TAR VENETO, SEZ. I – Sentenza 15 maggio 2002 n. 2063 - Pres. Baccarini, Est. Gabbricci - Andreottola (Avv. Vianello) c. Ministero di Grazia e Giustizia (Avv. Stato Gasparini) e Bianchini (n.c.) - (accoglie).
1. Concorso - Prove preselettive - Per ammissione al concorso di notaio - Disciplina prevista dall’art. 5 bis L. n. 89/1913, introdotto dall’art. 1 L. n. 328/1995 - Questione di legittimità costituzionale - Manifesta infondatezza.
2. Fonti - Leggi - Sindacato in sede costituzionale - Limiti - Sindacato sul merito o sull’opportunità della norma impugnata - Impossibilità.
3. Concorso - Prove preselettive - Per ammissione al concorso di notaio - Durata di 45 minuti prevista dal bando di concorso - In violazione della disposizione contenuta nell’art. 4, 5° comma, del d.m. 74/97, che prevede una durata di 70 minuti - Illegittimità.
4. Concorso - Bando - Impugnativa - Congiunta al provvedimento di esclusione dal concorso - Nel caso di impugnativa di clausola che non si riferisce ai requisiti di partecipazione e non impedisce al candidato di svolgere la prova - Ammissibilità.
1. E’ infondata la questione di costituzionalità dell’art. 5 bis, della l. 16 febbraio 1913, n. 89, aggiunto dall’art. 1 della L. 26 luglio 1995, n. 328 (secondo cui le prove scritte del concorso per posti di notaio "sono precedute da una prova di preselezione eseguita con strumenti informatici e con assegnazione ai candidati di domande con risposte multiple prefissate, secondo le modalità stabilite dal regolamento"), dato che non appare manifestamente irrazionale che il legislatore abbia stabilito di attribuire valore determinante, in una particolare fase della procedura concorsuale, alle attitudini mnemoniche dei candidati (ma per un esito favorevole della prova preselettiva sono evidentemente necessarie anche perseveranza e capacità di concentrazione), tanto più che questa, da sola, non garantisce affatto il superamento del concorso (1).
2. Il giudizio di legittimità costituzionale di una legge che si assuma contrastante con i principi di ragionevolezza e di buon andamento della pubblica amministrazione (art. 3 e 97 comma 1 Cost.), non può comportare un esame sul merito o sull’opportunità della norma impugnata, né una riformulazione della ponderazione degli interessi che il legislatore ha compiuto nell’esercizio della sua insindacabile discrezionalità, ma può consistere solo in una valutazione meramente esterna alle scelte legislative, sotto il profilo della palese arbitrarietà o della manifesta irragionevolezza della disciplina denunciata (2).
3. E’ illegittimo, ai sensi dell’art. 4, 5° comma, del d.m. 74/1997, il bando per la copertura di posti di notaio emanato dal direttore generale degli affari civili e libere professioni del Ministero della Giustizia nella parte in cui, modificando in in peius le modalità di svolgimento della prova di preselezione informatica (la quale, ai sensi dell’art. 1, 6°comma, l. 328/1995 rientra nell’esclusiva competenza del Ministro), ha ridotto la durata della prova preselettiva in 45 minuti, nonostante che l’art. 4, 5° comma, del d.m. 74/97 stabilisca testualmente che «la durata massima della prova è di settanta minuti» (3); d’altra parte, quest’ultima locuzione ("durata massima") va intesa, in un’interpretazione sistematica della normativa applicabile, come riferita all’intervallo che ciascun candidato non può superare per rispondere ai quesiti proposti, e non come diretta ad attribuire all’Amministrazione di determinare discrezionalmente il tempo della prova.
4. E’ ricevibile un ricorso avverso un bando di concorso proposto non già autonomamente, ma congiuntamente al provvedimento di esclusione, nel caso in cui venga impugnata una clausola (nella specie: la durata della prova preselettiva) che non si riferiva ai requisiti di partecipazione e non impediva dunque al candidato di svolgere la prova, né prefigurava ex ante il suo insuccesso nella stessa, sicché questi non aveva interesse alla sua immediata impugnazione: tale interesse, invece, insorge soltanto in seguito alla esclusione del condidato, concretante l’attualità della lesione e, così, l’onere di impugnare gli atti presupposti illegittimi (4).
