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n. 12-2001 - © copyright.

TAR EMILIA ROMAGNA-BOLOGNA, SEZ. I – Sentenza 6 dicembre 2001 n. 1207 - Pres. Perricone, Est. Pasi - Gruppo COIN s.p.a. (Avv.ti Monzoni e V ed M. Lo Fiego) c. I.N.A.I.L. di Ferrara (Avv.ti Colombino e Cazzante) e Natali (n.c.) - (respinge).

1. Atto amministrativo - Diritto di accesso - Rapporto tra la disciplina prevista dalla L. 241/90 e la disciplina sulla riservatezza dei dati personali prevista dalla legge 675/96 - Non è di incompatibilità - Valutazione da parte della P.A. dei presupposti delle istanze di accesso ai sensi dell’art. 43, comma secondo, della legge 675/96 - Necessità.

2. Atto amministrativo - Diritto di accesso - Rapporto con la disciplina sulla riservatezza dei dati personali - Prevalenza del diritto di accesso - Si realizza allorché l’interesse fatto valere sia rilevante e l’accesso sia imprescindibile per la difesa dell’interesse stesso.

3. Atto amministrativo - Diritto di accesso - Rapporto con la disciplina sulla riservatezza dei dati personali - Istanza di accesso di un datore di lavoro agli atti di un procedimento presso I.N.A.I.L. di riconoscimento di malattia professionale che riguarda un dipendente - Nel caso in cui l’interesse sia costituito da paventati pregiudizi morali ed economici che potrebbero conseguire dall’esito del procedimento - Non può essere accolta - prevalenza delle esigenze alla riservatezza.

4. Atto amministrativo - Procedimento - Partecipazione - Di un datore di lavoro ad un procedimento presso I.N.A.I.L. di riconoscimento di malattia professionale che riguarda un dipendente - Diritto - Non sussiste - Ragioni.

1. Anche se non vi è incompatibilità tra il diritto di accesso agli atti della P.A. e la tutela della privacy, continua a spettare, ai sensi dell’art. 43, comma secondo, della legge 675/96, alle Amministrazioni destinatarie delle richieste di accesso il compito di valutare i presupposti di queste ultime alla stregua della legge n. 241/90 e dei regolamenti attuativi della stessa.

2. Il giudizio di comparazione tra esigenze di accesso e tutela della riservatezza personale in materia sanitaria deve assumere quali parametri di riferimento la rilevanza giuridica dell’interesse rispetto al quale è strumentale l’accesso documentale, e la sua imprescindibile necessità per la difesa di quell’interesse, che rappresenta anche il limite entro il quale l’accesso può essere consentito, oltre che la condizione per la sua prevalenza sulla tutela della privacy.

3. Non sussite il diritto di un datore di lavoro all’acquisizione di notizie presso I.N.A.I.L. relative ad un procedimento di riconoscimento di malattia professionale che riguarda un dipendente, ove tale richiesta di accesso sia giustificata da paventati pregiudizi morali ed economici che potrebbero conseguire dall’esito del procedimento, tenuto conto peraltro della rilevanza giuridica sicuramente ed esplicitamente attribuita da norme positive alla tutela della riservatezza in materia sanitaria e dell’attinenza del relativo diritto alla sfera della personalità, a fronte dei quali gli interessi di natura esclusivamente patrimoniale fatti valere, di assai esigua consistenza ovvero autonomamente e pienamente tutelabili in apposite e competenti sedi giurisdizionali e amministrative, non siano direttamente incisi dal procedimento amministrativo rispetto al quale reclama l’accesso documentale. In tale ipotesi il diritto di accesso per la difesa di interessi giuridicamente rilevanti deve ritenersi recessivo rispetto all’opposto interesse alla tutela della riservatezza (1).

