GIOVANNI VIRGA
La retribuibilità delle
mansioni superiori svolte
dai pubblici dipendenti ante D.L.vo n. 387/98
(nota a Cons. Stato, sez. VI, sent. 5 settembre 2002, n. 4490)
La sentenza in rassegna, pur non essendo particolarmente innovativa (si limita infatti a ribadire l’orientamento espresso con le due note sentenze dell’Adunanza Plenaria
18 novembre 1999 n. 22 e 28 gennaio 2000 n. 10, entrambe pubblicate nella presente Rivista, la seconda delle quali con un commento dello scrivente), offre tuttavia l’occasione per riesaminare la vexata quaestio della retribuibilità delle mansioni superiori svolte dai dipendenti pubblici.Com’è noto e com’è stato ammesso esplicitamente dall’ultima sentenza dell’Adunanza Plenaria, dopo l’entrata in vigore dell’art. 15 del D.L.vo 29 ottobre 1998, n. 387, lo svolgimento delle mansioni superiori - ove sia assistito dai requisiti previsti dall’art. 56 del
D.L.vo n. 29/1993 e successive modificazioni (ora trasfuso nell'art. 52 del D.L.vo 30 marzo 2001, n. 165) - dà diritto al pagamento delle differenze stipendiali; nè è a tal fine necessario attendere che i contratti collettivi di lavoro recepiscano la norma, affinchè essa operi (v. in tal senso, in questa Rivista, Tribunale di Trieste, sent. 29 settembre 2000 n. 403).Quindi, con effetto dalla data di entrata in vigore del
D.L.vo 29 ottobre 1998, n. 387 (in Gazzetta Ufficiale n. 261 del 7 novembre 1998), non vi è dubbio che, nella ricorrenza dei presupposti previsti dalle legge, ai dipendenti pubblici spettano le differenze stipendiali per le mansioni superiori svolte.Il problema, invece, sussiste per le mansioni superiori svolte ante D.L.vo n. 387/98, dato che con le richiamate sentenze dell’Adunanza Plenaria è stato altresì affermato che "nessuna norma o principio generale desumibile dall'ordinamento consente la retribuibilità in via di principio delle mansioni superiori comunque svolte nel campo del pubblico impiego" e che "l'esercizio di mansioni superiori rispetto alla qualifica rivestita, peraltro, contrasta con il buon andamento e l'imparzialità dell'Amministrazione nonché con la rigida determinazione delle sfere di competenza, attribuzioni e responsabilità proprie dei funzionari (regola di organizzazione necessaria all'applicazione dell'art. 28)".
Tale rigido orientamento, che peraltro si è rifiutato di ammettere la retribuibilità delle mansioni superiori in applicazione diretta dell’art. 36 Cost. (com’era stato fatto dal Giudice delle leggi con le note sentenze che riguardavano il personale sanitario), ha finito per creare una cesura tra mansioni svolte ante e post D.L.vo n. 387/1998.
Una cesura così forte che ha finito per fare assumere involontariamente allo stesso D.Lvo n. 387 una valenza di norma di sanatoria, per cui solo a partire da una certa data (nella specie rappresentata dal giorno di entrata in vigore del più volte menzionato D.L.vo n. 387/98) le mansioni superiori sono riconoscibili sotto il profilo economico. L’impressione è rafforzata anche dal principio recentemente espresso dalla Commissione speciale del pubblico impiego
(parere 22 aprile 2002 n. 507/2001, in questa Rivista) secondo cui, comunque, ante D.l.vo n. 387/98, è impossibile procedere al recupero delle somme corrisposte per mansioni superiori, ove esse siano state percepite in buona fede.Solo infatti ad una norma "di sanatoria" è possibile riconoscere "a partire da una certa data" l’attribuzione di determinati benefici. E solo se si attribuisce alla norma in questione tale valenza può invocarsi il tralaticio orientamento del Giudice delle leggi, secondo cui rientra nell’insindacabile apprezzamento del legislatore riconoscere, a partire da una certa data, determinati benefici economici ad una categoria di soggetti che si trova nella medesima situazione.
Tuttavia all’art. 15 del D.L.vo n. 387/98 (che peraltro si è limitato le parole le parole «a differenze retributive o» contenute nell’originario testo dell’art. 56 del D.L.vo
n. 29/1993 e successive modificazioni ed integrazioni), non può essere certo attribuita una valenza di norma di sanatoria, ma di una norma che ha riconosciuto in maniera esplicita quanto l’ordinamento già prevedeva in precedenza, sia pure in applicazione diretta dell’art. 36 Cost.Non si comprende inoltre perchè le mansioni superiori sono retribuibili solo a partire da una certa data, mentre in precedenza lo erano solo in favore di determinate categorie di personale, con la creazione di situazioni di palese disparità di trattamento.
