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Giurisprudenza
n. 5-2003 - © copyright.

CONSIGLIO DI STATO, SEZ. V - Sentenza 6 maggio 2003 n. 2382 - Pres. Elefante, Est. Marchitiello - Marrazzo e altro (Avv.ti Laudario e Profili) c. Ministero dell'Interno (Avv. Gen. Stato) e Prefetto di Napoli (n.c.) e Comune di Casandrino (n.c.) nonché Chianese e altro (Avv.Lamberti) e Marrazzo e altro (n.c.) - (respinge l'appello e conferma T.A.R. Campania, Sez. I, 13 marzo 2002 n. 1346).

Comune e Provincia - Consiglio comunale - Scioglimento - Per dimissioni di oltre la metà dei consiglieri comunali - Ex art. 141, comma 1, lett.b, n. 3) del T.U. ee.ll. - Nel caso di presentazione delle dimissioni nello stesso giorno, ma in orari differenti e con lettere distinte e separate - Diniego del Prefetto - Legittimità.

E' legittimo il provvedimento con cui il Prefetto non provvede allo scioglimento di un Consiglio comunale, ex art. 141, comma 1, lett. b, n. 3), del decreto legislativo 18 agosto 2000 n. 267 (T.U. ee.ll.), nel caso in cui, nonostante le dimissioni di oltre la metà dei consiglieri comunali, dette dimissioni, pur rassegnate nello stesso giorno, siano state presentante dai consiglieri comunali al protocollo del Comune non insieme, ma in orari differenti e con atti diversi e separati (1).

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(1) V. in senso analogo Cons. Stato, Sez. I, parere 11 dicembre 2002 n. 4269, in questa Rivista n. 1/2003, secondo il quale, nel caso in cui le dimissioni siano state presentate mediante un nuncius, esse, ai fini della validità, debbono essere "previamente autenticate ed in data certa e con l'indicazione (contestuale o, a sua volta, separatamente autenticata) delle generalità del soggetto incaricato di presentarle".

V. anche nello stesso senso del parere del CdS, sempre in questa Rivista, T.A.R. Campania-Napoli, Sez. I, sentenza 17 gennaio 2003 n. 268, con commento di A. VITALE, Dimissioni ultra dimidium e modalità di presentazione e T.A.R. Campania-Napoli, Sez. I, sentenza 20 febbraio 2003 n. n. 1010.

V., tuttavia, in senso diverso, T.A.R. Puglia - Lecce, Sez. I, sentenza 2 aprile 2003 n. 1574, in questa Rivista, n.4-2003, secondo cui "è legittimo il decreto di scioglimento di un consiglio comunale, disposto ai sensi dell'art. 141 del decreto legislativo 18 agosto 2000 n. 267 (T.U. ee.ll.), per le dimissioni di oltre la metà dei consiglieri, ove le dimissioni stesse siano state presentante al protocollo del Comune da uno solo dei consiglieri comunali dimissionari mediante un unico foglio, sottoscritto da tutti i consiglieri dimissionari le cui firme, tuttavia, non risultino autenticate, nel caso in cui comunque sussistano vari elementi che inducano a ritenere con assoluta certezza che gli autori del documento in questione siano proprio i consiglieri comunali che lo hanno sottoscritto".

Ha osservato, in particolare, la Sez. V del Consiglio di Stato con la sentenza in rassegna che "la norma (art. 141, comma 1, lett b., n. 3), del decreto legislativo 18 agosto 2000 n. 267 dispone che le dimissioni debbono essere rassegnate o con un unico atto (ipotesi nella quale la contestualità temporale è data dall'unicità del documento), ovvero, anche con più atti che, peraltro, siano presentati tutti insieme ("contemporaneamente", cioè in fascio), al protocollo comunale.

Ciò vuol dire, in concreto, che detti atti devono essere registrati dal relativo Ufficio (tenuto ex art. 38 dello stesso D.Lgs. n. 267 del 2000 ad "assumerle immediatamente nell'ordine temporale di presentazione"), con protocolli in entrata relativi allo stesso giorno e alla medesima ora, in "stretta sequenza numerica" (Sez. I, par. 10.10.2002, n. 3049)".

Ha aggiunto che: "La norma è chiara e non esige un particolare, approfondito esame interpretativo. La ratio della norma è stata posta in luce dalla 1^ Sezione di questo Consiglio (con il già citato parere del 10.10.2002, n. 3049) che ha rilevato come solo la contestualità delle dimissioni in un unico atto ovvero la sostanziale contestualità della protocollazione degli atti separati contenenti le dimissioni della metà più uno dei membri del consiglio "risulti idonea a costituire la prova, sorretta da presunzione legale, della volontà concordata ed irrevocabile della maggioranza indicata dalla legge di provocare lo scioglimento del consiglio comunale".