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(1) Ha aggiunto il T.A.R. Veneto che lo strumento prescelto dal legislatore per dare soluzione a tali difficoltà, e, cioè, una prova preselettiva con quesiti a risposte multiple, non è necessariamente l’unico, o il migliore, così come alle concrete modalità prescelte è possibile contrapporne altre, forse più eque e convenienti: non si può tuttavia negare che la preselezione informatica permette di decurtare cospicuamente il numero degli aspiranti, in un intervallo assai ragionevole; né si può affermare che i contenuti della prova siano incoerenti con la funzione selettiva che essa deve realizzare.
Il parametro obiettivo impiegato resta infatti congruo e razionale, giacché consente la partecipazione alle fasi successive della procedura soltanto a soggetti che hanno dimostrato di possedere attitudini pertinenti alla professione: e se il meccanismo di predeterminazione può, di fatto, determinare l’esclusione di soggetti, pur dotati di vasta preparazione e competenza, tanto non basta ad affermare che esso è viziato da violazione dell’art. 3 Cost., anche considerando che un significativo grado di aleatorietà è, notoriamente, il limite di ogni procedura concorsuale.
(2) Cfr. Corte cost., sent. 11 luglio 1989 n. 390: v. anche Cons. Stato, Sez. V, 13 ottobre 1988, n. 557, secondo cui, ai sensi dell’art. 28 della l. 11 marzo 1953, n. 87, non sono sindacabili, in sede di giudizio di costituzionalità, le scelte che attengono a valutazioni di opportunità e di convenienza riservate al Parlamento, neppure quando possano apparire discutibili e quando possano derivarne disfunzioni interpretative ed applicative.
(3) V. nello stesso senso in precedenza TAR LAZIO, SEZ. I - Ordinanza 12 luglio 2000 n. 5877, in questa rivista Internet. Ha osservato in proposito il T.A.R. Veneto che, nel caso di modifica alla disciplina prevista per la prove preselettiva, essa deve essere disposta con apposito decreto ministeriale. Ciò del resto è confermato dal fatto che, dopo l’entrata in vigore del d.m. 74/1997, quando si è ritenuto di modificare qualche aspetto delle prove di preselezione (come il numero delle domande, passate dalle originarie 35 a 45), si è sempre fatto ricorso al decreto ministeriale, rispettando correttamente la gerarchia delle fonti prevista dalla legge.
Nel caso di specie, con un decreto dirigenziale è stato modificato un elemento essenziale della prova di preselezione, qual è la durata, riducendolo in maniera consistente rispetto alla previsione di legge: sicché l’intera procedura preselettiva è invalidata da un evidente vizio di incompetenza. E’ da ritenere infatti che soltanto il Ministro della Giustizia possa, con proprio regolamento, ridurre la durata della prova preselettiva.
(4) Cfr., tra le tante, Cons. Stato, Sez. V, 14 aprile 2000, n. 2230; Sez. VI, 6 ottobre 1999, n. 1326; id., 10 agosto 1999, n. 1020; Sez. V, 11 giugno 1999, n. 626; id., V, 29 gennaio 1999, n. 90; Sez. IV, 27 agosto 1998, n. 568; Sez. V, 3 settembre 1998, n. 591.
Documenti correlati:
TAR LAZIO, SEZ. I - Ordinanza 12 luglio 2000 n. 5897
CONSIGLIO DI STATO, SEZ. IV - Ordinanza 7 dicembre 1999 n. 2275
CONSIGLIO DI STATO, SEZ. IV - Ordinanza 30 settembre 1999 n. 1915
CONSIGLIO DI STATO, ADUNANZA PLENARIA - Ordinanza 20 dicembre 1999 n. 2
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TAR LAZIO, SEZ. I – Sentenza 18 ottobre 2000
TAR CALABRIA - Ordinanza 13 ottobre 1999 n. 918
TAR PIEMONTE, SEZ. II - Sentenza 4 marzo 1999 n. 111
G. VIRGA, I quiz preselettivi tra gioco e realtà
L. TARASCO, Concorso per uditore giudiziario
per l’annullamento
1) del giudizio di non ammissione a partecipare alle prove scritte del concorso a 200 posti di notaio, indetto con decreto dirigenziale 10 dicembre 1999;
2) nonché di ogni altro atto connesso presupposto e consequenziale, e, segnatamente, del bando di concorso di cui al predetto decreto.
