CORTE COSTITUZIONALE - Sentenza 5
giugno 2003 n. 196
- Pres. CHIEPPA, Red. ONIDA
- (giudizi promossi con ricorsi del Presidente del Consiglio dei ministri
notificati rispettivamente il
1. Regioni - Regioni a statuto ordinario - Potestà legislativa della Regione - In materia di elezione dei Consigli regionali - A seguito della L. cost. n. 1/1999 - Sussiste - Limite dei principi fondamentali stabiliti con legge della Repubblica - Osservanza - Necessità - Legislazione statale previgente - Continua ad applicarsi in mancanza di apposita disciplina regionale.
2. Regioni - Regioni a statuto ordinario - Potestà legislativa della Regione - In materia di elezione dei Consigli regionali - A seguito della L. cost. n. 1/1999 - Sussiste - Circostanza che il legislatore statale non abbia dettato i principi fondamentali cui i legislatori regionali dovranno attenersi - Non può impedire l’esercizio della competenza legislativa da parte della Regione.
3. Regioni - Regioni a statuto ordinario - Disciplina della prorogatio degli organi elettivi regionali - Dopo la loro scadenza o scioglimento o dimissioni - Va dettata dallo statuto regionale - Disciplina dettata con legge regionale - Illegittimità costituzionale - Sussiste.
4. Regioni - Regioni a statuto ordinario - Disciplina dello scioglimento o rimozione c.d. “sanzionatori” degli organi elettivi della Regione - Rientra nella competenza del legislatore statale - Competenza legislativa delle Regioni in materia - Non sussiste - Ragioni.
1. La disciplina del sistema di elezione dei Consigli delle Regioni a statuto ordinario - che era prima riservata, secondo il testo originario dell’art. 122, primo comma, della Costituzione, alla legge statale - con la riforma recata dalla legge costituzionale 22 novembre 1999, n. 1, rientra ormai nella competenza della legge della Regione, nei limiti dei principi fondamentali stabiliti con legge della Repubblica, che stabilisce anche la durata degli organi elettivi (nuovo art. 122, primo e quinto comma, Cost.). A seguito di tale riforma, le leggi statali in materia conservano la loro efficacia, in forza del principio di continuità (1), fino a quando non vengano sostituite dalle leggi regionali: ma la potestà legislativa in tema di elezione dei Consigli regionali spetta ormai alle Regioni.
2. La potestà regionale in materia di elezione dei Consigli delle Regioni a statuto ordinario può essere esercitata anche se lo Stato non abbia dettato i principi fondamentali cui i legislatori regionali dovranno attenersi, ai sensi dell’art. 122, primo comma, della Costituzione; opinando diversamente, infatti, il legislatore statale, omettendo di dettare tali principi, potrebbe di fatto paralizzare l’esercizio della competenza regionale a tempo indeterminato. Va dunque affermato il principio per cui la legislazione regionale può disciplinare le nuove materie (nella specie l’elezione del Consigli) nel rispetto dei principi fondamentali che si ricavano dalla preesistente legislazione statale (2).
3. In tema di disciplina dell’esercizio dei poteri degli organi regionali dopo la loro scadenza o scioglimento o rimozione, o dopo l’annullamento della elezione, la legge regionale è priva di competenza, fino a quando lo statuto, non abbia fissato i principi e le regole fondamentali. Una interpretazione sistematica delle nuove norme costituzionali introdotte dalla legge costituzionale n. 1 del 1999 in tema di disciplina dell’organizzazione di governo delle Regioni, invero, induce a ritenere che la disciplina della eventuale prorogatio degli organi elettivi regionali dopo la loro scadenza o scioglimento o dimissioni, e degli eventuali limiti dell’attività degli organi prorogati, sia oggi fondamentalmente di competenza dello statuto della Regione, ai sensi del nuovo articolo 123, come parte della disciplina della forma di governo regionale: così come è la Costituzione (art. 61, secondo comma; art. 77, secondo comma) che regola la prorogatio delle Camere parlamentari (3). E’ ovvio, peraltro, che gli statuti, nel disciplinare la materia, dovranno essere in armonia con i precetti e con i principi tutti ricavabili dalla Costituzione, ai sensi dell’art. 123, primo comma, della Costituzione (4).
4. Rientra tuttavia nella competenza del legislatore statale dettare la disciplina dello scioglimento o rimozione degli organi elettivi della Regione c.d. “sanzionatori”, prevista dall’art. 126, primo comma, della Costituzione; in questo caso, infatti, trattandosi di un intervento repressivo statale (non più previsto per la semplice impossibilità di funzionamento, come accadeva nel vecchio testo dell’art. 126 Cost., ma solo a seguito di violazioni della Costituzione o delle leggi, o per ragioni di sicurezza nazionale), è logico che le conseguenze, anche in ordine all’esercizio delle funzioni fino all’elezione dei nuovi organi, siano disciplinate dalla legge statale, cui si deve ritenere che l’art. 126, primo comma, della Costituzione implicitamente rinvii, nonostante l’avvenuta soppressione del vecchio art. 126, quinto comma: non potendosi supporre che resti nella disponibilità della Regione disporre la proroga dei poteri di organi sciolti o dimessi a seguito di gravi illeciti, o la cui permanenza in carica rappresenti un pericolo per la sicurezza nazionale (5).
------------------
(1) Sul principio di continuità v. Corte cost.,
sentenze n. 14 del
(2) Cfr. Corte cost., sentenza 26 giugno 2002 n. 282, in questa Rivista n. 6-2002.
Ha aggiunto in proposito la Corte che, fino all’entrata in vigore dei nuovi statuti regionali (oltre che delle nuove leggi elettorali regionali), l’art. 5 della legge costituzionale n. 1 del 1999 detta direttamente la disciplina della elezione del Presidente regionale, stabilendo che essa sia contestuale al rinnovo del Consiglio e che si effettui “con le modalità previste dalle disposizioni di legge ordinaria vigenti in materia di elezione dei Consigli regionali”. In pratica ciò comporta che siano esigui gli spazi entro cui può intervenire il legislatore regionale in tema di elezione del Consiglio, prima dell’approvazione del nuovo statuto.
Tuttavia questo non significa che la legge regionale non possa nemmeno, fin d’ora, modificare, in aspetti di dettaglio, la disciplina delle leggi statali vigenti, per tutto quanto non è direttamente o indirettamente implicato dal citato art. 5 della legge cost. n. 1 del 1999, in attesa del nuovo statuto, e così per quanto riguarda competenze e modalità procedurali; ancor meno significa che alla legge regionale sia precluso dettare, nell’esercizio di una competenza che ormai le è propria, una disciplina riproduttiva di quella delle leggi statali previgenti.
Non è dunque di per sé precluso al legislatore regionale disporre - come fa l’art. 1 della legge della Regione Abruzzo 19 marzo 2002, n. 1 - il “recepimento” della legge statale n. 108 del 1968 “con le successive modificazioni e integrazioni”. Tale “recepimento” va ovviamente inteso nel senso che la legge regionale viene a dettare, per relationem, disposizioni di contenuto identico a quelle della legge statale, su alcune delle quali, contestualmente, gli articoli successivi operano modificandole o sostituendole: ferma restandone la diversa forza formale e la diversa sfera di efficacia.