La contestualità vale anche a scongiurare lo scioglimento del consiglio comunale per una casuale sommatoria di dimissioni dovute a motivi diversi non certamente aventi finalità dissolutorie del consiglio comunale se non addirittura a manovre surrettizie delle minoranze dirette a determinare il risultato politico dello scioglimento dell'organo e un nuovo ricorso al corpo elettorale (come può accadere se consiglieri di minoranza, approfittando delle dimissioni di membri della maggioranza, ovviamente non motivate da intenti dissolutori, aggiungono a queste le proprie dimissioni, per raggiungere il numero di consiglieri dimissionari stabilito dall'art. 141 per lo scioglimento del consiglio).

La norma è diretta, quindi, alla maggiore stabilità e alla conservazione, per quanto possibile, della amministrazione ordinaria del Comune, e a mantenere inalterata, nonostante le surrogazioni, la fisionomia che ad essa è stata democraticamente assegnata dal corpo elettorale".

 

 

FATTO

I Sigg. Vincenzo Marrazzo, Francesco Volpicelli, Domenico Silvestre, Florindo D'Angelo e Santolo Verde impugnavano al T.A.R. della Campania la nota n. 12180 del 14.7.2001, con la quale il Prefetto di Napoli non ha proceduto allo scioglimento del Consiglio comunale del Comune di Casandrino in relazione alle dimissioni presentate da 11 consiglieri comunali sui 20 assegnati al comune.

Si costituivano in giudizio il Prefetto di Napoli e il Ministero dell'Interno opponendosi all'accoglimento del ricorso.

I ricorrenti impugnavano anche le deliberazioni del 18.7.2001, nn. 46, 47, 48, 49, 50, 51, 52, 53, 54, 55, con le quali il Consiglio comunale di Casandrino provvedeva alla surrogazione dei consiglieri comunali dimissionari.

Si costituivano, resistendo al ricorso, anche il Sig. Antonio Chianese e gli altri controinteressati in epigrafe indicati.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, 1^ Sezione, con la sentenza del 13.3.2002, n. 1346, respingeva il ricorso.

I ricorrenti in primo grado appellano la sentenza deducendone la erroneità e domandandone la riforma.

Si sono costituiti in appello il Ministero dell'Interno e i controinteressati i n primo grado che chiedono la conferma della sentenza appellata.

All'udienza del 14.1.2003, il ricorso in appello è stato ritenuto per la decisione.

DIRITTO

1.- I Sigg. Vincenzo Marrazzo, Francesco Volpicelli, Domenico Silvestre, Florindo D'Angelo e Santolo Verde, consiglieri comunali dimissionari del Comune di Casandrino, appellano la sentenza del 13.3.2002, n. 1346, con la quale la 1^ Sezione del T.A.R. della Campania ha respinto il loro ricorso diretto all'annullamento della nota del Prefetto di Napoli n. 13180/Gab VI Settore, del 16.7.2001.

2.- La vicenda dedotta in controversia è, in breve, la seguente.

In data 12.7.2001, con lettera assunta al protocollo del Comune di Casandrino alle ore 9, il Sig. Raffaele D'Angelo rassegnava le dimissioni dalla carica di assessore e da consigliere comunale, motivando le stesse con la inconciliabilità dello svolgimento di tali funzioni con i sopravvenuti, più gravosi impegni professionali.

Nello stesso giorno, ma in orario diverso, alle ore 11 (alle 12,50 secondo gli appellati), con due distinte lettere, si dimettevano anche gli attuali appellanti ed altri cinque consiglieri comunali.

Si era dimessa, quindi, la metà più uno dei venti consiglieri comunali assegnati al comune.

Il Prefetto di Napoli, con la nota impugnata in primo grado, in risposta alla richiesta di istruzioni formulata dal Comune, rilevava che, nella specie, non ricorreva l'ipotesi delle dimissioni contestuali che, in base all'art. 141, comma 1, lett. b), n. 3, del T.U. delle leggi sull'ordinamento degli enti locali approvato con il D.Lgs. 18.8.2000, n. 267, determinava lo scioglimento del consiglio comunale, e che, di conseguenza, in presenza delle anzidette dimissioni e stante la irrevocabilità delle stesse, sussisteva l'obbligo per il Consiglio comunale di procedere alla surrogazione dei consiglieri dimissionari.

