Giustizia amministrativa

Legislazione italiana

Giovanni Virga

La lunga marcia dei referendum elettorali, alla luce della giurisprudenza costituzionale (dalle prime sentenze fino all'"uovo di Colombo").

SOMMARIO: 1.- Premessa. 2.- La sentenza n. 29/1987 ed il duplice requisito per l'ammissibilità dei referendum. 3.- Il referendum sulla preferenza unica e la sentenza n. 47/1991. 4. - I referendum sul sistema elettorale previsto per la Camera ed il Senato e le sentenze di ammissibilità nn. 32 e 33 del 4 febbraio 1993. 5.- Le sentenze nn. 5 e 10 del 12 gennaio 1995. 6. - La sentenza n. 26 del 10 febbraio 1997.  7.- Il nuovo referendum elettorale e "l'uovo di Colombo".

 

1.- Premessa.

Tra una decina di giorni la Corte costituzionale dovrà affrontare una delle questioni più spinose nelle quali si è venuta ad imbattere negli ultimi tempi: l'ammissibilità della proposta di referendum abrogativo che riguarda il sistema elettorale previsto per la Camera dei deputati. Si riporta, per una migliore comprensione del quesito referendario,  l'estratto del testo del T.U. delle leggi che disciplinano il sistema elettorale previsto per la Camera dei deputati, nel quale sono state evidenziate le modifiche che il referendum intenderebbe apportare.

L'udienza è già stata fissata per lunedì 18 gennaio p.v., mentre la sentenza dovrebbe essere depositata, secondo alcune previsioni, nei primi giorni del mese successivo.

I  quesiti referendari, secondo i promotori, sarebbero stati congegnati in modo tale da superare i motivi che avevano in precedenza indotto la Corte a dichiarare inammissibili altri referendum in materia elettorale.

Il clima che precede la decisione della Consulta non è dei più sereni, dato che alcune indiscrezioni giornalistiche hanno dato notizia (poi smentita dal Quirinale) di presunte pressioni del Presidente della Repubblica su alcuni Giudici della Corte. Per una completa rassegna stampa, si fa rinvio al sito del Com.Di.R.El..

Il questo quadro sembra utile ripercorrere, alla luce della giurisprudenza costituzionale, la lunga marcia dei referendum elettorali. Anche perché, al di là delle dichiarazioni delle varie parti politiche e delle indiscrezioni giornalistiche, i quesiti referendari andranno affrontati e risolti dalla Corte in termini prettamente giuridici.

Attraverso l'esame analitico della giurisprudenza della Corte è possibile, infatti, estrapolare i principi alla stregua dei quali verificare se il referendum recentemente proposto è ammissibile. Per motivi di spazio si è limitato l'esame alle sole sentenze in materia di ammissibilità di referendum elettorali più recenti, non avendo l'indagine pretese di completezza.

2.- La sentenza n. 29/1987 ed il duplice requisito per l'ammissibilità dei referendum.

Una delle prime decisioni della Corte in materia è costituita dalla sentenza n. 29 del 3 febbraio 1987 (Pres. La Pergola, Red. Casavola), con la quale venne dichiarato inammissibile il referendum riguardante le norme elettorali contenute nella L. 24 marzo 1958 n. 195, sulla costituzione e sul funzionamento del Consiglio superiore della magistratura.

L'inammissibilità di tale referendum derivava, ad opinione della Corte, da "due concorrenti ragioni: l'una attinente alla consapevolezza del voto, in assenza di una evidente finalità intrinseca al quesito; l'altra derivante dalla indefettibilità della dotazione di norme elettorali per gli organi la cui composizione elettiva è espressamente prevista dalla Costituzione", dato che "gli organi costituzionali o di rilevanza costituzionale non possono essere esposti alla eventualità, anche soltanto teorica, di paralisi di funzionamento. Per tale suprema esigenza di salvaguardia di costante operatività l'organo, a composizione elettiva formalmente richiesta dalla Costituzione, una volta costituito, non può essere privato, neppure temporaneamente, del complesso delle norme elettorali contenute nella propria legge di attuazione".

Comincia così a delinearsi il duplice requisito di ammissibilità che, secondo la Corte, i quesiti referendari in materia elettorale debbono possedere: a) univocità e chiarezza; b) insuscettibilità di determinare la paralisi degli organi previsti dal nostro ordinamento. Si tratta di due requisiti - di cui uno positivo (univocità e chiarezza del quesito referendario)e l'altro negativo (divieto di determinare una paralisi della funzionalità degli organi interessati dal referendum) - i quali, sia pure con sfumature talvolta diverse, saranno richiamati successivamente.