(omissis)
FATTO
Antonio Andreottola ha partecipato al concorso per esami a duecento posti di notaio - indetto con decreto del direttore generale degli affari civili e libere professioni del Ministero della Giustizia 10 dicembre 1999 – ed ha sostenuto il 22 maggio 2000 la preselezione informatizzata, propedeutica alle prove scritte.
Il candidato ha commesso due errori nelle risposte ai quarantacinque quesiti proposti, e non è stato perciò ammesso alla fase successiva, cui hanno preso parte soltanto i concorrenti che avevano risposto correttamente a tutti i quesiti.
Avverso la sua esclusione l’Andreottola ha allora proposto il ricorso in esame: nel giudizio s’è costituito il Ministero della Giustizia, concludendo per la reiezione del ricorso.
DIRITTO
1. Si deve anzitutto rammentare come l’art. 5 della l. 16 febbraio 1913, n. 89, stabilisca che, per ottenere la nomina a notaio è necessario superare un esame di concorso, le cui prove scritte – secondo quanto stabilito dal seguente art. 5 bis, aggiunto dall’art. 1, L. 26 luglio 1995, n. 328 – "sono precedute da una prova di preselezione eseguita con strumenti informatici e con assegnazione ai candidati di domande con risposte multiple prefissate, secondo le modalità stabilite dal regolamento", contenuto nel D.M. 24 febbraio 1997, n. 74.
Il seguente art. 5 ter (parimenti introdotto con la legge 328/95) precisa che la prova di preselezione è unica per ciascun candidato e verte sulle materie oggetto del concorso, e che i quesiti (inclusi in un archivio informatizzato accessibile agli interessati: art. 5 quater), in numero uguale per ciascun aspirante, "sono circoscritti a dati normativi, con esclusione di argomenti dottrinali e giurisprudenziali, e devono essere formulati in modo da assicurare parità di trattamento per i candidati".
All’esito della prova, prosegue la disposizione, "è ammesso a sostenere le prove scritte un numero di candidati pari a cinque volte i posti messi a concorso e, comunque, non inferiore a novecento, secondo la graduatoria formata in base al punteggio conseguito da ciascun candidato nella prova di preselezione": sono comunque ammessi i concorrenti classificati ex aequo con l’ultimo che risulterebbe ammesso secondo la precedente disposizione.
2. Nel primo motivo di ricorso si afferma come le disposizioni legislative testé accennate, introducendo la prova preselettiva, violerebbero il principio costituzionale, espresso nell’art. 3 Cost., di ragionevolezza e razionalità: sarebbero dunque viziate le norme attuative di grado inferiore, e così, in parte qua, il decreto dirigenziale che ha indetto la procedura concorsuale cui ha partecipato il ricorrente.
Infatti, secondo lo stesso Andreottola, per superare la prova preselettiva non sarebbe necessario possedere peculiari competenze od attitudini: la preventiva conoscibilità dell’archivio con i quesiti e le risposte corrette spingerebbe gli aspiranti a memorizzarli macchinalmente, trascurando lo studio delle fonti normative, e determinando una crescente divaricazione «tra ciò che si deve sapere per superare la prova preselettiva, ciò che si deve sapere per diventare notai e ciò che si deve sapere per fare i notai», così da favorire eccessivamente quanti posseggano la migliore memoria.
Sottolinea ancora il ricorrente come, al termine della prova preselettiva de qua, soltanto i candidati che non avevano commesso alcun errore siano stati ammessi alle prove scritte: da ciò, oltre all’inutilità di una graduatoria, con sostanziale disapplicazione dell’art. 5 ter della l. 89/1913, l’irrazionale equiparazione, da una parte, tra il punteggio massimo ottenibile ed il punteggio minimo necessario per accedere alla fase seguente, comunque pari a nessun errore, e, dall’altra, tra «i candidati distratti e i candidati "ignoranti"».
