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TAR LAZIO, SEZ. I BIS – Sentenza 8 aprile 2002 n. 2896 - Pres. Mastrocola, Est. Politi - Siviero (Avv.ti Schwarzenberg e Antonelli) c. Ministero della Difesa (Avv. Stato Giordano) - (respinge).

1. Pubblico impiego - Procedimento disciplinare - A seguito di sentenza di patteggiamento (ex art. 445 c.p.p.) - Valore della sentenza - Individuazione.

2. Pubblico impiego - Procedimento disciplinare - A seguito di sentenza di patteggiamento (ex art. 445 c.p.p.) - Valore della sentenza - Distinzione tra «affermazione di responsabilità» (dispositivo) e «accertamento di responsabilità» (motivazione) - Valore diverso da attribuire ai due elementi.

3. Pubblico impiego - Procedimento disciplinare - A seguito di sentenza di patteggiamento (ex art. 445 c.p.p.) - Mero riferimento alla condanna comminata con la sentenza - Impossibilità - Riferimento agli accertamenti penali sui quali si basa - Possibilità.

4. Pubblico impiego - Procedimento disciplinare - A seguito di sentenza di patteggiamento (ex art. 445 c.p.p.) - Necessità di compiere autonomi accertamenti - Casi in cui tale necessità non sussiste - Individuazione.

5. Pubblico impiego - Procedimento disciplinare - A seguito di sentenza di patteggiamento (ex art. 445 c.p.p.) - Necessità di compiere autonomi accertamenti - Discende dal concreto atteggiarsi della pronuncia penale - Onere per il pubblico dipendente di indicare gli elementi a suo discarico su cui l'Amministrazione deve indirizzare i nuovi accertamenti - Sussiste.

1. La sentenza c.d. di patteggiamento - vale a dire di applicazione della pena su concorde richiesta delle parti (pubblico ministero e imputato) ex art. 445 c.p.p. - non prescinde dall'accertamento della responsabilità penale dell'imputato, in quanto il giudice, nonostante la richiesta concorde delle parti, non può emettere la pronuncia di patteggiamento se ricorrono le condizioni per il proscioglimento perché il fatto non sussiste, perché l'imputato non lo ha commesso, perché il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato, ovvero perché il reato è estinto, o manca una condizione di procedibilità dell'azione penale (art. 444, comma II, c.p.p., che rinvia all'art. 129 c.p.p.) (1)

2. Nella sentenza di patteggiamento, occorre distinguere i due diversi profili dell'«affermazione di responsabilità» (dispositivo) e dell'«accertamento di responsabilità» (motivazione): il secondo dei quali, al pari del primo, immancabile, ma in concreto più o meno esaustivo a seconda della maggiore o minore completezza delle indagini del Pubblico ministero. Deve quindi ritenersi che, in sede di procedimento disciplinare a seguito di sentenza di patteggiamento, in nessun caso l'Amministrazione possa recepire acriticamente l'«affermazione di responsabilità» contenuta nella pronuncia penale, dovendo invece valutarne l'«accertamento di responsabilità», la cui utilizzabilità in quanto tale e come fonte esclusiva di convincimento transita, con ogni evidenza, attraverso la verifica della completezza di detto accertamento (in caso contrario, incombendo all'Amministrazione il compimento di tutti gli accertamenti che il caso richiede) (2).

3. Se è vero che ai fini del giudizio disciplinare a carico del pubblico dipendente non è sufficiente, per affermarne la responsabilità, il solo fatto della condanna patteggiata (dovendo l'Amministrazione procedere ad un'autonoma valutazione della rilevanza dei fatti), è altrettanto vero che a tale pronunzia penale si può tuttavia fare riferimento per ritenere accertati quei fatti che, emersi nel giudizio penale, o non siano contestati, oppure, in base ad un ragionevole apprezzamento delle risultanze processuali, appaiano fondatamente ascrivibili al dipendente (3).

