CONSIGLIO DI STATO, SEZ. V - Sentenza 7 novembre 2002 n. 6126 - Pres. Varrone, Est. Deodato - Gelichi ed altri (Avv. Stancanelli) c. Comune di Santa Maria a Monte (Avv.ti Merusi e D'Amelio) - (annulla T.A.R. Toscana, Sez. II, data 23 gennaio 1995, n. 11).
1. Giustizia amministrativa - Ricorso giurisdizionale - Improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse - Dichiarazione - Presupposti - Individuazione.
2. Giustizia amministrativa - Appello - Annullamento della sentenza di primo grado - Per erronea declaratoria di improcedibilità del ricorso - Effetti - Ritenzione della decisione della controversia in secondo grado - Necessità.
3. Edilizia ed urbanistica - Autorizzazione edilizia - Necessità - Per il mutamento della destinazione d'uso senza opere edilizie - Non sussiste in difetto di specifica disciplina regionale o dello strumento urbanistico.
4. Edilizia ed urbanistica - Concessione edilizia - Per magazzino - Successiva destinazione per uso commerciale del magazzino stesso - E' compatibile con la destinazione prevista in concessione.
1. Affinché un ricorso sia dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse è necessario l'inequivoco accertamento dell'inutilità della sentenza (1), occorrendo a tal fine che venga preliminarmente effettuata una rigorosa indagine circa l'utilità conseguibile per effetto della definizione del ricorso la quale conduca al sicuro convincimento che la modificazione della situazione di fatto e di diritto intervenuta in corso di causa impedisce di riconoscere in capo al ricorrente alcun interesse, anche meramente strumentale e morale, alla decisione (2).
2. La erroneità della pronuncia dichiarativa dell'improcedibilità del ricorso implica il suo annullamento ed impone, tuttavia, al giudice d'appello di ritenere la causa e di definirla nel merito, nei termini in cui è stata prospettata in prime cure (3).
3. La variazione di destinazione d'uso di un immobile senza opere edilizie è soggetta ad autorizzazione, ai sensi dell'art. 25 L. n. 47/85, esclusivamente nei casi indicati dalla normativa regionale (4) e secondo le disposizioni dettate dagli strumenti urbanistici; in difetto di tali previsioni, pertanto, il mutamento di destinazione non deve ritenersi sottoposto ad alcun preventivo assenso.
4. L'indicazione nella concessione edilizia che un fabbricato ha natura di magazzino è compatibile con la complessiva destinazione commerciale che sia stata data in concreto al fabbricato stesso.
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(1) Cfr. ex multis Cons. Stato, IV Sez., 6 ottobre 2001, n. 5296.
(2) Cons. Stato, Sez. IV, 1 agosto 2001, n. 4206.
(3) Cons. Stato, Sez. IV, 6 ottobre 2001, n. 5294.
(4) Cons. Stato, Sez. V, 21 luglio 1999, n. 868.
Sul mutamento di destinazione d'uso v. in prec. in questa Rivista:
CONSIGLIO DI STATO, SEZ. V - Sentenza 27 dicembre 2001 n. 6411
CONSIGLIO DI STATO, SEZ. V - Sentenza 10 marzo 1999 n. 231
TAR VENETO, SEZ. II - Sentenza 13 novembre 2001 n. 3699
TAR LOMBARDIA - BRESCIA - Sentenza 13 giugno 2002 n. 957
CONSIGLIO DI STATO, SEZ. V - Sentenza 21 maggio 1999 n. 592
FATTO
Con la sentenza appellata venivano dichiarati improcedibili per sopravvenuto difetto di interesse tre ricorsi (riuniti), proposti dagli odierni appellanti dinanzi al T.A.R. della Toscana, rispettivamente intesi ad ottenere l'annullamento del provvedimento sindacale notificato in data 1.9.89 di diniego di autorizzazione al mutamento di destinazione d'uso (da magazzino a superficie di vendita) di un immobile adiacente all'esercizio commerciale gestito dagli interessati (ricorso n.1387/89 R.G.), del provvedimento n.12296 del 16.9.89 nella parte in cui l'Amministrazione, pur assentendo l'ampliamento della superficie di vendita, aveva prescritto la produzione di alcuni documenti al fine del rilascio del titolo (ricorso n.1610/89 R.G.), dell'ordinanza sindacale n.80/89 del 30.11.89 di cessazione dell'attività di vendita esercitata abusivamente e della modifica della licenza di commercio disposta in data 20.10.89 nella parte in cui impediva la vendita di pane sfuso (ricorso n.1640/89 R.G.).
