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TAR VENETO, SEZ. I – Sentenza 26 febbraio 2003 n. 1569 - Pres. ed Est. Baccarini - Mirci (Avv.ti Perulli e Cagnetta) c. Provveditorato agli Studi di Venezia ed altri (Avv. Stato Gasparini) - (accoglie).

1. Pubblico impiego - Stipendi, assegni ed indennità - Recupero di indebito - Presupposti - Adeguata ponderazione degli interessi coinvolti, in relazione all’entità della prestazione pecuniaria da ripetere - Necessità.

2. Pubblico impiego - Stipendi, assegni ed indennità - Recupero di indebito - Presupposti - Annullamento dell’atto attributivo di benefici economici - Insufficienza - Adeguata ponderazione dell’affidamento del percipiente - Necessità.

3. Pubblico impiego - Stipendi, assegni ed indennità - Recupero di indebito - Disposto in relazione a somme erogate a seguito di provvedimento di riconoscimento dei servizi pregressi vistato dalla Corte dei conti - Senza adeguata ponderazione degli interessi coinvolti - Illegittimità.

1. La ripetizione di somme corrisposte indebitamente dall’amministrazione al pubblico dipendente è soggetta, per il principio dell’affidamento e sul presupposto dello stato di buona fede del dipendente, ad una adeguata ponderazione di interessi, in relazione all’entità della prestazione pecuniaria da ripetere, che tenga conto dell’appartenenza del dipendente alla categoria del modesto consumatore e della conseguente presumibile destinazione al consumo delle somme percepite e della incidenza della ripetizione, ancorché graduata nel tempo, sul soddisfacimento dei bisogni essenziali della vita.

2. La ripetizione di somme corrisposte indebitamente dall’amministrazione al pubblico dipendente non è una conseguenza automatica dell’annullamento dell’atto attributivo di un trattamento economico, ma ne è autonoma; la discrezionalità del relativo potere, più che all’atto di annullamento presupposto, va piuttosto ricollegata al fatto che la ripetizione dell’indebito dell’amministrazione è sì oggetto di un’obbligazione comune del dipendente (ex art. 2033 c.c.), ma è connessa all’attuazione di un rapporto di lavoro con l’amministrazione e che, pertanto, non può sottrarsi al generale principio della tutela dell’affidamento che disciplina l’azione amministrativa.

3. E’ illegittimo il provvedimento con il quale si dispone il recupero di somme corrisposte indebitamente ad un dipendente pubblico e percepite da parte di quest’ultimo in buona fede, nel caso in cui il provvedimento sulla base del quale sono state erogate le somme (nella specie si trattava di un provvedimento di riconoscimento dei servizi pregressi) sia  stato a suo tempo ammesso dalla Corte dei conti al visto ed alla conseguente registrazione, la somma da ripetere sia di rilevante entità, il dipendente (nella specie, insegnante di scuola media superiore) rientri nella categoria del modesto consumatore ed il provvedimento di recupero incida significativamente sul soddisfacimento dei bisogni essenziali della vita (1).

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(1) Nell’ampia ed articolata motivazione della sentenza in rassegna si evidenzia come la giurisprudenza amministrativa - e, in particolare, quella del Consiglio di Stato - sia stata sempre oscillante in materia.

In un primo tempo l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, con decisione 30 marzo 1976, n. 1, aveva rinvenuto il fondamento della ripetizione dell’indebito della amministrazione nel fatto che essa reca implicitamente l’annullamento degli atti amministrativi in base ai quali il pagamento è stato fatto e deve quindi contenere una valutazione dell’interesse pubblico alla restituzione delle somme raffrontato al pregiudizio di chi è tenuto a restituirle, tenuto conto della loro quantità, dell’avvenuta loro destinazione, dell’eventuale loro concorso in tale destinazione di altri redditi dello stesso soggetto, della incidenza che per costui la restituzione avrebbe sulle possibilità di soddisfacimento dei bisogni essenziali della vita.

Successivamente, l’affermazione del principio - in alcune sentenze - secondo cui la ripetizione dell’indebito dell’amministrazione è un atto dovuto di esercizio del diritto di cui all’art. 2033 c.c., estraneo all’annullamento discrezionale d’ufficio di atti amministrativi (sez. IV, 17 maggio 1990, n. 390; 26 aprile 1990, n. 321; 16 gennaio 1990, n. 15; 30 ottobre 1989, n. 722; 6 maggio 1989, n. 286), aveva indotto la sez. VI (con ord. 9 ottobre 1991, n. 625) ad una nuova rimessione della questione all’Adunanza plenaria la quale, con decisioni 12 dicembre 1992 nn. 20 e 21 e 30 settembre 1993, n. 11, aveva composto il contrasto di giurisprudenza, confermando l’indirizzo della sua precedente decisione del 1976.