In altri termini, cioè, assegnando al superamento della preselezione, sul presupposto della corretta soluzione di tutti i quesiti proposti, valore di requisito per l’ammissione alle prove successive, si valorizzerebbero soltanto le risposte fornite, anche fortunosamente, nel breve tempo concesso, senza considerare gli altri titoli posseduti dai candidati: non sarebbe così realizzato l’intento che, mediante la preselezione, si dovrebbe tipicamente perseguire.
Infatti – e da qui procedono le considerazioni contenute nel secondo motivo, che direttamente censura il bando concorsuale, e viene compendiato nello sviamento di potere per illogicità ed irragionevolezza intrinseca in relazione all’art. 3 Cost.- la prova de qua non permetterebbe di accertare il possesso dei requisiti culturali dei candidati, in coerenza con l’accertamento poi svolto mediante le successive prove scritte ed orali: l’immediata esclusione dal concorso, a causa d’un limitato numero d’errori, si porrebbe in evidente contrasto con la finalità della legge, consistente nella scelta dei migliori all’esito d’una procedura coerentemente organizzata; inoltre, (III motivo: sviamento di potere per illogicità ed irragionevolezza intrinseca, in relazione ai principi in materia di prove concorsuali), «la decisività e la inappellabilità dell’esito della preselezione» contrasterebbero «con la struttura della prova concorsuale complessivamente intesa, configurata dalla relativa normativa come un unicum».
E, prosegue il ricorrente, se la prova preselettiva è immaginata e costruita come unica, la preselezione «deve rientrare a pieno titolo tra le prove d’esame e dovrebbe considerarsi superata secondo criteri di adeguatezza delle risposte che non possono giungere sino alla richiesta di rispondere esattamente a tutti i quesiti», dovendosi invece privilegiare una «valutazione globale mirata all’intera procedura e tale da rendere conto del giudizio» con riferimento a ciascuno dei suoi segmenti: tanto, invece, non sarebbe possibile in un sistema congegnato in modo da collegare l’ammissione alla fase successiva all’assenza di qualsiasi errore.
Inoltre, va rammentato che il sistema, previsto nelle norme di attuazione, contempla domande di diversa complessità, cui è collegato un punteggio differenziato (v. ultra): ma poiché, per essere esclusi, è sufficiente sbagliare anche una sola risposta, a prescindere dalla sua difficoltà, di fatto tale meccanismo è inapplicabile, e ciò confermerebbe l’incongruenza dell’intero sistema (IV motivo: violazione dell’art. 3 del d.m. 74/97).
3.1. I motivi sin qui illustrati possono essere decisi unitariamente, premettendo qualche ulteriore ragguaglio sulla disciplina applicabile.
Invero, il regolamento di cui al citato d.m. 74/97 prevede, anzitutto, la creazione, presso il Ministero della Giustizia, dell’archivio contenente i quesiti per le prove di preselezione informatica, in numero non inferiore a 5.000, pertinenti alle materie delle prove scritte del concorso (art. 1), e costituiti ciascuno da un’unica domanda, con quattro risposte numerate da 1 a 4, delle quali una sola è esatta.
Ad ogni quesito è assegnato un grado di crescente difficoltà, compreso da 1 a 3, ed a ciascun candidato viene attribuito all’inizio della prova un punteggio massimo, pari a 45.585, cui viene sottratto, per ogni risposta eventualmente omessa od errata, una quantità definita, a seconda della difficoltà della domanda (ad esempio 991, per la domanda di grado 3) pervenendo così infine al punteggio effettivo sulla cui base viene formata la graduatoria di merito.
Gli artt. 4 e seguenti regolano poi le concrete modalità di svolgimento della prova, attraverso videoterminale, ove compare il questionario individuale, generato automaticamente e casualmente dal sistema informatico, e nel quale devono essere presenti tutti i raggruppamenti per materie e tutti i gradi di difficoltà.
3.2. Un raffronto tra le ricordate innovazioni introdotte nella l. 89/13, ed il regolamento attuativo, non lasciano dubitare che quest’ultimo non si discosti dalle prime, e con quelle realizzi una disciplina coerente ed articolata, la quale determina puntualmente, salvo che per aspetti marginali, le operazioni e gli atti della procedura preselettiva, che presentano tutti tendenzialmente un contenuto vincolato, compreso l’atto di ammissione ovvero d’esclusione dalla fase delle prove scritte.