4. Non sussiste il diritto di un datore di lavoro ad intervenire nel procedimento di riconoscimento di malattia professionale che riguarda un diendente, atteso che tale partecipazione non è prevista dalle norme del T.U. n. 1124/65 che lo disciplinano, né dal Regolamento INAIL attuativo della legge n. 241/90 (pubblicato in G.U. 14 maggio 1992 - il cui art. 12 recita al riguardo: "Possono intervenire ….i soggetti, portatori di interessi pubblici o privati, i quali documentino a pena di inammissibilità, che dal provvedimento conclusivo e come diretto effetto dello stesso possa loro derivare un pregiudizio concretamente individuabile"); il datore di lavoro, nonostante la sua qualità di "assicurante" nel rapporto trilatero di assicurazione sociale, che espone il datore di lavoro stesso soltanto al rischio di aumento del premio assicurativo, non può infatti essere qualificato come controinteressato al procedimento di riconoscimento di malattia professionale, essendo tale posizione indifferenziata e diffusa, comune a tutti gli operatori della medesima categoria tariffaria.

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(1) Cfr. in tal senso Cons. Stato, Sez. VI, 6 giugno 1997, n. 802.

V. in senso opposto a quanto affermato con la sentenza in rassegna, proprio con riferimento all'accesso agli atti dell'I.N.A.I.L., TAR LOMBARDIA-MILANO, SEZ. II - Sentenza 23 giugno 2000 n. 4615, in questa rivista n. 8/2001.

V. in argomento sempre in questa rivista:

CONSIGLIO DI STATO, SEZ. VI - Sentenza 30 marzo 2001 n. 1882

TAR SICILIA-CATANIA, SEZ. III - Sentenza 14 marzo 2000 n. 401

CONSIGLIO DI STATO, SEZ. V - Sentenza 2 dicembre 1998 n. 1725

CONSIGLIO DI STATO, SEZ. VI - Sentenza 26 gennaio 1999 n. 59 con nota di G. VIRGA, Il difficile rapporto tra diritto di accesso e diritto alla riservatezza alla luce delle norme sulla partecipazione amministrativa (come conciliare due diritti apparentemente in conflitto).

CONSIGLIO DI STATO, SEZ. V - Sentenza 5 maggio 1999 n. 518

TAR VENETO, SEZ. II - Sentenza 29 dicembre 1999 n. 2708

D. RISO, Il Palazzo di vetro torna ad oscurarsi?: accesso ai documenti, privacy e dominii riservati della pubblica amministrazione
 

 

PER L'ANNULLAMENTO

del diniego opposto dall’INAIL alla richiesta di accesso agli atti del procedimento amministrativo per il riconoscimento di malattia professionale in capo a Natali Lorenzina.

(omissis)

FATTO E DIRITTO

Con l’epigrafato ricorso, proposto ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 25 della legge n. 241/90, Gruppo COIN S.p.A. chiede che sia ordinato all’INAIL di consentire al ricorrente l’accesso documentale e l’intervento nel procedimento pendente per il riconoscimento di malattia professionale della dipendente Natali Lorenzina.

Con atto notificato per motivi aggiunti COIN S.p.A. impugna altresì il diniego (20 settembre 2001, n. 1271/01) opposto dall’Istituto, a seguito del rifiuto manifestato dalla Sig.ra Natali nel timore che l’accesso potesse inficiare il buon esito del procedimento.

Resiste l’Istituto, contestando la fondatezza in merito del ricorso.

La causa passa in decisione all’odierna pubblica udienza.

Il ricorrente, dopo aver puntualizzato il proprio interesse all’acquisizione delle notizie richieste in relazione a paventati pregiudizi morali ed economici che potrebbero conseguirgli dall’esito del procedimento, richiamando giurisprudenza in termini, ed illustrato il carattere trilaterale del rapporto tra Istituto assicuratore, datore di lavoro assicurante e lavoratore assicurato, espone una esauriente ricostruzione dell’evoluzione normativa (anche interna all’istituto) e giurisprudenziale sui casi di esclusione dal diritto di accesso, in rapporto al diritto alla riservatezza e alla cosiddetta legislazione sulla "privacy" (legge n. 675/1996).

