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n. 2-2003 - © copyright.

TAR PUGLIA-LECCE, SEZ. I – Sentenza 6 febbraio 2003 n. 408Pres. ed Est. Ravalli – Tondo (Avv.ti Pedone e Verri) c. Comune di Lizzanello (Avv. Quinto) e Marchello ed altro (n.c.).

1. Comune e Provincia - Consiglio comunale - Presidente - Funzioni - Individuazione - Posizione super partes del presidente - Necessità.

2. Comune e Provincia - Consiglio comunale - Presidente - Revoca - Motivata facendo riferimento a specifici comportamenti incompatibili con la posizione super partes del presidente - Legittimità.

1. I compiti ed i poteri del presidente del consiglio comunale sono quelli fissati nello Statuto del Comune, che si compendiano nella funzione convocazione, presidenza, direzione dell’assemblea elettiva e di raccordo fra l’attività del consiglio e l’attività di governo e di amministrazione del Sindaco; per lo svolgimento di tali compiti è essenziale la "fiducia politica" del consiglio comunale, intesa come fiducia nella posizione di garanzia per tutte le componenti, di terzietà (super partes) e di custode del rispetto delle regole nelle attività assembleari da parte del presidente del consiglio comunale.

2. E’ legittima una delibera con la quale un consiglio comunale ha revocato la nomina del presidente, facendo riferimento a ragioni (sintetizzate nella formula "venir meno della fiducia politica") che attengono a specifici comportamenti del presidente incompatibili con la posizione super partes che egli deve assumere nell’ambito dell’assemblea elettiva (1).

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(1) Commento di

GIOVANNI VIRGA

La neutralità del Presidente del Consiglio comunale

Dispone l’art. 39 del T.u. ee.ll. (intitolato “Presidenza dei consigli comunali e provinciali”) che:

“1. I consigli provinciali e i consigli comunali dei comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti sono presieduti da un presidente eletto tra i consiglieri nella prima seduta del consiglio. Al presidente del consiglio sono attribuiti, tra gli altri, i poteri di convocazione e direzione dei lavori e delle attività del consiglio. Quando lo statuto non dispone diversamente, le funzioni vicarie di presidente del consiglio sono esercitate dal consigliere anziano individuato secondo le modalità di cui all'articolo 40. Nei comuni con popolazione sino a 15.000 abitanti lo statuto può prevedere la figura del presidente del consiglio.

2. Il presidente del consiglio comunale o provinciale è tenuto a riunire il consiglio, in un termine non superiore ai venti giorni, quando lo richiedano un quinto dei consiglieri, o il sindaco o il presidente della provincia, inserendo all'ordine del giorno le questioni richieste.

3. Nei comuni con popolazione inferiore ai 15.000 abitanti il consiglio è presieduto dal sindaco che provvede anche alla convocazione del consiglio salvo differente previsione statutaria.

4. Il presidente del consiglio comunale o provinciale assicura una adeguata e preventiva informazione ai gruppi consiliari ed ai singoli consiglieri sulle questioni sottoposte al consiglio.

5. In caso di inosservanza degli obblighi di convocazione del consiglio, previa diffida, provvede il prefetto”.

In dottrina è discusso se sussista il potere dei consigli provinciali e comunali, una volta eletto il presidente, di revocare tale atto di nomina  (sulla questione v. G. AREZZO DI TRIFILETTI, Due interessanti questioni: l’ammissibilità della revoca del Presidente del Consiglio comunale e il ruolo del Consigliere anziano, in questa Rivista 1999).

Il dibattito assume particolare attualità (v. ad es. la complessa vicenda del consiglio di amministrazione della R.A.I.) ed investe delicati problemi (primo fra tutti il problema di vedere se, una volta adottato l’atto di nomina, sussista il potere da parte dell’organo che ha adottato tale atto di revocarlo).

Va in proposito premesso che il principio generale in materia è quello secondo cui, una volta esercitato il potere di nomina, l’organo esaurisce la sua funzione e non può più revocare l’atto, soprattutto nel caso in cui siano stati addotti motivi politici.

