CONSIGLIO DI STATO, SEZ. VI - Sentenza 7 febbraio 2003 n. 650 - Pres. Ruoppolo, Est. Garofoli - Lama Marmi di Teseo Alfredo & c. s.a.s. (Avv. Izzo) c. Midimarmi s.r.l. (Avv.ti Vaiano e Ingravalle), Regione Puglia (Avv. Spinelli) e con l'intervento ad opponendum del Comune di Ruvo di Puglia (Avv. Caputi Jambrenghi) - (annulla T.A.R. Puglia-Bari, Sez. II, 29 marzo 2001, nn. 842 e 843).
Giustizia amministrativa - Sentenza - Sentenza in forma abbreviata - Emessa ai sensi dell'art. 9 della L. n. 205/2000 - In occasione della c.c. fissata per la domanda di sospensione - Presupposto dell'integrità del contraddittorio - Rituale notifica del ricorso a tutte le parti del giudizio - Necessità - Scadenza del termine previsto per la costituzione delle parti resistenti - Non occorre.
La decisione del ricorso con sentenza in forma abbreviata, ai sensi dell'art. 9 della L. 21 luglio 2000 n. 205, deve essere assunta, secondo quanto previsto dalla medesima norma, "nel rispetto del contraddittorio"; per il rispetto del contraddittorio è sufficiente che il ricorso introduttivo sia stato notificato a tutte le parti contro le quali lo stesso è diretto, non essendo altresì necessario attendere la scadenza del termine previsto dall'art. 22 della L. n. 1034/1971 per la costituzione in giudizio delle medesime parti (1).
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(1) Dispone l'art. 9 della L. n. 205/2000 (che ha sostituito l'ultimo comma dell'art. 26 della L. n. 1035/1971) che "nel caso in cui ravvisino la manifesta infondatezza ovvero la manifesta irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità o infondatezza del ricorso il tribunale amministrativo regionale e il Consiglio di Stato decidono con sentenza succintamente motivata. . La decisione in forma semplificata è nella camera di consiglio fissata per l'esame dell'istanza cautelare ovvero fissata d'ufficio a seguito dell'esame istruttorio previsto dal secondo comma dell'art. 44 del testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato, approvato con regio decreto 26 giugno 1924, n. 1054 e successive modificazioni".
Come rilevato nell'articolata motivazione della sentenza in rassegna, il meccanismo di conversione della decisione cautelare in quella di merito già in passato era stato previsto (con l'art. 19 del d.l. n. 67/1997, convertito in legge n. 135/97 e con l'art. 2 della legge n. 249/97), ancorché con differenti modalità operative e con riguardo a taluni settori di contenzioso.
Tanto l'art. 26 quanto l'art. 21, L. n. 1034/1971, subordinano espressamente l'operatività del meccanismo di conversione dell'incidente cautelare in occasione per la definizione del merito al rigoroso rispetto di alcuni valori cardine del processo, primi fra tutti l'integrità del contraddittorio.
In ordine a tale requisito la Corte costituzionale, con sentenza 10 novembre 1999, n. 427 (n questa Rivista n. 11-1999), aveva già avuto modo di precisare - sia pure con riferimento al citato art. 19, d.l. n. 67/97 - che l'anticipata decisione del merito della causa "non può prescindere dal necessario rispetto di alcuni valori fondamentali tra cui in primo luogo l'integrità del contraddittorio .".
Ciò premesso, ha ritenuto la Sez. VI che proprio l'innesto del meccanismo ex art. 9, L. n. 205/2000, all'interno del segmento processuale destinato alla trattazione dell'incidente cautelare imponga una lettura ed un'applicazione del disposto normativo intese a conciliare, con l'ineludibile dovere di osservanza del principio del contraddittorio, l'esigenza acceleratoria e deflattiva sottesa alla stessa previsione normativa di un meccanismo di conversione della fase cautelare in luogo deputato alla definizione del merito.
Coerente con entrambe le esigenze è l'assunto secondo cui il contraddittorio è rispettato per effetto dell'intervenuta notifica del ricorso introduttivo a tutte le parti contro le quali lo stesso è diretto, cui è così riconosciuta la possibilità di prospettare, attraverso gli scritti ed in sede di discussione orale, la necessità di un differimento ai fini della piena esplicazione della difesa. La completezza del contraddittorio va quindi acclarata avendo quale parametro di raffronto i termini e le regole proprie della fase del giudizio nella quale si innesta la riconosciuta possibilità di azionare il sistema di conversione.
Sarebbe, invece, in contrasto con la ratio stessa sottesa alla generalizzazione del meccanismo processuale in esame subordinarne il concreto dispiegarsi al rispetto di termini prescritti in relazione a momenti processuali diversi da quello preso in considerazione quale possibile luogo temporale di definizione del giudizio.
La interpretazione è parsa, del resto, confortata dalla formulazione testuale del citato art. 21, comma 9, L. n. 1034/1971, a tenore del quale il Giudice, pur avendo accertato in occasione della trattazione dell'istanza cautelare la completezza del contraddittorio, è tenuto a sentire "sul punto le parti costituite".
