n. 142/1990, gli enti locali non possono assumere impegni di spesa senza indicare il modo con cui farvi fronte (c.d. "copertura"), in base al primo comma dell’art. 27 dello stesso D.L.vo, l’impegno di spesa presuppone, tra l’altro, un’obbligazione giuridicamente perfezionata, nonché la determinazione della somma da pagare e del soggetto creditore. Deve pertanto ritenersi non necessario l’impegno di spesa nel caso di adozione di un progetto preliminare di una opera pubblica, dovendosi per contro verificare la concreta copertura della spesa solo al momento dell’approvazione del progetto definitivo con valore di dichiarazione pubblica utilità, se non addirittura al momento dell’assunzione dell’impegno derivante dal contratto di appalto (2).
5. Ai fini del rispetto della normativa per l’abbattimento delle barriere architettoniche (D.P.R. n. 503/96 e D.M. 14 giugno 1989 n. 236), in caso di percorsi misti pedonali ciclabili, la larghezza dei marciapiedi (nei limiti stabiliti da tale normativa, che ai sensi dell’art. 8.2.1 del D.M. 236/89 cit., è di 90 cm.) va calcolata tenendo conto di quella delle piste promiscue pedonali-ciclabili, e non in aggiunta ad essa. Inoltre, ai sensi della stessa normativa, la larghezza di m. 1,70 per gli slarghi da realizzare ogni 10 mt. onde consentire le manovre di persona su sedia a ruote) è prevista, dall’art. 8.0.2 del D.M. del 1989, per consentire particolari cambi di direzione, mentre non è applicabile nel caso in cui le percorrenze pedonali ciclabili siano state progettate come percorrenze monodirezionali, atteso che, in tale ipotesi, i suddetti cambi direzionali non sono prefigurabili.
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(1) V. tuttavia in senso diverso Cons. Stato, Sez. IV, sent. 6 giugno 2001 n. 3074, in questa Rivista, pag. http://www.giustamm.it/private/cds/cds4_2001-06-06.htm, secondo cui "deve ritenersi che la disposizione di cui al terzo comma dell’articolo 8 della legge 7 agosto 1990, n. 241 (secondo cui, nel caso in cui "per il numero dei destinatari la comunicazione personale non sia possibile o risulti particolarmente gravosa, l'amministrazione provvede a rendere noti gli elementi di cui al comma 2 mediante forme di pubblicità idonee di volta in volta stabilite dall'amministrazione medesima"), non trova di norma applicazione allorchè si tratti di occupazione ed espropriazione di terreni appartenenti a poche decine di proprietari, ben potendosi effettuare, in tali casi, la comunicazione personale a ciascuna ditta interessata al procedimento".
V. anche di recente TAR Emilia Romagna - Bologna, Sez. I, sent. 17 aprile 2002 n. 611, ivi, pag. http://www.giustamm.it/private/tar/taremiliabo1_2002-04-17-2.htm, secondo cui "è illegittima, ai sensi dell’art. 7 della legge n. 241/90, l’approvazione di un progetto, con effetto dichiarativo della pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza, di una opera pubblica, non preceduta dalla comunicazione personale ai proprietari interessati dell’inizio del procedimento, non essendo sufficiente a tal fine la pubblicazione di apposito avviso su due quotidiani, a diffusione rispettivamente nazionale e regionale nel caso in cui il numero dei proprietari sia di poche decine; in tale ipotesi, infatti, non è possibile ricorrere a forme di pubblicità collettiva ai sensi dell’art. 8 della legge n. 241/90, ben potendosi effettuare la comunicazione personale a ciascun interessato, che non risulta eccessivamente gravosa".
(2) Cfr. Cons. Stato, Ad. plen., 15 settembre 1999, n. 14, in questa Rivista, pag. http://www.giustamm.it/private/cds/cdsadplen_1999-14.htm con nota di M. BORGO, Il "giusto procedimento espropriativo"
Ha aggiunto in proposito il T.A.R. Toscana che, in base all’art. 14, ultimo comma, della legge n. 109/94, come sostituito dall’art. 4 della legge n. 415/98, è l’approvazione del progetto definitivo - e non di quello preliminare - che "equivale a dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità e urgenza dei lavori"; è pertanto con riferimento all’approvazione di quest’ultimo tipo di progetto che si richiede il previo avviso di inizio del procedimento.
(2) Cfr. Corte Conti, sez. contr., 19 settembre 1995, n. 122.
per l'annullamento
previa sospensione, della delibera del Consiglio Comunale di Lucca 28.7.2000 n. 100, recante "realizzazione di un sottovia carrabile sottopassante la linea ferroviaria Lucca-Aulla e riqualificazione del V.le Castracani nel tratto compreso tra Via Barbantini e Via per C.te Capecchi- approvazione del progetto preliminare ed adozione di variante allo strumento urbanistico vigente" e di ogni atto connesso, se lesivo, tra cui, occorrendo, la delibera consiliare n. 120 del 25.8.1999 di approvazione del PRUSST –Area Lucchese- Proposta d’intervento n. 6 e, in parte qua, il Piano Triennale OO.PP. 2000-2002;
(omissis)
FATTO
A) Avverso la delibera, indicata in epigrafe, di approvazione in variante al PRG del progetto preliminare per la realizzazione di un sottopasso in Viale Castracani onde attraversare la linea ferroviaria Lucca – Aulla, deducono i ricorrenti con l’atto introduttivo:
1)Violazione degli artt. 7 e 8 l. 7.8.1990, n. 241.Il Comune ha pretermesso la comunicazione di avvio di procedimento nei confronti delle ricorrenti, pur essesndo queste direttamente incise dalla programmata opera pubblica e regolarmente iscritte negli atti catastali.