Sono pertanto da giudicare sin d’ora del tutto inconferenti e processualmente inammissibili le censure proposte dal ricorrente, per le parti in cui vi si fa espresso riferimento a quelle figure sintomatiche d’eccesso di potere, le quali presuppongono un’attività discrezionale dell’Amministrazione, che è qui invece del tutto mancata.
3.3. Ciò posto, e data la coerenza tra le fonti della disciplina in subiecta materia, le censure proposte possono essere ricondotte all’affermazione che il meccanismo preselettivo, per come regolato, sarebbe irrazionale, incoerente e condurrebbe a risultati aberranti, tali da far supporre che la disciplina in questione sia affetta, nel suo complesso da un eccesso di potere legislativo, e dunque di dubbia costituzionalità, in relazione all’art. 3 Cost.: ma la questione appare manifestamente infondata.
Va intanto escluso che il legislatore abbia qui perseguito un fine diverso da quello deducibile dal contenuto delle disposizioni de quibus, ovvero che le stesse violino il principio logico di non contraddizione, o, ancora che le stesse manchino comunque di un minimo di razionalità necessaria a dare fondamento alle scelte operate: la disciplina in esame, viceversa, non trasmoda dall’ambito delle scelte discrezionali del legislatore, per tali ovviamente incensurabili sia dal giudice ordinario, sia dal giudice costituzionale, secondo la previsione di cui all’art. 28 della l. 11 marzo 1953, n. 87, per cui il controllo di legittimità della Corte costituzionale su una legge o un atto avente forza di legge esclude ogni valutazione di natura politica e ogni sindacato sull’uso del potere discrezionale del Parlamento: e, secondo tale disposizione, «non sono sindacabili, in sede di giudizio di costituzionalità, le scelte che attengono a valutazioni di opportunità e di convenienza riservate al Parlamento, neppure quando possano apparire discutibili e quando possano derivarne disfunzioni interpretative ed applicative» (C.d.S., V, 13 ottobre 1988, n. 557).
3.4. È per vero evidente che, con la l. 328/95 – e con le successive norme attuative – si sono voluti affrontare gli inconvenienti derivanti dalla crescente moltitudine di partecipanti al concorso notarile, la quale ha senza dubbio aggravato, in misura via via crescente, le operazioni connesse all’espletamento delle prove scritte ed ha altresì prolungato oltre misura i tempi occorrenti per la correzione degli elaborati ed il successivo svolgimento degli orali.
Lo strumento prescelto dal legislatore per dare soluzione a tali difficoltà, e, cioè, una prova preselettiva con quesiti a risposte multiple, non è necessariamente l’unico, o il migliore, così come alle concrete modalità prescelte è possibile contrapporne altre, forse più eque e convenienti: non si può peraltro negare che la preselezione informatica permette di decurtare cospicuamente il numero degli aspiranti, in un intervallo assai ragionevole; né si può affermare che i contenuti della prova siano incoerenti con la funzione selettiva che essa deve realizzare.
Invero, non è controverso che i quesiti si riferiscano a discipline afferenti la professione di notaio, ed è d’altronde indubbio che, per il successo in un concorso siffatto, oltre al resto, sono richieste cospicue capacità mnemoniche, altresì necessarie per l’attività professionale successiva, così come per qualsiasi attività concettuale che comporti l’applicazione di svariate e mutevoli regole prestabilite.
Pertanto, non pare al Collegio manifestamente irrazionale che il legislatore abbia stabilito di attribuire valore determinante, in una particolare fase della procedura concorsuale, alle attitudini mnemoniche dei candidati (ma per un esito favorevole della prova preselettiva sono evidentemente necessarie anche perseveranza e capacità di concentrazione), tanto più che questa, da sola, non garantisce affatto il superamento del concorso, nelle cui successive prove – ciascuna delle quali realizza un’autonoma funzione selettiva, ciò che esclude che l’esame possa essere qualificato come un unicum – gli aspiranti devono esprimere anche le ulteriori competenze, cui accenna il ricorrente nei motivi proposti.