Con la sentenza in rassegna sono stati dichiarati costituzionalmente illegittimi:
a) l’art. 4 della legge della Regione Abruzzo 19 marzo 2002, n. 1, che attribuisce alla competenza del Presidente della Regione l’emanazione dell’atto che rende esecutivo il riparto delle spese per gli adempimenti comuni alle elezioni regionali, provinciali e comunali in caso di loro contemporaneità; tale disposizione incide, infatti, anche sulla materia della “legislazione elettorale” dei Comuni e delle Province, che spetta allo Stato, ai sensi del nuovo art. 117, secondo comma, lettera p, della Costituzione;
b) il comma 1 dell’art. 3 della legge della Regione Abruzzo 19 marzo 2002, n. 1, nella parte in cui si prevede che “la durata del Consiglio regionale è stabilita dalla legge dello Stato in cinque anni”, decorrenti dalla data dell’elezione; la disciplina della durata in carica del Consiglio è infatti attribuita, dall’art. 122, primo comma, della Costituzione, alla competenza della legge statale;
c) il comma 2, secondo periodo, dell’art. 3 della legge della Regione Abruzzo 19 marzo 2002, n. 1, nella parte in cui dispone che la prima riunione del nuovo Consiglio regionale ha luogo non oltre il ventesimo giorno dalle elezioni, tale comma, infatti, modifica (sia pure marginalmente), al di fuori del procedimento di approvazione della legge statutaria previsto dal nuovo art. 123, primo comma, della Costituzione, la vigente disciplina dello statuto della Regione Abruzzo (tuttora efficace, fino all’entrata in vigore di nuove leggi statutarie, per le parti non implicitamente abrogate dalla riforma costituzionale), il cui art. 18, primo comma, stabilisce che il Consiglio tiene la sua prima seduta il primo giorno non festivo della terza settimana successiva alla proclamazione degli eletti;
d) il comma 7 dell’art. 3 della legge della Regione Abruzzo 19 marzo 2002, n. 1, secondo cui il termine ad quem di tre mesi, previsto dal comma 5 per l’indizione delle elezioni, decorre, in caso di annullamento delle elezioni, dalla scadenza del “termine per l’azione revocatoria”, la quale – si intende – possa essere esperita per la revoca della pronuncia giurisdizionale definitiva di annullamento delle operazioni elettorali; differire la indizione delle nuove elezioni, in caso di annullamento delle precedenti, non già fino al passaggio in giudicato della pronuncia di annullamento, ma oltre, in attesa di una del tutto eventuale azione di revocazione di detta pronuncia definitiva, significa prolungare irragionevolmente una situazione patologica e di carenza costituzionale come quella derivante dall’annullamento delle elezioni seguite alla scadenza o allo scioglimento del precedente Consiglio; mentre è necessario ripristinare al più presto la legittima rappresentatività degli organi regionali.
(3) Secondo la Corte costituzionale, non può condividersi la tesi secondo cui tale competenza sarebbe attribuita alla legge statale, cui spetta, ai sensi dell’art. 122, primo comma, Cost. stabilire “la durata degli organi elettivi” regionali. L’istituto della prorogatio, a differenza della vera e propria proroga (cfr., rispettivamente, art. 61, secondo comma, e art. 60, secondo comma, Cost., per quanto riguarda le Camere), non incide infatti sulla durata del mandato elettivo, ma riguarda solo l’esercizio dei poteri nell’intervallo fra la scadenza, naturale o anticipata, di tale mandato, e l’entrata in carica del nuovo organo eletto.
Dalla regola secondo cui la disciplina in materia di prorogatio degli organi elettivi va prevista in sede di adozione dello statuto regionale, secondo la Corte costituizionale, deve tuttavia eccettuarsi l’ipotesi dello scioglimento o rimozione “sanzionatori”, prevista dall’art. 126, primo comma, della Costituzione. In questo caso, infatti, trattandosi di un intervento repressivo statale (non più previsto per la semplice impossibilità di funzionamento, come accadeva nel vecchio testo dell’art. 126 Cost., ma solo a seguito di violazioni della Costituzione o delle leggi, o per ragioni di sicurezza nazionale), è logico che le conseguenze, anche in ordine all’esercizio delle funzioni fino all’elezione dei nuovi organi, siano disciplinate dalla legge statale, cui si deve ritenere che l’art. 126, primo comma, della Costituzione implicitamente rinvii, nonostante l’avvenuta soppressione del vecchio art. 126, quinto comma: non potendosi supporre che resti nella disponibilità della Regione disporre la proroga dei poteri di organi sciolti o dimessi a seguito di gravi illeciti, o la cui permanenza in carica rappresenti un pericolo per la sicurezza nazionale.
(4) Cfr. Corte cost., sentenza 3 luglio 2002 n. 304, in questa Rivista n. 7-8/2002.
(5) Alla stregua del principio
sono stati dichiarati costituzionalmente illegittimi gli artt. 1 della legge
della Regione Calabria 15 marzo 2002, n.
SENTENZA N. 196
ANNO 2003
In nome del Popolo italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Riccardo CHIEPPA Presidente
- Gustavo ZAGREBELSKY Giudice
- Valerio ONIDA ”
- Carlo MEZZANOTTE ”
- Fernanda CONTRI ”
- Guido NEPPI MODONA ”
- Piero Alberto CAPOTOSTI ”
- Annibale MARINI ”
- Franco BILE ”
- Giovanni Maria FLICK ”
- Ugo DE SIERVO “
- Romano VACCARELLA “
- Alfio FINOCCHIARO “
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
1.1. – Con ricorso
notificato il 15 maggio
La legge regionale riguarda il “caso di scioglimento del Consiglio regionale”. L’Avvocatura premette che tale scioglimento può avere diverse origini: può essere disposto ai sensi dell’art. 126, primo comma, della Costituzione, con decreto del Presidente della Repubblica, per il compimento di atti contrari alla Costituzione o per gravi violazioni di legge o per ragioni di sicurezza nazionale; può essere conseguente alla morte, all'impedimento permanente od alle dimissioni volontarie del Presidente della Giunta regionale, od a mozione di sfiducia nei confronti del medesimo approvata dallo stesso Consiglio regionale; può, ancora, derivare dalle dimissioni contestuali della maggioranza dei componenti il Consiglio regionale. Osserva inoltre che un effetto assimilabile allo scioglimento di detto Consiglio si produce nel caso di sentenza di annullamento di atti del procedimento elettorale.
La legge regionale in questione, senza distinguere tra le differenti vicende appena elencate, prevede che, non soltanto la Giunta regionale ed il suo Presidente, ma anche il Consiglio regionale “continuano ad esercitare le loro funzioni fino all'insediamento del nuovo Presidente della Regione e del nuovo Consiglio regionale”.
Ad avviso dell’Avvocatura, la legge della Regione Calabria sarebbe in contrasto con la Costituzione per più ragioni.
In via principale, assumendosi il contrasto con l’art. 126 della Costituzione, il ricorso prospetta la violazione della competenza del legislatore statale ad integrare ed attuare le previsioni costituzionali riguardanti i casi di scioglimento del Consiglio regionale o con questi assimilabili. Non spetta al legislatore regionale, si afferma, integrare l’art. 126 della Costituzione; a ciò dovrà provvedere una legge statale di attuazione della Costituzione. La necessità di una legge statale sarebbe particolarmente evidente per il caso di pronuncia giurisdizionale esecutiva od alla quale debba darsi leale ottemperanza e per il caso di scioglimento disposto con decreto del Presidente della Repubblica; in questi casi la legge regionale “sostanzialmente produrrebbe una assurda, ancorché temporanea, sospensione e limitazione dell’efficacia dell’atto statale”, mentre l'appartenenza allo Stato di queste funzioni comporterebbe la competenza statale a disciplinarne effetti e in genere conseguenze (anche immediati).
