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CORTE DEI CONTI, SEZ. GIUR. REGIONE PIEMONTE - Sentenza 28 novembre 2002 n. 1455 - Pres. De Filippis, Est. Gili - P.M. Pastorino.

1. Responsabilità amministrativa – Danno all’immagine – Nozione – Effetto negativo conseguente alla divulgazione di fatti riprovevoli.

2. Responsabilità amministrativa – Danno all’immagine – Prescrizione – Decorrenza – Dalla divulgazione delle notizie.

1. Il danno all’immagine della P.A. non deriva necessariamente dalla commissione di un reato ma dall’effetto negativo conseguente alla divulgazione di fatti, riferiti a pubblici dipendenti e/o amministratori e ritenuti riprovevoli dall’opinione pubblica (1).

2. La prescrizione per l’esercizio dell’azione di responsabilità, in caso di danno all’immagine, decorre dal momento della divulgazione delle notizie da parte degli organi d’informazione, senza che abbia alcuna rilevanza l’eventuale pendenza del procedimento penale (2).

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(1-2) Commento di
MARIO PISCHEDDA
(Procuratore regionale della Corte dei conti)

Con la sentenza che si annota, la Sezione giurisdizionale della Corte dei conti per il Piemonte ha assolto i convenuti dal contestato danno all’immagine, per intervenuta prescrizione dell’azione di responsabilità, aderendo all’indirizzo giurisprudenziale che ne fa decorrere il dies a quo dal c.d. clamor fori (cfr. sez. Sicilia, n. 68 del 25/06/2001).

In particolare la sezione piemontese afferma che il momento consumativo del danno all’immagine, e conseguentemente il dies a quo per la decorrenza della prescrizione, non può che rinvenirsi nel c.d. clamor facti e nel conseguente clamor fori che lo determina, cioè nel momento in cui la notizia, divenendo di pubblico dominio, acquisisce attitudine lesiva per la P.A. e non subisce alcuna modificazione in forza dell’eventuale procedimento penale pendente.

Tale conclusione è solo parzialmente condivisibile. Invero, secondo l’orientamento giurisprudenziale più recente, peraltro confermato nella sentenza che si annota, il danno all’immagine e al prestigio della PA, quale danno ingiusto ad uno dei diritti fondamentali della persona giuridica pubblica, non si correla necessariamente ad un reato, ma può discendere anche da un comportamento gravemente illegittimo o da un comportamento gravemente illecito extrapenale, purché idoneo a produrre una perdita di prestigio ed un grave detrimento della personalità pubblica, tale da determinare una spesa necessaria al ripristino del bene leso (sez. Umbria n. 98 in data 8.3.2001).

Il danno all’immagine si inquadra, pertanto, nella categoria del c.d. danno-evento, categoria elaborata dalla dottrina con riferimento ad alcuni beni-valori dotati di tale rilevanza da determinare, per il solo fatto della loro lesione, un danno risarcibile. Esso si sostanzia nella lesione di beni giuridicamente protetti ed è riconducibile non all’ipotesi prevista dagli art. 2059 c.c. e 185 c.p., relativa al danno morale in senso stretto, quanto a quella di cui all’art.2043 c.c. quale danno ingiusto inferto ad uno dei diritti fondamentali della persona giuridica pubblica, il quale può discendere anche da un fatto non penalmente rilevante (v sez. Umbria n.628/1998 n.557/2000).

Pertanto, qualora il danno all’immagine discende da illecito extrapenale, correttamente si ritiene sufficiente, per il decorso della prescrizione, il clamor suscitato dalla diffusione delle notizie di fenomeni di cattiva gestione delle risorse pubbliche.

Di contro, qualora la contestazione del danno all’immagine dipenda dalla rilevanza penale di determinati fatti altrimenti inidonei ad incidere negativamente sull’immagine dell’amministrazione, il solo clamor fori non appare sufficiente, ma è necessario attendere l’esito del procedimento penale. La giurisprudenza (sez. III app., n. 274 del 16/10/2001; sez. II app. 134/2000; sez.. Umbria, n. 622 del 29/12/1999) e la dottrina più attente (E.F. Schlitzer L’evoluzione della responsabilità amministrativa Milano 2002 pag. 93) hanno rilevato che la presunzione d’innocenza stabilita dall’art. 27, comma 2 della Costituzione, impedisce che il semplice avvio di un procedimento penale, anche se accompagnato dal. clamor, comporti la decorrenza dei termini per l’esercizio dell'azione di responsabilità amministrativa per il risarcimento dei danni all'immagine, ma occorre a tal fine che venga in essere una condanna penale definitiva.