3.5. Né la normativa in questione – diversamente da quanto l’Andreottola assume nelle sue censure – determina, per tale, che il superamento della preselezione sia subordinato alla corretta soluzione dell’intero questionario proposto: quando ciò accade (come nella preselezione cui ha partecipato il ricorrente) è per la circostanza di fatto che un numero di candidati, superiore a quello prestabilito per l’accesso alla fase scritta, consegue tale risultato.
È bensì vero che – come già visto – è la legge a correlare il numero di candidati da ammettere alla fase scritta a quello dei posti a concorso, e ciò può indirettamente condurre ad escludere quanti abbiano commesso anche un solo errore nella preselezione: peraltro, la scelta del legislatore, considerata per tale e non per i suoi effetti contingenti, non travalica i limiti della discrezionalità legislativa.
Il parametro obiettivo impiegato resta infatti congruo e razionale, anche nel caso testé considerato, giacché consente la partecipazione alle fasi successive della procedura soltanto a soggetti che hanno dimostrato di possedere attitudini pertinenti alla professione: e se il meccanismo di predeterminazione può, di fatto, determinare l’esclusione di soggetti, pur dotati di vasta preparazione e competenza, tanto non basta ad affermare che esso è viziato da violazione dell’art. 3 Cost., anche considerando che un significativo grado di aleatorietà è, notoriamente, il limite di ogni procedura concorsuale.
In termini generali, invero, «il giudizio di legittimità costituzionale di una legge, che si assuma contrastante con i principi di ragionevolezza e di buon andamento della pubblica amministrazione (art. 3 e 97 comma 1 cost.), non può comportare un esame sul merito o sull’opportunità della norma impugnata, né una riformulazione della ponderazione degli interessi che il legislatore ha compiuto nell’esercizio della sua insindacabile discrezionalità, ma può consistere solo in una valutazione meramente esterna delle scelte legislative, sotto il profilo della palese arbitrarietà o della manifesta irragionevolezza della disciplina denunciata» (Corte costituzionale 11 luglio 1989 n. 390): vizi che non è dato qui ravvisare.
4.1. Respinti così i primi quattro motivi di ricorso, si può ora esaminare il quinto, rubricato nella violazione dell’art. 1, VI comma, della l. 328/95, dell’art. 4, V comma, del d.m. 74/97, e conseguente irrazionalità dell’art. 5 del decreto dirigenziale 10 dicembre 1999, nonché eccesso di potere per sviamento, nonché nel difetto di competenza.
Come già esposto, l’art. 1, VI comma, dell’art. 5 bis della l. 89/1913 affida al Ministro della Giustizia di emanare, con proprio decreto, il regolamento per l’attuazione della prova preselettiva, determinando, tra l’altro, i metodi di assegnazione dei quesiti a ciascun candidato, il conferimento dei punteggi, le modalità di formazione della graduatoria, e quant’altro attinente all’esecuzione della prova di selezione.
In esecuzione di tale previsione è stato approvato il ripetuto d.m. 74/1997, il quale, all’art. 4, ha stabilito il numero dei quesiti cui il candidato deve rispondere e la durata della prova, regolata dal V comma.
Dopo l’approvazione della nuova disciplina, ricorda il ricorrente, si sono svolte due prove di preselezione, bandite rispettivamente con il decreto dirigenziale 11 maggio 1998 e con il decreto 10 dicembre 1999; e mentre il primo di tali provvedimenti prevedeva una prova della durata di settanta minuti, il secondo l’ha ridotta a soli quarantacinque minuti.
4.2. In tal modo, però, secondo l’Andreottola, si sarebbe violato l’art. 4, V comma, del d.m. 74/1997, poiché nessuna norma consentirebbe al direttore generale degli affari civili e libere professioni del Ministero della Giustizia – l’organo che ha emesso i due bandi concorsuali - di modificare, tanto meno in peius, le modalità di svolgimento della prova di preselezione informatica, la quale, per espressa disposizione di legge (art. 1, VI comma, l. 328/1995), rientrerebbero nell’esclusiva competenza del Ministro, il quale vi deve provvedere con proprio decreto. Tanto sarebbe del resto confermato dal fatto che, dopo l’entrata in vigore del d.m. 74/1997, quando si è ritenuto di modificare qualche aspetto delle prove di preselezione (come il numero delle domande, passate dalle originarie 35 a 45), si è sempre fatto ricorso al decreto ministeriale, rispettando correttamente la gerarchia delle fonti prevista dalla legge.
