CONSIGLIO DI STATO, SEZ. V - Sentenza 6 marzo 2002 n. 1342 - Pres. Varrone, Est. Mastrandrea - D'Addio (Avv.ti Del Nevo e Coccia) c. Comune di Basaluzzo (Avv.ti Monti e Paletti), U.S.L. n. 73 di Novi Ligure ed altri (n.c.) - (annulla T.A.R. Piemonte, Sez. II, sent. 11 aprile 1995, n. 239).
1. Concorso - Bando - Impugnativa immediata - Necessità - Sussiste solo nel caso di clausole immediatamente percepibili come lesive - Previsione di requisiti non facilmente accertabili dagli aspiranti in via preventiva - Immediata impugnazione - Non occorre - Fattispecie relativa a requisito dell'altezza minima previsto dal bando di concorso.
2. Concorso - Bando - Per la copertura di posti di vigile urbano - Previsione di un limite minimo di altezza - Illegittimità ai sensi dell'art. 1 L. n. 874/86 e del D.P.C.M. n. 411/1987 - Inapplicabilità ai vigili urbani dei limiti di altezza previsti per la polizia di Stato.
1. Il principio generale secondo cui i bandi di concorso vanno immediatamente ed autonomamente impugnati nel caso in cui contengano clausole immediatamente lesive dell'interesse degli aspiranti al concorso perché impongono determinati requisiti di partecipazione, non può applicarsi nel caso in cui il requisito prescritto (nella specie, dell'altezza minima che dovevano possedere i concorrenti) non costituisca un elemento assolutamente obiettivo e comunque nel caso in cui gli interessati non siano in grado fin da subito di avvertire la portata lesiva della clausola che prescrive il possesso del requisito (1).
2. La legge 13 dicembre 1986 n. 874, anche alla luce dei principi costituzionali, esclude qualsiasi discriminazione fondata sull'altezza per l'accesso ai pubblici impieghi, fatte salve le ipotesi particolari individuate dal D.P.C.M. 22 luglio 1987 n. 411 - che reca una normativa di stretta interpretazione e di carattere per sua natura tassativo - tra le quali tuttavia non è ricompresa quella concernente il concorso per vigile urbano; è pertanto illegittimo il bando di concorso a posti per vigile urbano che preveda, ai fini dell'ammissione, il requisito della statura minima, non potendosi applicare in via analogica a tale tipo di concorso i limiti di altezza previsti per l'accesso ai ruoli della Polizia di Stato (2).
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(1-2) Commento di
GIOVANNI VIRGA
La decorrenza del termine d'impugnazione ed il sogno di Rascel.
SOMMARIO: 1. Percezione della capacità lesiva del bando e decorrenza del termine di impugnazione. 2. La fattispecie esaminata dalla Sez. V. 3. La disciplina attuale dei limiti di altezza per l'accesso a posti di pubblico impiego.
1. La sentenza in rassegna è particolarmente significativa nella parte in cui finisce per affermare che il principio generale, ripetutamente affermato dalla giurisprudenza amministrativa, secondo il quale le clausole del bando di concorso che prevedono requisiti a pena di esclusione vanno immediatamente impugnate, entro il termine di decadenza decorrente dalla data di pubblicazione del bando stesso, non può applicarsi nel caso in cui il candidato non sia stato in grado di rendersi conto fin dall'inizio della portata lesiva delle clausole stesse, perché queste ultime fanno riferimento ad un requisito non facilmente accertabile in via preventiva. In tale ipotesi deve ritenersi invece ammissibile l'impugnativa del bando assieme (ed in occasione) dell'impugnativa del provvedimento con il quale, in applicazione della clausola del bando, sia stata disposta l'esclusione.
Il principio affermato dalla Sez. V, in tal modo supera la rigidità connessa alla applicazione della regola generale (che impone l'onere di impugnare immediatamente i requisiti prescritti dal bando di concorso a pena di esclusione e che prevede una eccezione solo nel caso in cui la clausola sia da ritenere ambigua), la quale risulta, oltre che troppo severa e formalistica, anche inapplicabile a tutti quei casi in cui i concorrenti non siano in grado di percepire fin da subito la portata lesiva delle clausole del bando.