Avverso la predetta decisione proponevano rituale appello gli iniziali ricorrenti, contestando la correttezza del convincimento espresso dal T.A.R. circa la sopravvenuta mancanza in capo a loro di un interesse processualmente rilevante all'annullamento degli atti impugnati, riproponendo, nel merito, le medesime censure, non esaminate dal T.A.R., addotte a sostegno dei ricorsi originari e concludendo per la riforma della sentenza appellata.
Resisteva il Comune di Santa Maria a Monte, difendendo la pronuncia impugnata, dichiarativa dell'improcedibilità dei ricorsi, contestando, comunque, nel merito la fondatezza delle censure dedotte a sostegno dei gravami originari e concludendo per la reiezione dell'appello.
Le parti illustravano ulteriormente le loro tesi mediante il deposito di memorie difensive.
Alla pubblica udienza del 21 maggio 2002 il ricorso veniva trattenuto in decisione.
DIRITTO
1.- Come già rilevato in fatto, gli odierni appellanti, interessati ad ottenere i necessari assensi, di natura edilizia e commerciale, all'ampliamento dell'attività di vendita al piano rialzato di un immobile, originariamente destinato a magazzino, adiacente al fabbricato che ospitava l'esercizio pubblico da loro gestito, avevano impugnato dinanzi al T.A.R. della Toscana, con tre distinti ricorsi, i provvedimenti dell'Amministrazione resistente con i quali era stato: negato il mutamento di destinazione d'uso (da magazzino a locale commerciale) dell'anzidetto locale (ricorso n.1387/89 R.G.), imposta la produzione di alcuni documenti quale condizione del rilascio dell'autorizzazione commerciale relativa all'ampliamento della superficie di vendita (ricorso n.1610/89 R.G.), ordinata la cessazione dell'attività di vendita esercitata abusivamente e modificata la licenza nel senso che risultava preclusa la vendita di pane sfuso (ricorso n.1640/89 R.G.).
Con la decisione impugnata, il Tribunale toscano, preso atto delle sopravvenute autorizzazioni al mutamento della destinazione d'uso dell'originario magazzino (con concessione edilizia n.5 del 30.1.92) ed all'utilizzazione della relativa superficie a fini commerciali (con provvedimento n.3 del 15.12.92) nonché dell'intervenuto annullamento, in via di autotutela, dell'atto di accorpamento delle tabelle merceologiche, in senso preclusivo della vendita di pane sfuso, dichiarava improcedibili i ricorsi nn. 1387/89, 1610/89 e, in parte, 1640/89, dando atto della cessazione della materia del contendere in ordine alla modifica della licenza commerciale impugnata con quest'ultimo.
2.- Gli appellanti contestano, innanzitutto, la correttezza della valutazione, assunta dai primi giudici a fondamento della pronuncia impugnata, circa il sopravvenuto difetto di interesse alla decisione di tutti i ricorsi, in conseguenza dell'intervenuta sostituzione dei provvedimenti originariamente impugnati con quelli, integralmente satisfattivi, sopra indicati.
Il Comune appellato, di contro, nega la configurabilità in capo agli odierni ricorrenti di un interesse processualmente rilevante a conseguire l'annullamento di provvedimenti divenuti inefficaci e superati dalle determinazioni favorevoli adottate dall'Amministrazione in corso di causa.
L'appello è fondato e merita accoglimento.
Deve premettersi che la declaratoria dell'improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse postula, come affermato da un univoco e consolidato orientamento giurisprudenziale, l'accertamento dell'inutilità della sentenza (cfr. ex multis Cons. Stato, IV Sez., 6 ottobre 2001, n.5296). Tale verifica, a sua volta, esige che la presupposta, rigorosa indagine circa l'utilità conseguibile per effetto della definizione del ricorso conduca al sicuro convincimento che la modificazione della situazione di fatto e di diritto intervenuta in corso di causa impedisce di riconoscere in capo al ricorrente alcun interesse, anche meramente strumentale e morale, alla decisione (Cons. Stato, Sez. IV, 1 agosto 2001, n.4206).
Così definiti i (rigidi) parametri di valutazione della permanenza dell'interesse al ricorso, e, quindi, alla sua decisione, si rileva che, nel caso di specie, non pare formulabile il necessario giudizio di inutilità della sentenza quale conseguenza dei mutamenti sopravvenuti nelle more della definizione della causa.