Nel caso, invece, con un decreto dirigenziale è stato modificato un elemento essenziale della prova di preselezione, qual è la durata, riducendolo in maniera consistente rispetto alla previsione di legge: sicché l’intera procedura preselettiva sarebbe invalidata da un evidente vizio di competenza, la cui sussistenza troverebbe conferma nel fatto che l’unica situazione discrezionale, in tema di durata della prova, potrebbe ravvisarsi in quella disposizione (art. 6, II comma) che consente alla commissione di «aumentare il tempo a disposizione per lo svolgimento della prova, in misura comunque non superiore ai trenta minuti», per i «candidati affetti da patologie limitatrici dell’autonomia».
4.3. Lo stesso vizio rileverebbe poi anche sotto un altro profilo.
Infatti, l’art. 4, VII comma, del d.m. n. 74/97, stabilisce che «è ammessa la correzione delle risposte durante la prova sino alla scadenza del tempo consentito a norma del comma 5», e, cioè, per tutta la durata della prova, che, come detto, avrebbe dovuto essere pari a 70 minuti: e l’indebita riduzione della preselezione non avrebbe soltanto determinato un’oggettiva illegittimità diretta, ma avrebbe altresì provocato un’illegittimità derivata, impedendo al candidato di disporre di un più ampio periodo di tempo da dedicare alla correzione.
Perciò, secondo il ricorrente, quand’anche si volesse riconoscere al bando una certa discrezionalità e, perciò, la possibilità di ridurre la durata della prova preselettiva, in ogni caso si dovrebbe ammettere che la durata stabilita in concreto dal bando impugnato si presenta, prima facie, affetta da vizi di irrazionalità e sviamento, in quanto, con la sua brevità, esaspererebbe ulteriormente la natura mnemonica della prova.
4.4. Ancora, (violazione dell’art. 8 del d.d.g. 10 dicembre 1999; incompetenza, eccesso di potere per disparità di trattamento, violazione dei principi generali in materia di pubblici concorsi) il ricorrente afferma che, secondo i principi in materia e le regole concretamente applicabili, un differimento della prova per ragioni personali sarebbe consentito soltanto ad personam, e per motivi rilevanti e verificabili.
Nel caso, viceversa, secondo il ricorrente, la commissione, in violazione delle disposizioni che regolano le procedure concorsuali, avrebbe fissato una prova selettiva ad hoc per i candidati asseritamente ammalati «con ciò vanificando il principio dell’unicità della procedura concorsuale, violando l’art. 8 d.d.g. 10/12/1999 e consentendo di conseguire un indebito vantaggio cumulativo ad alcuni concorrenti» in spregio del principio di par condicio.
4.5. Infine, nel VII motivo (violazione dell’art. 9 del d.d.g. 10 dicembre 1999; violazione dei principi generali in materia di concorsi pubblici ed eccesso di potere per disparità di trattamento) il ricorrente lamenta che sarebbero mancate, come già per la prova effettuata in attuazione del precedente concorso, le garanzie di anonimato e «la verifica delle risposte ai quiz è avvenuta lasciando aperta la possibilità di interventi a favore di qualcuno dei candidati».
5.1. I motivi sub 4.4. e 4.5. vanno senz’altro dichiarati inammissibili.
Il secondo, invero, si presenta del tutto generico; il primo, a sua volta, non chiarisce affatto perché le modalità di svolgimento della sessione di recupero avrebbero svantaggiato il ricorrente ed avrebbero influito sulla sua prova.
È invece fondato il motivo esposto nel punto 4.1. e seguenti, con cui l’Andreottola ha censurato il bando d’indizione della prova de qua – e, così, derivatamente, la sua esclusione dal prosieguo - nella parte in cui la durata della preselezione è stata determinata in 45 minuti.
5.2 Anzitutto, va rilevato che la censura è tempestiva, diversamente da quanto eccepito sul punto dall’Amministrazione resistente, secondo la quale la prescrizione del bando avrebbe dovuto essere gravata, in parte qua, nei sessanta giorni dalla sua conoscenza, e non unitamente alla determinazione di esclusione, certamente intervenuta ben oltre quel termine.
