CONSIGLIO DI STATO, SEZ. V - Sentenza 14 maggio 2003 n. 2574 - Pres. Quaranta, Est. Fera - USSL 2 di Gallarate (Avv.ti Benzoni e Romanelli) c. Cucinotta (Avv.ti Ravizzoli, Romano e Corti) (annulla T.A.R. Lombardia, Sez. II, 2 aprile 1997, n. 377).
1. Pubblico impiego - Dimissioni dal servizio - Revoca - Dopo che le dimissioni stesse siano state accettate - Impossibilità - Circostanza che sia mutato il regime previdenziale che ha concorso a determinare l'interessato alle dimissioni - Irrilevanza.
2. Pubblico impiego - Riammissione in servizio - Diniego - Per la insussistenza di ragioni di pubblico interesse alla riammissione - Contestazione della veridicità di tale affermazione - Necessità - Riferimento al parere favorevole espresso da un funzionario dell'Ente - Irrilevanza.
1. Il principio generale secondo il quale le dimissioni del dipendente, una volta accettate, diventano irretrattabili è applicabile nel campo del pubblico impiego anche quando, nel periodo intercorrente tra l'accettazione delle dimissioni e la cessazione effettiva del rapporto, muti il regime previdenziale che ha concorso a determinare l'interessato alle dimissioni (1).
2. Un provvedimento con il quale è stata respinta l'istanza di riammissione in servizio di un dipendente per la "insussistenza dei necessari presupposti di pubblico interesse" necessari per il suo accoglimento può essere contestato solo con riferimento alla veridicità di quest'ultima affermazione, nel caso in cui dalla fattispecie concreta emergano con chiarezza elementi che la contraddicano. E' a tal fine irrilevante che l'istanza di riammissione sia stata respinta dell'Amministrazione senza pronunciarsi sul parere favorevole reso dal funzionario del servizio cui era preposto il dipendente, atteso che tale parere costituisce una mera opinione che non può condizionare la scelta dell'organo competente a dare corpo concreto all'interesse pubblico attribuito all'ente e ad adottare il provvedimento (2).
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(1) Ha osservato in proposito la Sez. V che il principio della presupposizione, o condizione implicita inerente all'istanza di collocamento a riposo, non trova applicazione nel campo del pubblico impiego, in quanto la materia è regolata da un diverso criterio secondo il quale l'estinzione del rapporto di pubblico impiego per dimissioni volontarie si verifica in virtù del provvedimento con cui la pubblica amministrazione le accetta - per cui la facoltà di revoca di queste ultime da parte del dipendente non è più esercitatile quando tale atto sia stato già emanato (v. in tal senso Cons. Stato, sez. V, 3 ottobre 2000, n. 5283).
Inoltre, secondo la Sez. V, non è esatto sostenere che la tutela del dipendente, nel caso dall'introduzione di sistemi di calcolo della pensione o di condizioni meno favorevoli, rispetto quelli vigenti al momento della presentazione della domanda di collocamento a riposo, non sia stata disciplinata dal diritto positivo.
Questo aspetto, infatti, è stato preso in specifica considerazione dalla legge 24 dicembre 1993 n. 537, che all'articolo 11 comma 19, ha " fatta salva, per coloro che abbiano presentato domanda di collocamento in pensione successivamente al 31 dicembre 1992 e che ne facciano domanda entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, la possibilità di revocarla ovvero, qualora cessati dal servizio, di essere riammessi con la qualifica e con l'anzianità di servizio maturata all'atto del collocamento a riposo, con facoltà di riscattare il periodo scoperto ai fini della previdenza e della quiescenza secondo aggiornati criteri attuariali."
Il fatto che il legislatore abbia avvertito la necessità di una apposita disciplina transitoria, diretta a salvaguardare le esigenze qui rappresentate dal ricorrente, sta chiaramente a significare, in primo luogo, che il sistema è costruito in maniera tale da negare l'applicabilità, nella materia di considerata, del principio della presupposizione. Ed, in secondo luogo, che la facoltà di revoca della domanda di collocamento in pensione andava esercitata nei modi e nei tempi previsti dalla legge.
In senso diverso, ritenendo invece che "la revoca delle dimissioni da parte di un pubblico dipendente che abbia presentato le dimissioni stesse nell'erroneo convincimento di aver conseguito il diritto a conseguire la pensione va qualificata come proposta di estinzione del precedente accordo risolutivo del rapporto di lavoro; nel caso in cui tale proposta di revoca sia stata accettata da parte della P.A. il rapporto di lavoro deve considerarsi come mai estinto" v. TRIBUNALE DI GROSSETO - Ordinanza 23 febbraio 1999 n. 731, in questa Rivista n. 2/1999.