E’ un principio questo che è stato più volte espresso dalla giurisprudenza anche con riferimento agli atti di nomina degli ee.ll.: v. di recente ad es. T.A.R. Molise, 25 novembre 1999 n. 518, in questa Rivista n. 11-1999, secondo cui è illegittimo un provvedimento con il quale il Presidente della Provincia ha revocato la nomina di un soggetto in un organo collegiale (nella specie, in seno al Consiglio generale del Consorzio per il Nucleo di sviluppo industriale), motivando tale revoca con la considerazione che ha ritenuto cessato il rapporto fiduciario sulla base di scelte di schieramento, vale a dire sulla circostanza che, dopo la nomina, il soggetto precedentemente nominato ha in vario modo aderito a forze politiche che non compongono la maggioranza in seno all’amministrazione provinciale.

Con riferimento tuttavia ai Consigli comunali e provinciali, deve osservarsi che nulla impedisce, nel silenzio della legge, che nello Statuto comunale siano contenute delle norme le quali prevedano il potere di revoca dei Presidenti da parte delle assemblee che li hanno eletti.

In tal senso, del resto, sembra orientarsi la giurisprudenza.

Il problema, nelle ipotesi in cui esista una norma statutaria in questo senso, è invece quello di accertare quali siano i presupposti e le condizioni in base alla quali i presidenti possono essere revocati.

In proposito il Consiglio di Stato ha avuto modo di affermare che “la funzione del Presidente del Consiglio comunale è istituzionale e non politica; conseguentemente, il potere di revoca nei confronti dello stesso può essere esercitato soltanto per motivi istituzionali, ed in particolare nel caso in cui il Presidente usi i propri poteri a fini di parte” (v. in tal senso sez. V, 25 novembre 1999 n. 1983, in questa Rivista n. 11-1999).

Con la stessa sentenza è stata pertanto ritenuta illegittima, per sviamento di potere, una delibera con la quale era stata disposta la revoca del  Presidente di un Consiglio comunale per motivazioni politiche diverse da quelle (istituzionali) che ne costituiscono la funzione tipica secondo la logica del sistema”.

L’orientamento è stato confermato di recente dallo stesso Consiglio di Stato (con sentenza della sez. V, 6 giugno 2002 n. 3187, in questa Rivista n. 6-2002), secondo cui “la revoca del presidente del Consiglio comunale può essere disposta solo nel caso di cattivo esercizio della funzione, in quanto ne sia viziata la neutralità e deve essere motivata con esclusivo riferimento a tale parametro e non al venire meno del rapporto di fiduciarietà politica con la maggioranza che l’ha eletto; occorre, pertanto, che le ragioni della revoca attengano all’esercizio della funzione propria dell’Ufficio e siano atte a giustificarne l’adozione”.

Principi analoghi sono stati affermati dai giudici di primo grado; v. in proposito T.A.R. Puglia - Bari, sez. I, 4 novembre 2002 n. 4719 in questa Rivista n. 11-2002, secondo cui “il Presidente dei Consiglio comunale o provinciale è organo di garanzia posto a salvaguardia delle prerogative dei consigli e dei singoli consiglieri, non è portatore di alcun 'mandato' rappresentativo della maggioranza consiliare che sorregge gli organi di governo, né è ad essa ricollegabile da un rapporto di 'fiducia' politica, sebbene di una rappresentatività istituzionale, ovvero dell’intero consiglio che lo ha eletto, e risulta come tale accostabile, quanto alla natura istituzionale e neutrale delle funzioni, ai Presidenti della Camera e del Senato”.