3.- Il referendum sulla preferenza unica e la sentenza n. 47/1991.

Nel 1990, su iniziativa di Mario Segni, Augusto Barbera, Marco Pannella, Antonio Baslini ed altri, fu fondato un comitato promotore di tre referendum in materia elettorale, per:

  1. modificare in senso uninominale maggioritario la legge elettorale per il Senato;
  2. estendere a tutti i Comuni il sistema elettorale vigente per quelli minori, dove il sindaco era scelto in modo indiretto dagli elettori;
  3. abolire la possibilità di esprimere piú di una preferenza per i candidati di lista per l'elezione della Camera dei Deputati.

La Corte costituzionale, con la sentenza n. 47 del 2 febbraio 1991 (Pres. e Red. Conso), dichiarò:

a) inammissibile la richiesta di referendum elettorale degli artt. 9, 17-19 L. 6 febbraio 1948 n. 29, recante norme per l'elezione del Senato della Repubblica, in quanto si presentava all'elettore in termini non univoci e non caratterizzati dalla dovuta chiarezza;

b) inammissibile la richiesta di referendum abrogativo degli artt. 11, 12, 27, 32, 35, 47, 49, 51, 55-58, 60, 68-75, 79-81 del D.P.R. 16 maggio 1960 n. 570, che approva il testo unico per l'elezione degli organi delle Amministrazioni comunali e provinciali, presentandosi ambigua ed obiettivamente incerta;

c) ammissibile, invece, la richiesta di referendum degli artt. 4, 58-61, 68, 76, D.P.R. 30 marzo 1957 n. 361, relativo alle elezioni della Camera dei deputati, la quale tendeva ad eliminare la possibilità di esprimere più di una preferenza nell'ambito della lista votata e di assegnare preferenze anche con segni diversi dall'indicazione del nominativo del candidato, essendo tale quesito chiaro ed omogeneo e consentendo quindi all'elettore di esprimere consapevolmente la propria volontà sul tema proposto.

La sentenza n. 47/1991 è particolarmente importante non solo perché chiarisce meglio i presupposti per l'ammissibilità dei referendum elettorali, ma anche perché affronta alcune questioni preliminari, affermando in particolare che  la Costituzione vale per ciò che risulta dal testo promulgato, non essendo consentito alla Corte Costituzionale inserire nella norma emendamenti aggiuntivi non riprodotti nel testo finale approvato dalla Costituente; pertanto, la materia elettorale, prevista in un emendamento aggiuntivo del secondo comma dell'art. 75 Cost. fra quelle per le quali non era ammesso il referendum abrogativo, può formare oggetto di richiesta referendaria, non essendo stato il detto emendamento riprodotto nel testo finale dell'art. 75 citato.

Con la sentenza in discorso i  due referendum elettorali sopra indicati furono tuttavia ritenuti inammissibili sotto il profilo che essi, pur essendo congegnati in termini tali da non paralizzare il funzionamento di alcun organo rappresentativo, non possedevano i prescritti requisiti di chiarezza, univocità ed omogeneità.

Secondo la Corte, infatti "il quesito referendario deve incorporare l'evidenza del fine intrinseco all'atto abrogativo", cioè la puntuale ratio che lo ispira, nel senso che dalle norme proposte per l'abrogazione sia dato trarre con evidenza "una matrice razionale unitaria", "un criterio ispiratore fondamentalmente comune" o "un comune principio, la cui eliminazione o permanenza viene fatta dipendere dalla risposta del corpo elettorale" e, qualora si tratti dell'abrogazione di una legge elettorale relativa alla composizione ed al funzionamento di un organo costituzionale o di rilevanza costituzionale, una parallela lineare evidenza delle conseguenze abrogative, anch'essa indispensabile perché la proposta di cancellazione non esponga un tale organo "alla eventualità, anche soltanto teorica, di paralisi di funzionamento". 

Il 9 giugno 1991, il (superstite) quesito referendario sulla preferenza unica fu approvato dal 98% dei votanti, con una partecipazione al voto del 62,5% degli aventi diritto, nonostante gli inviti all'astensione di molti esponenti della classe politica di allora (qualcuno ricorda ancora l'inascoltato invito dell'On. Craxi ai cittadini italiani di andare al mare).

4. - I referendum sul sistema elettorale previsto per la Camere ed il Senato e le sentenze di ammissibilità nn. 32 e 33 del 4 febbraio 1993.