In senso opposto si era invece orientata in precedenza la stessa Sez. V, la quale, proprio con riferimento al caso di bandi di concorso che prevedevano limiti minimi di altezza, con due recenti sentenze aveva invece affermato che «va immediatamente e tempestivamente impugnata una clausola del bando di concorso secondo cui i candidati debbono avere una certa altezza minima, atteso che tale clausola, per la sua inequivocità, non può consentire interpretazioni integrative ed è, pertanto, immediatamente lesiva» (v. in tal senso Sez. V, sent. 26 gennaio 2000 n. 330, in questa Rivista, pag. http://www.giustamm.it/private/cds/cds5_2000-330.htm; v. in senso analogo anche la sentenza della stessa Sezione 18 dicembre 2000 n. 6770, ivi, pag. http://www.giustamm.it/private/cds/cds5_2000-6770.htm).
Secondo invece il nuovo orientamento della Sez. V, in tutti quei casi in cui i candidati abbiano una statura prossima al limite previsto dal bando e non siano quindi in grado di percepire obiettivamente ed in modo sicuro la portata lesiva della clausola limitativa prevista dal bando, deve ritenersi ammessa l'impugnazione del bando assieme all'atto applicativo (v. di recente nello stesso senso anche T.A.R. Puglia-Bari, Sez. II, 19 marzo 2001 n. 700, in questa Rivista, pag. http://www.giustamm.it/private/tar/tarpugliaba2_2001-700.htm ed ivi ult. rif.).
A ben vedere, il principio in discorso non costituisce altro che applicazione dell'orientamento generale della giurisprudenza più recente (per una prima pronuncia in tal senso v. C.G.A., 26 febbraio 1987 n. 61, in Giur. amm. sic. 1987, I, 227 ed in Dir. proc. amm., 1988, I, 71 ss., con una mia nota di commento: Interesse sopravvenuto o sopravvenuta conoscenza dell'atto impugnato?), secondo cui il termine per l'impugnazione può decorrere solo dal momento in cui l'interessato non solo sia stato posto in grado di conoscere l'atto, ma anche sia stato posto in condizione di valutarne la portata lesiva.
E' stato in proposito osservato che «dal principio di completezza ed effettività della tutela giurisdizionale, discendente dall'art. 24 della Costituzione, deriva che qualunque soggetto deve essere posto in grado di agire e resistere in giudizio per far valere le proprie ragioni, anche se derivanti da interessi sopravvenuti» (v. in tal senso C.G.A., 27 ottobre 1997, n. 490, in Giust. amm. sic., fasc. 4/97, p. 1143; nello stesso senso v. anche Cons. Stato Sez. V 2 marzo 1994, n. 134, in Foro amm., 1994, fasc. 7-8, p. 1776-1782, con nota di O.M. CAPUTO, L'interesse al ricorso sopravvenuto; C.G.A, 22 dicembre 1995, n. 388, in Il Cons. Stato 1995, I, 1726), atteso che «l'evento della piena conoscenza, che fa iniziare la decorrenza del termine per l'impugnazione, si perfeziona solo quando l'interessato abbia la piena percezione della lesione, e cioè del danno ingiusto da lui subito» (v. in tal senso T.A.R. Puglia-Bari, Sez. II, 15 novembre 1996, n. 735, in Il Foro amm. 1997, 1504; in senso analogo v. anche T.A.R. Sicilia-Palermo, Sez. II, 2 maggio 1989, n. 256, in Giur. amm. sic., fasc. 3/89, p. 403; T.A.R. Sicilia-Catania, Sez. I, 15 maggio 2000 n. 922, in questa Rivista, pag. http://www.giustamm.it/tar1/tarcatania1_2000-922.htm; in dottrina v. P. VIRGA, Riapertura di termini per interesse "sopravvenuto", in Nuova Rass., 1997, fasc. 6, p. 689 ss. e S. GIACCHETTI, L'interesse legittimo alle soglie del 2000, in questa Rivista, pag. http://www.giustamm.it/articoli/giacchetti_2000.htm).