Ciononostante, in alcune sezioni del Consiglio di Stato, accanto a pronunce allineate all’indirizzo indicato dall’Adunanza plenaria, nuovamente si è evidenziato un indirizzo, con il passar del tempo vieppiù prevalente, secondo cui "il recupero di somme indebitamente erogate ai pubblici dipendenti ha carattere di doverosità, nascendo direttamente dal disposto dell’art. 2033 c.c., salvo l’onere di procedervi con modalità tali da non incidere soverchiamente sulle esigenze di vita in caso di buona fede del debitore" (sez. V, 1 luglio 1999, n. 787; sez. VI, 4 maggio 1999, n. 574; 10 febbraio 1999, n. 120; 20 febbraio 1998, n. 155; 7 ottobre 1997, n. 1431; 24 marzo 1997, n. 287; 30 ottobre 1995, n. 1240; sez. II, par. 7 giugno 1995, n. 2927/94 e n. 2917/94).

Secondo il T.A.R. Veneto la questione della ripetizione dell’indebito dell’amministrazione va impostata indipendentemente dalla configurabilità in concreto di un annullamento d’ufficio di atti amministrativi, in quanto, a parte la controvertibile natura degli atti – attualmente meri atti di gestione del rapporto di pubblico impiego privatizzato - posti a fondamento dei crediti pecuniari dei lavoratori pubblici, atti taluni dei quali possono avere natura di atti paritetici, tale configurazione della discrezionalità della ripetizione dell’indebito appare una petizione di principio.

Infatti la ripetizione dell’indebito non è necessariamente una conseguenza automatica dell’annullamento dell’atto attributivo di un trattamento economico (per il quale attualmente la giurisprudenza ritiene che l’interesse all’annullamento sia in re ipsa) ma ne è autonoma, come gli effetti già prodottisi di un atto giuridico sono in certa misura autonomi rispetto a quelli futuri; la discrezionalità, più che all’atto di annullamento presupposto, va piuttosto ricollegata al fatto che la ripetizione dell’indebito dell’amministrazione è sì oggetto di un’obbligazione comune del dipendente (ex art. 2033 c.c.) ma connessa all’attuazione di un rapporto di lavoro con l’amministrazione e che pertanto non può sottrarsi al generale principio della tutela dell’affidamento che disciplina l’azione amministrativa.

Di tale principio, ricollegabile all’obbligo di correttezza di cui è espressione la ponderazione degli interessi, la giurisprudenza amministrativa ha individuato numerose applicazioni di specie (provvedimenti di autotutela, convenzioni preliminari a provvedimenti, informazioni e promesse dell’amministrazione, prassi amministrativa, norme interne); il principio medesimo trova specifiche ragioni di applicazione nella ripetizione dell’indebito dell’amministrazione, in quanto:

a) il percipiente in buona fede ha regolato il suo comportamento su quello dell’amministrazione, presunto legittimo;

b) lo stato soggettivo di buona fede del percipiente nell’indebito oggettivo è rilevante a determinati effetti (frutti, interessi) anche secondo il diritto comune (art. 2033 c.c.);

c) l’obbligazione di restituire somme di denaro indebitamente percepite ma che presumibilmente sono state destinate al consumo incide su esigenze primarie dell’esistenza, che il principio della retribuzione sufficiente di cui all’art. 36 Cost. prende in specifica considerazione e tutela;

d) l’appartenenza ad una determinata categoria sociale (imprenditore, risparmiatore abituale, modesto consumatore, creditore occasionale) è considerata rilevante anche nel diritto privato (per la prova del maggior danno da mora nel pagamento, ex art. 1224, comma 2, c.c.: Cass., 2 agosto 1995, n. 8470).

Pertanto, ad avviso del T.A.R. Veneto, la ripetizione dell’indebito dell’amministrazione è soggetta, per il principio dell’affidamento e sul presupposto dello stato di buona fede del dipendente, a ponderazione di interessi, in relazione all’entità della prestazione pecuniaria da ripetere, all’appartenenza del dipendente alla categoria del modesto consumatore ed alla conseguente presumibile destinazione al consumo delle somme percepite, alla incidenza della ripetizione, ancorché graduata nel tempo, sul soddisfacimento dei bisogni essenziali della vita.