4. In sede di procedimento disciplinare nei confronti dei pubblici dipendenti autonomi nei confronti dei quali sia stata emessa una sentenza di patteggiamento, l’Amministrazione non deve compiere accertamenti allorché la sentenza di patteggiamento si basi su un accertamento completo, il che si verifica, di regola: a) in caso di sentenza di patteggiamento pronunciata in esito al dibattimento di primo grado o nel giudizio di impugnazione, nell'ipotesi di cui all'art. 448, I comma, c.p.p., nella quale a base del patteggiamento vi è anche la istruttoria dibattimentale; b) in caso di richiesta di patteggiamento formulata nell'udienza dibattimentale prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, ai sensi dell'art. 446 comma I e 135, disp. att., c.p.p., in cui il giudice utilizza tutti gli atti di indagine del Pubblico ministero.

5. In sede di procedimento disciplinare a seguito di sentenza penale di patteggiamento, la necessità o meno di autonomi accertamenti da parte dell'Amministrazione discende dal concreto atteggiarsi della pronuncia penale, e dalla sommarietà o completezza dell'accertamento di responsabilità posto a base della stessa; autonomi accertamenti da parte dell'Amministrazione non dimostrandosi necessari: a) se l'accertamento dei fatti in sede penale è già esaustivo; b) per i fatti non controversi. Qualora, invece, autonomi accertamenti si dimostrino necessari: a) l'Amministrazione può utilizzare gli atti di indagine penale posti in essere nel procedimento sfociato nella sentenza di patteggiamento; b) è - comunque - onere dell'inquisito indicare gli elementi a suo discarico su cui l'Amministrazione deve indirizzare i nuovi accertamenti.

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(1) Ha osservato in proposito il TAR Lazio che, nel caso di sentenza di patteggiamento, l'accertamento della responsabilità penale non ricade nella sfera di disponibilità delle parti, in quanto l'accordo insito nel patteggiamento ha per oggetto non già la responsabilità penale, ma solo la misura della pena, sul presupposto che una responsabilità penale risulti accertata;

Inoltre, secondo lo stesso TAR, se è vero che la sentenza di patteggiamento si basa di regola (ma non sempre: cfr. art. 448, comma I, c.p.p.) su un accertamento di responsabilità fondato sugli atti del Pubblico ministero (e dunque privo delle garanzie della prova dibattimentale), il patteggiamento, lungi dal prescindere dall'accertamento di responsabilità penale, interviene secondo l'id quod plerumque accidit proprio quando detto accertamento denota in maniera inequivoca e pressoché certa detta responsabilità: l'accertamento di responsabilità posto a base della sentenza di patteggiamento potendo dimostrarsi, in concreto, più o meno completo, più o meno sommario, a seconda del modo in cui, in concreto, siano state condotte le indagini del Pubblico ministero, e dello stadio in cui le stesse si trovino al momento della richiesta di patteggiamento.

Nell’ampia e completa motivazione della sentenza in rassegna si dà atto delle diverse opinioni che in passato sono state espresse in materia dalla giurisprudenza.

Più precisamente, secondo una prima tesi, è legittimo il provvedimento disciplinare di destituzione adottato sulla base di tale tipo di sentenza, equiparata a una pronuncia di condanna, in quanto la sentenza di patteggiamento non prescinde dalla prova della responsabilità penale dell'imputato (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 16 ottobre 1995 n. 1149 e 24 agosto 1996 n. 1067).