E' stato pertanto ritenuto che, in sede di decisione del ricorso con sentenza in forma abbreviata emessa ai sensi dell'art. 9, L. n. 205/2000, il contraddittorio è da ritenere rispettato nel caso in cui il ricorso introduttivo sia stato notificato a tutte le parti contro le quali lo stesso è diretto, non occorrendo altresì attendere la scadenza del termine previsto dall'art. 22 della L. n. 1034/1971, per la costituzione in giudizio delle parti resistenti.
Sui presupposti per l'emissione di sentenze in forma abbreviata v. in questa Rivista:
CORTE COSTITUZIONALE - Sentenza 10 novembre 1999 n. 427
CONSIGLIO DI STATO, SEZ. IV - Sentenza 12 luglio 2002 n. 3929
CONSIGLIO DI STATO, SEZ. IV - Sentenza 28 gennaio 2002 n. 453
CONSIGLIO DI STATO, SEZ. V - Sentenza 15 settembre 2001 n. 4822
CONSIGLIO DI STATO, SEZ. IV - Sentenza 28 agosto 2001 n. 4561
TAR LOMBARDIA-BRESCIA - Sentenza 22 agosto 2001 n. 722
TAR LOMBARDIA-BRESCIA - Sentenza 22 agosto 2001 n. 725
TAR SICILIA-CATANIA, SEZ. III - Sentenza 11 giugno 2001 n. 1219
G. VIRGA, I procedimenti abbreviati previsti dalla L. 21 luglio 2000, n. 205.
G. VIRGA,
Pimi
orientamenti sul giudizio abbreviato ex art. 19 DL 67/1997
FATTO
Giova procedere ad una compiuta ricostruzione dei fatti, utile per inquadrare le diverse questioni giuridiche dedotte.
Con decreto 10.11.1999, n. 71, il Dirigente del settore Industria della Regione Puglia autorizzava la Lama Marmi s.a.s. alla coltivazione di una cava di calcare sita nel comune di Ruvo di Puglia, località "Taverna Nuova di Sopra".
Su ricorso proposto dal Comune di Ruvo e dalla società Midimarmi s.r.l., titolare di autorizzazione alla coltivazione di cava estesa su suolo confinante con quella della Lama Marmi s.a.s., il Tribunale amministrativo regionale per la Puglia sospendeva il decreto.
Con successiva nota 19.1.2000. n. 450, indirizzata all'Ufficio minerario della Regione Puglia, il Ministero dell'Ambiente escludeva la necessità di attivare, preliminarmente al rilascio dell'autorizzazione alla coltivazione della cava suddetta, la procedura di valutazione di impatto ambientale ex art. 5, D.P.R. 12.04.1996.
A tale esito la nota ministeriale perveniva sulla scorta di due distinte argomentazioni intese a rimarcare, da un lato, il rispetto delle soglie dimensionali di 500.000 metri cubi di materiale estratto o di 20 ha di estensione dell'area, come definite nel D.P.R. 12.04.1996, dall'altro, la non ricomprensione della cava da coltivare nel perimetro di aree naturali protette.
Con atto 28.4.2000, n. 57, quindi, il Dirigente del settore, agendo in autotutela, annullava l'atto dirigenziale n. 71/1999, già sospeso dal T.A.R., e, su richiesta della Lama Marmi s.a.s., riattivava il relativo procedimento.
In seno allo stesso, il Dirigente del Settore Ecologia, con atto 6.4.2000, n. 3191, invitava la Lama Marmi a produrre, ai sensi dell'art. 5, D.P.R. n. 357/97, apposito elaborato relativo alle interferenze del progetto sul sistema ambientale: elaborato dalla Lama Marmi s.a.s. presentato (a firma del dott. Matarrese) in data 13.4.2000.
In data 24.4.2000, il Comitato regionale di Valutazione di impatto ambientale (con atto acquisito al processo a seguito di ordinanza istruttoria pronunciata dal Collegio) reputava l'intervento proposto escluso dall'applicazione della disciplina in tema di valutazione di impatto ambientale subordinatamente all'osservanza delle condizioni indicate nell'elaborato presentato dalla Lama Marmi, sottoscritto dal dott. Matarrese.
Con determinazione n. 109 del 15.5.2000 il Dirigente del settore Ecologia escludeva, quindi, in linea con le valutazioni del predetto Comitato, l'assoggettamento dell'intervento in questione alla procedura di Valutazione di impatto ambientale, non anche alla procedura di valutazione di incidenza, trattandosi di progetto ricadente all'interno di Zona di protezione speciale ed in Sito di interesse comunitario.
Con nota del 5.12.2000, il Dirigente del Settore industria informava, quindi, il Comune di Ruvo della riattivazione del procedimento.