2)Violazione di legge (art. 13 l. 25.6.1865 n. 2359; art. 1 l. 3.1.1978, n. 1. La delibera contiene anche la dichiarazione di pubblica utilità, urgenza e indifferibilità delle opere da eseguire. Senonchè, secondo costante giurisprudenza, l’opera pubblica dev’essere conforme alle previsioni urbanistiche, di talchè quando, come nel caso in esame, occorre seguire la procedura di variante "accelerata" ex art. 1, 5° comma, della l. n. 1/78, sino alla approvazione della variante adottata contestualmente all’approvazione del progetto, non possono prodursi gli effetti dichiarative della p.u.. La delibera in esame, che invece prevede immediatamente tali effetti (ricollegandoli alla sua esecutività), appare sicuramente illegittima.
3)Violazione artt. 27 e 35 del D.Lgs. 25.2.1995 n. 77 e art. 55 l. 142/1990. La delibera imugnata indica in 12 miliardi di lire la spesa per il sottopasso, da coprire, quanto a 5 miliardi, con un mutuo già contratto e, quanto a 7 miliardi, con un mutuo da contrarre. Quest’ultima previsione è tuttavia vaga ed ipotetica, non costituisce strumento idoneo a garantire i mezzi finanziari per la copertura di una spesa deliberata dall’ente locale, che è da considerarsi pertanto priva di copertura. L’Amministrazione, tra l’altro, non indica come far fronte alla spesa per interessi.
4)Violazione artt. 3, 4, 7 DM LL.PP. 30.11.1999, n. 557 (Regolamento recante norme per la definizione delle caratteristiche tecniche delle piste ciclabili). Tale DM è applicabile all’opera in oggetto non essendo stato ancora approvato il progetto definitivo. Sono violati: l’art. 3, non risultando predisposto il piano della rete degli itinerari ciclabili; gli artt. 4 e 7, atteso che il sottopasso non è dotato di marciapiedi, mentre vengono previsti percorsi "promiscui" ciclabili e pedonali, senza che la relativa parte di strada risulti adeguatamente incrementata, ex art. 4 quinto comma, rispetto ai minimi fissati dall’art. 7 e non ricorrendo la condizione di "traffico pedonale ridotto e assenza di attività attrattrici di traffico pedonale quali itinerari commerciali, insediamenti ad alta densità abitativa, ecc.". Tale prescrizione è violata sia in quanto non siamo in presenza di zona a traffico pedonale ridotto, sia in quanto la larghezza della pista deve essere ordinariamente di m. 1,50 ed eccezionalmente, ma solo per le piste in sede propria o su corsie riservate, m. 1, mentre le piste in esame sono di m. 1,50 e non realizzano quell’adeguato incremento richiesto per l’"uso promiscuo" dall’art. 4. I percorsi promiscui devono avere una larghezza superiore al minimo di m. 1,50, che è pari almeno a m. 2,40, con slarghi intermittenti di m. 3,20. Infatti, in base all’attuale normativa sull’abbattimento delle barriere architettoniche, i marciapiedi, da soli, non possono essere larghi meno di m. 1,70. Infatti gli artt. 4 e 5 DPR 503/96 rinviano, per i percorsi pubblici, al punto 8.2.1 del DM 14.6.1989, n. 236, il quale prevede che il percorso stradale deve avere una larghezza minima di 90 cm., nonché appositi allargamenti, da realizzare ogni 10 m. di sviluppo lineare. La dimensione di tali allargamenti è indicata al punto 8.0.2 ("Spazi di manovra"), il quale prevede una larghezza non inferiore a m. 1,70. Sommando a tale misura quella della pista, si ottiene appunto una larghezza di m. 2,40 con slarghi di m. 3, 20 ogni 10 m. di percorso.
B)Avverso gli atti gravati con i motivi aggiunti, le istanti eccepiscono poi quanto segue:
a)Quanto alla delibera C.C. 25.1.2001 n. 10.
I)Violazione art. 40 L.R. 16.1.1995 n. 5; Eccesso di potere per insufficiente motivazione. Le controdeduzioni sono state riunite in un unico documento e le osservazioni sono state respinte in blocco, sbrigativamente, con un unico voto, senza un esame serio e individuale.