Tale nota e le successive deliberazioni con le quali il Consiglio comunale aveva proceduto alla integrazione dell'organo venivano impugnate dagli attuali appellanti con il ricorso definito con la sentenza appellata.

3. - L'appello è infondato nel merito.

La Sezione non si sofferma, pertanto, ad esaminare l'eccezione di rito formulata dagli appellati costituiti.

L'art. 141 del T.U. delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, approvato con il D.Lgs. 18.8.2000, n. 267, prevede tra i casi di scioglimento del Consiglio comunale, al comma 1, lett. b), n. 3, la "cessazione dalla carica per dimissioni contestuali, ovvero rese anche con atti separati purché contemporaneamente presentati al protocollo dell'ente, della metà più uno dei membri assegnati, non computando a tal fine il sindaco".

Come è noto, tale disposizione, che ricalca l'art. 39 della legge 8.6.1990, n. 140, nel testo modificato dall'art. 5 della legge 15.5.1997, n. 127, è la versione più recente e perfezionata di una norma già vigente nell'ordinamento degli enti locali dovuta all'esigenza di codificare regole e criteri certi per la trattazione delle dimissioni dei consiglieri comunali, quando queste superino, nel loro insieme, il numero minimo che, secondo il legislatore, è necessario a mantenere la conformità dell'organo alla volontà espressa dal corpo elettorale nelle consultazioni elettorali.

In precedenza, sia l'art. 8 del T.U. delle leggi elettorali amministrative approvato con il D.P.R. 16.5.1960, n. 570, che prevedeva lo scioglimento dei consigli comunali per "dimissioni della metà più uno dei consiglieri comunali", sia lo stesso art. 39 della legge n. 140 del 1990, che nella sua formulazione originaria stabiliva che i consigli comunali vengono sciolti "per decadenza o dimissioni di almeno la metà dei consiglieri", avevano dato luogo ad interpretazioni giurisprudenziali oscillanti, particolarmente controverse sul punto relativo alle dimissioni ultra dimidium rese in tempi diversi e con motivazioni diverse.

L'art. 5 della legge n. 127 del 1997, che ha introdotto all'art. 39 della legge n. 140 del 1990 il testo successivamente riprodotto dall'art. 141 del T.U. n. 267 del 2000, allo scopo di superare tali incertezze, ha previsto, come presupposto per il provvedimento di scioglimento del consiglio comunale, da adottarsi con decreto del Capo dello Stato su proposta del Ministro dell'Interno, che le dimissioni della metà più uno dei componenti il consiglio comunale (sindaco escluso) debbano essere presentate in un unico contesto temporale.

La norma, pertanto, dispone che le dimissioni debbono essere rassegnate o con un unico atto (ipotesi nella quale la contestualità temporale è data dall'unicità del documento), ovvero, anche con più atti che, peraltro, siano presentati tutti insieme ("contemporaneamente", cioè in fascio), al protocollo comunale.

Ciò vuol dire, in concreto, che detti atti devono essere registrati dal relativo Ufficio (tenuto ex art. 38 dello stesso D.Lgs. n. 267 del 2000 ad "assumerle immediatamente nell'ordine temporale di presentazione"), con protocolli in entrata relativi allo stesso giorno e alla medesima ora, in "stretta sequenza numerica" (Sez.I, par. 10.10.2002, n. 3049).

La norma è chiara e non esige un particolare, approfondito esame interpretativo.

La ratio della norma è stata posta in luce dalla 1^ Sezione di questo Consiglio (con il già citato parere del 10.10.2002, n. 3049) che ha rilevato come solo la contestualità delle dimissioni in un unico atto ovvero la sostanziale contestualità della protocollazione degli atti separati contenenti le dimissioni della metà più uno dei membri del consiglio "risulti idonea a costituire la prova, sorretta da presunzione legale, della volontà concordata ed irrevocabile della maggioranza indicata dalla legge di provocare lo scioglimento del consiglio comunale".

La contestualità vale anche a scongiurare lo scioglimento del consiglio comunale per una casuale sommatoria di dimissioni dovute a motivi diversi non certamente aventi finalità dissolutorie del consiglio comunale se non addirittura a manovre surrettizie delle minoranze dirette a determinare il risultato politico dello scioglimento dell'organo e un nuovo ricorso al corpo elettorale (come può accadere se consiglieri di minoranza, approfittando delle dimissioni di membri della maggioranza, ovviamente non motivate da intenti dissolutori, aggiungono a queste le proprie dimissioni, per raggiungere il numero di consiglieri dimissionari stabilito dall'art. 141 per lo scioglimento del consiglio).