Con decreto n. 114 del 21.12.2000, quindi, il Dirigente del settore Industria, esaminati la relazione presentata dalla Lama Marmi a firma del dott. Suzzi circa la difficile reperibilità del materiale da estrarre, il parere favorevole IRIF sul vincolo idrogeologico e il piano progettuale della cava, autorizzava la coltivazione, fissando numerose prescrizioni ed obblighi imposti all'esercente.
Con distinti ricorsi, non riuniti dal Giudice di prime cure, Midimarmi e Comune di Ruvo impugnavano il decreto di autorizzazione e gli atti presupposti deducendo, in particolare:
1) violazione dell'art. 13, l.r. n. 37/85, per essere stata omessa l'acquisizione del parere del Comune in seno al procedimento ripreso dopo l'annullamento in autotutela della determinazione n. 71/1999;
2) violazione delle N.T.A. relative alla zona E/3, attesa l'omessa valutazione del vincolo idrogeologico e paesaggistico, oltre che della natura del materiale calcareo, asseritamente non qualificabile di difficile reperibilità;
3) violazione dell'art. 1, comma 6, D.P.R. 12.4.1996 per omessa valutazione di impatto ambientale e del D.P.R. n. 357/97 per omessa acquisizione della valutazione di incidenza.
Con sentenze nn. 842 e 843 del 2001, rese ex art. 9, L. n. 205/2000 sui ricorsi proposti rispettivamente dalla Midimarmi e dal Comune di Ruvo di Puglia, il Giudice di primo grado ha accolto il motivo indicato sub 2), sostenendo, la non qualificabilità del materiale calcareo da estrarre come materiale di difficile reperibilità: qualificazione, questa, richiesta dalle norme tecniche di attuazione del piano regolatore generale del Comune di Ruvo relative alla zona E/3 perché possa essere autorizzata la coltivazione.
Con la stessa sentenza, inoltre, il Giudice di prima istanza ha condiviso le censure dedotte con il motivo indicato sub 3), reputando omessa la valutazione di incidenza ex art. 5, D.P.R. n. 357/97, necessaria nel caso di specie ricadendo l'intervento all'interno del Sito "Murgia Alta", d'importanza comunitaria ai sensi della Direttiva CE 92/43.
Il Tribunale territoriale, inoltre, ha condiviso la censura con la quale si è lamentata la mancata acquisizione della valutazione di impatto ambientale, asseritamente necessaria per due convergenti ragioni: la qualificazione del sito di Murgia Alta come "prioritaria area di recepimento", ai sensi dell'art. 34, co. 6, lett. 1, L. 6.12.1991, n. 394, e la necessità di apposito studio di impatto ambientale sul sistema botanico-vegetazionale, prevista dallo strumento urbanistico del Comune di Ruvo con riguardo alle aree incluse nell'ambito territoriale esteso D, nel cui perimetro ricade con tipizzazione E/3 la cava autorizzata con il provvedimento impugnato.
Avverso entrambe le sentenze insorgono, con quattro distinti ricorsi, la Regione Puglia e Lama Marmi, sostenendone l'erroneità e chiedendone, quindi, l'annullamento.
Si sono costituiti il Comune di Ruvo di Puglia e la Midimarmi s.r.l. anche riproponendo le censure dedotte in primo grado, non vagliate dal Tribunale periferico in quanto reputate assorbite.
All'udienza del 22 ottobre 2002, le cause sono state trattenute per la decisione.
DIRITTO
1) Va preliminarmente disposta la riunione dei quattro ricorsi, in considerazione dell'evidente identità della materia controversa.
Gli appelli riuniti vanno, quindi, parzialmente accolti nei termini di seguito illustrati.
2) Va in primo luogo disatteso il primo motivo di ricorso con cui la Regione Puglia e la Lama Marmi s.a.s. deducono l'asserita violazione dell'art. 9, L. n. 205/2000, per mancata osservanza dei termini di costituzione ex art. 22, L. n. 1034/1971; nel dettaglio, osservano le parti appellanti che il Giudice di primo grado, nel decidere il ricorso con la procedura semplificata delineata dall'art. 9, L. n. 205/2000, senza tuttavia attendere la scadenza del termine previsto dall'art. 22, L. n. 1034/1971, per la costituzione in giudizio dell'Autorità resistente, pure ritualmente intimata, avrebbe violato il principio di necessaria completezza del contraddittorio, così incidendo sulla piena esplicazione delle prerogative defensionali ad opera dell'Amministrazione regionale.
Secondo l'assunto difensivo, quindi, il Giudice, nel corso dell'incidente cautelare, non potrebbe riservare la decisione per la pronuncia di merito in forma semplificata prima della scadenza dei termini per la costituzione (non ancora avvenuta) della parte contro cui il ricorso è diretto: a sostegno si adduce, tra l'altro, il tenore letterale del citato art. 9, L. n. 205/2000, a mente del quale la decisione in forma semplificata è assunta "nel rispetto della completezza del contraddittorio", oltre che l'art. 111, comma 2, Cost., in forza del quale "ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità".
Si tratta di impostazione non condivisa dal Collegio.
Giova procedere alla ricognizione del quadro normativo di riferimento.