II)Eccesso di potere per illogicità manifesta e insufficiente motivazione; Violazione art. 40 L.R. n. 5/95. Si è affermato, nella delibera di adozione della variante, che il bacino di utenza dell’infrastruttura è riferito al Comune; nella relazione, analogamente, è scritto che "si ritiene possibile attuare una variante, ai sensi dell’art. 40, comma 2, lettera a (della L.R. 5/95), variante necessaria per realizzare opere pubbliche di esclusivo interesse comunale". Ma Viale Castracani non è strada di esclusivo interesse comunale, ma il tratto iniziale della S.S. n. 435, sicchè l’opera in oggetto non può essere definita di esclusivo interesse comunale. L’osservazione Del Dotto è rimasta pertanto senza risposta.
III)Violazione dell’art. 1, comma 5, della l. 3.1.1978 n. 1 così come sostituito dall’art. 4 comma 3 l. 18.11.1998 n. 415; In subordine: Incostituzionalità dell’art. 40 L.R. Toscana n. 5/95. Nel caso in esame, l’Amministrazione ha omesso di sottoporre la delibera di adozione della variante all’approvazione regionale, prevista come necessaria dalla l. n. 167/62. Ha invece seguito la diversa procedura ex art. 40 L.R. n. 5/95 (adozione e approvazione della variante da parte del Comune). La disposizione in esame solleva peraltro seri problemi di legittimità costituzionale, poiché in materia urbanistica costituisce principio fondamentale quello della "cogestione" dei poteri di pianificazione da parte dei Comuni e della Regione. L’Approvazione regionale è stata soppressa, dalla legge n. 47/85, solo ed esclusivamente per i piani attuativi. Ogni altra semplificazione non può avere ad oggetto che aspetti procedurali (non l’eliminazione dal procedimento di soggetti istituzionalemnte preposti alla pianificazione urbanistica).
Il principio dell’atto complesso sussiste sia in base alla legge 47/85 sia in base alla l. 167/62, richiamato dall’art. 4 comma 3 l. 415/98, per cui la previsione dell’art. 40 l.r. 5/95 è da ritenersi abrogata ex art. 10 l. 62/53 o costituzionalmente illegittima per violazione dell’art. 117 Cost..
IV)Illegittimità derivata. La delibera di approvazione della variante è inoltre viziata perché collegata ad una previsione di opera pubblica a sua volta illegittima. Ed infatti, come risulta dal ricorso introduttivo, la delibera consiliare n. 100/2000 risulta viziata per:
-Violazione degli artt. 7 e 8 L. 7.8.1990 n. 241. (Vedi motivo n. 1 ricorso introduttivo);
-Violazione artt. 27 e 35 del D.Lgs. 25.2.1995 n. 77 e art. 55 L. 142/1990. (Vedi motivo n. 3 ricorso introduttivo);
-Violazione artt. 3, 4, 7 D.M. 30.11.1999 n. 557 (Regolamento recante norme per la definizione delle caratteristiche tecniche delle piste ciclabili). (Vedi motivo n. 4, fino a riga 19, ricorso introduttivo);
b)Quanto alla delibera G.C. 21.2.2001 n. 37.
V)Violazione art. 13 L. n. 2359/1865; Eccesso di potere per contraddittorietà tra atti e insufficiente motivazione. La delibera suddetta reitera la dichiarazione di pubblica utilità già contenuta nella delibera n. 100/2000 ma, nel fissare i termini iniziali e finali, anziché confermare la previsione già espressa, e cioè rispettivamente 1 e 5 anni per le procedure espropriative e 1 e 3 anni per i lavori a decorrere dalla data di esecutività della delibera n. 100/2000, ha fissato una nuova decorrenza dei medesimi termini dalla data di esecutività della stessa delibera G.C. n. 37. In tal modo, nel dichiarato proposito di sanare un ipotetico vizio, l’Amministrazione ha sottoposto i beni delle ricorrenti a status diminutivo del diritto di proprietà per un periodo di quasi 6 mesi e mezzo più lungo, senza alcuna spiegazione delle ragioni dell’ulteriore sacrificio.
VI) Violazione artt. 3, 4, 7 D.M. 30.11.1999 n. 557 (Regolamento recante norme per la definizione delle caratteristiche tecniche delle piste ciclabili). (Vedi, oltre a quanto al riguardo specificato nel motivo n. IV motivi aggiunti, motivo n. 4, da riga 19 in poi, ricorso introduttivo);
VII)Violazione artt. 2.2 e 3.1.8 delle Norme Tecniche del C.N.R. –A. XII n. 60- Norme sulle caratteristiche geometriche e di traffico delle strade urbane, pubblicate sul Bollettino Ufficiale del C.N.R. 26.4.1978; Violazione del principio di autolimite; Eccesso di potere per illogicità manifesta, insufficiente motivazione, contraddittorietà tra atti. Nel testo della convenzione (allegato alla delibera consiliare n. 100/2000) sono richiamate le Norme Tecniche epigrafate che l’Amministrazione è tenuta, per "autovincolo", a rispettare. Esse peraltro sono palesemente violate, in quanto le strade in superficie poste lateralmente al sottopasso sono prive di marciapiede, in contrasto con quanto previsto ai punti 2.2 (v.Tab. I2) e 3.1.8 delle citate norme tecniche.