V. anche
Cons. Stato,
Sez. V - sentenza 5 marzo 2002 n. 1299, in questa Rivista n. 3-2002,
secondo cui in materia di revoca delle dimissioni volontarie dal servizio da
parte del pubblico dipendente, l'eventuale accettazione delle dimissioni stesse
da parte della amministrazione non si pone come causa preclusiva al ritiro delle
stesse da parte del dipendente, purché tale ritiro avvenga in costanza del
rapporto di impiego.
(2) Sulla riammissione in servizio dei dipendenti pubblici e sulla necessità di
una apposita specifica motivazione per il rigetto della relativa istanza v.
tuttavia da ult. in questa
Rivista
Cons. Stato, Sez. V, sent.3 giugno 2002 n. 3055 e
T.A.R.
Veneto, Sez. I, sent. 4 febbraio 2002 n. 431.
FATTO
Il signor Francesco Cucinotta presentò, nel mese di dicembre 1993, una istanza di dimissioni volontarie con decorrenza dal primo settembre 1996, che venne accolta dall'azienda USSL 2 di Gallarate con delibera n. 5074 del 28 dicembre 1993. Il 20 giugno 1996, il signor Cucinotta ha presentato istanza di revoca della richiesta di collocamento a riposo, ottenendo però un rifiuto "per la insussistenza dei necessari presupposti di pubblico interesse" (provvedimento del 23 agosto 1996).
L'interessato ha quindi proposto ricorso davanti al Tar del Lombardia, che ha annullato il diniego in base alla considerazione che la regola per la quale le dimissioni, una volta accettate, diventano irretrattabili, salva la facoltà dell'amministrazione di disporre a domanda la riassunzione in servizio ove ravvisi un interesse pubblico in tal senso e non sussistano ragioni ostative, non è applicabile "quando, nel periodo intercorrente tra l'accettazione delle dimissioni e la cessazione effettiva del rapporto, muti il regime previdenziale che ha concorso a determinare l'interessato alle dimissioni."
L'azienda sanitaria ha interposto appello contro la sentenza, sostenendo:
1) che le condizioni per la liquidazione del trattamento pensionistico sono in realtà mutate per effetto dell'articolo 11, comma 16, della legge 24 dicembre 1993 n. 537, che però prevedeva esplicitamente, per coloro che avevano presentato domanda di collocamento in pensione successivamente al 31 dicembre 1992, la facoltà di revocare la domanda "entro 60 giorni".
2) che le norme in materia di riassunzione in servizio dei dipendenti pubblici (articolo 59 del d.p.r. 20 dicembre 1979 n. 761 e articolo 132 del d.p.r. 10 gennaio 1957 n. 3) hanno previsto l'obbligo dell'amministrazione di valutare l'interesse pubblico alla riassunzione e, nel caso di insussistenza di tale interesse, di respingere l'istanza del dipendente.
3) che il giudice di primo grado, andando peraltro al di là dei motivi prospettati nel ricorso, ha errato nell'applicare alla fattispecie il principio civilistico della presupposizione, sostenendo che le dimissioni accettate restano comunque subordinate, sino all'effettiva cessazione del rapporto, alla condizione - inespressa ma implicita - dell'immutabilità delle regime di quiescenza. L'applicazione del principio è stata esclusa dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato (sezione sesta, 31 maggio 1989 n. 716).
4) infondati, poi, sono i motivi di ricorso di primo grado assorbiti dal primo giudice. Il ricorrente aveva sostenuto che l'amministrazione avesse errato nelle considerare intangibili le dimissioni, non aveva adottato una motivazione congrua e comunque non si era espresso sul parere reso dal funzionario del servizio cui era preposto il dipendente. Sul primo motivo, come si è visto, la facoltà di revocare le dimissioni andava esercitata nel termine di decadenza stabilito la legge. Sul secondo motivo, non emergendo alcun interesse pubblico alla riammissione in servizio del dipendente, il provvedimento non doveva allegare alcuna ulteriore motivazione. Sul terzo motivo, la nota del funzionario, non rientrando né dovendo rientrare nell'istruttoria del procedimento, non andava confuta puntualmente.
Conclude quindi chiedendo, in riforma della sentenza appellata, il rigetto del ricorso di primo grado.
Resiste all'appello il signor Francesco Cucinotta il quale controbatte le tesi avversarie e conclude per la conferma la sentenza di primo grado.
DIRITTO
L'appello proposto dall'azienda USSL 2 di Gallarate è fondato.