Invero, la disposizione in questione, seppure illegittima, non si riferiva ai requisiti di partecipazione e non impediva dunque al candidato di svolgere la prova, né prefigurava ex ante il suo insuccesso nella stessa, sicché questi non aveva interesse alla sua immediata impugnazione: tale interesse è invece insorto soltanto in seguito alla sua esclusione, concretante l’attualità della lesione e, così, l’onere di impugnare gli atti presupposti illegittimi (cfr., tra le molte, C.d.S., V, 14 aprile 2000, n. 2230; C.d.S., VI, 6 ottobre 1999, n. 1326; id. 10 agosto 1999, n. 1020; id. V, 11 giugno 1999, n. 626; id., V, 29 gennaio 1999, n. 90; id., IV, 27 agosto 1998, n. 568; id., V, 3 settembre 1998, n. 591).
5.3. Il ripetuto art. 4, V comma, del d.m. 74/97 stabilisce testualmente che «la durata massima della prova è di settanta minuti»: e la locuzione "durata massima" va intesa, in un’interpretazione sistematica della normativa applicabile, come riferita all’intervallo che ciascun candidato non può superare per rispondere ai quesiti proposti, e non come diretta ad attribuire all’Amministrazione di determinare discrezionalmente il tempo della prova, con il limite superiore sopra indicato.
L’art. 1, VI comma, della 1. 26 luglio 1995, n. 328, dispone invero che, con provvedimento del Ministro della Giustizia (in concreto, appunto, il D.M. 24 febbraio 1997, n. 74), vada disciplinata la preselezione, e definisce altresì minuziosamente il contenuto di tale regolamento, stabilendo, in sintesi, che questo deve determinare tutto quanto è attinente all’esecuzione della prova: e se il regolamento, per volontà della legge, è delegato a disciplinare particolareggiatamente la preselezione, le disposizioni contenute in quello vanno comunque interpretate nel senso più conforme a un principio di onnicomprensività e completezza.
Si deve perciò escludere che il decreto ministeriale, attuando la norma di legge, abbia affidato a mutevoli scelte dell’Amministrazione la concreta definizione di un elemento di fondamentale rilievo, quale è la durata della prova, e ciò senza fissare una durata minima invalicabile, o qualsiasi ulteriore criterio; inoltre, ove effettivamente la norma avesse inteso attribuire il potere discrezionale di fissare la concreta durata della prova, avrebbe altresì individuato quale fosse l’autorità cui tale potere era conferito, mentre la disposizione non contiene alcun riferimento in tal senso. E si osservi, a contrario, che lo stesso regolamento, nel prevedere una deroga al limite della durata della prova («Per i portatori di handicap il tempo può essere aumentato secondo le valutazioni della commissione, ma in misura comunque non superiore ai 30 minuti»: art. 4, V comma), indica espressamente l’organo cui è conferita tale facoltà.
4.3. In conclusione, pertanto, è da ritenere che soltanto il Ministro della Giustizia possa, con proprio regolamento, ridurre la durata della prova preselettiva.
Nel caso ciò non è avvenuto: il bando, nella parte in cui ha fissato in 45 minuti la durata massima della prova, è dunque illegittimo, e ciò vizia conseguentemente l’esclusione del ricorrente dalle prove scritte, stante l’evidente essenzialità del termine assegnato per lo svolgimento della prova preselettiva agli effetti del risultato.
Il ricorso va quindi in tali limiti accolto: ma le spese del giudizio, attesi i contrastanti orientamenti giurisprudenziali, possono essere integralmente compensate;
P.Q.M.
Il Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, prima Sezione, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo accoglie e per l’effetto annulla:
a) l’esclusione del ricorrente dalle prove scritte;
b) il bando di concorso a 200 posti di notaio indetto con decreto dirigenziale 10 dicembre 1999, nella parte in cui fissa in 45 minuti la durata massima della stessa prova preselettiva.
Compensa integralmente le spese di giudizio tra le parti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Venezia, nella Camera di consiglio addì 14.3.2002.
Depositata il 15 maggio 2002.