In via “logicamente subordinata” il ricorso denuncia la violazione dell’art. 123, primo comma, della Costituzione. La legge della Regione Calabria, approvata in esito a procedimento legislativo ordinario, contrasterebbe con la riserva di statuto posta da tale norma costituzionale, in quanto essa concorre a disciplinare la forma di governo e i principi fondamentali di organizzazione e funzionamento della Regione.
In via “ulteriormente subordinata”, l’illegittimità costituzionale della legge regionale risiederebbe nella mancata distinzione dei differenti casi di scioglimento del Consiglio regionale, nella mancata riferibilità delle funzioni “prorogate” ai soli atti urgenti ed improrogabili, nonché nell’estensione al Consiglio regionale di una “misura” temporanea applicabile eventualmente soltanto alla Giunta regionale.
1.2. – Nel giudizio dinanzi alla Corte la Regione Calabria non si è costituita.
2.1. – Con ricorso
notificato il 23 maggio
Una prima ragione di
illegittimità costituzionale investirebbe la formulazione degli artt. 2,
Una seconda censura di
costituzionalità riguarda l’art. 3 della legge regionale, là dove esso novella i
commi 3, 4,
Con riguardo a queste disposizioni, l’Avvocatura prospetta la violazione dell’art. 126 della Costituzione, sostenendo che non spetta al legislatore regionale integrarne la portata, perché a ciò dovrà provvedere una legge statale di attuazione della Costituzione. Nel ricorso si osserva che la necessità di una legge statale sarebbe “particolarmente evidente per il caso di pronuncia giurisdizionale esecutiva od alla quale debba darsi leale ottemperanza e per il caso di scioglimento disposto con decreto del Presidente della Repubblica”, giacché “l'appartenenza allo Stato delle funzioni testé considerate comporta la competenza statale a disciplinarne effetti e in genere conseguenze (anche immediati)”.
In via “logicamente subordinata”, la difesa erariale deduce la violazione dell’art. 123, primo comma, della Costituzione: la legge regionale, approvata in esito a procedimento legislativo ordinario, contrasterebbe con la riserva di statuto, in quanto essa concorre a disciplinare la forma di governo e i principi fondamentali di organizzazione e funzionamento della Regione.
In via “ulteriormente
subordinata”, e nel dettaglio, il ricorrente, sempre con riguardo al novellato
art. 3, osserva che: (a) il comma 3 ripristina la disposizione contenuta nel
previgente art. 126, ultimo comma, della Costituzione, senza considerare che
l’avvenuta soppressione di tale ultimo comma è stata determinata anche dalla non
approvazione, nel corso del procedimento di revisione costituzionale, di un
emendamento mirante a conservarlo; (b) i commi
Queste disposizioni contrasterebbero con l'art. 126 della Costituzione, che pretenderebbero di integrare, e con l'art. 117, secondo e quarto comma, della Costituzione.
Un’ulteriore censura è mossa alla disposizione contenuta nell’ultimo periodo del comma 2 del “sostituito” art. 3, a termini del quale "Finché non è riunito il nuovo Consiglio sono prorogati i poteri del precedente”. Si tratterebbe di una disposizione innovativa rispetto all'art. 3, secondo comma, della legge n. 108 del 1968, il quale prevede che i Consigli regionali esercitano le loro funzioni fino al quarantaseiesimo giorno antecedente alla data delle elezioni per la loro rinnovazione. Ad avviso dell’Avvocatura, tale disposizione della legge regionale consentirebbe alla maggioranza del Consiglio regionale uscente di produrre leggi ed altri atti di sua competenza, non soltanto durante la campagna elettorale e per qualche settimana dopo le elezioni, ma persino nell’eventualità di una sconfitta elettorale; il tutto senza il limite degli “affari urgenti ed indifferibili”. La norma contrasterebbe con l'art. 122 della Costituzione, perché spetta allo Stato stabilire la durata degli organi elettivi delle Regioni, e quindi anche il perdurare delle funzioni ad essi affidate. In via logicamente subordinata, essa contrasterebbe con l’art. 123, primo comma, della Costituzione, perché avrebbe dovuto essere approvata non con legge regionale “ordinaria” ma nel contesto dello statuto, e perciò con il particolare procedimento per questo previsto.
Costituzionalmente illegittime sarebbero inoltre le diverse disposizioni della legge regionale nelle quali (anche incidentalmente) è prevista una durata quinquennale del Consiglio regionale (“in cinque anni”, “il quinquennio”, “del quinquennio”). Ai sensi dell'art. 122 della Costituzione la durata di tutti i Consigli regionali è unitariamente stabilita “con legge (al singolare) della Repubblica”.
Le ulteriori disposizioni residue, non menzionate specificatamente, sarebbero da ritenersi attinenti alla materia elettorale considerata dal primo, secondo e quinto comma dell’art. 122 della Costituzione, e perciò contrasterebbero con detti parametri costituzionali, ed in particolare con il primo comma, ove è previsto che la “legge della Regione” debba essere prodotta dopo una legge dello Stato stabilente “principi fondamentali” e “nei limiti” fissati da detti principi. Osserva l’Avvocatura che il disegno di legge statale di attuazione dell'art. 122 della Costituzione è attualmente all'esame del Parlamento nazionale e che a tale disegno di legge dovrebbe essere affidato, tra l'altro, il compito di modificare le disposizioni della legge n. 108 del 1968 che prevedono decreti del Commissario del Governo.
2.2. – Nel giudizio dinanzi alla Corte si è costituita la Regione Abruzzo, concludendo per l’infondatezza delle questioni.
Innanzitutto, quanto alla ritenuta “natura sostitutiva” delle disposizioni contenute nell’art. 3 della legge regionale, nella memoria si osserva che il ricorso del Governo muove da un erroneo presupposto interpretativo: l’art. 1 della legge regionale, infatti, recepisce la legge statale n. 108 del 1968, quindi la recepisce e la fa propria solo per la Regione Abruzzo, che non ha potere di disporre per altre Regioni. Una volta recepita nell’ordinamento regionale la legge statale, anche le modifiche e le integrazioni apportate dall’art. 3, si sostiene, sono destinate ad avere effetti soltanto in ambito regionale.
Sarebbe da escludere anche la denunciata violazione dell’art. 126 della Costituzione. In tale disposizione non vi è infatti alcuna norma che direttamente ascriva allo Stato la competenza esclusiva a regolare gli effetti dello scioglimento. Sarebbe quindi preciso dovere della Regione, specie dopo la riforma del titolo V della Costituzione, regolare gli effetti di atti, quali la declaratoria giudiziale di annullamento delle elezioni, comportanti la cessazione degli organi primari, di legislazione e di governo, della Regione. Né di alcun rilievo sarebbe la non approvazione, durante i lavori parlamentari culminati nella legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, di un emendamento mirante a confermare l’ultimo comma del previgente art. 126 della Costituzione: se, infatti, la Regione ha il potere di regolare effetti di atti patologici riferiti alla vita dei suoi organi, il limite sarebbe quello dell’attuale art. 126 della Costituzione, che non vieta affatto una disciplina regionale atteggiata sulla scorta del precedente principio costituzionale.