Da ultimo vengono svolte alcune argomentazioni intese a dimostrare:

- l’illegittimità, alla stregua degli stessi Regolamenti INAIL, del subprocedimento attivato per acquisire l’assenso della dipendente alla ostensione dei documenti del procedimento di riconoscimento della malattia professionale;

- l’illegittimità del diniego, in quanto fondato esclusivamente sul dissenso dell’interessata e comunque su ragioni che nulla hanno a che vedere con la tutela della sua riservatezza, bensì soltanto col timore di un comportamento di malafede del richiedente l’accesso (ipotesi non presa in considerazione da nessuna disposizione limitativa del diritto di accesso);

- l’azionabilità, ex art. 25 della Legge n. 241/1990, anche della pretesa di intervenire nel procedimento di riconoscimento della malattia professionale, rispetto alla quale è strumentale il richiesto accesso documentale.

Poiché, in consonanza con la natura accertativa dell’azione prevista dall’art. 25 della legge n. 241/90, il ricorso è inteso all’accertamento e alla dichiarazione dell’obbligo dell’Istituto intimato di consentire il denegato accesso documentale, il Collegio può prescindere dall’esame dei vizi motivazionali dedotti a carico del diniego, il cui eventuale annullamento per difetto di motivazione non recherebbe alcun concreto vantaggio alla pretesa azionata, e segnatamente alla verifica dell’esistenza di un dovere dell’Istituto di provvedere all’ostensione dei documenti richiesti (accertamento senza il quale non sarebbe possibile l’ordine di esibizione cui tende la tutela ex art. 25 legge n. 241/90).

La Società ricorrente ha ben rappresentato che l’esigenza di conoscere gli atti e i documenti del procedimento di riconoscimento della malattia professionale, in modo da intervenire "cognita causa", e rappresentare nel medesimo le proprie ragioni e il proprio punto di vista, è correlato al pregiudizio che potrebbe derivarle dall’esito del procedimento, in caso di riconoscimento del nesso causale tra malattia e prestazione lavorativa.

E’ tuttavia pacifico in causa che a tale esigenza si oppone un interesse alla riservatezza delle notizie relative allo stato di salute delle persone, interesse cui l’ordinamento è particolarmente sensibile, atteso che la sfera "sanitaria" è esplicitamente individuata dall’art. 8 del D.P.R. 27 giugno 1992, n. 352 (regolamento attuativo dell’art. 24 della legge n. 241/90), sotto la rubrica "Disciplina dei casi di esclusione", come materia di possibile sottrazione dei dati personali al diritto di accesso (comma 5 punto d) dell’art. 8).

E’ vero che il Regolamento INAIL attuativo dell’art. 24 della legge n. 241/90, pubblicato sulla G.U. 29 settembre 1994, afferma all’art. 6, sotto la rubrica "Criteri per l’individuazione dei casi di esclusione e di differimento del diritto di accesso", che "Deve comunque essere garantita agli interessati…la visione degli atti di procedimenti amministrativi, la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i loro interessi giuridici".

Mentre, per quanto riguarda la legislazione sulla "privacy", è prevalso, in giurisprudenza e nelle interpretazioni del Garante per la protezione dei dati personali, l’orientamento secondo il quale non vi è incompatibilità tra le due normative, ma continua a spettare, ai sensi dell’art. 43, comma secondo, della legge 675/96, alle Amministrazioni, destinatarie delle richieste di accesso, il compito di valutarne i presupposti alla stregua della legge n. 241/90 e dei regolamenti attuativi della stessa.

Nell’elaborazione giurisprudenziale di questi principi è emersa, con apprezzabile costanza, la convinzione che il giudizio di comparazione, tra esigenze di accesso e tutela della riservatezza personale in materia sanitaria debba assumere quali parametri di riferimento la rilevanza giuridica dell’interesse rispetto al quale è strumentale l’accesso documentale, e la sua imprescindibile necessità per la difesa di quell’interesse, che rappresenta anche il limite entro il quale l’accesso può essere consentito, oltre che la condizione per la sua prevalenza sulla tutela della "privacy".