Dopo la travolgente vittoria del referendum sulla preferenza unica, l'On. Mario Segni ed altri fondarono il CO.R.EL. (Comitato per i Referendum Elettorali) per promuovere nuovamente i referendum sul Senato e i Comuni. Alla campagna referendaria 1991/92 si uní anche il CO.RI.D. del Prof. Massimo Severo Giannini, che promoveva quesiti per: 1) togliere al Governo il potere di nomina dei vertici delle Casse di risparmio; 2) limitare l'intervento straordinario nel Mezzogiorno solo allo sviluppo produttivo; 3) eliminare il Ministero delle Partecipazioni statali.

La Corte costituzionale, all'inizio del 1993, con una serie di sentenze, dichiarò ammissibili tutte le richieste di referendum.

In particolare, con sentenza n. 32 del 4 febbraio 1993 (Pres. Casavola, Red. Mengoni), la Corte ritenne ammissibile la richiesta di referendum popolare della L. 6 febbraio 1948 n. 29, recante norme per l'elezione del Senato della Repubblica, che tendeva ad eliminare il quorum del 65% dei voti, richiesto per l'elezione ed a sostituire il sistema allora vigente con un sistema misto, prevalentemente maggioritario con unico turno e proporzionale per circa il 25% dei seggi, poiché pur potendo la normativa di risulta, in caso di esito positivo del referendum, dar luogo ad inconvenienti, questi non sarebbero tali da paralizzare la funzionalità dell'organo.

Con la stessa sentenza la Corte ebbe modo di confermare  che sono assoggettabili a referendum popolare anche le leggi elettorali relative ad organi costituzionali o di rilevanza costituzionale, alla duplice condizione che i quesiti siano omogenei e riconducibili ad una matrice razionalmente unitaria e ne risulti una coerente normativa residua, immediatamente applicabile, in modo tale da garantire, pur nell'eventualità di inerzia legislativa, la costante operatività dell'organo. Quando siano rispettate tali condizioni, è di per sé irrilevante il modo di formulazione del quesito, che può anche includere singole parole o singole frasi della legge prive di autonomo significato normativo, se l'uso di questa tecnica è imposto dall'esigenza di "chiarezza, univocità e omogeneità del quesito" e di "una parallela lineare evidenza delle conseguenze abrogative", sì da consentire agli elettori l'espressione di un voto consapevole.

Merita di essere sottolineata, in particolare, la precisazione secondo cui: a) un referendum elettorale può essere ritenuto ammissibile anche nel caso in cui esso, nel caso di esito posito, possa dar luogo ad inconvenienti, purché in ogni caso non determini la paralisi dell'organo; b) è irrilevante in ogni caso il modo di formulazione del quesito, che può anche includere singole parole o singole frasi della legge prive di autonomo significato normativo.

Con sentenza n. 33 del 4 febbraio 1993 (Pres. Casavola, Red. Cheli), venne inoltre ritenuto ammissibile - sulla base di analoghi principi - il referendum abrogativo delle norme del T.U. 16 maggio 1960 n. 570, tendente ad estendere a tutti i Comuni il sistema maggioritario, previsto per i Comuni fino a 5.000 abitanti, trattandosi di quesito che presentava i criteri di chiarezza, omogeneità ed univocità ed il cui accoglimento non avrebbe potuto dare luogo a divergenze interpretative, in grado di determinare la paralisi degli organi elettivi comunali.

5.- Le sentenze nn. 5 e 10 del 12 gennaio 1995.

Nell'autunno 1993, l'On. Marco Pannella promosse, in collaborazione con la Lega Nord, 13 referendum, due dei quali miravano ad abolire la quota di recupero del 25% contenuta nelle leggi elettorali per la Camera e il Senato. Un altro quesito elettorale mirava invece ad abolire il secondo turno nell'elezione del Sindaco.

La Corte costituzionale con sentenza n. 5 del 12 gennaio 1995 (Pres. Casavola, Red. Ferri), ritenne che:

a) era inammissibile il referendum diretto ad abrogare le norme del D.P.R. 30 marzo 1957 n. 361 sull'elezione della Camera dei deputati, che prevedono l'assegnazione del 25% dei seggi con il sistema proporzionale al fine della piena espansione del sistema maggioritario, dato che l'eventuale accoglimento di tale quesito referendario avrebbe determinato un sistema che, in mancanza di un intervento legislativo che ridefinisse il numero dei collegi uninominali, non avrebbe potuto funzionare, non consentendo l'elezione del numero di Deputati previsto dalla Costituzione.

b) era inammissibile il referendum diretto ad abrogare le norme del D.L.vo 20 dicembre 1993 n. 533, che prevedono, per l'elezione dei membri del Senato, l'attribuzione di una parte dei seggi con il sistema proporzionale, al fine della piena espansione del sistema uninominale, poiché, in caso di accoglimento del detto quesito referendario, si sarebbe venuto a determinare un sistema elettorale che non sarebbe in grado di assicurare l'elezione di tutti i membri che compongono il Senato, in mancanza di un successivo intervento legislativo.