Anche la dedotta violazione dell’art. 123 della Costituzione sarebbe infondata, perché tra gli oggetti affidati espressamente alla normazione statutaria non rientra quello concernente la regolazione degli effetti dello scioglimento degli organi. Si sostiene inoltre che lo statuto regionale, attualmente ancora in fase di predisposizione, ben “potrà nel momento di sua formazione ed adozione comprendere e modificare, ove occorra, la normazione” di cui alla legge regionale oggetto del ricorso.
3. – In prossimità dell’udienza, la difesa del Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato una memoria illustrativa nel giudizio promosso nei confronti della Regione Abruzzo (reg. ric. n. 38 del 2002).
Si invoca la sopravvenuta sentenza della Corte costituzionale n. 304 del 2002, che dimostrerebbe la illegittimità costituzionale di talune disposizioni della legge impugnata.
L’Avvocatura ritiene utile una pronuncia che affermi rientrare nella legislazione esclusiva dello Stato qualsiasi disposizione “in tema di ottemperanza (e dei relativi tempi e modi) alle sentenze e decisioni degli organi giurisdizionali”.
In replica alla memoria della Regione, l’Avvocatura sostiene che la categoria degli atti indifferibili ed urgenti è nozione precisa ed è già stata utilizzata, in vicenda analoga, nel d.P.R. 16 luglio 2001, con cui sono state dettate disposizioni per assicurare il compimento di tale genere di atti da parte della Regione Molise a seguito dell’annullamento in via giurisdizionale delle operazioni elettorali per il rinnovo di quel Consiglio regionale.
1. – Il Governo ha impugnato con due distinti ricorsi due leggi regionali, rispettivamente della Regione Calabria (reg. ric. n. 36 del 2002) e della Regione Abruzzo (reg. ric. n. 38 del 2002). La legge regionale della Calabria 15 marzo 2002, n. 14, reca “Disposizioni sulla prorogatio degli organi regionali”. L’art. 1 della legge (l’unico a contenuto normativo: l’art. 2 prevede l’anticipata entrata in vigore della stessa legge) stabilisce che “Nel caso di scioglimento del Consiglio regionale, il Presidente della Regione, la Giunta regionale e il Consiglio continuano ad esercitare le loro funzioni fino all’insediamento rispettivamente del nuovo Presidente della Regione e del nuovo Consiglio regionale”.
Il Governo contesta anzitutto che spetti al legislatore regionale integrare l’art. 126 della Costituzione, in tema di scioglimento del Consiglio regionale. In via subordinata, sostiene che la legge regionale contrasterebbe con la riserva di legge statutaria di cui all’art. 123, primo comma, della Costituzione, concorrendo essa a disciplinare la forma di governo della Regione e i principi fondamentali di organizzazione e di funzionamento della stessa. In via ulteriormente subordinata, il Governo lamenta che la legge regionale non distingua tra i differenti casi di scioglimento del Consiglio, cioè quello disposto con decreto del Presidente della Repubblica ai sensi dell’art. 126, primo comma, della Costituzione, per atti contrari alla Costituzione o per gravi violazioni di legge o per ragioni di sicurezza nazionale; quello conseguente alla morte, all’impedimento permanente o alle dimissioni del Presidente della Regione o a voto di sfiducia nei suoi confronti; quello conseguente alle dimissioni contestuali della maggioranza dei componenti del Consiglio; nonché il caso, assimilabile per gli effetti, di pronuncia giurisdizionale che annulli gli atti del procedimento elettorale. Inoltre la legge impugnata sarebbe illegittima anche perché non circoscrive l’esercizio delle funzioni del Consiglio prorogato ai soli atti urgenti, ed in quanto estende al Consiglio regionale una misura temporanea che sarebbe, a tutto concedere, applicabile soltanto alla Giunta.
2. – La legge regionale dell’Abruzzo 19 marzo 2002, n. 1, recante “Disposizioni sulla durata degli Organi e sull’indizione delle elezioni regionali”, ha una struttura più complessa. Essa esordisce, all’art. 1, stabilendo che “E’ recepita la legge dello Stato 17 febbraio 1968, n. 108, con le successive modificazioni e integrazioni” (si tratta della legge statale che disciplina l’elezione dei Consigli delle Regioni ordinarie). I successivi artt. 2, 3 e 4 sostituiscono alcune disposizioni della legge statale n. 108 del 1968, in parte confermandone il contenuto, in parte modificandolo e integrandolo.
In particolare, un primo gruppo di disposizioni attribuisce al Presidente della Giunta regionale la competenza ad emanare atti del procedimento elettorale, che la legge statale collocava in capo al Commissario del Governo: così per il decreto che determina il numero di seggi del Consiglio e l’assegnazione di essi alle singole circoscrizioni (art. 2 della legge regionale, che sostituisce il comma 3 dell’art. 2 della legge statale); per il decreto che indice le elezioni (art. 3, comma 6, del testo legislativo recepito, come sostituito dall’art. 3 della legge regionale); per l’atto che rende esecutivo il riparto delle spese derivanti da adempimenti comuni alle elezioni nel caso di contemporaneità della elezione del Consiglio regionale con le elezioni dei consigli provinciali e comunali (art. 4 della legge regionale, che modifica il comma 2 dell’art. 21 della legge statale).
Un secondo gruppo di disposizioni regola la durata in carica del Consiglio e i termini per la nuova elezione e per gli adempimenti successivi: si prevede che “La durata del Consiglio regionale è stabilita dalla legge dello Stato in cinque anni”, decorrenti dalla data dell’elezione (art. 3, comma 1, del testo recepito e sostituito); che le elezioni possono essere effettuate a decorrere dalla quarta domenica precedente il compimento del quinquennio (art. 3, comma 2, primo periodo, del testo recepito e sostituito, che riprende su questo punto l’art. 3, secondo comma, della legge statale); che la prima riunione del nuovo Consiglio ha luogo non oltre il ventesimo giorno dalle elezioni (art. 3, comma 2, secondo periodo); che le elezioni sono indette “entro tre mesi”, non è chiaro se decorrenti dalla scadenza o dallo scioglimento, ovvero dal termine iniziale a partire dal quale possono aver luogo le elezioni medesime (art. 3, comma 6); che il termine, nel caso di annullamento giurisdizionale delle elezioni, decorre “dallo spirare del termine per l’azione revocatoria” (art. 3, comma 7).