Nella fattispecie, posto che, come si è visto, la indiscussa meritevolezza delle esigenze di tutela della "privacy" è già normativamente apprezzata e riconosciuta (si considerino al riguardo il già citato art. 8 del DPR n. 352/92, l’art. 5 della legge n. 300/70 e l’art. 2 della legge n. 33/80 modificato dall’art. 15 della legge n. 155/81, che non consentono al datore di lavoro di conoscere la natura dell’infermità che affligge il dipendente, ma soltanto la sua idoneità o inidoneità al lavoro, accertata da medico del servizio pubblico, nonché le norme –artt. 256 e 622 del Codice Penale- sulla tutela penale del segreto professionale sanitario e, infine, l’art. 19 del Regolamento INAIL del 1994, che esclude dall’accesso la documentazione sanitaria riservata, o coperta dal segreto professionale secondo la valutazione del personale sanitario dell’Istituto), occorre prendere in considerazione la portata e la consistenza dell’interesse che si pretende di tutelare mediante l’accesso documentale, nonché la sua effettiva necessità per apprestare una simile tutela.

Secondo la prospettazione della ricorrente, essa si propone di evitare il pregiudizio che le deriverebbe dal riconoscimento della malattia professionale in termini di:

- lesione all’immagine societaria;

- soggezione ad azioni di regresso dell’INAIL in relazione ad eventuali reati di lesione colposa e ad azioni risarcitorie della dipendente per i danni non coperti dall’assicurazione obbligatoria (ovvero, per tutti i danni in caso di esito negativo del procedimento);

- aumento della tariffa assicurativa che il datore di lavoro sopporterebbe in relazione alla specifica posizione di "assicurante", che riveste nel rapporto di assicurazione previdenziale in virtù delle norme che lo disciplinano.

Quanto alle azioni giudiziarie temute dalla ricorrente, il Collegio deve immediatamente rilevare che:

- esse non costituiscono affatto conseguenza diretta degli accertamenti amministrativi, ma rappresentano una ipotesi ulteriore ed eventuale rispetto ad essi;

- non sussiste, evidentemente, alcun rapporto di pregiudizialità tra gli accertamenti svolti in sede amministrativa e il successivo accertamento giurisdizionale di comportamenti colposi (penalmente rilevanti o meno) e responsabilità della ricorrente, che in quella sede conserverebbe integre ed impregiudicate tutte le sue facoltà di difesa, a prescindere dalle risultanze istruttorie e dall’esito del procedimento amministrativo;

- in caso di effettiva necessità di difesa, l’accesso documentale potrebbe sempre essere chiesto in vista di una attuale (anziché futura ed eventuale) tutela giurisdizionale dei propri interessi, ove realmente minacciati;

- considerazioni analoghe possono essere svolte con riguardo al pregiudizio all’immagine societaria, che potrebbe derivare soltanto dall’accertamento –autonomo- e dalla sanzione di inadempimenti rilevanti almeno sul piano amministrativo, ma non certo dal semplice riconoscimento di una dipendenza causale (dalla prestazione lavorativa) che potrebbe anche prescindere da negligenze del datore di lavoro, nel qual caso l’unico pregiudizio possibile sarebbe l’aumento della tariffa assicurativa, scevro di finalità sanzionatorie poiché collegato all’oggettiva pericolosità della prestazione;

- l’aumento del premio non può tuttavia essere considerato conseguenza diretta del riconoscimento, dal momento che (v. art. 40, comma 3, del T.U. n. 1124/1965) "la tariffa stabilisce tassi di premio nella misura corrispondente al rischio medio nazionale delle singole lavorazioni assicurate", così che la ricaduta economica del riconoscimento sul singolo datore di lavoro è, verosimilmente, irrisoria, e comunque, rispetto ad essa, la posizione della ricorrente non si differenzia in alcun modo da quella degli altri operatori del settore che sopporteranno lo stesso aumento, per cui non può considerarsi giuridicamente qualificata e differenziata;

- tanto a prescindere dalla possibilità di esperire avverso le determinazioni in materia di tariffa il ricorso amministrativo al Consiglio di Amministrazione, ai sensi degli artt. 39 del T.U. n. 1124/’65 e 8 del D. L.vo n. 479/94.