Il minimo comun denominatore di tali pronunce è costituita dall’affermazione di due principi, l’uno negativo e l’altro positivo:

a) il principio espresso in negativo è quello secondo il quale il potere di revoca del presidente del Consiglio comunale o provinciale da parte dell’assemblea che lo ha eletto, ove sia previsto dallo statuto, non può essere esercitato perchè è venuto meno il rapporto di fiducia politica con la maggioranza che lo ha eletto (ad es. perchè, per effetto di un “ribaltone”, tale maggioranza è venuta a mutare);

b) in positivo, viene sempre sottolineato il ruolo essenzialmente neutrale e di garanzia svolto dal presidente (al punto che, nella citata sentenza del T.A.R. Puglia, lo si equipara addirittura  ai Presidenti della Camera e del Senato) e si afferma che il potere di revoca del presidente del Consiglio comunale o provinciale può essere legittimamente esercitato solo per gravi e reiterate violazioni dello statuto o della normativa che disciplina i compiti ed i poteri del presidente.

Applicando tali principi nella specie, il T.A.R. Puglia, sez. di Lecce, con la sentenza in rassegna ha ritenuto legittima  una delibera con la quale un consiglio comunale ha revocato la nomina del presidente, facendo riferimento a ragioni che attengono a specifici comportamenti del presidente incompatibili con la posizione super partes che egli deve assumere nell’ambito dell’assemblea elettiva.

Come risulta dal testo della sentenza, la revoca del presidente nella specie è stata disposta in relazione a comportamenti del presidente del consiglio comunale che avevano determinato, ad avviso del T.A.R.,  uno sviamento della funzione attraverso un potere di esternazione di valutazioni prettamente politiche, congiunta con una funzione di impulso e di indirizzo che non spetta, aggravata dall’annunciato esercizio di un potere di “controllo politico”.

Più precisamente era stato contestato che:

a) in una comunicazione, ampiamente diffusa nella stampa, sottoscritta dal presidente del consiglio comunale nella qualità, lo stesso aveva duramente criticato l’azione politica del governo cittadino e aveva concluso nel seguente modo: “…per il ruolo istituzionale che ricopro, sento l’obbligo in futuro di dare gli impulsi di indirizzo e di controllo politico … valutando di volta in volta tutti gli atti che l’amministrazione proporrà al Consiglio in attesa che il Sindaco provveda a sistemare tempestivamente questa grave anomalia politica, divenuta ormai insostenibile…”.

b) in una seduta del Consiglio comunale il presidente aveva introdotto un argomento non all’ordine del giorno ed aveva dato lettura di un documento politico nel corso del quale annunciava la formazione di un’associazione “politico/culturale” da lui stesso formata insieme con altro consigliere, dilungandosi ad illustrare il “progetto”, ragioni ed obiettivi politici. Alla fine della lettura del documento, il presidente aveva abbandonato l’aula e lasciato al vicario il passaggio ai punti dell’ordine del giorno.

Tale comportamenti, ad avviso del T.A.R. Lecce, evidenziavano la grave scorrettezza di portare in assemblea fatti che riguardano personalmente i progetti di azione politica che il presidente intendeva perseguire, agendo nella qualità.

A parte quindi l’inosservanza delle regole che disciplinano l’ordine dei lavori, il presidente aveva finito per operare ormai in proprio come protagonista della politica del Comune, e, come tale, agendo come parte politica, si era posto in una netta situazione di incompatibilità con l’esercizio del ruolo di garante e di terzietà propria della funzione di presidente dell’assemblea.

E’ da chiedersi tuttavia se nella specie le violazioni contestate potevano essere considerate e di entità così grave da giustificare la revoca.

In proposito è da tener fermo il principio secondo cui, qualora una disposizione statutaria richieda, ai fini della revoca del presidente del Consiglio comunale o provinciale, che questi si sia reso responsabile di gravi violazioni di legge, statuto o regolamenti, il relativo potere può essere legittimamente esercitato dall’assemblea elettiva solo nel caso di reiterate violazioni, particolarmente qualificate, tali da denotare un uso affatto (e obiettivamente) illegittimo dei poteri e delle prerogative dell’ufficio presidenziale, e che siano altresì qualificabili, sotto il profilo dell’elemento psicologico, in termini di dolo o colpa, e richiede una congrua motivazione adeguata alla gravità del provvedimento sanzionatorio.