L'art. 9, L. n. 205/2000, sostituendo l'ultimo comma dell'art. 26, L. n. 1035/1971, dispone che "nel caso in cui ravvisino la manifesta infondatezza ovvero la manifesta irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità o infondatezza del ricorso il tribunale amministrativo regionale e il Consiglio di Stato decidono con sentenza succintamente motivata. . La decisione in forma semplificata è assunta, nel rispetto del contraddittorio, nella camera di consiglio fissata per l'esame dell'istanza cautelare ovvero fissata d'ufficio a seguito dell'esame istruttorio previsto dal secondo comma dell'art. 44 del testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato, approvato con regio decreto 26 giugno 1924, n. 1054 e successive modificazioni".
L'istituto della sentenza semplificata è stato incardinato, quindi, nell'ambito della fase cautelare, sì da consentire il dispiegarsi di un meccanismo generalizzato di accelerazione nella definizione del giudizio, utilizzabile in presenza di taluni presupposti di tipo tanto sostanziale quanto processuale.
Ad analoga esigenza di contrazione dei tempi di definizione del giudizio risponde, del resto, il riscritto art. 21, co. 9, L. T.A.R., a norma del quale "in sede di decisione della domanda cautelare, il tribunale amministrativo regionale, accertata la completezza del contraddittorio ed ove ne ricorrono i presupposti, sentite sul punto le parti costituite, può definire il giudizio nel merito a norma dell'art. 26. ..".
Il legislatore del 2000, quindi, evidentemente mosso da esigenze di economia processuale e di deflazione del contenzioso, istituzionalizza la possibilità che il giudice investito della domanda cautelare definisca direttamente il merito della controversia, anche con sentenza semplificata, a condizione che sia stata accertata la completezza del contraddittorio e dell'istruttoria, che ne ricorrano tutti i necessari presupposti e che siano sentite sul punto le parti costituite.
Si intende così generalizzare un meccanismo di conversione della decisione cautelare in quella di merito già in passato contemplato, ancorchè con differenti modalità operative, con riguardo a taluni settori di contenzioso: il riferimento va, principalmente, all'art. 19 del d.l. n. 67/1997 convertito in legge n. 135/97 e all'art. 2 della legge n. 249/97.
Orbene, tanto l'art. 26 quanto l'art. 21, L. n. 1034/1971, subordinano espressamente l'operatività del meccanismo di conversione dell'incidente cautelare in occasione per la definizione del merito al rigoroso rispetto di alcuni valori cardine del processo, primi fra tutti l'integrità del contraddittorio.
Si tratta di una indubbia novità rispetto alla formulazione testuale del citato art. 19, d.l. n. 67/97, che nel consentire la definizione immediata del giudizio, non prescriveva espressamente la previa verifica dell'integrità del contraddittorio: omissione, questa, che aveva peraltro suscitato non poche perplessità in merito alla compatibilità costituzionale di quella previsione normativa..
Perplessità, tuttavia, superate dalla stessa Corte costituzionale che, nel respingere con sentenza interpretativa la questione di costituzionalità sollevata con riferimento al citato art. 19, d.l. n. 67/97, ha per l'appunto puntualizzato che l'anticipata decisione del merito della causa "non può prescindere dal necessario rispetto di alcuni valori fondamentali tra cui in primo luogo l'integrità del contraddittorio ." (10 novembre 1999, n. 467).
Ciò premesso, ritiene il Collegio che proprio l'innesto del meccanismo ex art. 9, L. n. 205/2000, all'interno del segmento processuale destinato alla trattazione dell'incidente cautelare imponga una lettura ed un'applicazione del disposto normativo intese a conciliare, con l'ineludibile dovere di osservanza del principio del contraddittorio, l'esigenza acceleratoria e deflattiva sottesa alla stessa previsione normativa di un meccanismo di conversione della fase cautelare in luogo deputato alla definizione del merito.
Coerente con entrambe le esigenze è l'assunto secondo cui il contraddittorio è rispettato per effetto dell'intervenuta notifica del ricorso introduttivo a tutte le parti contro le quali lo stesso è diretto, cui è così riconosciuta la possibilità di prospettare, attraverso gli scritti ed in sede di discussione orale, la necessità di un differimento ai fini della piena esplicazione della difesa.
La completezza del contraddittorio va quindi acclarata avendo quale parametro di raffronto i termini e le regole proprie della fase del giudizio nella quale si innesta la riconosciuta possibilità di azionare il sistema di conversione.
Sarebbe, viceversa, in distonia con la ratio stessa sottesa alla generalizzazione del meccanismo processuale in esame subordinarne il concreto dispiegarsi al rispetto di termini prescritti in relazione a momenti processuali diversi da quello preso in considerazione quale possibile luogo temporale di definizione del giudizio.
La esposta opzione esegetica pare, del resto, confortata dalla formulazione testuale del citato art. 21, comma 9, L. n. 1034/1971, a tenore del quale il Giudice, pur avendo accertato in occasione della trattazione dell'istanza cautelare la completezza del contraddittorio, è tenuto a sentire "sul punto le parti costituite".