Sul recupero di indebito v. di recente in questa Rivista:

CONSIGLIO DI STATO, SEZ. V – Sentenza 14 febbraio 2003 n. 811

CONSIGLIO DI STATO, SEZ. VI – Sentenza 9 settembre 2002 n. 5579

CONSIGLIO DI STATO, SEZ. VI - Sentenza 4 gennaio 2000 n. 38

CORTE DEI CONTI SEZIONI RIUNITE - Sentenza 14 gennaio 1999 n. 1/99/QM

 

 

(omissis)

per l’annullamento

del provvedimento del Provveditore agli studi di Venezia del 29 maggio 1987, con cui veniva deciso il ricorso gerarchico proposto contro il provvedimento del Preside dell’I.T.C. "L.B. Alberti" di S. Donà di Piave dell’11 febbraio 1987, nonché contro quest’ultimo;

(omissis)

Ritenuto:

che il prof. Francesco Mirci, insegnante di educazione fisica presso l’Istituto tecnico "L. B. Alberti di S. Donà di Piave", ha proposto ricorso contro la decisione gerarchica di rigetto del Provveditore agli studi di Venezia in relazione al provvedimento dell’11 febbraio 1987 con cui il Preside dell’Istituto di appartenenza, in esito a decreto provveditorale di rettifica dell’inquadramento, con riconoscimento di cinque anni di servizio prestato nella scuola media anziché di dodici anni, come in precedenza disposto in riferimento anche al servizio prestato in carenza di titolo specifico, stabiliva la ripetizione delle differenze retributive erroneamente corrisposte, nella misura di lire 13.124.478;

che l’Avvocatura dello Stato si è costituita in giudizio per resistere per il Ministero della pubblica istruzione;

che con ordinanza cautelare 16 settembre 1987 n. 490 è stata accolta la domanda incidentale di sospensione dell’efficacia del provvedimento impugnato;

che con un unico articolato motivo il ricorrente lamenta che il disposto recupero e la relativa decisione gerarchica non abbiano in alcun modo tenuto conto degli interessi incisi;

Considerato:

che è controversa non la questione del riconoscimento del servizio pregresso ma soltanto quella del recupero delle differenze retributive erroneamente corrisposte;

che su quest’ultima questione la giurisprudenza amministrativa, e in particolare quella del Consiglio di Stato, è stata sempre oscillante;

che la decisione dell’Adunanza plenaria 30 marzo 1976, n. 1 aveva ritenuto di precisare il fondamento della ripetizione dell’indebito della amministrazione nel fatto che essa reca implicitamente l’annullamento degli atti amministrativi in base ai quali il pagamento è stato fatto e deve quindi contenere una valutazione dell’interesse pubblico alla restituzione delle somme raffrontato al pregiudizio di chi è tenuto a restituirle, tenuto conto della loro quantità, dell’avvenuta loro destinazione, dell’eventuale loro concorso in tale destinazione di altri redditi dello stesso soggetto, della incidenza che per costui la restituzione avrebbe sulle possibilità di soddisfacimento dei bisogni essenziali della vita;

che successivamente l’emersione di una giurisprudenza che costruiva invece la ripetizione dell’indebito dell’amministrazione come atto dovuto di esercizio del diritto di cui all’art. 2033 c.c., estraneo all’annullamento discrezionale d’ufficio di atti amministrativi (sez. IV, 17 maggio 1990, n. 390; 26 aprile 1990, n. 321; 16 gennaio 1990, n. 15; 30 ottobre 1989, n. 722; 6 maggio 1989, n. 286), induceva sez. VI, ord. 9 ottobre 1991, n. 625 ad una nuova rimessione all’Adunanza plenaria che, con decisioni 12 dicembre 1992 nn. 20 e 21 e 30 settembre 1993, n. 11, componeva il contrasto di giurisprudenza confermando l’indirizzo della sua precedente decisione del 1976;

che, ciononostante, nelle sezioni del Consiglio di Stato, accanto a pronunce allineate all’indirizzo indicato dall’Adunanza plenaria, nuovamente si è evidenziato un indirizzo, con il passar del tempo vieppiù prevalente, secondo cui "il recupero di somme indebitamente erogate ai pubblici dipendenti ha carattere di doverosità, nascendo direttamente dal disposto dell’art. 2033 c.c., salvo l’onere di procedervi con modalità tali da non incidere soverchiamente sulle esigenze di vita in caso di buona fede del debitore" (sez. V, 1 luglio 1999, n. 787; sez. VI, 4 maggio 1999, n. 574; 10 febbraio 1999, n. 120; 20 febbraio 1998, n. 155; 7 ottobre 1997, n. 1431; 24 marzo 1997, n. 287; 30 ottobre 1995, n. 1240; sez. II, par. 7 giugno 1995, n. 2927/94 e n. 2917/94);