Si fa tuttavia rilevare che al momento sembra prevalere l’orientamento giurisprudenziale secondo il quale, in ipotesi di danno all’immagine in conseguenza della commissione di reati, la prescrizione dell'azione di responsabilità amministrativo-contabile decorre dal momento in cui il responsabile viene rinviato a giudizio penale (sez. III app., n. 10 del 16/01/2002; sez. I app., n. 28 del 30/01/2002; sez. Friuli.. n. 502 del 31/10/2000, n. 126 del 19/04/2000, n.138 del 09/04/2001, n.114 del 26/03/2001; sez. I, n.305/A del 19/10/2001).

Sul danno all'immagine della P.A. v. in precedenza in questa Rivista:

CORTE DEI CONTI, SEZ. I GIUR. CENTRALE D’APPELLO - Sentenza 25 marzo 2002 n. 96/2002

CORTE DEI CONTI SEZIONI RIUNITE QUESTIONI DI MASSIMA - Sentenza 28 maggio 1999 n. 16

CORTE DEI CONTI, SEZ. GIUR. REGIONE UMBRIA - Sentenza 19 ottobre 2002 n. 498

CORTE DEI CONTI, SEZ. GIUR. REGIONE ABRUZZO - Sentenza 18 febbraio 2002 n. 94

CORTE DEI CONTI, SEZ. GIUR. PIEMONTE – Sentenza 30 luglio 2001 n. 780

CORTE DEI CONTI, II SEZ. CENTR. D’APPELLO - 13 ottobre 2000 n. 298

CORTE DEI CONTI, SEZ. GIUR. REGIONE FRIULI-VENEZIA GIULIA – Sentenza 31 ottobre 2000 n. 502/EL/00

CORTE DEI CONTI, SEZ. GIUR. ABRUZZO – Sentenza 31 luglio 2001 n. 685

CORTE DEI CONTI - SEZ. I - Sent. n. 209/99/A del 28 giugno 1999

M. PISCHEDDA, La valutazione del danno all'immagine della P.A.
 

 

FATTO

In data 2.06.1997 il G.I.P. presso il Tribunale di Torino celebrava udienza preliminare nei confronti di undici agenti della Polizia stradale di Torino, all’epoca dei fatti in servizio presso la Polizia stradale compartimento di Torino e di altri soggetti, vigili urbani della Polizia Municipale del Comune di Torino e di privati, questi ultimi non legati alla Pubblica Amministrazione da rapporto di servizio.

I reati contestati dall’Autorità giudiziaria ordinaria si riferiscono principalmente ad episodi di corruzione continuata (artt. 319 e 81 c.p.v. c.p.) verificatisi in gran numero in un arco di tempo che si estende dalla fine degli anni ottanta fino al dicembre 1994.

Gli episodi delittuosi contestati, formalizzati nei relativi capi d’imputazione, presentano modalità esecutive del tutto analoghe, atteso che ebbero ad oggetto illecite dazioni di denaro pari a £. 50.000/100.000= o buoni benzina di pari valore da parte di privati a favore dei suddetti soggetti appartenenti alla polizia stradale.

Risulta in atti, invero, che gli appartenenti alla polizia stradale, abusando della propria qualifica di pubblico ufficiale e dei relativi poteri, ricevevano le predette utilità per omettere atti del proprio ufficio e, soprattutto, per non effettuare i dovuti controlli su veicoli di ditte di cui erano titolari i soggetti privati stessi e omettere di contestare le violazioni al codice della strada riscontrate.

Per quanto riguarda l’esito della vicenda penale, si rileva che con sentenza emessa dal G.I.P. di Torino il 2.06.1997, all’esito dell’udienza preliminare, sentenza emessa ai sensi dell’art. 444 del c.p.p., è stata definita la posizione di D.N., D.A., D.V., R.A., T.N. e Z.G. i quali hanno "patteggiato" per i reati loro contestati pene varianti da un anno e mesi due ad un anno e mesi tre di reclusione.

Analogo esito ha avuto il procedimento penale nei confronti di B.M., G.E., R.P. e V.B. ai quali, con sentenza in data 31.03.1998 del G.I.P. di Torino, sono state applicate pene "patteggiate", varianti da anni uno e mesi tre ad anni uno e mesi nove di reclusione.