Un terzo, articolato gruppo di disposizioni regola l’esercizio delle funzioni degli organi regionali dopo la scadenza o lo scioglimento, stabilendo, ma non in ogni caso, il principio della prorogatio: “finché non è riunito il nuovo Consiglio sono prorogati i poteri del precedente” (art. 3, comma 2, terzo periodo); nel caso di scioglimento del Consiglio o di rimozione del Presidente della Giunta per atti contrari alla Costituzione, per gravi violazioni di legge o per ragioni di sicurezza nazionale, “con il decreto di scioglimento è nominata una Commissione di tre cittadini eleggibili al Consiglio regionale, che indice le elezioni entro tre mesi e provvede all’ordinaria amministrazione di competenza della Giunta e agli atti improrogabili, da sottoporre alla ratifica del nuovo Consiglio” (art. 3, comma 3, sulla falsariga del vecchio art. 126, quinto comma, della Costituzione, nel testo anteriore alla legge costituzionale 22 novembre 1999, n. 1); al di fuori di tale ipotesi, “in caso di scioglimento anticipato, il Presidente della Giunta, la Giunta e il Consiglio regionale sono prorogati sino all’insediamento del nuovo Consiglio” (art. 3, comma 4); in caso di annullamento giurisdizionale delle elezioni, “il Presidente della Giunta, la Giunta e il Consiglio regionale restano in carica sino all’insediamento del nuovo Consiglio, per l’espletamento dell’ordinaria amministrazione e per la trattazione degli affari indifferibili ed urgenti” (art. 3, comma 5).
Secondo il Governo ricorrente, una
prima ragione di illegittimità costituzionale, per contrasto con gli artt. 117,
secondo e quarto comma, della Costituzione, coinvolgerebbe quasi tutto il testo
legislativo, e dovrebbe ravvisarsi nella formulazione degli artt. 2,
Quanto alle disposizioni in tema di esercizio delle funzioni degli organi regionali dopo lo scioglimento del Consiglio o l’annullamento delle elezioni, il ricorrente muove censure analoghe a quelle prospettate relativamente alla legge della Regione Calabria: non spetterebbe al legislatore regionale integrare l’art. 126 della Costituzione, e in particolare regolare effetti e conseguenze della pronuncia di annullamento giurisdizionale delle elezioni o dell’atto statale di scioglimento del Consiglio; in subordine, la legge violerebbe la riserva di legge statutaria di cui all’art. 123, primo comma, della Costituzione.
In via
ulteriormente subordinata, sarebbero in contrasto con gli artt.
Ancora, sarebbe illegittima la previsione della prorogatio dei poteri del Consiglio fino alla riunione del nuovo, in quanto spetterebbe allo Stato, competente a stabilire la durata degli organi elettivi delle Regioni, ai sensi dell’art. 122 della Costituzione, anche prevederne la prorogatio: in subordine, si tratterebbe di materia riservata allo statuto. Sarebbe altresì illegittima la previsione della durata quinquennale del Consiglio, spettando alla legge statale stabilire la durata dei Consigli regionali. Infine, le disposizioni residue della legge regionale, che attengono alla materia elettorale, contrasterebbero con l’art. 122, primo, secondo e quinto comma, della Costituzione, in quanto la legge regionale che disciplina l’elezione del Consiglio potrebbe essere emanata solo dopo che la legge dello Stato abbia fissato principi e limiti, ai sensi del medesimo art. 122, primo comma: a tale legge statale competerebbe anche il compito di modificare le disposizioni della legge n. 108 del 1968 che attribuiscono al Commissario del Governo l’emanazione di atti del procedimento elettorale.
3. – I due ricorsi propongono censure in parte comuni alle due leggi regionali, a loro volta destinate a regolare materie parzialmente comuni. E’ perciò opportuno riunire i giudizi perché siano decisi con unica pronunzia.
4. – La disciplina del sistema di elezione dei Consigli delle Regioni a statuto ordinario era riservata, secondo il testo originario dell’art. 122, primo comma, della Costituzione, alla legge statale. Nell’esercizio di tale competenza il legislatore statale dettò la legge 17 febbraio 1968, n. 108 (Norme per la elezione dei Consigli regionali delle Regioni a statuto normale), più di recente modificata e integrata dalla legge 23 febbraio 1995, n. 43.
Con la riforma recata dalla legge costituzionale 22 novembre 1999, n. 1, si è fra l’altro disposto che spetta alla legge della Regione disciplinare il sistema di elezione del Consiglio, della Giunta e del Presidente regionale (per la Giunta solo se lo statuto accoglie un sistema diverso da quello dell’elezione del Presidente a suffragio universale e diretto, il quale nomina e revoca i componenti della Giunta), nei limiti dei principi fondamentali stabiliti con legge della Repubblica, che stabilisce anche la durata degli organi elettivi (nuovo art. 122, primo e quinto comma, Cost.).
A seguito di tale riforma, le
leggi statali in materia conservano la loro efficacia, in forza del principio di
continuità (sentenze n. 14 del
Né è a dirsi che tale potestà regionale possa essere esercitata solo dopo che lo Stato abbia dettato i principi fondamentali cui i legislatori regionali dovranno attenersi, ai sensi dell’art. 122, primo comma, della Costituzione.
Anche in questo caso non vi è ragione per ritenerne precluso l’esercizio fino alla statuizione di nuovi principi, con la conseguenza che il legislatore statale, omettendo di dettare tali principi, potrebbe di fatto paralizzare l’esercizio della competenza regionale a tempo indeterminato. Vale dunque il principio per cui la legislazione regionale può disciplinare le nuove materie – e nella specie l’elezione del Consiglio – nel rispetto dei principi fondamentali che si ricavano dalla preesistente legislazione statale (cfr. sentenza n. 282 del 2002).
Vi è certo l’ulteriore complicazione nascente dal fatto che, fino all’entrata in vigore dei nuovi statuti regionali (oltre che delle nuove leggi elettorali regionali), l’art. 5 della legge costituzionale n. 1 del 1999 detta direttamente la disciplina della elezione del Presidente regionale, stabilendo che essa sia contestuale al rinnovo del Consiglio e che si effettui “con le modalità previste dalle disposizioni di legge ordinaria vigenti in materia di elezione dei Consigli regionali”, così indirettamente in qualche misura “irrigidite” in via transitoria; e dal fatto che la nuova disciplina statutaria, cui è demandata la definizione della forma di governo regionale, condiziona inevitabilmente, in parte, il sistema elettorale per l’elezione del Consiglio. In pratica ciò comporta che siano esigui gli spazi entro cui può intervenire il legislatore regionale in tema di elezione del Consiglio, prima dell’approvazione del nuovo statuto. Tuttavia questo non significa che la legge regionale non possa nemmeno, fin d’ora, modificare, in aspetti di dettaglio, la disciplina delle leggi statali vigenti, per tutto quanto non è direttamente o indirettamente implicato dal citato art. 5 della legge cost. n. 1 del 1999, in attesa del nuovo statuto, e così per quanto riguarda competenze e modalità procedurali; ancor meno significa che alla legge regionale sia precluso dettare, nell’esercizio di una competenza che ormai le è propria, una disciplina riproduttiva di quella delle leggi statali previgenti.
5. – Non era dunque di per sé precluso al legislatore regionale disporre, come fa l’art. 1 della legge abruzzese (peraltro non specificamente censurato dal ricorrente), il “recepimento” della legge statale n. 108 del 1968 “con le successive modificazioni e integrazioni”. Tale “recepimento” va ovviamente inteso nel senso che la legge regionale viene a dettare, per relationem, disposizioni di contenuto identico a quelle della legge statale, su alcune delle quali, contestualmente, gli articoli successivi operano modificandole o sostituendole: ferma restandone la diversa forza formale e la diversa sfera di efficacia.