Il legislatore impone, quindi, un adempimento processuale inteso ad assicurare alle sole parti costituite l'esercizio del diritto di difesa anche per quel che attiene al funzionamento del meccanismo processuale di conversione, riconoscendo in tal modo alle stesse la possibilità di esporre oralmente le eventuali ragioni ostative al passaggio dalla fase cautelare a quella della definizione del merito: si è inteso così ridimensionare il rischio per le parti costituite di trovarsi di fronte alla sorpresa di una pronunzia definitiva, anziché solo cautelare, senza tuttavia sacrificare l'esigenza di accelerazione e di contrazione dei tempi processuali.
E' quanto verificatosi, peraltro, nel caso di specie avendo il Giudice di prime cure sentito le parti costituite e, anzi, ottenuto dalle stesse l'adesione alla pronta definizione del merito.
Né può essere ascritto alcun rilievo alla circostanza della presentazione di memoria da parte dell'Amministrazione regionale, in un momento tuttavia successivo alla camera di consiglio nel corso della quale il Collegio ha assunto la decisione.
3) Passando al merito della causa, va accolto il motivo con cui si censura la sentenza gravata nella parte in cui desume dal tenore letterale del provvedimento impugnato la non difficile reperibilità del materiale da estrarre.
Qualificazione, questa, richiesta dalle norme tecniche di attuazione del piano regolatore generale del Comune di Ruvo di Puglia relative alla zona E/3 perché possa essere autorizzata la coltivazione e, a monte, quale unica condizione per l'approvazione di nuove localizzazioni di attività estrattiva, a prescindere quindi dal riscontro di una preesistente esperienza nell'estrazione di materiale avente connotazioni analoghe in capo all'impresa che invoca il provvedimento abilitativo.
Al riguardo, il Giudice di primo grado, muovendo da una lettura per vero incompleta del decreto n. 114 del 21.12.2000 e del passaggio in esso contenuto nel quale si rimarca che il materiale calcareo da estrarre "è tipico del distretto Poggiorsini, nel cui ambito ricade il Comune di Ruvo di Puglia", è giunto ad escludere la difficile reperibilità dello stesso sulla scorta di un non convincente percorso argomentativo: ha così sostenuto, da un lato, che il richiamato distretto ricomprende un'area particolarmente estesa, costituita da più Comuni, dall'altro, che il materiale da estrarre, proprio in quanto "tipico" di un'area così vasta, è da reputare comunemente presente "nel territorio e sul mercato".
Si tratta di approccio al contenuto documentale dell'atto impugnato non condiviso dal Collegio per più convergenti ragioni.
In primo luogo, non può obliterarsi che la qualificazione del materiale da estrarre come materiale di "difficile reperibilità" è rimessa alle valutazioni tecniche dell'Amministrazione, per quanto sindacabili dal Giudice amministrativo allorchè irragionevoli o non coerenti con le emergenze fattuali.
Siffatta valutazione di irragionevolezza o di incoerenza, tuttavia, non può essere certo condotta soffermando l'attenzione su alcuni soltanto dei passaggi motivazionali del provvedimento impugnato, tralasciandone altri ancor più significativi.
Ed invero, nel decreto n. 114 del 21.12.2000 si evidenzia che il materiale da estrarre, oltre ad essere tipico del "distretto Poggiorsini", costituisce "un'eccezione" per composizione e cromatismo, pur essendo un calcare detritico, con intraclasti lapidei micritici e dolomicritici in una matrice di fondo cristallina in cui sono presenti calcite e dolomite. Ed invero -soggiunge il provvedimento impugnato- si tratta di "materiale di notevole compattezza e molto variegato, dai prevalenti toni gialli, rossi, violetti e grigi".
Quanto al carattere della inderogabile necessità del materiale, si osserva, nello stesso decreto n. 114, che la sua produzione "si giustifica sia per esigenze di carattere industriale (è molto richiesto anche all'estero) e sociali (l'estrazione e la lavorazione richiedono l'impiego di personale specializzato), che per gli aspetti storici, artistici e culturali, attinenti ai restauri delle decorazioni parietali e pavimentali".
Si valorizzano, quindi, a quest'ultimo riguardo, le esigenze proprie del mercato che si intende soddisfare attraverso l'utilizzazione del materiale da estrarre, oltre che le inevitabilmente connesse necessità imprenditoriali dell'impresa che invoca l'autorizzazione.
Sulla scorta di tali argomentazioni, quindi, il Dirigente regionale perviene a qualificare il materiale da estrarre di "inderogabile necessità e, dal punto di vista geologico, unico e di difficile reperibilità".
A ciò si aggiunga che lo stesso provvedimento impugnato fa riferimento espressamente a quanto intervenuto nel corso della fase istruttoria sempre con specifico riguardo alla verifica del presupposto costituito dalla difficile reperibilità ed inderogabile necessità del materiale da estrarre.