Nonostante, infatti, gli originari ricorrenti abbiano definitivamente conseguito, in via sostanziale, i titoli (edilizio e commerciale) che erano stati loro negati o condizionatamente assentiti con i provvedimenti impugnati, l'invocato accertamento dell'illegittimità di questi ultimi consentirebbe agli istanti di pretendere dall'Amministrazione resistente il risarcimento dei danni patiti per il ritardo nell'ampliamento dell'esercizio commerciale.
Tale significativa utilità economica, diversa ed ulteriore rispetto al mero annullamento degli atti impugnati ed ai vantaggi già conseguiti in via sostanziale per effetto dei provvedimenti sopravvenuti, risulta, di per sé, idonea, in definitiva, a sorreggere la permanenza dell'interesse a ricorrere anche al momento della decisione ed impedisce, conseguentemente, di ritenere l'inutilità della sentenza.
La riscontrata erroneità della pronuncia dichiarativa dell'improcedibilità dei ricorsi implica il suo annullamento ed impone, tuttavia, al giudice d'appello di ritenere la causa e di definirla nel merito, nei termini in cui è stata prospettata in prime cure (Cons. Stato, IV Sez., 6 ottobre 2001, n.5294).
3.- La sostanziale autonomia delle questioni di diritto introdotte con i tre ricorsi proposti in primo grado dagli odierni appellanti, e riuniti con la decisione impugnata, e la radicale differenza dei provvedimenti con quelli impugnati impone una disamina distinta di ciascuno dei gravami.
3.1- Con il primo ricorso (n.1387/89) è stato impugnato il diniego di approvazione della variante alla concessione edilizia n.9/88, consistente nel cambio di destinazione d'uso (da magazzino ad attività di vendita) del piano rialzato del fabbricato contiguo a quello già utilizzato a fini commerciali.
Tale determinazione negativa era stata essenzialmente adottata sulla base del rilievo dell'incompatibilità del progetto (e segnatamente della destinazione commerciale) con il Piano di Recupero e con la relativa convenzione stipulata inter partes (là dove l'immobile in questione era specificamente previsto come adibito a magazzino).
Gli appellanti ripropongono le censure dedotte con il ricorso originario, assumendo, in sostanza, l'illegittimità del diniego in quanto asseritamente adottato nonostante la pacifica conformità della destinazione commerciale con le previsioni urbanistiche e con la stessa convenzione.
La doglianza è fondata.
Premesso, infatti, che la variazione d'uso di un immobile senza opere è soggetta ad autorizzazione, ai sensi dell'art.25 L. n.47/85, esclusivamente nei casi indicati dalla normativa regionale (Cons. Stato, Sez. V, 21 luglio 1999, n.868) e secondo le disposizioni dettate dagli strumenti urbanistici e che, quindi, in difetto di tali previsioni (non indicate nel provvedimento impugnato né ricavabile aliunde), il mutamento di destinazione in oggetto non deve ritenersi sottoposto ad alcun preventivo assenso, si rileva, in ogni caso, che sia la convenzione in data 19.2.88 sia la concessione edilizia n.9/88, relative alla costruzione del fabbricato in questione, prevedono espressamente e chiaramente, come si ricava dalla lettura dei relativi documenti, la destinazione commerciale dello stesso.
Non solo, quindi, va esclusa la necessità, ai sensi dell'art.25 L. n.47/85, del rilascio di una concessione in variante per l'omessa previsione, in sede legislativa (regionale) e regolamentare (comunale), dell'obbligatorietà della preventiva autorizzazione del Sindaco, ma risulta addirittura insussistente il presupposto di fatto del mutamento della destinazione d'uso dei locali in questione.
L'accertata, originaria destinazione commerciale di questi comporta, in definitiva, l'illegittimità del diniego in quanto erroneamente fondato sul rilievo dell'incompatibilità, come visto inesistente, della variazione proposta con la convenzione relativa al Piano di Recupero (che prevede, infatti, l'uso commerciale del fabbricato).
Tale conclusione risulta, inoltre, avvalorata dal rilievo che nella concessione edilizia n.5/92 successivamente rilasciata (ed avente ad oggetto l'utilizzazione per la vendita dei locali in questione) risulta espressamente attestato che:
- gli oneri di urbanizzazione erano stati versati al momento del rilascio del titolo edilizio originario;
- viene conservata la destinazione ad uso commerciale dei locali;
- la concessione non comporta modifica agli attuali standards urbanistici.
Come si vede, tali rilievi (particolarmente significativi in quanto contenuti in un atto dell'Amministrazione) costituiscono il migliore riscontro non solo della compatibilità della variazione proposta con i titoli già acquisiti ma, ancor prima, della mancanza di necessità di qualsivoglia assenso comunale all'utilizzazione commerciale dei locali in questione.