Non si può omettere di notare la improprietà di una tecnica legislativa che, operando il “recepimento” e poi la parziale sostituzione delle disposizioni della legge statale (fra l’altro, a quanto sembra, della sola legge n. 108 del 1968, con le modifiche apportate successivamente al suo testo, in particolare da vari articoli della legge n. 43 del 1995, e non delle autonome disposizioni dettate successivamente dalla stessa legge n. 43 del 1995), dà vita ad una singolare legge regionale, dal testo corrispondente a quello della legge statale, i cui contenuti, peraltro, non risultano sempre legittimamente assumibili dalla legge regionale, in quanto estranei alla sua competenza: così quelli che riguardano ad esempio, oltre che, come si dirà, la durata in carica del Consiglio, di cui all’art. 3, i ricorsi giurisdizionali, di cui all’art. 19, o le norme sullo svolgimento contemporaneo delle elezioni regionali, provinciali e comunali, di cui agli artt. 20 e 21.
Non è però condivisibile la
censura di carattere generale mossa dal ricorrente agli artt. 2,
6. – Passando ad esaminare le
singole disposizioni della legge della Regione Abruzzo, modificative di quelle
della legge statale, vengono in considerazione in primo luogo quelle che
attribuiscono alla competenza del Presidente della Giunta regionale l’emanazione
del decreto che determina e assegna i seggi del Consiglio alle singole
circoscrizioni (art. 2 della legge impugnata, sostitutivo dell’art. 2, comma 3,
della legge statale) e l’emanazione del decreto di indizione delle elezioni
(art. 3, comma 6, nonché commi
Le censure mosse a tali disposizioni non sono fondate. L’intervento legislativo regionale riguarda infatti un oggetto – il procedimento per la elezione del Consiglio – divenuto ormai di competenza della Regione ai sensi del nuovo art. 122, primo comma, della Costituzione: e riguarda aspetti procedurali non incidenti sui principi fondamentali ricavabili in materia dalla legislazione statale, né sui vincoli che discendono dal rispetto della normativa transitoria dettata, in pendenza dell’approvazione dello statuto, dall’art. 5 della legge costituzionale n. 1 del 1999.
7. – A diversa conclusione di fondatezza della questione deve giungersi con riguardo all’art. 4 della legge dell’Abruzzo, che attribuisce alla competenza del Presidente della Regione l’emanazione dell’atto che rende esecutivo il riparto delle spese per gli adempimenti comuni alle elezioni regionali, provinciali e comunali in caso di loro contemporaneità. La disposizione impugnata incide infatti anche sulla materia della “legislazione elettorale” dei Comuni e delle Province, che spetta allo Stato, ai sensi del nuovo art. 117, secondo comma, lettera p, della Costituzione. Essa deve dunque essere dichiarata costituzionalmente illegittima.
8. – Venendo ora al secondo gruppo di disposizioni impugnate della legge della Regione Abruzzo, in tema di durata del mandato consiliare e di termini del procedimento elettorale e degli adempimenti successivi, deve anzitutto giudicarsi costituzionalmente illegittimo il comma 1 del testo legislativo che l’art. 3 della legge impugnata “sostituisce” all’art. 3 della legge statale, in cui si prevede che “la durata del Consiglio regionale è stabilita dalla legge dello Stato in cinque anni”, decorrenti dalla data dell’elezione. La disciplina della durata in carica del Consiglio è infatti attribuita, dall’art. 122, primo comma, della Costituzione, alla competenza della legge statale. Né, evidentemente, spetta alla legge regionale non tanto riprodurre la norma statale, quanto prevedere la competenza ed il contenuto della legge statale, come pretende di fare la disposizione impugnata.
9. – Va esente da censura, invece, la disposizione che disciplina il termine iniziale per lo svolgimento delle elezioni (art. 3, comma 2, primo periodo, del testo legislativo “sostituito” dall’art. 3 della legge impugnata all’art. 3 della legge statale): la previsione, conforme del resto a quella della legge statale, riguarda il procedimento elettorale, di competenza della Regione, mentre il riferimento al “quinquennio” può intendersi come fatto al periodo del mandato consiliare oggi stabilito dalla legge dello Stato, senza che questo valga a novare la fonte della norma che stabilisce la durata in carica del Consiglio.
Parimenti, e per la stessa ragione, non è fondata la questione con riguardo alla disposizione che prevede che le elezioni siano indette entro tre mesi (art. 3, comma 6, del testo “sostituito” all’art. 3 della legge statale dall’art. 3 della legge regionale dell’Abruzzo, da intendersi nel senso che le elezioni abbiano luogo, e non siano semplicemente indette, entro tale lasso di tempo): anche se non è chiaro se detto termine ad quem – oggi assente nella legge statale, che prevede solo il termine iniziale – sia fatto decorrere, nel caso di scadenza del mandato, da tale scadenza, ovvero dalla quarta domenica antecedente la stessa, a partire dalla quale le elezioni possono avere luogo ai sensi del precedente comma 2. In ogni caso, non può dirsi che tale termine sia eccessivamente lungo, tenuto conto anche che esso, pur se fatto decorrere dalla scadenza del Consiglio, supera di soli venti giorni il periodo massimo di settanta giorni dalla fine del mandato delle Camere, entro il quale devono essere elette le nuove, ai sensi dell’art. 61, primo comma, della Costituzione.
10. – E’, invece, costituzionalmente illegittimo il comma 2, secondo periodo, del testo “sostituito” all’art. 3 della legge statale dall’art. 3 della legge della Regione Abruzzo, in cui si dispone che la prima riunione del nuovo Consiglio ha luogo non oltre il ventesimo giorno dalle elezioni. Esso infatti modifica (sia pure marginalmente), al di fuori del procedimento di approvazione della legge statutaria previsto dal nuovo art. 123, primo comma, della Costituzione, la vigente disciplina dello statuto della Regione Abruzzo (tuttora efficace, fino all’entrata in vigore di nuove leggi statutarie, per le parti non implicitamente abrogate dalla riforma costituzionale: cfr. sentenza n. 304 del 2002), il cui art. 18, primo comma, stabilisce che il Consiglio tiene la sua prima seduta il primo giorno non festivo della terza settimana successiva alla proclamazione degli eletti.
11. – Pure costituzionalmente illegittimo è il comma 7 del testo “sostituito” dall’art. 3 della legge impugnata all’art. 3 della legge statale, secondo cui il termine ad quem di tre mesi, previsto dal comma 5 per l’indizione delle elezioni, decorre, in caso di annullamento delle elezioni, dalla scadenza del “termine per l’azione revocatoria”, la quale – si intende – possa essere esperita per la revoca della pronuncia giurisdizionale definitiva di annullamento delle operazioni elettorali.
L’intento di siffatta disposizione è, all’evidenza, quello di consentire un ulteriore prolungamento del periodo transitorio durante il quale, ai sensi del precedente comma 5, si dispone che restino in carica per l’ordinaria amministrazione e per gli affari indifferibili ed urgenti gli organi eletti colpiti dall’annullamento. Ma, anche a prescindere da questo collegamento con una disposizione che, come si dirà più oltre, è, per altre ragioni, costituzionalmente illegittima, sta di fatto che differire la indizione delle nuove elezioni, in caso di annullamento delle precedenti, non già fino al passaggio in giudicato della pronuncia di annullamento, ma oltre, in attesa di una del tutto eventuale azione di revocazione di detta pronuncia definitiva, significa prolungare irragionevolmente una situazione patologica e di carenza costituzionale come quella derivante dall’annullamento delle elezioni seguite alla scadenza o allo scioglimento del precedente Consiglio; mentre è necessario ripristinare al più presto la legittima rappresentatività degli organi regionali.