La neutralità che contraddistingue la particolare e delicata funzione svolta dal presidente del Consiglio comunale o provinciale può quindi dirsi venuta meno solo in relazione a violazioni (di legge, statuto o regolamenti) che siano: a) reiterate; b) gravi  c) ingiustificate e comunque ingiustificabili.

I due episodi contestati nella specie non sembrano possedere queste caratteristiche, specie in relazione alla motivazione formalmente addotta dall’assemblea elettiva, secondo cui le ragioni della revoca risiedevano nel “venir meno della fiducia politica”.

In realtà, come chiarito in precedenza, il venir meno della fiducia politica non può in nessun caso giustificare la revoca. In tal senso il provvedimento di revoca adottato nel caso in questione sembra illegittimo, non potendo il giudice amministrativo sopperire ad una motivazione che, nell’atto impugnato, appariva gravemente carente.

Tale motivazione infatti nella specie faceva riferimento al “venir meno della fiducia politica” (che non può giustificare in ogni caso la revoca) e a due episodi che non sembrano costituire quelle violazioni reiterate e gravi che possono giustificare la revoca.

 

 

Per l’annullamento, previa sospensione dell’esecuzione,

della deliberazione del Consiglio Comunale di Lizzanello n. 19 del 29 novembre 2002 di revoca del presidente del Consiglio Comunale;

Visti gli atti e i documenti depositati con il ricorso;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Lizzanello e vista la sua memoria di controricorso;

Visti gli atti tutti della causa;

Udito alla Camera di Consiglio del 5 febbraio 2003 il relatore Pres. Aldo Ravalli e uditi altresì per le parti gli Avv.ti Pedone, Verri e Quinto;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

FATTO E DIRITTO

I – Il sig. Tondo è stato eletto presidente del Consiglio Comunale di Lizzanello con deliberazione del 20 agosto 2001.

Con deliberazione n. 19 del 29 novembre 2002 il medesimo Consiglio ha revocato l’incarico di presidente conferito al sig. Tondo.

Con tale atto l’interessato ha proposto ricorso notificato il 24 gennaio 2003 nel quale si deduce:

1) Violazione dell’art. 16 bis comma 7 dello Statuto, degli artt. 1 e 3 Cost., e del T.U. Enti Locali. Sviamento ed ingiustizia manifesta.

2) Eccesso di potere per difetto di motivazione e dei presupposti. Sviamento della causa tipica. Ingiustizia manifesta. Contraddittorietà.

3) Eccesso di potere nell’applicazione dell’art. 49 T.U.E.L.

Il Comune di Lizzanello, nella memoria depositata il 4 febbraio 2003 ha sostenuto la infondatezza del ricorso.

Nella Camera di Consiglio del 5 febbraio 2003 il ricorso, previo avviso del Presidente ai sensi degli art. 3 e 9 L. 205/00 è stato trattenuto in decisione per la sua definizione immediatamente nel merito.

II – I problemi che pone la controversia, non attengono alla giustezza di contenuto degli interventi del presidente del Consiglio Comunale, ma esclusivamente al fatto se i dedotti interventi siano consentiti a tale figura istituzionale del Comune e, in caso negativo, se siano di per sé giusta ragione della impugnata revoca.

La richiesta di revoca del 28 ottobre 2002, sottoscritta dal prescritto numero di consiglieri comunali, fa riferimento a comportamenti del presidente del Consiglio Comunale così individuati: a) comunicazione in data 20.5.2002; b) dichiarazioni rese nel corso di sedute consiliari, in particolare alla seduta consiliare del 12 agosto 2002. Vero che la ragione della richiesta revoca è sintetizzata nella formula “venir meno della fiducia politica”, ma l’individuazione dei comportamenti ha comportato che siano stati in effetti proprio i comportamenti in quanto tali ad essere valutati dal Consiglio Comunale in sede di delibazione della proposta di revoca, quali fatti, cioè, rappresentativi della correttezza e legittimità dell’operato del presidente del Consiglio Comunale e non già quali espressione e valutazione di contrasti politivi in senso proprio.