L'orientamento in discorso si basa su di una semplice constatazione: affinché possa decorrere il termine per l'impugnazione, non è sufficiente dimostrare che l'interessato abbia avuto conoscenza o comunque (nel caso in cui non si tratti di atti recettivi) sia stato posto in grado - tramite la pubblicazione - di conoscere il provvedimento, ma è anche che sia stato posto in grado di apprezzarne la capacità lesiva.
Anche se nella maggior parte dei casi la conoscenza e la percezione della lesione intervengono nello stesso momento, vi sono delle ipotesi in cui la percezione della lesione interviene dopo la conoscenza del provvedimento. E la fattispecie esaminata dalla sentenza in rassegna costituisce proprio una di queste ipotesi.
2. La sentenza affronta il caso di un bando di un concorso per la copertura di posti di vigile urbano, il quale prevedeva, a pena di esclusione, fra l'altro, che gli aspiranti dovevano avere una altezza minima (in particolare era prevista per le donne una statura non inferiore a mt. 1,61).
A tale concorso chiedeva di partecipare la appellante, la quale - come risulterà dalle diverse misurazioni che sarebbero state poi eseguite - ha una altezza molto prossima a quella minima prevista dal bando.
L'appellante, essendo risultata vincitrice del concorso, produceva i documenti richiesti dall'Amministrazione, tra i quali un certificato della USL n. 73 di Novi Ligure, con cui l'accertatore, Dott. Merlo, attestava una statura di mt. 1,62.
Tuttavia, a seguito anche di formale contestazione del 2° classificato, il Dott. Merlo emetteva un nuovo certificato, integralmente sostitutivo del precedente, con il quale (allegando un presunto "errore materiale nella valutazione dei dati antropometrici" effettuata in precedenza) attestava invece una statura di mt. 1,59.
Alla luce di questo secondo certificato, l'Amministrazione escludeva dal concorso l'interessata, la quale proponeva ricorso innanzi al T.A.R. Piemonte, impugnando, assieme al provvedimento di esclusione, anche la clausola del bando che prevedeva il limite minimo di altezza.
Il T.A.R. Piemonte, dopo avere disposto con ordinanza collegiale istruttoria un accertamento (a seguito del quale l'altezza della ricorrente era stata misurata con tre strumenti diversi e in diversi orari della giornata ed era risultata variante da un minimo di mt. 1,575 ad un massimo di mt. 1,59), aveva tuttavia dichiarato irricevibile il ricorso, dato che era volto a contestare la legittimità della previsione del bando circa il requisito della statura minima femminile, considerata immediatamente lesiva.
Tale sentenza, come già detto, è stata riformata dalla Sez. V, la quale ha ritenuto invece tempestivo il ricorso, tenuto conto del fatto che, come era risultato dagli accertamenti tecnici eseguiti, la statura di una persona può variare, e non di pochissimo, "a seconda dei criteri di misurazione adottati e delle situazioni soggettive nel momento preciso della misurazione" (come già detto, nella specie la statura della appellante era risultata secondo alcune misurazioni di mt. 1,57 e secondo altre di mt. 1,59).
Poiché il bando riferimento ad un requisito (qual è quello della statura) che non costituisce un elemento obiettivo facilmente accertabile dal candidato in modo sicuro, non sussisteva quindi, secondo la Sez. V, un onere di impugnare immediatamente il bando; sono comunque stati ritenuti sussistenti i presupposti per il riconoscimento dell'errore scusabile.
Nella specie infatti l'appellante, la cui altezza era prossima al limite minimo previsto dal bando, non era evidentemente in grado di percepire la portata lesiva della clausola che imponeva un limite minimo di altezza.