12. – Si può ora passare ad esaminare le disposizioni delle leggi impugnate che riguardano il tema principale su cui si è esplicato l’intervento legislativo delle due Regioni, vale a dire quello della prorogatio degli organi regionali dopo la scadenza, lo scioglimento o la rimozione.
L’art. 3 della legge n. 108 del 1968 stabilisce fra l’altro che i Consigli regionali si rinnovano ogni cinque anni (primo comma), decorrenti dalla data della elezione (terzo comma), ma che essi “esercitano le loro funzioni fino al 46° giorno antecedente alla data delle elezioni per la loro rinnovazione, che potranno aver luogo a decorrere dalla quarta domenica precedente il compimento del periodo” della loro durata in carica (secondo comma).
Tale disposizione non accoglie dunque il principio della prorogatio del Consiglio dopo la sua scadenza e fino alla riunione del nuovo Consiglio eletto, previsto invece per le Camere dall’art. 61, secondo comma, della Costituzione, e per i Consigli delle Regioni ad autonomia speciale dall’art. 4 della legge costituzionale 23 febbraio 1972, n. 1: anche se questa Corte, chiamata a dirimere alcuni conflitti di attribuzione in ordine al legittimo esercizio del potere governativo di rinvio delle leggi regionali (previsto dal vecchio testo dell’art. 127 della Costituzione), nell’affermare il vigore nelle Regioni del c.d. “principio di rappresentatività”, per cui i procedimenti legislativi in itinere decadono con la fine della legislatura, ebbe a stabilire che dopo il 46° giorno anteriore alle elezioni per il rinnovo del Consiglio regionale, e fino alla sua cessazione, vale a dire “nel corso degli ultimi quarantacinque giorni di permanenza in carica del Consiglio stesso”, le assemblee “dispongono di poteri attenuati confacenti alla loro situazione di organi in scadenza, analoga, quanto a intensità di poteri, a quella degli organi legislativi in prorogatio” (sentenza n. 468 del 1991, e analogamente sentenza n. 515 del 1995).
Può dirsi dunque che, allo stato della legislazione statale (tuttora applicabile fino all’esercizio delle nuove competenze statutarie e legislative regionali), i Consigli regionali conservano i loro poteri solo fino alla scadenza.
Nel sistema antecedente alla riforma costituzionale recata dalla legge costituzionale n. 1 del 1999, era disciplinato a parte il caso dello scioglimento anticipato del Consiglio regionale, disposto con decreto del Presidente della Repubblica, ai sensi dell’art. 126 della Costituzione, per aver compiuto atti contrari alla Costituzione o gravi violazioni di legge, per non aver corrisposto all’invito del Governo di sostituire la Giunta o il Presidente, che avessero compiuto analoghi atti o violazioni, per impossibilità di funzionamento a seguito di dimissioni o impossibilità di formare una maggioranza, o infine per ragioni di sicurezza nazionale. In questi casi era previsto, infatti, che col decreto di scioglimento fosse nominata una commissione di tre cittadini eleggibili al Consiglio regionale, che indicesse le elezioni entro tre mesi e provvedesse all’ordinaria amministrazione di competenza della Giunta e agli atti improrogabili, da sottoporre alla ratifica del nuovo Consiglio (art. 126, vecchio testo, quinto comma).
Non era e non è invece regolato il caso di annullamento delle operazioni elettorali dopo l’elezione del Consiglio: tanto è vero che, quando si verificò questa ipotesi nel Molise, il Governo, invocando il carattere necessario dell’ente con la conseguente necessità di assicurare il compimento degli atti improrogabili, nel silenzio dello statuto regionale, non ancora adeguato ai principi della legge cost. n. 1 del 1999 (così implicitamente riconosciuto fonte competente in materia) e i “poteri residuali del Governo”, in base ad un (per la verità, inedito) “principio generale dell’ordinamento che attribuisce al Governo un potere di intervento per assicurare l’adempimento degli obblighi attinenti a interessi di rilievo costituzionale”, ebbe a disporre che la Giunta e il Presidente, la cui elezione era stata annullata, provvedessero “agli atti urgenti e improrogabili sino alla proclamazione del nuovo consiglio e del presidente della Regione” (d.P.R. 16 luglio 2001, recante “Disposizioni per assicurare il compimento di atti urgenti e improrogabili da parte della Regione Molise”: la motivazione è contenuta nel preambolo del decreto).
Quanto alla permanenza in carica della Giunta e del Presidente della Regione, l’art. 26, terzo comma, della legge 10 febbraio 1953, n. 62 (derogabile però dagli statuti regionali, ai sensi dell’art. 2 della legge 23 dicembre 1970, n. 1084) stabiliva che la Giunta durasse in carica “fino alla rinnovazione del Consiglio”, salvo il caso di revoca con voto del Consiglio medesimo. In molte Regioni, ma non in tutte, la materia è oggetto di previsioni statutarie, come nel caso dell’Abruzzo, il cui statuto, all’art. 42, prevede che “la Giunta e il suo Presidente, in caso di dimissioni o di revoca ovvero nel caso di rinnovazione del Consiglio, rimangono in carica, per gli affari correnti, fino all’elezione del nuovo Presidente e della nuova Giunta” (e l’art. 19, settimo comma, prevede a sua volta che l’ufficio di presidenza del Consiglio resti in carica “fino alla convocazione del nuovo Consiglio”); o come nel caso della Calabria, il cui statuto, all’art. 19, prevede che “la Giunta e il suo Presidente rimangono in carica fino all’elezione del nuovo Presidente e della nuova Giunta”, limitandosi però, dopo la scadenza del Consiglio o l’approvazione della proposta di revoca o il voto del Consiglio sulle dimissioni, agli affari di ordinaria amministrazione.
13. – Con la legge costituzionale n. 1 del 1999 la disciplina dell’organizzazione di governo delle Regioni è stata profondamente innovata. Spetta ora ai nuovi statuti, approvati con legge regionale, determinare, in armonia con la Costituzione, la forma di governo delle Regioni e i principi fondamentali della loro organizzazione e del loro funzionamento (nuovo art. 123, primo comma, della Costituzione). Spetta alla legge della Regione disciplinare il sistema di elezione del Consiglio, della Giunta e del Presidente regionale (per la Giunta, solo se lo statuto accoglie un sistema diverso da quello dell’elezione del Presidente a suffragio universale e diretto), nei limiti dei principi fondamentali stabiliti con legge della Repubblica, che stabilisce anche la durata degli organi elettivi (nuovo art. 122, primo e quinto comma, Cost.). Infine, il nuovo art. 126 della Costituzione prevede ancora lo scioglimento del Consiglio che abbia compiuto atti contrari alla Costituzione o gravi violazioni di legge, o per ragioni di sicurezza nazionale, senza però più prevedere la nomina, in questi casi, di una commissione incaricata di indire le elezioni e nel frattempo di assicurare l’ordinaria amministrazione e il compimento degli atti improrogabili, salvo ratifica del nuovo Consiglio, come stabiliva il vecchio testo; e aggiunge che lo scioglimento del Consiglio consegue altresì alla approvazione della mozione di sfiducia nei confronti del Presidente eletto a suffragio universale e diretto, nonché alla rimozione, alla morte, all’impedimento permanente e alle dimissioni del medesimo, e alle dimissioni contestuali della maggioranza dei consiglieri: anche in queste ultime ipotesi la Costituzione non disciplina l’esercizio delle funzioni nel periodo di transizione fra lo scioglimento del Consiglio e l’elezione del nuovo.