che la questione della ripetizione dell’indebito dell’amministrazione va impostata indipendentemente dalla configurabilità in concreto di un annullamento d’ufficio di atti amministrativi, in quanto, a parte la controvertibile natura degli atti – attualmente meri atti di gestione del rapporto di pubblico impiego privatizzato - posti a fondamento dei crediti pecuniari dei lavoratori pubblici, atti taluni dei quali possono avere natura di atti paritetici, tale configurazione della discrezionalità della ripetizione dell’indebito appare una petizione di principio;

che infatti la ripetizione dell’indebito non è necessariamente una conseguenza automatica dell’annullamento dell’atto attributivo di un trattamento economico (per il quale attualmente la giurisprudenza ritiene che l’interesse all’annullamento sia in re ipsa) ma ne è autonoma, come gli effetti già prodottisi di un atto giuridico sono in certa misura autonomi rispetto a quelli futuri;

che la discrezionalità, più che all’atto di annullamento presupposto, va piuttosto ricollegata al fatto che la ripetizione dell’indebito dell’amministrazione è sì oggetto di un’obbligazione comune del dipendente (ex art. 2033 c.c.) ma connessa all’attuazione di un rapporto di lavoro con l’amministrazione e che pertanto non può sottrarsi al generale principio della tutela dell’affidamento che disciplina l’azione amministrativa;

che di tale principio, ricollegabile all’obbligo di correttezza di cui è espressione la ponderazione degli interessi, la giurisprudenza amministrativa ha individuato numerose applicazioni di specie (provvedimenti di autotutela, convenzioni preliminari a provvedimenti, , informazioni e promesse dell’amministrazione, prassi amministrativa, norme interne);

che il principio medesimo trova specifiche ragioni di applicazione nella ripetizione dell’indebito dell’amministrazione, in quanto:

il percipiente in buona fede ha regolato il suo comportamento su quello dell’amministrazione, presunto legittimo;

lo stato soggettivo di buona fede del percipiente nell’indebito oggettivo è rilevante a determinati effetti (frutti, interessi) anche secondo il diritto comune (art. 2033 c.c.);

l’obbligazione di restituire somme di denaro indebitamente percepite ma che presumibilmente sono state destinate al consumo incide su esigenze primarie dell’esistenza, che il principio della retribuzione sufficiente di cui all’art. 36 Cost. prende in specifica considerazione e tutela;

l’appartenenza ad una determinata categoria sociale (imprenditore, risparmiatore abituale, modesto consumatore, creditore occasionale) è considerata rilevante anche nel diritto privato (per la prova del maggior danno da mora nel pagamento, ex art. 1224, comma 2, c.c.: Cass., 2 agosto 1995, n. 8470);

che pertanto la ripetizione dell’indebito dell’amministrazione è soggetta, per il principio dell’affidamento e sul presupposto dello stato di buona fede del dipendente, a ponderazione di interessi, in relazione all’entità della prestazione pecuniaria da ripetere, all’appartenenza del dipendente alla categoria del modesto consumatore ed alla conseguente presumibile destinazione al consumo delle somme percepite, alla incidenza della ripetizione, ancorché graduata nel tempo, sul soddisfacimento dei bisogni essenziali della vita;

che, in applicazione del suesposto principio di diritto, in relazione allo stato di buona fede del dipendente (desumibile anche dal fatto che il provvedimento di riconoscimento dei servizi pregressi era stato ammesso dalla Corte dei conti al visto ed alla conseguente registrazione), all’entità della somma da ripetere (lire 13.124.478 riferita all’anno 1987), alla presumibile ascrivibilità del dipendente (insegnante di scuola media superiore) alla categoria del modesto consumatore ed alla certa consistente incisione che la ripetizione avrebbe arrecato al soddisfacimento dei bisogni essenziali della vita, la decisione gerarchica impugnata che ha respinto il ricorso contro il provvedimento di ripetizione ignorando la favorevole ponderazione di interessi nel caso concreto è illegittima e va annullata, con conseguente annullamento anche del provvedimento di base ed esclusione della ripetizione;

che le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza;

P.Q.M.

Il Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, I sezione, definitivamente pronunciando:

1) Accoglie il ricorso e, per l’effetto, annulla i provvedimenti impugnati;

2) Condanna il Ministero della istruzione, dell’università e della ricerca a rimborsare al ricorrente le spese di giudizio, liquidate in complessivi € 2000 (duemila euro), di cui € 500 (cinquecento euro) per spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Venezia, nella camera di consiglio addì 19 dicembre 2002.

Il Presidente, estensore

Depositata in segreteria in data 26 febbraio 2003.

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