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n. 9-2002 - © copyright.

CONSIGLIO DI STATO, SEZ. VI - Sentenza 5 settembre 2002 n. 4490 - Pres. Ruoppolo, Est. De Nictolis - Abbatepaolo e c.ti (Avv. Civitelli) c. I.N.P.S. (Avv.ti Mercanti e Riccio) - (conferma T.A.R. Lazio, sez. III, 26 aprile 1999, n. 1084).

1. Pubblico impiego - Mansioni e funzioni - Mansioni superiori svolte - Differenze retributive - Spettano solo nel caso in cui esista apposita norma di settore che lo preveda.

2. Pubblico impiego - Mansioni e funzioni - Mansioni superiori svolte - Disciplina prevista per il personale sanitario - Inapplicabilità in via analogica ad altri settori del pubblico impiego.

3. Pubblico impiego - Mansioni e funzioni - Mansioni superiori svolte - Disciplina prevista dal D.L.vo n. 387/1998 - Inapplicabilità alle mansioni superiori svolte prima dell'entrata in vigore di tale disciplina.

1. Nel pubblico impiego l'esercizio di mansioni superiori comporta la corresponsione di una maggiore retribuzione solo ove vi sia un espressa norma, di legge o di regolamento, che lo preveda; pertanto, in mancanza di una norma che espressamente preveda la retribuibilità delle mansioni superiori, l'esercizio di tali mansioni non dà diritto al pagamento delle differenze stipendiali per il periodo di svolgimento delle stesse (alla stregua del principio nella specie la Sez. VI - constatato che, prima dell'art. 15 del D.L.vo 29 ottobre 1998, n. 387, non esisteva alcuna norma che consentiva di riconoscere sotto il profilo economico le mansioni superiori svolte dai dipendenti I.N.P.S. - ha ritenuto che le stesse non potevano essere retribuite ed ha confermato sul punto l'appellata sentenza del T.A.R. Lazio) (1).

2. La speciale disciplina dettata per il personale sanitario in materia di retribuibilità delle mansioni superiori non può essere estesa ed applicata in via analogica ad altri settori del pubblico impiego.

3. La più recente normativa introdotta dall'art. 15 del D.L.vo 29 ottobre 1998, n. 387 (che ha modificato l'art. 56, ultimo capoverso, del D.L.vo 29/1993), la quale ormai prevede in via generale - sia pure a determinate condizioni - la retribuibilità delle mansioni superiori svolte dai pubblici dipendenti, non può essere applicata alle mansioni svolte anteriormente all'entrata in vigore della normativa stessa.

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(1) V. in tal senso tra le tante Cons. Stato, sez. IV, 22 marzo 1995, n. 452; id., 9 giugno 1994, n. 489; id., sez. V, 17 gennaio 1994, n. 27; id., sez. IV, 26 ottobre 1993, n. 930. V. in part. in questa Rivista: Cons. Stato, sez. V, 21 gennaio 2002 n. 335; id., 9 novembre 1999 n. 1857 e Sez. IV, 9 novembre 2000 n. 5982.

Nella motivazione della sentenza in rassegna si ricorda che con due decisioni dell'Adunanza Plenaria (18 novembre 1999 n. 22 e 28 gennaio 2000 n. 10, entrambe pubblicate nella presente Rivista, la seconda delle quali con commento di G. VIRGA), è stato affermato che nessuna norma o principio generale desumibile dall'ordinamento consente la retribuibilità in via di principio delle mansioni superiori svolte nel pubblico impiego; né l'art. 36 Cost. - che sancisce il principio di corrispondenza della retribuzione dei lavoratori alla quantità e qualità del lavoro prestato - può trovare applicazione incondizionata nel rapporto di pubblico impiego, concorrendo in detto ambito altri principi di pari rilevanza costituzionale, quali quello di cui all'art. 98 Cost. (che nel disporre che i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione vieta che la valutazione del rapporto di pubblico impiego sia ridotta alla pura logica del rapporto di scambio) e quale quello di cui all'art. 97 Cost., contrastando l'esercizio di fatto di mansioni superiori rispetto alla qualifica rivestita con il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione, nonché con la rigida determinazione delle sfere di competenza, attribuzioni e responsabilità proprie dei funzionari.