La posizione di F.A. veniva invece definita il 2.06.1997 con sentenza con cui veniva deliberato il non doversi procedere nei confronti del medesimo a seguito dell’intervenuta prescrizione.

Ciò premesso, la Procura regionale della Corte dei Conti per la regione Piemonte, ravvisando nei fatti sopra descritti a carico dei sopraindicati agenti un rilevante danno all’Erario, nel mese di agosto 2001 ha emesso nei confronti dei predetti l’invito ex art. 5 del D.L. 15.11.1993, n. 453, convertito con modificazioni nella legge 14.01.1994 n. 19.

A seguito della notifica dell’invito , i convenuti B., D., D., D., F., R., R.,T., hanno fatto pervenire deduzioni scritte e F., R. e R. sono stati anche sentiti, su loro richiesta, presso l’Ufficio del Pubblico Ministero.

Le giustificazioni addotte nelle predette sedi, tuttavia, non sono apparse idonee a superare i contestati addebiti secondo la Procura procedente, che emetteva consequenzialmente atto di citazione in data 30.11.2001, con il quale veniva contestato agli odierni convenuti in solido fra loro un pregiudizio cumulativamente determinato per danno da mancata entrata e per danno all’immagine in £. 107.000.000= (pari ad € 55.260,88) o della diversa somma che dovesse risultare in corso di causa, oltre alla rivalutazione monetaria, interessi legali dalla pubblicazione della sentenza fino al soddisfo e con spese di giudizio.

Le difese dei singoli convenuti facevano successivamente pervenire scritti e memorie difensive con le quali, si sottolineava, nel contestare la domanda attrice, l’inconsistenza della quantificazione del danno , sia quello da mancata entrata che quello all’immagine, danno non giustificato né nella sua sussistenza ontologica né nel suo ammontare. Si eccepiva comunque la prescrizione dell’azione, con preliminare richiesta di reiezione della domanda della Procura per intervenuta prescrizione dell’azione di responsabilità ex artt. 2 – 2 ter legge n° 20 del 14.01.1994.

In occasione della odierna udienza le parti hanno sostanzialmente ribadito quanto già sostenuto negli atti scritti.

In particolare, prima di formulare le conclusioni, le difese dei convenuti hanno informalmente e verbalmente rappresentato una proposta transattiva consistente nel versamento di euro 1.200=

Considerato in

DIRITTO

La prima questione di cui questo Collegio deve farsi carico è quello relativo alla proposta di soluzione transattiva.

Non vi è alcun dubbio che nella fattispecie ricorrano in capo all’Amministrazione diritti di credito che integrano senz’altro situazioni soggettivamente non disponibili.

Dal momento che la transazione richiede reciproche concessioni delle parti, difettando, nella specie, il presupposto della rinunciabilità ad opera dell’Amministrazione, ritiene conclusivamente il Collegio che la soluzione transattiva in esame non risulti sorretta da alcun fondamento giuridico e, come tale, non sia ammissibile. Ulteriore comprova di ciò può ravvisarsi nella circostanza che l’unica ipotesi derogatoria rispetto alla intransigibilità delle pretese dell’Amministrazione è rappresentata dalla previsione del c.d. procedimento monitorio (come disciplinata dall’art. 55 R.D. n° 1214/1934 e dell’art. 49 R.D. n° 1038/1933) la cui applicabilità è, tuttavia, esclusa nella presente fattispecie non ricorrendo il limite di somma, presupposto necessario di tale rito, così come previsto dalla Legge n° 19/1994.

Deve, quindi, procedersi all’esame e valutazione dell’eccezione preliminare di intervenuta prescrizione della domanda portata a giudizio.

In sintesi, l’assorbente questione su cui deve incentrarsi l’analisi e la decisione del Collegio consiste nella valutazione della tesi in tema di "dies a quo" prescrizionale, termine che, ad avviso della Procura Regionale procedente, in fattispecie quali la presente di danno patrimoniale ed all’immagine dell’ente pubblico danneggiato da comportamenti penalmente rilevanti di suoi dipendenti o amministratori, non può che essere il giorno in cui è divenuta definitiva la sentenza penale che ha pronunciato condanna nei loro confronti.