VIII)Violazione artt. 25 e 27 DPR 21.12.1999 n. 554, atteso che il progetto definitivo-esecutivo non è corredato dalle indagini idrogeologiche, idrauliche e sismiche. Non risulta poi menzionata la c.d. "validazione" del progetto esecutivo prevista dall’art. 47 del citato Regolamento, che costituisce adempimento di estrema rilevanza per la verifica complessiva dell’intervento da effettuare e condizione preliminare e indefettibile per l’approvazione del progetto.
Le istanze cautelari, presentate nel ricorso introduttivo e nei motivi aggiunti, sono stete respinte, con ordinanze n. 1476/2000 e n. 538/2001, quest’ultima confermata in appello.
L’Amministrazione comunale è costituita in giudizio e controdeduce ex adverso alle censure delle istanti, con memorie depositate l’11.12.2000 e il 7.5.2001.
Alla pubblica udienza del 18.6.2002, il ricorso e i motivi aggiunti sono stati assunti in decisione.
DIRITTO
1.La controversia in esame riguarda atti (di previsione urbanistica ed ablatori veri e propri) relativi alla realizzazione di un sottovia carrabile sottopassante la linea ferroviaria Lucca-Aulla. Costituiscono, peraltro, oggetto di ricorso, anche atti presupposti (la delibera consiliare n. 120/89 di approvazione del PRUSST –Area Lucchese- Proposta d’intervento n. 6, e in parte qua il Piano Triennale OO.PP. 2000-2002) avverso i quali non sono dedotti motivi specifici d'illegittimità, sicchè la relativa impugnativa è generica e inammissibile.
2.Premesso quanto sopra, va disatteso il primo motivo del ricorso introduttivo, con il quale le ricorrenti deducono il mancato avviso d’inizio del procedimento. Al riguardo il Collegio rileva invero quanto segue:
a)il Comune, nonostante le ricerche anagrafiche effettuate, non è riuscito a rintracciare la località di residenza delle ricorrenti e non ha quindi potuto effettuare, nei loro confronti, la comunicazione personale d’inizio del procedimento. Il relativo obbligo partecipativo ex artt. 7 e 8 L. 241/1990 è stato comunque assolto dalla P.A., che ha provveduto, come anche enunciato espressamente nella delibera impugnata n. 100/2000, alla pubblicazione delle dovute notizie sull’Albo Pretorio Comunale e su due giornali di larga diffusione locale ("La Nazione" e "Il Tirreno"). Nella relazione difensiva comunale del 13.11.2000 si fa poi presente che sono stati altresì affettuati "comunicati televisivi sulle TV locali". Ebbene, l’art. 8, comma 3°, della legge n. 241/90 precisa espressamente che "qualora per il numero dei destinatari la comunicazione personale non sia possibile o risulti particolarmente gravosa, l’amministrazione provvede a rendere noti gli elementi di cui al comma 2 mediante forme di pubblicità idonee di volta in volta stabilite dall’amministrazione medesima".
L’opzione, dunque, del Comune di Lucca, per le suddette forme divulgative e partecipative dell’inizio procedimentale, aggiuntive e/o alternative alle comunicazioni individuali, non appare illogica ed illegittima, in presenza tra l’altro del consistente numero di proprietari iscritti negli atti catastali (e quindi interessati alla procedura) e delle difficoltà insorte ai fini dell’individuazione degli indirizzi personali di ciascuno di essi;
b)ma considerazioni più sostanziali avallano, ad avviso del Collegio, la legittimità, con riferimento al punto controverso in esame, dell’operato dell’Amministrazione, riguardato nell’ottica del complessivo snodo procedimentale verificatosi nella specie. Ed invero, la delibera consiliare n. 100/2000 costituisce approvazione di progetto preliminare ed adozione di variante urbanistica con effetti dichiarativi (veniva altresì in essa enunciato) di dichiarazione di pubblica utilità, urgenza e indifferibilità delle opere da eseguire. Peraltro, con successiva delibera della Giunta Comunale di Lucca n. 37 del 21.2.2001, è stato approvato il progetto definitivo/esecutivo e contestualmente rinnovata la dichiarazione di pubblica utilità, al dichiarato precipuo fine di emendare possibili vizi della pregressa fase procedimentale, derivanti, in particolare, dalla contestata declaratoria di p.u. contenuta in un atto (la citata delibera C.C. n. 100/2000) di mera adozione di variante urbanistica, e quindi prima ancora dell’approvazione di tale variante e dell’inveramento della conformità urbanistica dell’opera da realizzare.
In presenza di tale rinnovata dichiarazione di p.u., la ripetuta delibera 100/2000 (sia che essa debba considerarsi inefficace, fino all’approvazione della variante, con riferimento a tale contestata declaratoria di p.u.; sia che essa, in ordine al punto specifico, sia da considerarsi implicitamente annullata e superata) conserva dunque allo stato solo effetti di variante urbanistica, per la quale, essendo previste ex lege specifiche modalità partecipative, non è necessario il formale avviso procedimentale (tuzioristicamente realizzato dunque dalla P.A.) di cui all’art. 7 L. 241/90, avviso che è invece dovuto, come ha ben chiarito la giurisprudenza amministrativa (cfr. CdS, Ad. Pl., n. 14 del 15.9.1999), per l’approvazione del progetto di opera pubblica, solo se tale approvazione implichi la dichiarazione di pubblica utilità a fini espropriativi (ed al riguardo non va dimenticato che, in base all’art. 14, ultimo comma, della legge n. 109/94, come sostituito dall’art. 4 della legge n. 415/98, è l’approvazione del progetto definitivo- e non di quello preliminare- che "equivale a dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità e urgenza dei lavori").