Conseguentemente, anche il giudice valuterà gli stessi fatti esclusivamente in relazione alle regole di comportamento alle quali si è tenuto il presidente del Consiglio Comunale dovendosi escludere la legittimità della revoca per ragioni di mero ordine di adesione o meno a linee politiche.

Va premesso che i compiti ed i poteri del presidente del Consiglio sono quelli fissati nello Statuto dal Comune (art. 16 bis e 16 ter), che si compendiano nella funzione di direzione dei lavori in assemblea (convoca, presiede, dirige) e di raccordo fra l’attività del Consiglio e attività di governo e di amministrazione del Sindaco. Per lo svolgimento di tali compiti è ragionevole che sia essenziale la “fiducia politica” intesa come fiducia nella posizione di garanzia per tutte le componenti, di terzietà (super partes) e di custode del rispetto delle regole nelle attività assembleari da parte del presidente del Consiglio Comunale.

Quanto ai comportamenti contestati, si osserva:

a) nella comunicazione del 21 maggio 2002, ampiamente diffusa nella stampa, sottoscritta nella qualità di presidente del Consiglio Comunale, il ricorrente pone a dura critica l’azione politica del governo cittadino e conclude “…per il ruolo istituzionale che ricopro, sento l’obbligo in futuro di dare gli impulsi di indirizzo e di controllo politico … valutando di volta in volta tutti gli atti che l’amministrazione proporrà al Consiglio in attesa che il Sindaco provveda a sistemare tempestivamente questa grave anomalia politica, divenuta ormai insostenibile…”.

Il Collegio osserva in relazione a quanto sopra che appare grave lo sviamento della funzione attraverso un potere di esternazione di valutazioni prettamente politiche, congiunta con una funzione di impulso e di indirizzo che non spetta, aggravata dall’annunciato esercizio di un potere di “controllo politico” del tutto estraneo alla figura “super partes” del presidente del Consiglio Comunale.

Il complesso di quanto annunciato rende evidente la illegittima assunzione di un potere politico contrapposto e personale.

b) Nella seduta del Consiglio Comunale del 12 agosto 2002, il ricorrente introduce un argomento non all’ordine del giorno e dà lettura di un documento politico nel corso del quale annunciava la formazione di un’associazione “politico/culturale” da lui stesso formata insieme con altro consigliere dilungandosi ad illustrare il “progetto”, ragioni ed obiettivi politici. Alla fine della lettura del documento, il ricorrente abbandona l’aula e lascia al vicario il passaggio ai punti dell’ordine del giorno.

Osserva, il Collegio, che l’andamento descritto evidenzia la grave scorrettezza di portare in assemblea fatti che riguardano personalmente i progetti di azione politica che il ricorrente intende perseguire, agendo nella qualità di presidente del Consiglio comunale. E’, quindi, evidente che, a parte l’inosservanza delle regole che disciplinano l’ordine dei lavori, il ricorrente opera ormai in proprio come protagonista della politica del Comune, e, come tale, agendo come parte politica, si è posto in netta situazione di incompatibilità con l’esercizio del ruolo di garante e di terzietà propria della funzione di presidente dell’assemblea innanzi descritta.

Ciò stante la impugnata revoca appare al Collegio del tutto legittima.

Il ricorso va, in conclusione, respinto.

Le spese di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, Prima Sezione di Lecce, definitivamente pronunciando sul ricorso n. 134/03, lo respinge.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio, che liquida complessivamente in euro 1.500,00 a favore del Comune di Lizzanello.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.

Così deciso in Lecce il 5 febbraio 2003, il Camera di Consiglio.

Aldo Ravalli – Presidente, estensore.

Depositata il 6 febbraio 2003.

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