In merito alla questione della prescrizione la Procura Regionale ha propugnato nell’odierna Udienza la tesi, confermando quanto ampiamente già illustrato nel corpo della citazione, secondo la quale il "dies a quo" decorrerebbe solo dal deposito in cancelleria della Sentenza penale e non all’atto del "clamor fori" connesso alla pubblicazione degli articoli di stampa come sostenuto dalle difese o, in subordine, dal momento in cui viene esercitata l’azione penale con la richiesta di rinvio a giudizio degli indagati, citando, al riguardo, la Decisione della Sezione Giurisdizionale Umbria nr. 622 del 29 dicembre 1999 ed evidenziando, inoltre, allo scopo di suffragare il proprio convincimento, il contenuto dell’articolo 7 della recente Legge 27 marzo 2001, n. 97.

Nel casi di specie la prima sentenza di natura penale è quella datata 2.06.1997 di applicazione pena ex art. 444 c.p.p. da parte del G.I.P. presso il Tribunale di Torino.

Se la tesi della Procura risultasse condivisibile, dovrebbe ritenersi non intervenuta la prescrizione dell’azione di responsabilità amministrativa che ne occupa per la sussistenza di atto - segnatamente, invito a dedurre notificato nell’agosto 2001 – idoneo ad interrompere la prescrizione per il danno portato al presente giudizio.

Osserva, tuttavia, diversamente il Collegio, in articolata analisi quanto segue.

Con riferimento al danno all’immagine un danno al prestigio della P.A. non deriva necessariamente dalla commissione di un reato ma dall’effetto ridondante negativo cha la divulgazione di certi fatti, ritenuti degni di riprovazione dall’opinione pubblica, riferiti a pubblici dipendenti o amministratori nell’esercizio delle loro funzioni, determina in capo alla P.A. medesima.

Questi fatti nella loro oggettività e riferibilità soggettiva, possono essere accertati ed autonomamente valutati, ai fini penali innanzi al Giudice penale ed ai fini della responsabilità amministrativa innanzi a questa Corte in forza dell’ormai conclamata autonomia dei due giudizi.

Tale, in effetti, appare la stessa tesi accusatoria del P.M. che il Collegio ritiene di dovere condividere.

Da ciò deriva però che il momento consumativo del danno. il quale di per sé comporta la certezza della necessità dell’apprestamento da parte dell’Amministrazione di risorse finanziarie per il ripristino dei beni giuridici violati, non può che rinvenirsi nel c.d. "clamor facti" e nel conseguente "clamor fori" che lo determina, cioè nel momento in cui la notizia, divenendo di pubblico dominio, acquisisce attitudine lesiva per la P.A. e non subisce alcuna modificazione in forza dell’eventuale procedimento penale pendente.

In tale contesto il Collegio, alla luce di quanto sopra esposto, non ritiene condivisibile l’impostazione della Procura Regionale circa la decorrenza del "dies a quo", in quanto reputa corretto ancorare il citato termine iniziale, al clamore suscitato nell’opinione pubblica dalla pubblicazione degli articoli di stampa concernenti la vicenda in esame, sul rilievo che da quel momento è sicuramente possibile ravvisare la piena e manifesta conoscibilità dei fatti delittuosi che, acquisendo attitudine lesiva per la Pubblica Amministrazione, configurano il necessario presupposto dell’azione di responsabilità amministrativa, con conseguente avvio della prescrizione quinquennale fissata dalla Legge.

In definitiva, nella fattispecie in esame l’obiettiva conoscibilità del danno, che la Procura fa risalire al deposito della Sentenza nel procedimento penale, deve essere individuata, al contrario, nel momento della divulgazione delle notizie in questione da parte degli organi d’informazione locali e nazionali, atteso che già da tale data il descritto pregiudizio presentava tutti i concreti caratteri della materialità, della attualizzazione e della antigiuridicità ai fini che qui interessano.

Il "clamor fori", finché perdura, lede con carattere di permanente continuità il prestigio e l’immagine della P.A., determinando un effetto istantaneamente ripristinatorio di un nuovo termine per il decorso della prescrizione del diritto al risarcimento.

Ciò accade sia quando gli organi di informazione divulgano o altrimenti riprendono e rimarcano la notizia del reato, anche solo sotto il profilo delle indagini in corso, sia quando, altrimenti, la notizia medesima viene recepita dalla pubblica opinione come fatto conclamato con le caratteristiche del c.d. "fatto notorio". Aderendo all’orientamento giurisprudenziale (Corte dei Conti Sez. Sicilia, 22.02.2000 n. 61/2000/R) secondo cui il P.M. contabile, prima, e la Corte, poi, hanno l’onere ed il dovere di accertare la materialità dei fatti e la loro riferibilità, in termini di causalità ed illiceità, al presunto responsabile, senza dovere attendere ed a prescindere dalle valutazioni che un altro giudice, per profili diversi, possa dare degli stessi fatti – soprattutto, quando, come in questo caso, l’Amministrazione danneggiata non risulti costituita parte civile nel procedimento penale - nel caso di specie ritiene il Collegio di potere rinvenire il momento consumativo dei danni de quibus nella pubblicazione di articoli di stampa da parte de "La Stampa" di Torino pubblicati tra il 20 ed il 23 giugno 1995, in atti.