In particolare, nella premessa del citato decreto n. 114 è richiamata la relazione del geom. Suzzi, assevarata con giuramento, nella quale, per l'appunto, si pone in luce l'unicità del giacimento di Taverna Nuova di Sopra, nonché la diversità cromatica e strutturale del relativo materiale rispetto a quelli propri di altri bacini estrattivi.
Tutto ciò senza considerare la difficile condivisibilità dell'approccio interpretativo seguito dal Giudice territoriale.
Non pare congruo, invero, desumere il carattere comune, anzichè eccezionale, del materiale da estrarre nella cava autorizzata dalla sola definizione documentale dello stesso quale materiale "tipico del distretto Poggiorsini".
Ed invero, a prescindere dalla questione, per vero non scontata, relativa alla esatta delimitazione dell'area inclusa nel distretto, il dato testuale non pare prestarsi, pure atomisticamente considerato, alla lettura seguita dal Giudice di prime cure: la circostanza, infatti, che un materiale sia "tipico" di una determinata zona sta solo ad indicare che lo stesso si trova unicamente in questa, non anche che all'interno della stessa è presente in quantitativi consistenti ed in forma diffusa.
4) Va parimenti accolto il motivo con il quale si deduce l'erroneità della sentenza di primo grado nella parte in cui giunge a sostenere la doverosa acquisizione, quale presupposto per il rilascio della annullata autorizzazione, della valutazione di impatto ambientale.
A sostegno dell'assunto il primo Giudice adduce due diverse, ragioni.
La qualificazione del sito di Murgia Alta come "prioritaria area di recepimento", ai sensi dell'art. 34, co. 6, lett. 1, L. 6.12.1991, n. 394, e la prescrizione asseritamente dettata dallo strumento urbanistico del Comune di Ruvo di Puglia con riguardo alle aree incluse nell'ambito territoriale esteso D, nel cui perimetro ricade con tipizzazione E/3 la cava autorizzata con il provvedimento impugnato in primo grado: prescrizione implicante la necessità di apposito studio di impatto ambientale sul sistema botanico-vegetazionale.
Nessuno dei due argomenti pare persuasivo.
Da un lato, infatti, risulta erronea la qualificazione della zona dell'Alta Murgia come area naturale protetta ai sensi della legge 6 dicembre 1991, n. 394, non essendo stata la stessa assoggettata allo speciale regime di tutela e gestione contemplato dalla medesima legge: quest'ultima interviene, all'art. 34, comma 6, lett. l), ad includere l'Alta Murgia tra le "prioritarie aree di reperimento", solo potenzialmente assoggettabili al regime suddetto.
Non trova applicazione al caso di specie, quindi, l'art. 1, comma 4, D.P.R. 12.4.1996 a tenore del quale "sono assoggettati alla procedura di valutazione di impatto ambientale i progetti di cui all'allegato B che ricadono, anche parzialmente, all'interno di aree naturali protette come definite dalla legge 6 dicembre 1991, n. 394".
Parimenti disancorata dal dato normativo risulta la seconda affermazione svolta nelle sentenze gravate intesa a valorizzare la prescrizione dell'obbligo di far luogo ad apposito studio di impatto ambientale sul sistema botanico-vegetazionale asseritamente dettata dallo strumento urbanistico comunale per le aree incluse nell'ambito territoriale esteso D, nel cui perimetro ricade con tipizzazione E/3 la cava autorizzata con il provvedimento impugnato in primo grado.
A prescindere dalla questione relativa alla equiparabilità di uno studio di impatto ambientale previsto dallo strumento urbanistico con la valutazione di cui al D.P.R. 12.4.1996, resta il fatto che il punto 3.5 delle norme tecniche di attuazione richiede lo studio di impatto sul sistema botanico-vegetazionale solo per gli ambiti territoriali di valore rilevante (B), non anche per quelli di valore relativo (D), in cui ricade l'area in questione: per questi ultimi si richiede soltanto la inderogabile necessità e difficile reperibilità del materiale da estrarre, oltre che la compatibilità dell'intervento di trasformazione con l'assetto idrogeologico.
Né, d'altra parte, la doverosità nel caso di specie della valutazione di impatto ambientale può trarsi dal disposto di cui all'art. 1, comma 3, D.P.R. 12.4.1996, a tenore del quale "sono assoggettati alla procedura di valutazione d'impatto ambientale i progetti di cui all'allegato A", tra i quali, quindi, quelli riguardanti "cave e torbiere con più di 500.000 mc/a di materiale estratto o di un'area interessata superiore a 20 ha" (lett. q dell'allegato).
Ed invero, le soglie dimensionali citate non risultano superate nel caso di specie; né può sostenersi che nel computo delle stesse non debba aversi sempre riguardo all'area o alla quantità di materiale di cui ai singoli progetti da assoggettare alla procedura di valutazione, bensì all'estensione ed ai volumi risultanti dalla somma dei valori coinvolti dai diversi progetti ricadenti nella stessa zona.