3. Superate le secche procedurali che derivavano dalla dichiarazione di irricevibilità del ricorso, la Sez. V ha accolto il ricorso stesso, osservando che l'art. 1 della legge n. 874/1986 ha stabilito che l'altezza delle persone non può più costituire motivo di discriminazione per la partecipazione ai pubblici concorsi indetti dalle pubbliche amministrazioni, comprese quelle ad ordinamento autonomo e dagli enti pubblici, salvo i casi previsti dal successivo art. 2 che, a sua volta, ha fatto rinvio ad un apposito D.P.C.M. attuativo, adottato con il decreto n. 411/87.
Quest'ultimo D.P.C.M., specificando le mansioni e le qualifiche speciali per le quali è necessario definire un limite di altezza, non ha incluso i vigili urbani né i messi comunali tra le categorie di personale per i quali possono essere previsti limiti di altezza, prevedendo tale possibilità di deroga solo ed esclusivamente per ufficiali e sottufficiali delle Forze Armate, per il personale della Polizia di Stato, dei vigili del Fuoco, della Guardia di Finanza e del Corpo Forestale dello Stato, nonché per parte del personale delle Ferrovie dello Stato; onde nei confronti degli aspiranti a posti di vigile urbano e di messo comunale in atto non può essere previsto alcun limite di altezza minimo (per l'affermazione del principio in precedenza v. Cons. Stato, Sez. V, 25 settembre 2000, n. 5071, inedita).
Né, comunque, secondo la Sez. V, può accettarsi l'imposizione di un limite minimo per la statura nei concorsi per la copertura di posti di vigile urbano sulla base di una mera assimilazione alla Polizia di Stato, e quindi in analogia con le disposizioni speciali stabilite per i concorsi di accesso alla medesima. L'assimilazione, per certi versi, dei vigili urbani agli agenti di pubblica sicurezza non può, infatti, comportare tout court, in mancanza di una apposita disposizione normativa, la parificazione delle due categorie per quanto concerne il possesso dei minimi di statura prescritti per l'assunzione.
Riassumendo quindi molto sinteticamente: un/a concorrente che ha una altezza minima prossima a quella prevista dal bando, non essendo immediatamente in grado di percepire la portata lesiva della eventuale clausola limitativa, può anche impugnare il bando in occasione del provvedimento applicativo.
Tutti i concorrenti affetti da problemi di altezza, in ogni caso, come risulta dalla seconda massima della sentenza in discorso, possono legittimamente aspirare a ricoprire un posto di vigile urbano o di messo notificatore, dato che per questi ultimi profili professionali l'attuale normativa non prevede alcun limite di altezza, nè sono comunque applicabili in via analogica i limiti previsti per altre categorie di impiego; in tal modo è divenuto parzialmente vero il sogno di Renato Rascel (il quale, per la verità, aspirava a fare il corazziere e, se fosse ancora in vita, potrebbe solo oggi aspirare a fare il vigile urbano).
Il problema dell'altezza minima per accedere a posti di pubblico impiego e la razionalità dell'attuale disciplina normativa (che, come risulta dalla sentenza in rassegna, prevede limiti per la Polizia di Stato, ma non anche per i Vigili urbani), sta comunque per essere risolto non già dalla legislazione, che ancora oggi sembra ben lungi dall'essere omogenea, ma dall'evoluzione delle nuove generazioni, le quali, come danno atto le statistiche, risultano - anche grazie alle mutate abitudini alimentari - più alte di quelle precedenti.
Le statistiche ovviamente, seguendo l'esempio classico del pollo di Trilussa, danno atto solo dell'esistenza di una tendenza "media" generale.
Non è da escludersi che anche nelle nuove generazioni ci sia qualcuno/a che abbia una altezza inferiore ai fatidici metri 1,61. Per questi soggetti (ormai sempre meno numerosi, ma non per questo da dimenticare) la normativa attuale prevede tuttavia che possono aspirare a divenire vigili urbani, ma non poliziotti o corazzieri. Lasciando così il sogno di Rascel in parte incompiuto.