Quanto agli obblighi gravanti sul datore di lavoro ai sensi dell’art. 2087 del Codice civile e del D.Lgs. n. 626/94, concernenti la tutela delle condizioni di lavoro, ben possono essere soddisfatti mediante l’acquisizione di elementi di conoscenza in forma generale ed anonima.

Conclusivamente, a fronte della rilevanza giuridica sicuramente ed esplicitamente attribuita da norme positive alla tutela della riservatezza in materia sanitaria, e dell’attinenza del relativo diritto alla sfera della personalità, la ricorrente vanta interessi di natura esclusivamente patrimoniale, di assai esigua consistenza ovvero autonomamente e pienamente tutelabili in apposite e competenti sedi giurisdizionali e amministrative, non direttamente incisi dal procedimento amministrativo rispetto al quale reclama l’accesso documentale.

Pertanto sembra debba escludersi l’assoluta necessità dell’accesso per la difesa di interessi giuridicamente rilevanti, dovendosi concludere per la loro recessività a fronte dell’opposto interesse alla tutela della riservatezza (in tal senso cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 6/6/1997 n. 802/98).

Le stesse considerazioni conducono a ritenere che non sussiste un diritto di intervenire nel procedimento, atteso che tale partecipazione non è prevista dalle norme del T.U. n. 1124/65 che lo disciplinano, né, alla stregua di quanto sopra esposto, dal Regolamento INAIL attuativo della legge n. 241/90 (pubblicato in G.U. 14 maggio 1992), il cui art. 12 recita al riguardo: "Possono intervenire ….i soggetti, portatori di interessi pubblici o privati, i quali documentino a pena di inammissibilità, che dal provvedimento conclusivo e come diretto effetto dello stesso possa loro derivare un pregiudizio concretamente individuabile".

Il che, alla stregua delle considerazioni che si sono svolte, sembra decisamente da escludersi, nonostante la qualità di "assicurante" nel rapporto trilatero di assicurazione sociale, che espone il datore di lavoro soltanto al rischio di aumento del premio assicurativo, e quindi non vale a qualificarlo controinteressato al riconoscimento, essendo tale posizione indifferenziata e diffusa, comune a tutti gli operatori della medesima categoria tariffaria.

Del resto, rispetto all’utilità di acquisire elementi e notizie che rientrano nella sfera di conoscenza del datore di lavoro, che costituisce la "ratio" degli artt. 53 e 60 u.c. del T.U. n. 1124/1965, sono esaustivi gli oneri informativi (es. denuncia di infortunio) posti a suo carico e la correlata facoltà di verbalizzare le proprie dichiarazioni, mentre sarebbe ultronea una partecipazione necessaria al procedimento, che darebbe luogo ad un flusso informativo in senso inverso.

Né possono in questa sede venire in considerazione le altre disposizioni del T.U., invocate dal ricorrente, sulle attività di prevenzione imposte al datore di lavoro, in relazione a silicosi, asbestosi e tubercolosi polmonare, attesa la tassatività delle patologie ivi considerate, il carattere assolutamente speciale delle relative norme, e la diversa e peculiare natura preventiva dei procedimenti disciplinati.

Il ricorso deve pertanto essere respinto.

Le spese di lite possono essere compensate tra le parti in considerazione delle oscillazioni giurisprudenziali in materia e del pregio delle argomentazioni difensive svolte dalle parti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo per l’Emilia-Romagna, Sezione prima, definitivamente pronunziando sul ricorso in epigrafe, lo respinge.

Spese compensate:

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Bologna, nella Camera di Consiglio del 7 novembre 2001.

F.to Bartolomeo Perricone Presidente

F.to Alberto Pasi Cons. rel. est.

Depositata in Segreteria in data 6 dicembre 2001.

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