Orbene, il vigente art. 1, comma 2, della legge 14 gennaio 1994, nel testo sostituito dal D.L. n. 543/1996, convertito dalla legge 20 dicembre 1996 n. 639, stabilisce che "il diritto al risarcimento del danno si prescrive in ogni caso in cinque anni, decorrenti dalla data in cui si è verificato il fatto dannoso, ovvero, in caso di occultamento dannoso del danno, dalla data della sua scoperta".

Non può allora essere revocato in dubbio che una fattispecie corruttiva, secondo la prospettazione formulata dal P.M. nell’odierno giudizio, abbia in sé l’elemento dell’occultamento doloso quale componente imprescindibile della corruzione medesima; il risultato del fatto corruttivo come evento di danno per la P.A. ancorché cronologicamente riferito a periodi anteriori, non può essere apprezzato come tale se non dopo che il "pactum" sia stato scoperto, specie, laddove, come nell’odierno giudizio, è proprio dalla scoperta dell’accordo criminoso e dalla sua divulgazione che si assume essere derivato un danno dell’amministrazione.

L’attrice Procura ritiene altresì di fondare la tesi della decorrenza del termine prescrizionale dalla data di definitività della sentenza penale nella considerazione che non appare consentito procedere risarcitoriamente per danno al prestigio ed all’immagine di un ente se non quando (solo così concreandosi reale lesione della personalità pubblica) sia definitivamente accertata, in competente sede giurisdizionale, la penale responsabilità del prevenuto.

Nel ribadire l’autonomia dei giudizi il Collegio osserva che ogni autonomo accertamento fattuale operato dall’inquirente (peraltro anche mediante utilizzo degli atti già formatisi nel corso del procedimento penale) sia possibile in ambito di giudizio di responsabilità avanti a questa Corte e questo anche in ipotesi di giudizio avente eventuale esclusiva finalizzazione, indipendentemente dall’evidenza di altri danni patrimoniali in senso stretto, - nella specie, tuttavia ricorrenti stante la contestazione del danno di mancata entrata - nell’accertamento della lesione a quei diritti della personalità pubblica di cui si è portata evidenza in odierno giudizio.

Inoltre, non appare possibile ritenere ammissibile che la presunzione costituzionale di non colpevolezza (implicitamente richiamata in prospettazione) possa paralizzare, sino al definitivo ed irrevocabile accertamento della responsabilità in sede penale, la giuridica tutela dei diritti lesi.

Ciò è tanto più evidente in ipotesi, quali la fattispecie ad odierno giudizio, nelle quali la sentenza penale definitiva in premessa all’azione per cui è causa è una sentenza cosiddetta di "patteggiamento" resa in applicazione degli articoli 444 e segg. del codice di procedura penale, - e tanto meno la stessa sentenza di intervenuta prescrizione (v. posizione F.) – la quale sentenza, com’è noto, non implica affatto un pieno accertamento della penale responsabilità degli imputati e non si identifica con una sentenza di condanna in senso stretto.

Esso costituisce infatti una conferma della autonomia e piena azionabilità avanti a questa Corte del diritto a risarcimento dei danni alla personalità dell’ente pubblico, azionabilità in termini indipendenti e non necessariamente correlati a incontestabili e definitivi accertamenti penali.

Ritiene, quindi, questo Collegio, in conclusivo rilievo, che poiché gli articoli di stampa depositati dal P.M. risalgono al mese di giugno 1995 e l’invito a dedurre è stato notificato nel mese di agosto 2001, il diritto fatto valere dal P.M. innanzi a questa Corte deve dichiararsi prescritto.

Non vi è luogo a pronuncia sulle spese.

P.Q.M.

La Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale per la Regione Piemonte definitivamente pronunciando dichiara prescritto il diritto fatto valere dal P.M. nei confronti di D.V., V.B., T.N., B.M., R.A., Z.G., D.A., D.N., G.E., F.A. e R.P.

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