Va conclusivamente respinto il motivo esaminato.
3.Le considerazioni di cui al punto precedente rendono poi ragione, rimarca questo Collegio, dell’infondatezza, non solo del primo, ma anche del secondo motivo di gravame, atteso che la declaratoria di pubblica utilità delle opere di cui trattasi è da ritenersi validamente ed efficacemente intervenuta, per effetto della delibera G.C. 21.2.2001, in sede di approvazione del progetto definitivo/esecutivo, dopo l’avvenuta approvazione della variante urbanistica e quindi in relazione ad un progetto a quel punto sicuramente conforme alle previsioni di piano regolatore.
La delibera C.C. n. 100/2000, invero, che pure tale declaratoria conteneva, è stata implicitamente annullata e/o superata, in parte qua, dalla successiva suddetta delibera di Giunta, e comunque essa, disponendo l’approvazione del progetto in assenza di conformità tra destinazione di piano e localizzazione dell’opera pubblica, non era invalida, ma semplicemente inefficace al fine di conferire all’opera stessa la qualità della pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza (qualità che può acquistarsi, invero, nei casi come quello di specie, solo con l’approvazione della previsione urbanistica) (cfr. CdS, VI, n. 1148 del 1°.3.2001).
Né vi sono stati, nel caso in esame, prima della conclusione del procedimento di variante e dell’intervento della delibera G.C. n. 37/2001, atti ablatori di illegittima esecuzione dell’originaria (inefficace) declaratoria di pubblica utilità, che possano aver concretamente leso le posizioni soggettive delle istanti.
4.Quanto al terzo motivo di ricorso, anch’esso è infondato. La delibera C.C. n. 100/2000, costituendo, per quanto sopra detto, semplice adozione di variante urbanistica, non postulava analitica, completa e concreta indicazione dei mezzi finanziari necessari per la realizzazione dell’opera pubblica.
Legittimamente, dunque, l’Amministrazione, in quella fase, ha solo genericamente indicato i mezzi finanziari disponibili, facendo anche riferimento, per parte della spesa prevista, ad un mutuo ancora da stipulare.
E’ ben vero, infatti, ai sensi degli artt. 27 e 35 del D.Lgs. n. 77 del 25.2.1995 e 55 L. n. 142/1990, che gli enti locali non possono assumere impegni di spesa senza indicare il modo con cui farvi fronte (c.d. "copertura"), ma è anche vero che, proprio in base al primo comma dell’art. 27 sopra citato, l’impegno di spesa presuppone, tra l’altro, un’obbligazione giuridicamente perfezionata, nonché la determinazione della somma da pagare e del soggetto creditore. Ebbene tali elementi non connotano certamente l’atto impugnato, dal quale non consegue alcun preciso impegno nei confronti di terzi (come avviene invece, ad esempio, al momento dell’approvazione del contratto di appalto per l’esecuzione dei lavori). Cosicchè l’indicazione contenuta nella delibera in questione, riguardante un progetto preliminare, è da ritenersi più che sufficiente, dovendosi per contro verificare la concreta copertura della spesa solo al momento dell’approvazione del progetto definitivo con valore di pubblica utilità, se non addirittura al momento dell’assunzione dell’impegno derivante dal contratto di appalto (cfr. Corte Conti, sez. contr., n. 122 del 19.9.1995). Nella specie, peraltro, si dà atto, nella delibera G.C. n. 37/2001, non contestata in parte qua dalle ricorrenti, che "al finanziamento della spesa è stato provveduto con due mutui (per L. 5000 milioni e L. 7000 milioni rispettivamente) già contratti…..". La censura esposta è quindi priva di fondamento.
5.Anche il motivo rubricato sub 4) nella narrativa in fatto dev’essere disatteso. Con esso le istanti deducono, in estrema sintesi, la violazione degli artt. 3, 4 e 7 del D.M. LL.PP. 30.11.1999 n. 557 (Norme per la definizione delle caratteristiche tecniche delle piste ciclabili) e degli artt. 4 e 5 del DPR 14.7.1996 n. 503 (Norme per l’eliminazione delle barriere archietettoniche) oltre alle disposizioni da tale DPR richiamate (DM 236/89).
Al riguardo il Collegio ritiene di dover esaminare compiutamente sin d’ora il citato motivo di gravame (anche se il DM n. 557/99 è in realtà inconferente ai fini della valutazione di legittimità della delibera impugnata n. 100 del 28.7.2000, essendo stato pubblicato sulla G.U. del 26.9.2000, cioè ben due mesi dopo l’adozione della citata delibera), dal momento che trattasi di censura reiterata, in termini pressochè identici, nei confronti della delibera C.C. n. 10 del 25.1.2001 (approvazione definitiva della variante al PRG per la realizzazione dell’opera di cui trattasi) e della delibera G.C. n. 37 del 21.2.2001 (approvazione del progetto definitivo/esecutivo), sicchè le considerazioni che verranno di seguito ora esposte potranno particolarmente valere anche in riferimento all’impugnazione di tali delibere (effettuata con motivi aggiunti).