Una interpretazione sistematica delle citate nuove norme costituzionali conduce a ritenere che la disciplina della eventuale prorogatio degli organi elettivi regionali dopo la loro scadenza o scioglimento o dimissioni, e degli eventuali limiti dell’attività degli organi prorogati, sia oggi fondamentalmente di competenza dello statuto della Regione, ai sensi del nuovo articolo 123, come parte della disciplina della forma di governo regionale: così come è la Costituzione (art. 61, secondo comma; art. 77, secondo comma) che regola la prorogatio delle Camere parlamentari.
Non può condividersi la tesi secondo cui tale competenza sarebbe attribuita alla legge statale, cui spetta, ai sensi dell’art. 122, primo comma, Cost. stabilire “la durata degli organi elettivi” regionali. L’istituto della prorogatio, a differenza della vera e propria proroga (cfr., rispettivamente, art. 61, secondo comma, e art. 60, secondo comma, Cost., per quanto riguarda le Camere), non incide infatti sulla durata del mandato elettivo, ma riguarda solo l’esercizio dei poteri nell’intervallo fra la scadenza, naturale o anticipata, di tale mandato, e l’entrata in carica del nuovo organo eletto.
E’ ovvio, peraltro, che gli statuti, nel disciplinare la materia, dovranno essere in armonia con i precetti e con i principi tutti ricavabili dalla Costituzione, ai sensi dell’art. 123, primo comma, della Costituzione (cfr. sentenza n. 304 del 2002).
Si deve però eccettuare l’ipotesi dello scioglimento o rimozione “sanzionatori”, prevista dall’art. 126, primo comma, della Costituzione. In questo caso, trattandosi di un intervento repressivo statale (non più previsto per la semplice impossibilità di funzionamento, come accadeva nel vecchio testo dell’art. 126 Cost., ma solo a seguito di violazioni della Costituzione o delle leggi, o per ragioni di sicurezza nazionale), è logico che le conseguenze, anche in ordine all’esercizio delle funzioni fino all’elezione dei nuovi organi, siano disciplinate dalla legge statale, cui si deve ritenere che l’art. 126, primo comma, della Costituzione implicitamente rinvii, nonostante l’avvenuta soppressione del vecchio art. 126, quinto comma: non potendosi supporre che resti nella disponibilità della Regione disporre la proroga dei poteri di organi sciolti o dimessi a seguito di gravi illeciti, o la cui permanenza in carica rappresenti un pericolo per la sicurezza nazionale.
A parte deve essere considerata l’ipotesi – che la legge della Regione Abruzzo fa oggetto di specifica disciplina – dell’annullamento giurisdizionale della elezione: in questo caso si verifica non la scadenza o lo scioglimento o la rimozione di un Consiglio o di un Presidente legittimamente eletti ed in carica, ma il venir meno ex tunc, secondo i principi, dello stesso titolo di investitura dell’organo elettivo.
Anche in questa ipotesi la disciplina dell’esercizio delle funzioni regionali fino alla nuova elezione rientra in linea di principio nella competenza statutaria della Regione, salvi i limiti che la Regione stessa incontra in forza della competenza statale esclusiva in materia giurisdizionale, stabilita dall’art. 117, secondo comma, lettera l, della Costituzione. In ogni caso, è escluso che possa provvedere in materia una legge regionale non statutaria.
In conclusione, dunque, in tema di disciplina dell’esercizio dei poteri degli organi regionali dopo la loro scadenza o scioglimento o rimozione, o dopo l’annullamento della elezione, la legge regionale è priva di competenza, almeno fino a quando lo statuto, o rispettivamente la legge statale, abbiano fissato i principi e le regole fondamentali.
14.– Discende dalle premesse poste che devono ritenersi costituzionalmente illegittime tutte le disposizioni delle leggi regionali impugnate che disciplinano la prorogatio degli organi elettivi regionali (art. 1 della legge regionale della Calabria; art. 3 della legge regionale dell’Abruzzo, nella parte in cui sostituisce l’art. 3, secondo comma, prima parte, della legge statale n. 108 del 1968 con le disposizioni dell’art. 3, comma 2, terzo periodo, e commi 3, 4 e 5, del nuovo testo legislativo): vuoi per violazione della “riserva di statuto” di cui all’art. 123 della Costituzione, vuoi, per quelle di esse che disciplinano l’ipotesi dello scioglimento o della rimozione “sanzionatori” (art. 1 della legge della Regione Calabria nella parte in cui, non distinguendo, si riferisce anche a questa ipotesi; art. 3, comma 3, del testo sostituito della legge della Regione Abruzzo), per violazione della competenza statale a disciplinare la materia.
Quanto a quest’ultima disposizione della legge della Regione Abruzzo, non può valere in contrario il fatto che essa riprenda testualmente la previsione del vecchio art. 126, quinto comma, della Costituzione, abrogato dalla legge costituzionale n. 3 del 2001: in ogni caso, la Regione non può reintrodurre una norma costituzionale ormai scomparsa.
Rimane assorbito ogni altro profilo di censura, in particolare per quanto riguarda la disciplina, nell’art. 3, comma 5, del testo sostituito della legge regionale dell’Abruzzo, dell’esercizio delle funzioni regionali nel caso di annullamento giurisdizionale delle elezioni.
15. – In definitiva, mentre la
legge regionale della Calabria deve essere dichiarata in toto
costituzionalmente illegittima, della legge regionale dell’Abruzzo restano
indenni l’art. 1 (non specificamente censurato dal Governo, e comunque da
intendersi nel senso sopra precisato al n. 5), l’art. 2, nonché, dell’art. 3,
solo le parti che, “sostituendo” l’art. 3 della legge statale, dettano le
disposizioni dei commi 2 (limitatamente al primo periodo), 6,
riuniti i giudizi,
a) dichiara l’illegittimità costituzionale della legge della Regione Calabria 15 marzo 2002, n. 14 (Disposizioni sulla prorogatio degli organi regionali);
b) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 3 della legge della Regione Abruzzo 19 marzo 2002, n. 1 (Disposizioni sulla durata degli Organi e sull’indizione delle elezioni regionali), nella parte in cui introduce, sostituendo il testo dell’art. 3 della legge statale 17 febbraio 1968, n. 108 (Norme per la elezione dei Consigli regionali delle Regioni a statuto normale), le disposizioni dei commi 1, 2 – limitatamente al secondo e al terzo periodo –, 3, 4, 5, 7;
c) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 4 della predetta legge della Regione Abruzzo n. 1 del 2002;
d)
dichiara
non fondata la questione di legittimità costituzionale delle rimanenti
disposizioni – diverse da quelle di cui ai capi b e c – della
predetta legge della Regione Abruzzo n. 1 del 2002, sollevata, in riferimento
agli artt. 117, secondo e quarto comma,
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 maggio 2003.
F.to:
Riccardo CHIEPPA, Presidente
Valerio ONIDA, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 5 giugno 2003.