La questione tuttavia non sembra affatto conclusa. V. in proposito di recente CORTE COSTITUZIONALE - ordinanza 10 aprile 2002 n. 100, con la quale, nel dichiarare infondata la q.l.c. dell'art. 33 del T.u. imp. civ. Stato, il Giudice delle leggi  ha affermato che il divieto di retribuire le mansioni superiori non opera nei casi di copertura di posto temporaneamente vacante; v. anche in precedenza nello stesso senso Corte Cost., ordinanza 6 novembre 2001 n. 349.

V. anche recentemente CONSIGLIO DI STATO, SEZ. V - ordinanza 13 maggio 2002 n. 2553, che ha sollevato, in riferimento all'art. 36 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 24, terzo comma, della legge Regione Lombardia 26 aprile 1990, n. 25, il quale in pratica afferma il principio della non retribuibilità delle mansioni superiori, ancorché conferite su posto vacante con formale provvedimento.

Sull'impossibilità comunque di procedere al recupero delle somme corrisposte per mansioni superiori, ove esse siano state percepite in buona fede nonchè sui presupposti per il riconoscimento economico delle mansioni stesse v. da ult. CONSIGLIO DI STATO, COMM. SPEC. P.I. - Parere 22 aprile 2002 n. 507/2001

Sulla retribuibilità delle mansioni superiori svolte dai sanitari v. CONSIGLIO DI STATO, SEZ. V - Sentenza 20 ottobre 2000 n. 5650

Sulla nuova disciplina prevista dall'art. 56 del d.lgs. n. 29/1993, modificato dall'art. 15 del D.L.vo 29 ottobre 1998, n. 387 (ora trasfuso nell'art. 52 del  D.L.vo 30 marzo 2001, n. 165), v.:

TRIBUNALE DI TRIESTE - Sentenza 29 settembre 2000 n. 403

TRIBUNALE DEL LAVORO DI S. ANGELO DEI LOMBARDI - Sentenza 28 febbraio 2002 n. 84.

Sulla questione v. in generale in questa Rivista:

G. VIRGA, La retribuibilità delle mansioni superiori ...

Id, Mansioni superiori dei dipendenti pubblici e ius variandi della P.A.

L. OLIVERI, Breve addenda alla questione della retribuibilità delle mansioni superiori

C. DE MARCO, In tema di retribuibilità delle mansioni superiori  svolte dai pubblici dipendenti

Per ulteriori riferimenti si fa rinvio ai documenti indicati in calce alla nota della già citata sentenza del TRIBUNALE DEL LAVORO DI S. ANGELO DEI LOMBARDI .

 

 

FATTO E DIRITTO

1. Gli odierni appellanti, tutti dipendenti dell'I.N.P.S., adivano il T.A.R. per conseguire il pagamento della maggiore retribuzione corrispondente alle mansioni superiori svolte sulla base di ordine di servizio 2 luglio 1990, n. 12.

Il T.A.R. adito, con la sentenza in epigrafe, respingeva il ricorso, osservando che nel pubblico impiego le mansioni superiori temporaneamente svolte possono essere retribuite solo se vi sia una norma che espressamente lo consente, mentre l'art. 36 Cost. non trova applicazione diretta nel pubblico impiego.