Ebbene, quanto alla pretesa violazione dell’art. 3 del DM 557/99, il Comune ha chiarito, in sede difensiva (cfr. relazioni del 6.12.2000 e del 2.5.2001, in atti), che il piano della rete degli itinerari pedonali ciclabili –comprendente pure quelli a margine del Viale Castracani- è stato approvato sin dal 1991 (delibera G.M. n. 2261 del 27.11.1991) ed è stato ripreso dal Piano del Traffico in corso di approvazione. A fronte di tale precisazione, non contestata in fatto dalle ricorrenti, va disattesa la censura di violazione del suddetto art. 3.
Per ciò che attiene poi alle caratteristiche tecniche della pista ciclabile di cui trattasi (che ad avviso delle opponenti non risponderebbe ai requisiti dimensionali imposti dalla normativa invocata), rileva il Collegio quanto segue:
a)la pista di cui trattasi, in corrispondenza del sottopasso, è stata realizzata su sede rialzata rispetto a quella della carreggiata stradale e con larghezza non inferiore, in nessun punto, a m. 1,50;
b)i percorsi promiscui, pedonali-ciclabili, come quello in questione, sono ammessi dal comma 5 dell’art. 4 del DM n. 557/99. Per tali percorsi, poi, la stessa norma prevede l’opportunità (e non dunque l’obbligo) di procedere ad un incremento della larghezza della pista rispetto ai minimi fissati dall’art. 7. Il che presuppone che possa ritenersi legittima anche una pista promiscua realizzata senza tale incremento, qualora motivi tecnici o altre considerazioni riservate alla discrezionalità dell’Amministrazione, sconsiglino l’incremento stesso;
c)i minimi, peraltro, fissati per le piste ciclabili dall’art.7 (cui l’art. 4 rinvia senza ulteriori precisazioni) vanno individuati in quelli di metri 1 (stabiliti espressamente per le piste in sede propria e su corsie riservate), anche perché tra le corsie riservate sono da ricomprendere, ai sensi dell’art. 6 lettera c), quelle ricavate dai marciapiedi e che sono quindi nella sostanza da equipararsi a percorsi promiscui;
d)né sembra palesemente illogico pensare, nella specie, in relazione alla situazione dei luoghi (ed in presenza oltretutto di una viabilità aggiuntiva ed alternativa di superficie), ad un traffico pedonale, nelle due percorrenze promiscue, abbastanza ridotto (cfr. lett. b comma 5 ripetuto DM);
e)con riferimento poi alla normativa per il superamento delle barriere architettoniche (DPR n. 503/96 e DM 236/89), va rilevato che, contrariamente a quanto assumono le ricorrenti, in caso di percorsi misti pedonali ciclabili, la larghezza dei marciapiedi (nei limiti stabiliti da tale normativa) va calcolata tenendo conto di quella delle piste promiscue pedonali-ciclabili, e non in aggiunta ad essa. Di modo che, poiché la misura minima del percorso pedonale, ai sensi dell’art. 8.2.1 del DM 14.6.1989 n. 236, dev’essere di 90 cm, la larghezza del percorso in contestazione è più che sufficiente. Quanto alla larghezza di m. 1,70 (per gli slarghi da realizzare ogni 10 m. onde consentire le manovre di persona su sedia a ruote, ai sensi del citato art. 8.2.1) essi sono previsti, dall’art. 8.0.2 del DM del 1989, in tale misura, per consentire particolari cambi di direzione, mentre nella specie le due percorrenze pedonali ciclabili sono state progettate come percorrenze monodirezionali, per cui le ipotesi dei suddetti cambi direzionali non sono prefigurabili.
In base alle considerazioni di cui sopra, vanno respinti l’ultimo mezzo del ricorso introduttivo, nonché le censure formulate nei motivi aggiunti, rubricate sub IV (in parte) e sub VI.
6.Procedendo all’esame dei residui motivi aggiunti, va respinto quello sub I, basato sull’assunto che l’Amministrazione avrebbe respinto le "osservazioni", in sede di approvazione della variante, in blocco, senza esame specifico di ciascuna di esse e senza motivazione. Al riguardo, rileva il Collegio, anzitutto, che non sembra ipotizzabile un interesse delle ricorrenti, che non hanno presentato all’Amministrazione osservazioni proprie, a censurare il contenuto delle controdeduzioni formulate dalla P.A. in ordine ad osservazioni di altri soggetti. In secondo luogo, va comunque sottolineato che l’Amministrazione ha esaminato adeguatamente e analiticamente le osservazioni pervenute, pur trattandole, per semplificazione, in unico documento, ed il fatto che tale documento sia stato fatto proprio unitariamente dal C.C. non ha alcuna rilevanza in ordine all’obbligo di motivazione, che è stato esaustivamente assolto.