Né, da ultimo, l'indicazione della natura di magazzino del fabbricato considerato vale ad inficiare le considerazioni sopra svolte, atteso che siffatta definizione risulta compresa ed assorbita nella complessiva destinazione commerciale del fabbricato, che non sembra, in ogni caso, idonea a descrivere una utilizzazione di questo difforme da quella dell'adiacente supermercato e che non appare, comunque, ontologicamente incompatibile con l'uso commerciale della costruzione, anche in considerazione del vincolo strumentale esistente tra il magazzino ed i locali usati per la vendita al pubblico.
In parziale riforma della decisione appellata va, quindi, accolto il ricorso in primo grado n.1387/89 e, conseguentemente, annullato il provvedimento sindacale di diniego notificato agli interessati in data 1.9.89.
3.2- Con il ricorso n.1610/89 è stato impugnato il provvedimento sindacale n.12296 del 16.9.89 nella parte in cui, pur assentendo l'ampliamento della superficie commerciale, imponeva la produzione di taluni documenti (planimetria, certificato d'uso e certificazione igienico sanitaria).
I ricorrenti postulano, a fondamento della contestazione di tale provvedimento, la natura condizionata dell'autorizzazione impugnata ed assumono l'illegittimità delle prescrizioni ivi contenute, ritenute idonee a condizionare l'efficacia del titolo.
Il ricorso va dichiarato inammissibile per difetto di interesse.
Come, infatti, correttamente rilevato dal T.A.R., ancorchè in via incidentale, il provvedimento impugnato va qualificato come autorizzazione immediatamente efficace all'ampliamento della superficie di vendita e non come assenso sospensivamente condizionato alla produzione della documentazione contestualmente richiesta.
Mentre, invero, non è dato ricavare dalla lettura del provvedimento in parola alcun elemento che indichi in maniera univoca la natura condizionata dell'autorizzazione (e, quindi, la subordinazione della sua efficacia agli adempimenti imposti ai destinatari), dalla formulazione letterale dell'atto può evincersi, di contro, chiaramente l'immediata efficacia dello stesso.
Con l'invito all'attivazione dell'esercizio commerciale nel termine di sei mesi dalla data di notifica del documento contenente l'autorizzazione, l'Amministrazione Comunale ha, infatti, palesemente significato al destinatario dell'atto l'immediata efficacia del titolo, non essendo logicamente immaginabile il decorso del termine stabilito dall'art.31 L. n.426/71 nonostante la sospensione dell'efficacia dell'autorizzazione commerciale.
Dalla predetta qualificazione dell'atto impugnato discende la mancanza nello stesso di qualsiasi profilo di lesività degli interessi dei ricorrenti, che risultano, anzi, pienamente soddisfatti dallo stesso, con la conseguenza che il relativo ricorso va dichiarato inammissibile per difetto di interesse a ricorrere.
3.3- Alla verifica dell'immediata efficacia dell'autorizzazione all'ampliamento della superficie di vendita rilasciata con il provvedimento n.12296 del 16.9.89 consegue, inoltre, l'accertamento dell'illegittimità dell'ordinanza sindacale n.80/89 del 30.11.89, impugnata con il ricorso n.1640/89, di cessazione dell'attività commerciale nei locali del fabbricato adiacente a quello inizialmente destinato alla vendita.
Tale provvedimento risulta, infatti, erroneamente fondato sul presupposto del difetto di un valido ed efficace assenso, viceversa esistente (come sopra rilevato), all'utilizzo commerciale dei locali contigui a quelli del supermercato.
In parziale accoglimento dell'appello, va, quindi, annullata anche l'ordinanza sindacale n.80/89 in data 30.11.89.
4.- Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, accoglie il ricorso indicato in epigrafe e, in riforma della decisione appellata, così provvede:
in accoglimento dei ricorsi in primo grado nn.1387/89 e 1640/89, annulla il provvedimento sindacale notificato in data 1.9.89 e l'ordinanza sindacale n.80/89 del 30.11.89;
dichiara inammissibile il ricorso n.1610/89;
condanna l'Amministrazione appellata a rifondere in favore dei ricorrenti le spese di entrambi i gradi di giudizio che liquida in complessivi Euro 5.000;
ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 21 maggio 2002, con l'intervento dei signori:
Claudio Varrone - Presidente
Corrado Allegretta - Consigliere
Aldo Fera - Consigliere
Marco Lipari - Consigliere
Carlo Deodato - Consigliere Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
F.to Carlo Dedodato F.to Claudio Varrone
Depositata il 7 novembre 2002.