Si tratta di linea interpretativa in difficile sintonia con la formulazione letterale della disposizione citata, che riferisce la valutazione ai "progetti": riferimento testuale peraltro non agevolmente superabile sulla sola scorta di un approccio di tipo rigorosamente teleologico, che non tenga tuttavia conto delle peculiarità del caso specifico, in specie quella afferente la diversità dei soggetti che hanno formulato i progetti, richiedendo l'autorizzazione alla coltivazione delle rispettive cave.
Con maggiore impegno esplicativo, può dirsi che in presenza di un dato testuale che pare ascrivere rilievo ai singoli progetti nell'indicare i limiti di valore il cui superamento implica la doverosa osservanza della procedura di valutazione di impatto ambientale, la imputabilità dei differenti progetti a soggetti tra loro del tutto diversi non consente di far luogo ad una valutazione unitaria degli stessi in sede di verifica dei presupposti di operatività della previsione di cui al citato art., 1, comma 3, D.P.R. 12.4.1996.
La correttezza giuridica della linea interpretativa seguita al riguardo dall'Amministrazione regionale -peraltro in coerenza con le indicazioni fornite nella richiamata nota 19.1.2000. n. 450, indirizzata all'Ufficio minerario della Regione Puglia dal Ministero dell'Ambiente- non consente di ascrivere alcun rilievo a differenti opzioni applicative asseritamente seguite dalla stessa Regione con riguardo ad altre vicende.
5). Va invece respinto nei termini di seguito esplicati il motivo di appello con il quale si deduce l'illegittimità della sentenza impugnata nella parte in cui sostiene, in accoglimento di apposito motivo proposto in primo grado dal Comune di Ruvo, che sarebbe mancata, nell'ambito del procedimento conclusosi con l'adozione del provvedimento impugnato, la valutazione di incidenza ex art. 5, D.P.R. n. 357/97.
E' opportuno, al riguardo, considerare che, ai sensi della disposizione citata, spetta al soggetto che propone il progetto la presentazione della relazione documentata volta all'individuazione ed alla valutazione dei principali effetti che il piano può avere sul sito di importanza comunitaria, tenuto conto degli obiettivi di conservazione del medesimo.
Ricevuta la relazione, quindi, "le autorità effettuano la valutazione di incidenza dei piani o progetti sui siti di importanza comunitaria, .. , accertando che non ne pregiudicano l'integrità, tenendo conto anche delle possibili interazioni con altri piani e progetti." (art, 5, comma 6, D.P.R. n. 357/97).
Ciò posto, le emergenze documentali attestano che nel procedimento conclusosi con l'adozione del provvedimento impugnato in primo grado è stato attivato l'iter delineato dal citato art. 5, D.P.R. n. 357/97.
Ed invero, con atto 6.4.2000, n. 3191, il Dirigente del Settore Ecologia invitava la Lama Marmi a produrre, ai sensi dell'art. 5, D.P.R. n. 357/97, apposito elaborato relativo alle interferenze del progetto sul sistema ambientale, considerando le componenti abiotiche, quelle biotiche e le connessioni ecologiche: elaborato dalla Lama Marmi s.a.s. presentato (a firma del dott. Matarrese) in data 13.4.2000.
Con la citata determinazione n. 109 del 15.5.2000, del resto, il Dirigente del settore Ecologia pur escludendo, in linea con le valutazioni espresse in data 24.4.2000 dall'apposito Comitato regionale, l'assoggettamento dell'intervento in questione alla procedura di Valutazione di impatto ambientale, richiamava la nota 6.4.2000, n. 3191, così ribadendo la necessità di apposita valutazione di incidenza, trattandosi di progetto ricadente all'interno di Zona di protezione speciale ed in Sito di interesse comunitario.
Senonchè, tanto nel provvedimento n. 114/2000 quanto nella presupposta determinazione n. 109/2000 non si fa luogo ad una valutazione di incidenza espressa e, per quel che più conta, coerente con le prescrizioni di cui al citato art. 5, comma 6, D.P.R. n. 357/97.
Nel dettaglio, nell'atto dirigenziale n. 109/2000 si fa riferimento alla pregressa richiesta, ex art. 5, D.P.R. n. 357/97, di un elaborato relativo alle interferenze del progetto con riferimento al sistema ambientale, nonché alla depositata relazione di valutazione di incidenza, ma nulla si dice a proposito dell'accertamento richiesto dall'art. 5, comma 6.
Né può ritenersi, come sostenuto dalla difesa dell'Amministrazione regionale, che la Regione ha fatto luogo ad una motivazione per relationem, richiamando l'elaborato a firma di Matarrese e recependo le prescrizioni dallo stesso suggerite al fine di mitigare l'impatto.
A prescindere dall'effettiva coerenza delle prescrizioni in questione con gli obiettivi sottesi alla prescrizione normativa della valutazione di incidenza, va rimarcata comunque la mancanza di ogni valutazione degli effetti che il piano comporta in relazione agli obiettivi di conservazione della flora e della fauna e, soprattutto, delle possibili interazioni con altri piani e progetti.