La norma è diretta, quindi, alla maggiore stabilità e alla conservazione, per quanto possibile, della amministrazione ordinaria del Comune, e a mantenere inalterata, nonostante le surrogazioni, la fisionomia che ad essa è stata democraticamente assegnata dal corpo elettorale.

Per le considerazioni fin qui svolte, la Sezione, stante la situazione di fatto delineata al precedente punto 2, ritiene che debba condividersi la sentenza appellata, che ha ritenuto legittima la disposizione data dal Prefetto di Napoli al Consiglio comunale di Casandrino di procedere alla surrogazione dei consiglieri dimissionari, ritenendo insussistenti le condizioni stabilite per lo scioglimento del consiglio dal citato art. 141, comma I, lett. b), n. 3, del D.Lgs. n. 267 del 2000.

Le contrarie deduzioni contenute nell'atto di appello non sono condivise dalla Sezione.

Con un primo motivo, gli appellanti rilevano che

l'espressione "contemporaneamente" contenuta nell'art. 141 debba riferirsi all'unità di tempo rappresentata dalla "giornata",come sancito dalla Adunanza Plenaria di questo Consiglio del 24.7.1997, n. 15.

Il rilievo non è fondato. L'Adunanza Plenaria si è pronunciata in ordine ad una fattispecie verificatasi nel vigore dell'art. 39 della legge n. 140 del 1990, prima, quindi, che detta norma fosse modificata dall'art. 5 della legge n. 127 del 1997, che ha stabilito la contestualità delle dimissioni plurime, nel significato più indietro chiarito, per lo scioglimento del consiglio comunale.

L'art. 39 citato, al comma 1, lett. b), n. 2, come si è già riferito, infatti, si limitava a stabilire lo scioglimento del Consiglio comunale per le "dimissioni o decadenza di almeno la metà dei consiglieri" ed era, quindi, aperta la questione di differenziare tale fattispecie da quella rappresentata dalle dimissioni singole (o infra dimidium). L'Adunanza Plenaria, nel silenzio della norma, ha concluso per la soluzione giuridicamente e logicamente più appropriata.

In tali termini va valutata anche l'altra giurisprudenza richiamata nell'atto di appello.

Nessun problema interpretativo, come anche si è già rilevato, sorge oggi di fronte al chiaro enunciato dell'art. 141, comma 1, lett. b), n. 3, del D.Lgs. n. 267 del 2000.

E' del tutto inconsistente, infine, il rilievo, collegato alla tesi già esaminata, secondo cui essendosi interpretata la normativa precedente nel senso che le dimissioni plurime per determinare l'effetto dello scioglimento del Consiglio comunale devono essere presentate nello stesso giorno, una lettura diversa della disposizione contenuta nell'art. 141 comma I, lett. b), n. 3, del D.Lgs. n. 267 del 2000, comporterebbe l'incostituzionalità di tale norma, per eccesso di delega. La legge delega in base alla quale il T.U. n. 267 è stato emanato, rilevano gli appellanti, non consentiva l'introduzione di modifiche sostanziali ma solo "innovazioni giustificate dalla finalità della sistemazione, comodità ed utilità applicativa del testo stesso" (secondo il parere dell'Adunanza Plenaria dell'8.6.2000, n. 87).

Pertanto, secondo gli appellanti, il termine "contemporaneamente" dovrebbe tuttora essere riferito alla unità temporale rappresentata dal giorno (secondo l'interpretazione data dalla Adunanza Plenaria( e, quindi, determinerebbero lo scioglimento del consiglio le dimissioni rassegnate nella stessa giornata.

Il motivo è inconsistente per il semplice motivo che il T.U. nella norma più volte citata non contiene nessuna innovazione ma ripete pedissequamente l'art. 39 della legge n. 142 del 1990, come modificato dall'art. 5 della legge n. 127 del 1997, non travalicando, quindi, dalla sua funzione meramente riproduttiva di norme già vigenti.

In conclusione, l'appello va respinto.

Le spese del secondo grado del giudizio, sussistendo giusti motivi, possono essere compensate.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Quinta Sezione, rigetta l'appello.

Compensa le spese del secondo grado del giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità Amministrativa.

Così deciso, in Roma,in Camera di Consiglio, il 14.1.2003, con l'intervento dei signori:

Agostino Elefante Presidente

Raffaele Carboni Consigliere

Corrado Allegretta Consigliere

Francesco D'Ottavi Consigliere

Claudio Marchitiello Consigliere Estensore

Depositata in segreteria in data 6 maggio 2003.

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