Per un altro orientamento, la sentenza di patteggiamento non può invece essere posta dall'Amministrazione, di per sé sola, a base del provvedimento disciplinare, considerato che la circostanza che l'applicazione della pena sia richiesta dalle stesse parti non implica necessariamente un riconoscimento di colpevolezza (Cons. Stato, sez. IV, 12 dicembre 1997 n. 1416 e sez. VI, 28 aprile 1998 n. 574), trattandosi di un istituto riconducibile non già ad una presunzione di colpevolezza giuridicamente rilevante, bensì ad esigenze di alleggerimento degli oneri processuali della fase dibattimentale; con la conseguenza che l'Amministrazione, in sede disciplinare, ha l'obbligo di riconsiderare le risultanze processuali attraverso una autonoma verifica dei fatti e della loro riferibilità all'inquisito, oltre che della loro valenza ai fini disciplinari (Cons. Stato, sez. VI, 2 aprile 1998 n. 428).

Secondo un orientamento intermedio, la sentenza di patteggiamento non comporterebbe necessariamente un accertamento di responsabilità, per cui in sede disciplinare l'Amministrazione è tenuta a compiere un autonomo accertamento dei fatti: potendo tuttavia, in detto accertamento, utilizzare le risultanze probatorie del procedimento penale, ancorché conclusosi con patteggiamento (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 28 marzo 2000 n. 1803 e 16 maggio 1996 n. 681, sez. IV, 23 ottobre 1998 n. 1382).

L'orientamento da ultimo sintentizzato merita, ad avviso del T.A.R. Lazio, adesione, avuto anche riguardo agli interventi in subiecta materia posti in essere dalla Corte costituzionale (sentenza 28 maggio 1999 n. 197, in questa Rivista Internet, pag. http://www.giustamm.it/corte/cost1999-0197.htm) e dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (decisione 25 gennaio 2000 n. 6 ).

(2) Cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 1° settembre 2000 n. 4647.

(3) T.A.R. Lazio, Sez. I-bis, 25 giugno 2001 n. 5678.

Sul valore da attribuire alle sentenze di patteggiamento nel campo amministrativo v.in questa Rivista Internet:

CORTE COSTITUZIONALE - Sentenza 28 maggio 1999 n. 197

CONSIGLIO DI STATO, SEZ. V – Sentenza 6 giugno 2001 n. 3076

CONSIGLIO DI STATO, SEZ. IV – Sentenza 16 novembre 2000 n. 6110

CORTE DEI CONTI, II SEZ. CENTR. D’APPELLO - 13 ottobre 2000 n. 298

CORTE DEI CONTI - SEZ. GIUR. REGIONE LOMBARDIA - Sentenza 15 dicembre 1999 n.1551\99

CORTE DEI CONTI, SEZ. GIUR. LAZIO – Sentenza 26 febbraio 2001 n. 981

TAR FRIULI VENEZIA GIULIA - Sentenza 30 agosto 2001 n. 563

TAR LIGURIA-GENOVA, SEZ. I – Sentenza 19 gennaio 2001 n. 48

TAR VENETO, SEZ. III – Sentenza 30 ottobre 2000 n. 1863

T.A.R. PIEMONTE, SEZ. II - Sentenza 4 febbraio 1999, n. 59

TAR VENETO, SEZ. I - Ordinanza 24 novembre 1999 n. 1346

T.A.R. CAMPANIA-NAPOLI, SEZ. II - Sentenza 12 marzo 1999 n. 719

M. PISCHEDDA, La valutazione del danno all'immagine della P.A.

G. GULI', Destituzione e patteggiamento

M. VALERO, Ancora sul rebus delle verifica dell'assenza di patteggiamenti rilevanti negli appalti di lavori pubblici.

MINISTERO DELL'INTERNO - CIRCOLARE 25 novembre 1998, n. 4/98

Indagine intersettoriale sulla gestione dei procedimenti disciplinari

 

 

FATTO

Assume parte ricorrente l'illegittimità dell'avversata determinazione - recante inflizione della sanzione disciplinare della sospensione dall'impiego per la durata di dodici mesi - in ragione di un unico motivo di ricorso concernente: eccesso di potere per sproporzione fra addebito e sanzione disciplinare irrogata, manifesta ingiustizia, erronea valutazione dei presupposti, apoditticità della motivazione in violazione dell'art. 3 della legge 241 del 1990, nonché per violazione dell'art. 444 c.p.p.