2. Hanno proposto appello gli originari ricorrenti, osservando che:

l'art. 36 Cost., a norma del quale al lavoratore dipendente spetta un retribuzione proporzionata alla qualità e quantità del lavoro svolto, troverebbe applicazione immediata e diretta pure nel pubblico impiego, imponendo la maggiore retribuzione delle mansioni superiori, anche allorquando non vi sia una specifica disciplina primaria in tal senso;

per identità di ratio dovrebbe estendersi al caso di specie la previsione dettata per il personale sanitario, che consente la retribuzione delle mansioni superiori nel caso in cui il dipendente venga chiamato a svolgerle per sopperire a carenze di organico e coprire temporaneamente posti vacanti;

vi sarebbe un inammissibile arricchimento ingiustificato del datore di lavoro, che utilizza i dipendenti in mansioni superiori, senza ricompensarli.

3. L'appello è infondato.

3.1. Quanto all'assunto di parte appellante, secondo cui le mansioni superiori dovrebbero essere retribuite in virtù degli artt. 36 Cost., e 2126 cod. civ., lo stesso non può essere condiviso.

Più volte questo Consesso ha affermato che nel pubblico impiego l'esercizio di mansioni superiori comporta la corresponsione di una maggiore retribuzione solo ove vi sia un espressa norma, di legge o di regolamento, che lo preveda (v. in tal senso C. Stato, sez. IV, 22 marzo 1995, n. 452; Id., 9 giugno 1994, n. 489; Id., sez. V, 17 gennaio 1994, n. 27; Id., sez. IV, 26 ottobre 1993, n. 930).

Da ultimo questo orientamento è stato ribadito dall'Adunanza Plenaria, secondo cui nessuna norma o principio generale desumibile dall'ordinamento consente la retribuibilità in via di principio delle mansioni superiori svolte nel pubblico impiego; né l'art. 36 Cost. - che sancisce il principio di corrispondenza della retribuzione dei lavoratori alla quantità e qualità del lavoro prestato - può trovare applicazione incondizionata nel rapporto di pubblico impiego, concorrendo in detto ambito altri principi di pari rilevanza costituzionale, quali quello di cui all'art. 98 Cost. (che nel disporre che i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione vieta che la valutazione del rapporto di pubblico impiego sia ridotta alla pura logica del rapporto di scambio) e quale quello di cui all'art. 97 Cost., contrastando l'esercizio di fatto di mansioni superiori rispetto alla qualifica rivestita con il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione, nonché con la rigida determinazione delle sfere di competenza, attribuzioni e responsabilità proprie dei funzionari (C. Stato, ad. plen., 18 novembre 1999, n. 22; C. Stato, ad. plen., 28 gennaio 2000, n. 10).

3.2. Neppure può essere estesa al di fuori del caso espressamente contemplato la speciale disciplina dettata per il personale sanitario, riguardante diverso settore del pubblico impiego.

3.3. Quanto all'azione di ingiustificato arricchimento, la stessa è inammissibile perché proposta per la prima volta in sede di appello, in contrasto con il principio del doppio grado di giurisdizione del processo amministrativo (art. 125 Cost.).

3.4. E' appena il caso di sottolineare che alla presente fattispecie non può essere applicata la più recente normativa, di cui al D.Lgs. n. 29 del 1993 e successive modificazioni, che ha consentito, a determinate condizioni, la retribuibilità delle mansioni superiori: tale disciplina ha infatti consentito la retribuibilità solo successivamente alla sua entrata in vigore, mentre la presente vicenda si è completamente svolta in epoca anteriore.

4. Le spese di lite possono essere compensate, in considerazione della circostanza che all'epoca di proposizione dell'appello non era ancora intervenuto l'intervento chiarificatore dell'adunanza plenaria del Consiglio di Stato.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sezione sesta), definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo respinge.

Compensa interamente tra le parti le spese, i diritti e gli onorari di lite.

Ordina che la pubblica amministrazione dia esecuzione alla presente decisione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 14 maggio 2002, con la partecipazione di:

Giovanni Ruoppolo - Presidente

Sergio Santoro - Consigliere

Giuseppe Romeo - Consigliere

Giuseppe Minicone - Consigliere

Rosanna De Nictolis - Cons. rel. ed est.

Depositata in cancelleria il 5 settembre 2002.

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