E' mancata, in particolare, quella valutazione ampia e globale imposta dal citato art. 5, comma 6, D.P.R. n. 357/97, laddove dispone che le autorità verificano l'impatto del piano o del progetto sul sito di importanza comunitaria "tenendo conto anche delle possibili interazioni con altri piani e progetti.".
Il presente motivo di appello va, dunque, respinto, alla stregua delle argomentazioni su espresse, ferma la potestà dell'Amministrazione regionale di far luogo ad una compiuta valutazione di incidenza, rispettosa delle indicate coordinate normative.
6). Vanno, invece, disattese tutte le censure dedotte in primo grado dal Comune di Ruvo di Puglia, dal Giudice di prime cure dichiarate assorbite, ma ora riproposte in appello.
6.a) Va, in primo luogo, escluso che vi sia stata violazione degli art. 13 e 36, l.r.p. n. 37/1985, per non essere stato chiesto nel "nuovo" procedimento inteso al rilascio della contestata autorizzazione il parere del Sindaco.
L'assunto non è condiviso dal Collegio posto che il procedimento conclusosi con l'adozione del provvedimento impugnato in primo grado deriva dalla riattivazione del precedente procedimento, culminato nell'adozione della determinazione n. 71/1999, poi sospesa dal Giudice amministrativo e successivamente annullata in via di autotutela: l'identità del piano sul quale l'Amministrazione regionale ha dovuto pronunciarsi nell'ambito del rinnovato procedimento escludeva la necessità, dunque, di far luogo all'acquisizione di ulteriore parere, destinato ad intervenire sul medesimo riferimento oggettuale.
6.b) Va parimenti disattesa la censura con la quale si deduce la violazione dell'art. 15, l.r. 37/85, per ritenuta insufficienza della previsione contenuta nell'atto impugnato in primo grado intesa a richiedere a garanzia dell'esecuzione delle opere di sistemazione finale una cauzione finanziaria o fideiussione assicurativa di £. 120.000.000.
Reputa il Collegio, al riguardo, che tanto l'individuazione dell'oggetto della garanzia quanto le previste modalità di costituzione della stessa non siano in contrasto con la citata previsione normativa regionale.
La stessa va letta, infatti, non obliterando il dato della sua inclusione in un ben più ampio corpus normativo inteso ad assicurare il soddisfacimento dell'interesse pubblico alla corretta esecuzione delle opere necessarie ad evitare i danni potenzialmente derivanti dall'espletamento dell'attività assentita: disposizione tra le quali quelle di cui agli artt. 16 e 25 della citata l.r. n. 37/1985.
6.c) Fermo quanto già osservato in merito alla violazione dell'art. 5, comma 6, D.P.R. n. 357/1997, va invece escluso che da una lettura più ampia dello stesso atto normativo possa desumersi l'operatività di un assoluto divieto di aprire nuove cave nella zona interessata al progetto assentito con il provvedimento impugnato in primo grado: ciò che la disciplina presa in considerazione si limita ad imporre, è, invero, la previa ed accurata valutazione dell'impatto che il progetto può avere sul sistema ambientale.
6.d) Priva di pregio la dedotta violazione della l.r. 19/1997, atteso che l'art. 8 della stessa subordina l'operatività delle previste misure di salvaguardia alla previa adozione dello schema di disegno di legge di cui all'art. 6, comma 3, della stessa legge regionale: presupposto, questo, non ancora intervenuto all'atto di adozione del provvedimento impugnato in primo grado.
7). Vanno parimenti disattese le censure riproposte dalla Midimarmi, già di volta in volta prese in considerazione in sede di esame dei motivi di appello.
Resta da scandagliare l'assunto che intende inferire l'illegittimità del provvedimento impugnato innanzi al Giudice di prime cure dalla previsione delle norme tecniche di attuazione del Comune di Ruvo di Puglia che preclude l'espletamento di attività di movimentazione terra.
La doglianza non merita accoglimento.
E' sufficiente, al riguardo, osservare che sono le stesse norme tecniche di attuazione ad ammettere espressamente in zona D l'attività estrattiva, richiedendo peraltro, quale presupposto inabdicabile per il rilascio del provvedimento abilitativo, che la stessa abbia ad oggetto materiale di difficile reperibilità e di inderogabile necessità.
Alla luce delle suesposte considerazioni e nei limiti dalle stesse risultanti gli appelli vanno dunque accolti.
Sussistono giuste ragioni per compensare tra le parti spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, accoglie gli appelli nei limiti di cui in motivazione.
Spese compensate.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, il 22 ottobre 2002 dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale - Sez.VI - nella Camera di Consiglio, con l'intervento dei Signori:
Giovanni RUOPPOLO Presidente
Sergio SANTORO Consigliere
Carmine VOLPE Consigliere
Chiarenza MILLEMAGGI COGLIANI Consigliere
Roberto GAROFOLI Consigliere Est.
Depositata in segreteria in data 7 febbraio 2003.