Il giudice di primo grado ha annullato il provvedimento con il quale l'amministrazione, in data 23 agosto 1996, ha respinto l'istanza di revoca del collocamento a riposo, a suo tempo disposto con delibera n. 5074 del 28 dicembre 1993, in seguito a domanda dell'interessato. Secondo il Tar, il principio secondo il quale le dimissioni, una volta accettate, diventano irretrattabili non sarebbe applicabile "quando, nel periodo intercorrente tra l'accettazione delle dimissioni e la cessazione effettiva del rapporto, muti il regime previdenziale che ha concorso a determinare l'interessato alle dimissioni."
La tesi non convince per due ordini di motivi. Il primo è che il principio della presupposizione, o condizione implicita inerente all'istanza di collocamento a riposo, non trova applicazione nel campo del pubblico impiego, in quanto la materia è regolata da un diverso criterio secondo il quale " l'estinzione del rapporto di pubblico impiego per dimissioni volontarie si verifica in virtù del provvedimento con cui la pubblica amministrazione le accetta - per cui la facoltà di revoca di queste ultime da parte del dipendente non è più esercitatile quando tale atto sia stato già emanato" (Consiglio Stato sez. V, 3 ottobre 2000, n. 5283).
Il secondo è che non è esatto sostenere che la tutela del dipendente, nel caso dall'introduzione di sistemi di calcolo della pensione o di condizioni meno favorevoli, rispetto quelli vigenti al momento della presentazione della domanda di collocamento a riposo, non sia stata disciplinata dal diritto positivo. Questo aspetto, infatti, è stato preso in specifica considerazione dalla legge 24 dicembre 1993 n. 537, che all'articolo 11 comma 19, ha " fatta salva, per coloro che abbiano presentato domanda di collocamento in pensione successivamente al 31 dicembre 1992 e che ne facciano domanda entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, la possibilità di revocarla ovvero, qualora cessati dal servizio, di essere riammessi con la qualifica e con l'anzianità di servizio maturata all'atto del collocamento a riposo, con facoltà di riscattare il periodo scoperto ai fini della previdenza e della quiescenza secondo aggiornati criteri attuariali." Il fatto che il legislatore abbia avvertito la necessità di una apposita disciplina transitoria, diretta a salvaguardare le esigenze qui rappresentate dal ricorrente, sta chiaramente a significare, in primo luogo, che il sistema è costruito in maniera tale da negare l'applicabilità, nella materia di considerata, del principio della presupposizione. Ed, in secondo luogo, che la facoltà di revoca della domanda di collocamento in pensione andava esercitata nei modi e nei tempi previsti dalla legge.
Vanno esaminati, per completezza d'indagine, anche i motivi di assorbiti in primo grado, con i quali il ricorrente, con riferimento all'altro aspetto della vicenda concernente il mancato esercizio da parte dell'amministrazione della facoltà di riassumerlo in servizio, aveva denunciato l'insufficienza della motivazione, essendosi questa limitata a sostenere " la insussistenza dei necessari presupposti di pubblico interesse" senza pronunciarsi sul parere reso dal funzionario del servizio cui era preposto il dipendente.
L'assunto non ha pregio perché, sotto il profilo logico, la motivazione negativa, circa l'inesistenza di un presupposto che la norma reputa necessario ai fini dell'esercizio del potere, si riduce ad un'affermazione che può essere contestata solo con riferimento alla sua veridicità, nel caso in cui dalla fattispecie concreta emergano con chiarezza elementi che la contraddicano. Ora, nel caso di specie, l'unico elemento fornito dal ricorrente è quello dell'opinione favorevole alla riammissione in servizio espresso da un funzionario della azienda. Ma questo, nell'ottica del procedimento, non assume alcuna rilevanza giuridica, riducendosi a una mera opinione che di certo non poteva condizionare la scelta dell'organo competente a dare corpo concreto all'interesse pubblico attribuito all'ente e ad adottare il provvedimento.
Per questi motivi il ricorso in appello deve essere accolto.
Appare tuttavia equo compensare tra le parti le spese del giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione quinta, accoglie l'appello e, per l'effetto, respinge il ricorso di primo grado.
Spese compensate.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 4 marzo 2003 , con l'intervento dei signori:
Alfonso Quaranta Presidente
Corrado Allegretta Consigliere
Paolo Buonvino Consigliere
Aldo Fera Consigliere estensore
Francesco D'Ottavi Consigliere
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
F.to Aldo Fera F.to Alfonso Quaranta
Depositata in segreteria il
14 maggio 2003.