Presupposto dell'irrogazione dell'avversata sanzione disciplinare è la pena patteggiata - e sospesa - di anni 1, mesi 4 e giorni 10 di reclusione in ordine ai reati di peculato e minaccia ad inferiore.

Assume innanzi tutto parte ricorrente che la sentenza resa in conseguenza di patteggiamento non sarebbe assimilabile ad una pronunzia di condanna; per l'effetto non potendo essere considerati come "accertati" i fatti costituenti titoli di reato contestati nei confronti del sig. Siviero.

Piuttosto l'Amministrazione militare avrebbe dovuto, nell'ambito dell'avviato procedimento disciplinare, procedere ad un autonomo accertamento ed apprezzamento - in contraddittorio con l'incolpato - dei fatti a tale fine ritenuti rilevanti.

Contesta inoltre il ricorrente il mancato accoglimento, nell'ambito del predetto procedimento disciplinare, della domanda dal medesimo formulata volta all'escussione di tre testimoni, con riveniente violazione del diritto di difesa.

La sanzione nel caso in esame comminata si rivelerebbe, poi, manifestamente sproporzionata rispetto alla gravità dei fatti contestati, con conseguente vizio logico dell'assunta determinazione (ulteriormente inficiata anche sotto i profili della genericità ed incongruità della motivazione).

Conclude la parte ricorrente insistendo per l'accoglimento del gravame, con conseguente annullamento degli atti oggetto di censura.

L'Amministrazione resistente, costituitasi in giudizio, ha eccepito l'infondatezza delle esposte doglianze, invocando la reiezione dell'impugnativa.

La domanda di sospensione dell'esecuzione dell'atto impugnato, dalla parte ricorrente proposta in via incidentale, è stata da questo Tribunale respinta con ordinanza n. 3462, pronunziata nella Camera di Consiglio del 25 novembre 1996.

Il ricorso viene ritenuto per la decisione alla pubblica udienza dell'11 marzo 2002.

DIRITTO

1. Viene in primo luogo in considerazione il profilo di censura con il quale parte ricorrente ha contestato lo svolgimento del procedimento disciplinare - conclusosi poi con l'irrogazione dell'avversata sanzione - per la parte in cui l'Amministrazione, in luogo di procedere ad autonomo apprezzamento dei fatti, avrebbe invece acriticamente recepito le risultanze del giudizio penale, sostanziatosi con l'irrogazione della pena patteggiata di anni 1, mesi 4 e giorni 10 di reclusione.

Sostiene al riguardo il ricorrente che i fatti emersi in sede di giudizio concluso con pena patteggiata, ai sensi dell'art. 444 c.p.p., lungi dal rivestire incontroversa concludenza, devono invece formare oggetto di rinnovata considerazione in sede di procedimento disciplinare, non potendo essere annessa alla pronunzia penale di che trattasi connotazione di declaratoria di responsabilità avente rilevanza di cosa giudicata anche relativamente a procedimenti civili ed amministrativi fondati sui medesimi fatti.

La questione di diritto sottoposta all'esame del Collegio è, quindi, quella del rapporto fra sentenza penale pronunciata in seguito a patteggiamento e procedimento disciplinare.

1.1 Sul punto, si sono come è noto delineati diversi orientamenti in giurisprudenza.

Secondo una prima tesi, è legittimo il provvedimento disciplinare di destituzione adottato sulla base di tale tipo di sentenza, equiparata a una pronuncia di condanna, in quanto la sentenza di patteggiamento non prescinde dalla prova della responsabilità penale dell'imputato (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 16 ottobre 1995 n. 1149 e 24 agosto 1996 n. 1067).