Del resto, successivamente alle richiamate sentenze dell’Adunanza Plenaria, la Corte costituzionale è intervenuta autorevolmente con due ordinanze, rimaste a torto in ombra e delle quali comunque la sentenza in rassegna non dà conto.
Con entrambe le ordinanze (
6 novembre 2001 n. 349 e 10 aprile 2002 n. 100, pubblicate in questa Rivista) la Corte, nel dichiarare infondata la q.l.c. dell’art. 33 del T.u. imp. civ. Stato, ha affermato che il divieto di retribuire le mansioni superiori non opera nei casi di copertura di posto temporaneamente vacante.Più precisamente, come risulta dal testo delle citate ordinanze, la Corte ha affermato che «l’art. 33 del T.u. impiegati civ. Stato, nel prevedere il divieto di retribuire le mansioni superiori svolte dal dipendente pubblico, si riferisce comunque "alla situazione fisiologica degli uffici", cioè alla normale situazione nella quale sussiste coincidenza tra mansioni svolte dall'impiegato e la sua qualifica funzionale; pertanto, nel caso eccezionale di adibizione temporanea del dipendente a mansioni superiori, corrispondenti a un posto vacante, non si può argomentare a contrario una preclusione all'adeguamento del trattamento economico, in conformità agli artt. 36 della Costituzione e 2126 cod. civ., secondo i principi ripetutamente enunciati in precedenza».
In sostanza il Giudice delle leggi, sia pure con riferimento ai casi (tutt’altro che infrequenti nel p.i.) di «eccezionale di adibizione temporanea del dipendente a mansioni superiori» (e cioè ai casi in cui, per vacanze od assenze prolungate, si sia imposta l’esigenza di attribuire mansioni superiori), ha riconosciuto - facendo «applicazione diretta degli artt. 36 della Costituzione e 2126 cod. civ.» e facendo riferimento «ai principi ripetutamente enunciati in precedenza» (per il personale sanitario) - che anche in passato le mansioni superiori svolte dai pubblici dipendenti per far fronte ad esigenze eccezionali potevano essere riconosciute sotto il profilo economico.
Onde l’orientamento dell’Adunanza Plenaria, cui fa rinvio la sentenza in rassegna, può dirsi superato dai citati successivi arresti del Giudice delle leggi, il quale ha avuto modo di affermare che - anche prima della entrata in vigore dell’art. 15 del D.L.vo n. 387/98 - sussisteva il diritto (previsto dall’art. 36 della Costituzione e, a seguito della privatizzazione del rapporto di p.i. operata dal D.L.vo n. 29/1993, dall’art. 2126 cod. civ., che comunque, per la sua valenza generale, operava anche in assenza di apposito richiamo) dei pubblici dipendenti, che in base ad atti formali di incarico abbiano svolto mansioni superiori per far fronte a eccezionali esigenze di servizio, di ottenere le differenze stipendiali dovute.
E’ infatti un principio generale consacrato nell’art. 36 Cost. quello secondo il quale qualunque lavoratore (e quindi anche il dipendente pubblico) ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla "qualità" oltre che alla quantità del lavoro svolto e che lo svolgimento delle mansioni superiori dà luogo all’assunzione di una serie di responsabilità che vanno in qualche modo remunerate.
Sembra infatti assurdo ritenere che il dipendente debba, per assicurare la continuità del servizio, assumere una serie di responsabilità e funzioni che sono proprie della qualifica superiore e, nel contempo affermare che tali mansioni superiori sono retribuibili solo a partire da una determinata data, mentre per quelle svolte in precedenza non c’è nulla da fare.
Peraltro l’approccio al problema da parte della Corte Costituzionale sembra molto più realistico e meno formale di quello dell’Adunanza Plenaria.
Nelle menzionate recenti ordinanze del Giudice delle leggi si è infatti giustamente sottolineato che il divieto di retribuzione delle mansioni superiori svolte, contenuto in origine nell’art. 33 del T.U. imp. civ. Stato, fa riferimento ad una «situazione fisiologica degli uffici» e non opera nei (purtroppo numerosi) casi in cui, per far fronte a prolungate situazioni di vacanze o di lunghe assenze dal servizio, si è dovuto far ricorso all’attribuzione - medianti appositi incarichi - delle mansioni superiori.
Con ciò non si vuole sminuire la valenza delle considerazioni contenute nelle decisioni dell’Adunanza Plenaria; si fa riferimento in particolare alla prima pronuncia, con la quale l’Adunanza Plenaria ha richiamato l'art. 98 Cost. (il quale nel disporre che «i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione» vieta che la valutazione del rapporto di pubblico impiego sia ridotta alla pura logica del rapporto di scambio) e l'art. 97 Cost., affermando che l'esercizio di mansioni superiori rispetto alla qualifica rivestita contrasta con il buon andamento e l'imparzialità dell'Amministrazione, nonché con la rigida determinazione delle sfere di competenza, attribuzioni e responsabilità proprie dei funzionari.