7.Con il secondo e terzo motivo aggiunto di gravame, si censura poi, sostanzialmente, l’attuazione della variante in sede comunale, ex art. 40 comma 2 lett. a) della L.R. Toscana n. 5/1995, sul presupposto (ritenuto erroneo dalle ricorrenti) della rilevanza esclusivamente comunale dell’opera pubblica da realizzare, nonché la mancata approvazione della variante stessa da parte della Regione, ipotizzandosi, al riguardo, anche una questione di legittimità costituzionale, per violazione dell’art. 117 Cost, dello stesso art. 40 della citata Legge Regionale, nella parte in cui consente l’approvazione delle varianti come quella di specie in esclusiva sede comunale.
Le censure suddette, che si esaminano congiuntamente in quanto entrambe attinenti ai presupposti normativi della variante urbanistica de qua, risultano (anche a prescindere dall’approfondimento del dubbio fumus da cui sono assistite) irricevibili, poiché con esse si fanno valere supposti motivi di illegittimità della variante medesima che erano già sussistenti e ben individuabili nella delibera consiliare di adozione -gravata con il ricorso introduttivo- n. 100 del 28.7.2000. In tale delibera invero si faceva chiaro ed inequivoco riferimento all’opzione per una variante semplificata, da adottarsi ed approvarsi in sede comunale, ex art. 40 comma 2 lettera a) (variante per opere pubbliche di esclusivo interesse comunale o, come espressamente enunciato nella delibera suddetta, con bacino di utenza esclusivamente riferito al Comune) della L.R. n. 5/1995. Nessuna censura, al riguardo, è stata peraltro formulata in sede di ricorso introduttivo mosso avverso la ripetuta delibera di adozione della variante medesima. Ora, è ben vero che, nel caso di approvazione di una variante al piano regolatore, è possibile contestare l’intero procedimento di pianificazione (e quindi anche la delibera di adozione) alla sua conclusione, e cioè con la delibera di approvazione definitiva della variante, facendo valere, in questo caso, tutti i vizi della procedura, ivi compresi quelli riguardanti la delibera di adozione. Tuttavia, reputa il Collegio che, nel caso in cui il privato, come nella specie, scelga di impugnare anche immediatamente la sola delibera di adozione, in tale impugnazione devono essere censurati tutti i vizi attinenti alla delibera stessa ed immediatamente riconoscibili, non potendo essi essere integrati in un secondo tempo, con il successivo ricorso (oggi con i motivi aggiunti) con cui viene impugnata la delibera di approvazione. Diversamente opinando, invero, si consentirebbe il surrettizio superamento di termini perentori di impugnativa ed il tardivo recupero di vizi ormai attinenti ad aspetti provvedimentali consolidati.
I motivi di censura suddetti sono quindi irricevibili per tardività e la questione di legittimità costituzionale ad essi collegata è conseguentemente non rilevante, prima che manifestamente infondata.
8.Con censure enunciate sub IV della narrativa in fatto, le ricorrenti contestano, poi, la delibera di approvazione della variante urbanistica (C.C. n. 10 del 25.1.2001) per illegittimità derivata da quella della delibera C.C. n. 100/2000. Peraltro, essendo quest’ultima immune, come già visto, dai vizi dedotti con il ricorso introduttivo, va disattesa anche, inevitabilmente, la suddetta censura di illegittimità derivata che ad essa fa riferimento.
9.Con il V motivo aggiunto (riferito, come i successivi, alla delibera G.C. n. 37 del 21.2.2001) le ricorrenti sostengono che l’Amministrazione, nel reiterare la dichiarazione di pubblica utilità al dichiarato scopo di dissipare al riguardo ogni dubbio di legittimità, avrebbe immotivatamente fissato una nuova decorrenza dei termini iniziali e finali delle espropriazioni e dei lavori (dalla data di esecutività della delibera stessa), anziché confermare la previsione a suo tempo espressa (termini decorrenti dalla data di esecutività della delibera n. 100/2000).
Reputa il Collegio che la doglianza di cui sopra sia da disattendere, in quanto correttamente l’Amministrazione ha fatto decorrere i termini in questione dalla dichiarazione (valida ed efficace) di pubblica utilità, indifferibilità e urgenza dei lavori, dichiarazione contenuta, appunto, nella delibera G.C. n. 37 del 2001, di approvazione del progetto definitivo/esecutivo.
10.Essendosi il Collegio già occupato del VI motivo aggiunto, può ora procedersi all’esame dei successivi motivi VII e VIII, con i quali le istanti deducono ulteriori illegittimità del progetto, per irregolarità prevalentemente tecniche.
Assumono, infatti, anzitutto, che l’Amministrazione comunale, pur essendosi "autovincolata", in uno schema di convenzione con le Ferrovie dello Stato allegato alla delibera C.C. n. 100/2000, al rispetto delle Norme Tecniche del C.N.R. (Anno XII- N. 60) sulle caratteristiche geometriche e di traffico delle strade urbane, avrebbe poi violato tali norme, in quanto le strade di superficie poste lateralmente al sottopasso in questione sarebbero prive di marciapiede.