Agli aspiranti corazzieri con problemi di altezza che non rimane a questo punto che appellarsi - per la modifica del vigente D.P.C.M - al nostro Presidente del Consiglio, il quale, qualche settimana addietro, sfilandosi le scarpe davanti ai giornalisti per dimostrare che non usava tacchi rinforzati o solette di rialzo, si è già mostrato sensibile al problema dell'altezza, anche se forse non potrebbe metter direttamente mano al D.P.C.M. stesso per un conflitto di interessi che gli verrebbe immediatamente contestato dall'opposizione, non eliminabile neanche col blind trust. Il nostro Presidente comunque sarà lieto di apprendere che la statura non costituisce sempre un dato assolutamente obiettivo, ma può variare - come affermato dal Consiglio di Stato con la sentenza in rassegna - "e non di pochissimo ... a seconda dei criteri di misurazione adottati e delle situazioni soggettive nel momento preciso della misurazione"; il che vale pure per la statura degli uomini politici, anche se per la loro misurazione definitiva occorre attendere la media ponderata che ne fa poi la Storia.
FATTO
1. Con ricorso proposto dinanzi al TAR Piemonte l'attuale appellante ha impugnato il bando del concorso per titoli ed esami, indetto dal Comune di Basaluzzo con delibera del 8 febbraio 1993, per la copertura di 1 posto di vigile urbano - quinta qualifica funzionale - nella parte in cui prevedeva, quale requisito per la nomina, la statura non inferiore a m. 1,61 per le donne.
La sig.ra D'Addio, che era risultata vincitrice del concorso e conseguentemente era stata nominata in prova, si è altresì gravata avverso gli atti relativi alla decadenza della propria nomina, in cui la medesima è incorsa in relazione al mancato possesso del requisito della statura minima, comprensivamente della nomina del 2° classificato, sig. Torre Tiziano.
La ricorrente esponeva che, richiesta della produzione dei documenti prescritti, tra i quali il certificato attestante il possesso del requisito della statura minima, ella aveva presentato un certificato della ULSS n. 73 di Novi Ligure in data 8 ottobre 1993 in cui l'accertatore, medico di funzione pubblica dott. Mario Merlo, attestava una statura di m. 1,62.
A seguito anche di formale contestazione - in data 20 ottobre 1993 - del 2° classificato sig. Torre, peraltro successivamente a sua volta dichiarato decaduto per non aver assunto servizio nei termini, il menzionato medico accertatore rilasciava, in data 20 ottobre 1993, un nuovo certificato, integralmente sostitutivo del precedente, in cui (alla luce di un presunto "errore materiale nella valutazione dei dati antropometrici") attestava invece una statura di m. 1,59.
Seguiva dunque la contestata decadenza dalla nomina.
2. Il Tribunale di prima istanza si è, anzitutto, espresso nel senso dell'irricevibilità del ricorso, nella parte in cui era rivolto a contestare la legittimità della previsione del bando circa il requisito della statura minima femminile, considerata immediatamente lesiva.
Relativamente, invece, all'impugnazione della deliberazione di presa d'atto della decadenza della ricorrente dalla nomina per difetto del requisito dell'altezza, il TAR ha pronunciato un giudizio di infondatezza delle censure proposte dall'istante, non prima di aver disposto, con ordinanza n.23/i in data 12 gennaio 1994, una verificazione circa l'altezza della ricorrente, la quale, misurata con tre strumenti diversi e in diversi orari della giornata, è risultata variante da un minimo di m. 1, 575 ad un massimo di m. 1, 59.
3. La sig.ra D'Addio ha dunque interposto l'appello in trattazione, deducendo vari profili di violazione di legge.
4. Il Comune appellato si è costituito in giudizio per resistere all'appello, sollevando profili di inammissibilità, oltre che di infondatezza, del gravame.
Alla pubblica udienza del 20 novembre 2001 il ricorso in appello è stato introitato per la decisione.