Da tali considerazioni traspare la giusta preoccupazione (che, peraltro, ha sempre animato la giurisprudenza amministrativa in materia) di evitare favoritismi nell’ambito del pubblico impiego e fenomeni di attribuzione di incarichi ad "amici, protetti o raccomandati".
Tale pericolo tuttavia non può essere certo evitato disconoscendo in toto (sia pure con la eccezione rappresentata dal personale sanitario), ante D.L.vo n. 387/98, il diritto del dipendente di ottenere le dovute differenze stipendiali per il periodo in cui ha svolto mansioni superiori, ma, da un lato, riaffermando il principio della responsabilità dei funzionari che hanno illegittimamente attribuito le mansioni (così come previsto esplicitamente dall’art. 56 del
d.lgs. n. 29/1993, ora trasfuso nell'art. 52 del D.L.vo 30 marzo 2001, n. 165) e, dall’altro, chiarendo in modo inequivocabile quali sono le condizioni ed i requisiti per il riconoscimento delle mansioni superiori.Sotto questo profilo, anche alla luce di quanto affermato dalla Corte costituzionale con le richiamate recenti ordinanze, deve affermarsi che le mansioni superiori svolte possono dare luogo al pagamento delle relative differenze retributive anche ante D.L.vo n. 387/98, a condizione che:
a) innanzitutto vi sia un posto vacante (non è possibile infatti riconoscere mansioni superiori in relazione a posti occupati dai titolari o nemmeno previsti in pianta organica);
b) inoltre occorre che vi sia stata una «eccezionale di adibizione temporanea del dipendente a mansioni superiori», resasi necessaria per fronteggiare una situazione non fisiologica degli uffici e che ha reso indispensabile l’attribuzione delle funzioni;
c) occorre anche - per dare certezza all’attribuzione delle mansioni, come ripetutamente affermato dalla stessa giurisprudenza amministrativa - che vi sia stato un preventivo atto formale di attribuzione dell’incarico;
d) è necessario infine che il soggetto che ha svolto le mansioni superiori rivesta una qualifica immediatamente inferiore a quella del posto da ricoprire in via temporanea, non essendo ammessa l’attribuzione per saltum a soggetti che, rivestendo qualifiche di molto inferiori, non sono in grado evidentemente di espletare funzioni che richiedono un minimo di competenze e di preparazione che è da presumere solo in soggetti che rivestono una qualifica immediatamente inferiore.
C’è comunque da sperare in una riconsiderazione complessiva della questione, anche alla luce dei recenti arresti della Corte costituzionale, che non possono essere dimenticati e vanno comunque esaminati.
In questa ottica sembra muoversi la Sez. V del Consiglio di Stato, la quale, con una recente ordinanza (
ordinanza 13 maggio 2002 n. 2553), in riferimento all’art. 36 della Costituzione, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 24, terzo comma, della legge Regione Lombardia 26 aprile 1990, n. 25, il quale in pratica afferma il principio della non retribuibilità delle mansioni superiori, ancorché conferite su posto vacante con formale provvedimento.Con tale ordinanza la Sez. V, pur non ignorando i principi elaborati in materia dall’Adunanza plenaria (con le richiamate dec. 18.11.1999 n. 22; 28.1.2000 n. 10; 23.2.2000 n. 11) in relazione alla previsione di cui all’art. 56 del d.lvo 3.2.1993 n. 29, ha affermato che sussistono seri dubbi in ordine alla compatibilità della disposizione regionale (del 26 aprile 1990 e, quindi, ben anteriore al D.L.vo n. 387/1998) con l’esigenza, desumibile dall’art. 36 della Costituzione, ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro prestato, non potendosi, d’altra parte, ritenere che la previsione di mantenere le indennità connesse alla funzione soddisfino detta esigenza; trattasi, infatti, di compensi accessori spettanti per particolari oneri connessi alla funzione quali, ad es., la partecipazione all’ufficio di direzione (v. art. 20 L.R. 7.1.1986 n. 1), che sono nettamente distinti (anche nella prassi contrattuale) dal trattamento fondamentale previsto per la qualifica.
Chi scrive pertanto ribadisce - anche alla luce delle recenti ordinanze della Corte costituzionale in precedenza citate, nonchè anche alla stregua della ancor più recente ordinanza della Sez. V - quel che scrisse all'indomani dell'ultima decisione dell'Adunanza Plenaria, e cioè che la questione della retribuibilità delle mansioni superiori svolte ante D.L.vo n. 387/98 è ancora ben lungi dall'essere conclusa in maniera soddisfacente.
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