La Corte con sentenza n. 10 del 12 gennaio 1995 (Pres. Casavola, Red. Mirabelli) dichiarò invece ammissibile il quesito referendario per l'abrogazione degli artt. 3, quinto comma, 5 (intestazione), 6 e 7 L. 25 marzo 1993 n. 81, che tendeva alla soppressione delle diverse modalità di elezione del sindaco e del consiglio comunale, a seconda che si tratti di Comuni con popolazione superiore a 15 mila abitanti o di Comuni con popolazione di 15.000 o inferiore a 15.000 abitanti, con conseguente applicazione a tutti i Comuni del sistema elettorale previsto dalla legge per i Comuni con popolazione fino a 15 mila abitanti, non essendo in contrasto con l'art. 75, secondo comma Cost. ed essendo dotato di requisiti di chiarezza ed univocità tale da non suscitare dubbi di interpretazione negli elettori.

6. - La sentenza n. 26 del 10 febbraio 1997.

Nell'autunno 1995, l'On. Marco Pannella promosse altri 20 referendum, riproponendo diversi quesiti già dichiarati inammissibili dalla Corte costituzionale, tra cui i due elettorali su Camera e Senato.

Con sentenza n. 26 del 10 febbraio 1997 (Pres. Granata, Red. Guizzi), la Corte ritenne che erano inammissibili i referendum che hanno per oggetto la disciplina elettorale dei due rami del Parlamento e mirano a sopprimere i meccanismi che prevedono l’attribuzione del 25 per cento dei seggi con metodo proporzionale; i quesiti proposti con tali referendum infatti, una volta accolti, avrebbero reso necessario procedere a una nuova definizione dei collegi uninominali in ciascuna circoscrizione

Secondo la Corte, infatti, i referendum abrogativi delle leggi elettorali degli organi costituzionali non devono paralizzare i meccanismi di rinnovazione, che sono strumento essenziale della loro necessaria e costante operatività In particolare sono ammissibili referendum abrogativi parziali di tali leggi, purchè la normativa risultante dall’abrogazione, che si vuole definire residua, sia immediatamente applicabile, consentendo la rinnovazione, in qualsiasi momento, dell’organo rappresentativo.

7. Il nuovo referendum elettorale e "l'uovo di Colombo".

A seguito di quest'ultima sentenza della Corte,  sono stati formulati altri quesiti referendari i quali cercano di tener conto dei requisiti di ammissibilità fissati dalla Corte.

I  quesiti referendari si propongono di:

1) abolire le liste e la scheda proporzionali nel sistema elettorale per la Camera dei Deputati;

2) lasciare immutato il meccanismo (uninominale-maggioritario) di elezione del 75% dei Deputati;

3) eleggere il restante 25% di deputati recuperando i migliori dei candidati sconfitti nei collegi uninominali, a livello di singole circoscrizioni.

Secondo i proponenti i quesiti referendari sarebbero chiari, univoci e omogenei, e la normativa risultante nel caso di loro accoglimento sarebbe immediatamente applicabile (per ulteriori approfondimenti si fa rinvio al sito del Com.Di.R.El.).

Sull'ammissibilità dei  quesiti referendari riguardanti  il sistema elettorale previsto per la Camera dei Deputati, l'ultima parola spetta ovviamente alla Corte Costituzionale; e a questo punto  si vedrà se quel che è stato  definito come "l'uovo di Colombo" (dal nome di uno dei proponenti) e cioè il meccanismo giuridico inventato per far rientrare il referendum entro i confini segnati in precedenza dalla Corte, è stato ben congegnato.

P.S.: in una prima stesura dell'articolo avevo scritto che il giudizio di ammissibilità della Corte avrebbe riguardato anche la proposta referendaria che era stata elaborata dal Comitato promotore per l'elezione al Senato della Repubblica. In realtà, come precisato da uno dei promotori (Emilio Colombo), il giudizio di ammissibilità della Corte riguarderà solo ed esclusivamente il quesito relativo al sistema elettorale previsto per la Camera dei Deputati, dato che il Comitato promotore  ha raccolto le firme solo su quest'ultimo quesito. Chiedo venia ai lettori per l'imprecisione. (G.V. - 06.01.1999)