DIRITTO
1. L'appello, oltre che ammissibile, è fondato.
Va anzitutto smentita, in punto di fatto, l'asserzione del Comune circa la mancata impugnazione della sentenza di prime cure nel capo in cui ha dichiarato l'irricevibilità dell'impugnazione del bando, con conseguente presunta inammissibilità, in parte qua, del gravame in appello.
Al riguardo è sufficiente fare riferimento alle deduzioni di parte appellante di cui alla pag. 8 (ultimo capoverso) e seguenti del ricorso in trattazione.
2. Inoltre, nel riproporre l'impugnazione del bando, la D'Addio, ad avviso del Comune, avrebbe introdotto un motivo nuovo non dedotto in primo grado.
L'eccezione di inammissibilità del Comune ha consistenza ma non riguarda tanto, come invece enunciato dall'Amministrazione, il secondo motivo di appello, bensì il primo mezzo di censura (violazione della ratio e delle finalità della legge 125/91), profilo di doglianza destinato ad essere assorbito alla luce della fondatezza del secondo motivo, relativo invece alla violazione, da parte delle prescrizioni generali del concorso, delle norme di cui alla legge 13 dicembre 1986, n. 874 ed al DPCM 22 luglio 1987, n. 411.
3. Per il resto giova procedere per gradi.
Elemento pregiudiziale è verificare se il ricorso di prima istanza, anche nella parte proposta avverso il bando di concorso, era ricevibile, prima di accertarne la fondatezza nel merito.
Orbene, nelle condizioni "border line" possedute dalla ricorrente che, come dimostrato dalla verificazione disposta in primo grado, è risultata alta pochissimi centimetri, nell'ordine di due - tre, in meno della statura richiesta dalla normativa di concorso, non si poteva in effetti ricondurre una portata direttamente lesiva alla previsione limitatrice del bando.
La disposizione concorsuale, nel fissare un determinato limite di altezza per partecipare alla selezione, contrariamente a quanto sostenuto dai primi giudici, non ha fatto tra l'altro riferimento ad un elemento assolutamente obiettivo, potendo la statura di una persona variare, e non di pochissimo (come confermato dallo stesso esito della verificazione), a seconda dei criteri di misurazione adottati e delle situazioni soggettive nel momento preciso della misurazione; quindi ancor più non poteva pretendersi che la ricorrente, nella sua concreta situazione (alta tra cm 157,5 e 159), fosse in grado fin da subito di avvertire la portata lesiva della suddetta disposizione.
Come per certi versi confermato dal comunque anomalo intervento correttivo in seconda battuta del medico di funzione pubblica, non è stato il bando ma l'atto certificativo della misurazione, con le conseguenze che a quel punto ne ha doverosamente tratto l'Amministrazione, ad incidere sulla posizione sostanziale dell'attuale ricorrente, la quale, data anche la banda di oscillazione dei metodi di misurazione, poteva ragionevolmente ritenere di essere in possesso del requisito prescritto dalla lex specialis.
Pur dovendosi dunque prendere atto dell'orientamento consolidatosi circa la doverosa impugnazione immediata ed autonoma dei bandi di concorso, ove contenenti clausole immediatamente lesive dell'interesse degli aspiranti al concorso (perché impongono determinati requisiti di partecipazione), con conseguente inammissibilità sia dell'impugnazione rivolta solo contro il provvedimento di esclusione dal concorso, costituente atto meramente esecutivo ed applicativo del bando, sia dell'impugnazione contestuale del bando stesso e dell'esclusione, ove siano decorsi i termini per il ricorso contro il bando medesimo (cfr. Cons. Stato A.P. (ord.za) 4 dicembre 1998 n. 1), nella specie sussistevano, in adesione a quanto argomentato dalla difesa dell'appellante, almeno i presupposti per il riconoscimento dell'errore scusabile.
4. Nel merito, l'appello merita accoglimento, dovendosi attribuire esito favorevole al gravame di prime cure alla luce della fondatezza della censura relativa all'illegittimità, per violazione delle disposizioni della legge n. 874 del 1986 e di quelle attuative di cui al DPCM n. 411 del 1987, della previsione nel bando di concorso introducente un limite minimo di statura per la partecipazione alla selezione.