Peraltro, il Collegio rileva che dagli atti progettuali emerge, a margine di gran parte della viabilità di superficie, la previsione di marciapiedi pedonali. Solo per un tratto (che l’Amministrazione stessa quantifica in circa 80 mt. di lunghezza) non è stato previsto il marciapiede. Al riguardo, infatti, il competente Settore Comunale, in sede difensiva, precisa che in quel tratto l’inserimento del marciapiede non è stato possibile per la presenza di recinzioni e fabbricati preesistenti. Ciò stante, il Collegio rileva che le caratteristiche della viabilità pedonale di superficie, nella parte in contestazione, non sono in ogni caso tali da inficiare radicalmente il progetto nel suo complesso, sicchè sull’argomento esposto non può radicarsi l’interesse delle istanti alla caducazione della delibera approvativa del progetto stesso, con effetti dichiarativi di pubblica utilità. Invero, nella situazione sopra descritta, eventuali problemi di circolazione pedonale potranno comunque essere risolti, dai competenti uffici comunali, anche a posteriori, con apposita segnaletica ed accorgimenti tali da imporre velocità di circolazione automobilistica particolarmente ridotta. D’altro canto, la situazione dei luoghi (e particolarmente la realizzazione del sottopasso verosimilmente destinato ai flussi di circolazione stradale più intensi e spediti) conferma l’assunto difensivo della P.A. secondo il quale la viabilità di superficie in questione (a servizio di 5 fabbricati) sarà interessata da traffico estremamente limitato ed esclusivamente residenziale, sicchè non è illogico effettivamente pensare che la circolazione pedonale possa comunque svolgersi in condizioni di sicurezza. In ogni caso, appositi percorsi pedonali riservati, potranno comunque essere opportunamente realizzati dall’Amministrazione ed al riguardo va evidenziato che già il progetto sembra prevedere fasce di pertinenza stradale, allo stato parzialmente destinate ad alberature e che, in base al punto 3.1.9 della citata Direttiva C.N.R., possono essere utilizzate per "marciapiedi e passaggi pedonali di servizio".
La censura esaminata va quindi disattesa.
Le istanti lamentano poi la mancata predisposizione, a corredo del progetto definitivo-esecutivo, delle indagini idrogeologiche, idrauliche e sismiche, previste dall’art. 25 del DPR n. 554/1999.
Peraltro, il Collegio rileva che la relazione geologica e geotecnica allegata al progetto in parola si occupa anche degli aspetti idraulici e idrogeologici e che tali aspetti sono stati vagliati anche in sede di controdeduzioni alle osservazioni, come risulta dalla relazione del 22.5.2000, inviata dall’incaricato Studio di Geologia al Comune di Lucca. Per quanto concerne poi la relazione sismica, ragionevolmente, ad avviso del Collegio, essa è stata omessa in quanto (come precisato anche nella relazione geologica e com’è del resto in punto di fatto non contestato dalle ricorrenti) il Comune di Lucca non rientra nelle zone classificate come sismiche. Anche tali doglianze sono quindi prive di fondamento.
Quanto, infine, all’ultima censura espressa nei motivi aggiunti, essa consiste nell’assunto che non risulterebbe menzionata la c.d. "validazione" del progetto esecutivo prevista dall’art. 47 del citato Regolamento (DPR 554/99). Peraltro, consistendo detta "validazione" in controlli e verifiche del responsabile del procedimento sulla conformità del progetto alla normativa vigente, la censura riguardante tale fase procedimentale (immediatamente precedente l’approvazione del progetto stesso) si risolve in un rilievo meramente formale, dovendosi, la parte ricorrente, in generale, fare piuttosto carico di aspetti relativi a carenze effettive del progetto e non alla mancata verifica formale del progetto stesso da parte del responsabile del procedimento. E ciò senza considerare, oltretutto, da un lato, che nella specie detto responsabile conferma, in sede difensiva (note del 2 e 4.5.2001), di aver operato detta "validazione", dall’altro, che il Regolamento di attuazione della legge n. 109/94 non prevede che di tale "validazione" sia data formale attestazione nella delibera di approvazione del progetto, ed infine che, sebbene ai sensi dell’art. 49 del D.Lgs. n. 267/2000, nel caso in esame il responsabile del servizio interessato (è chiarito nella delibera n. 37/2001) ha espresso parere favorevole in ordine "alla regolarità tecnica". La censura in questione va quindi rigettata.
11.Alla stregua delle suesposte considerazioni il ricorso e i motivi aggiunti di cui in epigrafe vanno in parte dichiarati inammissibili e in parte respinti.
Le spese, tuttavia, ricorrendo giusti motivi, possono compensarsi tra le parti.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana, Firenze, I Sezione, dichiara in parte inammissibile e in parte respinge il ricorso e i motivi aggiunti di cui in epigrafe.
Compensa le spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Firenze nella Camera di Consiglio del 18.6.2002.
Dott. Maurizio Nicolosi-Presidente f.f. - F.to Maurizio Nicolosi
Dott. Domenico Lundini - Estensore - f.to Domenico Lundini
F.to Mario Uffreduzzi - Direttore della Segreteria
DEPOSITATA IN SEGRETERIA il 27 giugno 2002.