L'art. 1 della predetta legge ha statuito che l'altezza delle persone non costituisce motivo alcuno di discriminazione per la partecipazione ai concorsi pubblici indetti dalle pubbliche amministrazioni, comprese quelle ad ordinamento autonomo, e dagli enti pubblici, salvo i casi previsti dal successivo art. 2 che, a sua volta, ha fatto rinvio ad un apposito DPCM attuativo, adottato appunto con il decreto n. 411/87.
Le disposizioni di attuazione, specificando le mansioni e le qualifiche speciali per le quali è necessario definire un limite di altezza, non ha incluso i vigili urbani né, tanto meno, i messi comunali, prevedendo tale possibilità di deroga solo ed esclusivamente per ufficiali e sottufficiali delle Forze Armate, per il personale della Polizia di Stato, dei Vigili del Fuoco, della Guardia di Finanza e del Corpo Forestale dello Stato, nonché per parte del personale delle Ferrovie dello Stato.
Né, del resto, il Regolamento organico del personale relativo al Comune di Basaluzzo prevedeva un siffatto requisito speciale per l'accesso al posto di messo - vigile urbano.
Trovando peraltro il Collegio conforto nell'analoga conclusione recentemente assunta dalla Sezione in fattispecie del tutto assimilabile, è doveroso dunque evidenziare che la legge 13 dicembre 1986 n. 874, anche alla luce dei principi costituzionali, esclude qualsiasi discriminazione fondata sull'altezza per l'accesso ai pubblici impieghi, fatte salve le ipotesi particolari individuate dal D.P.C.M. 22 luglio 1987 n. 411 - che reca una normativa di stretta interpretazione e di carattere per sua natura tassativo - tra le quali però non è ricompresa quella concernente il concorso per vigile urbano; pertanto è da dichiararsi illegittimo il bando di concorso a posti per il detto profilo professionale che preveda, ai fini dell'ammissione, il requisito della statura minima (cfr., in tema, Cons. Stato, V, 25 settembre 2000, n. 5071).
Né, al contrario di quanto sostenuto dal Comune resistente, può accettarsi l'imposizione di un limite minimo per la statura nei concorsi per la copertura di posti di vigile urbano sulla base di una mera assimilazione alla Polizia di Stato, e quindi in analogia con le disposizioni speciali stabilite per i concorsi di accesso alla medesima.
L'assimilazione, per certi versi, dei vigili urbani agli agenti di pubblica sicurezza non può, infatti, comportare tout court, in mancanza di una precipua disposizione normativa, la parificazione delle due categorie per quanto concerne il possesso dei minimi di statura prescritti per l'assunzione.
5. L'assorbente fondatezza della censura proposta avverso il bando di concorso, in parte qua, porta all'accoglimento dell'appello, e per l'effetto, in totale riforma della pronunzia impugnata, all'accoglimento del gravame di prime cure, risultando travolti, in via derivata, tutti gli atti adottati conseguentemente alla contestata previsione, ed in particolare la presa d'atto della decadenza dell'istante dalla nomina, adottata dall'Amministrazione alla stregua della disposizione della lex specialis di cui si è discusso.
Sussistono, nondimeno, giusti motivi per disporre l'integrale compensazione delle spese di lite tra le parti costituite, con riferimento ad entrambi i gradi di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sul ricorso in appello in epigrafe, lo accoglie e per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado proposto dall'attuale appellante.
Spese di lite compensate tra le parti costituite, relativamente ad entrambi i gradi di giudizio.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, il 20 novembre 2001, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), in camera di consiglio, con l'intervento dei seguenti Magistrati:
Claudio Varrone Presidente
Giuseppe Farina Consigliere
Paolo Buonvino Consigliere
Goffredo Zaccardi Consigliere
Gerardo Mastrandrea Consigliere est.
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
f.to Gerardo Mastrandrea f.to Claudio Varrone
Depositata in cancelleria il 6 marzo 2002.