Per un altro orientamento, la sentenza di patteggiamento non può invece essere posta dall'Amministrazione, di per sé sola, a base del provvedimento disciplinare, considerato che la circostanza che l'applicazione della pena sia richiesta dalle stesse parti non implica necessariamente un riconoscimento di colpevolezza (Cons. Stato, sez. IV, 12 dicembre 1997 n. 1416 e sez. VI, 28 aprile 1998 n. 574), trattandosi di un istituto riconducibile non già ad una presunzione di colpevolezza giuridicamente rilevante, bensì ad esigenze di alleggerimento degli oneri processuali della fase dibattimentale; con la conseguenza che l'Amministrazione, in sede disciplinare, ha l'obbligo di riconsiderare le risultanze processuali attraverso una autonoma verifica dei fatti e della loro riferibilità all'inquisito, oltre che della loro valenza ai fini disciplinari (Cons. Stato, sez. VI, 2 aprile 1998 n. 428).

Secondo un orientamento intermedio, la sentenza di patteggiamento non comporterebbe necessariamente un accertamento di responsabilità, per cui in sede disciplinare l'Amministrazione è tenuta a compiere un autonomo accertamento dei fatti: potendo tuttavia, in detto accertamento, utilizzare le risultanze probatorie del procedimento penale, ancorché conclusosi con patteggiamento (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 28 marzo 2000 n. 1803 e 16 maggio 1996 n. 681, sez. IV, 23 ottobre 1998 n. 1382).

L'orientamento da ultimo sintentizzato merita, ad avviso del Collegio, adesione, avuto anche riguardo agli interventi in subiecta materia posti in essere dalla Corte costituzionale e dall'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato.

In particolare, la Corte costituzionale, con sentenza interpretativa di rigetto 28 maggio 1999 n. 197, ha ritenuto che, in caso di sentenza penale di patteggiamento, «l'applicazione della pena su richiesta delle parti non presuppone quella compiutezza nella raccolta degli elementi di prova che è tipica del rito ordinario; le parti, infatti, possono chiedere il patteggiamento in qualunque momento delle indagini preliminari e fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado (...). Non si può escludere, allora, che l'Amministrazione debba effettuare autonomi accertamenti, e che la pronuncia penale sia richiamata soltanto per i fatti controversi ».

Alla luce del decisum della Corte costituzionale, l'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con decisione 25 gennaio 2000 n. 6, ha omogeneamente affermato che «nella sentenza di patteggiamento non si verifica quella compiutezza nella raccolta degli elementi di prova che è tipica del rito ordinario e non può escludersi che l'amministrazione, al fine di valutare i fatti in sede disciplinare, debba effettuare autonomi accertamenti».

Alla luce delle citate decisioni della Corte Costituzionale e dell'Adunanza Plenaria, può quindi affermarsi che:

il codice di rito equipara la sentenza di patteggiamento - vale a dire di applicazione della pena su concorde richiesta delle parti (pubblico ministero e imputato) - ad una sentenza di condanna (art. 445, comma I, c.c.p.), salve diverse disposizioni di legge;

la sentenza di patteggiamento non prescinde dall'accertamento della responsabilità penale dell'imputato, in quanto il giudice, nonostante la richiesta concorde delle parti, non può emettere la pronuncia di patteggiamento se ricorrono le condizioni per il proscioglimento perché il fatto non sussiste, perché l'imputato non lo ha commesso, perché il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato, ovvero perché il reato è estinto, o manca una condizione di procedibilità dell'azione penale (art. 444, comma II, c.p.p., che rinvia all'art. 129 c.p.p.);

l'accertamento della responsabilità penale non ricade dunque nella sfera di disponibilità delle parti, in quanto l'accordo insito nel patteggiamento ha per oggetto non già la responsabilità penale, ma solo la misura della pena, sul presupposto che una responsabilità penale risulti accertata;

ulteriormente dovendo osservarsi che, se è vero che la sentenza di patteggiamento si basa di regola (ma non sempre: cfr. art. 448, comma I, c.p.p.) su un accertamento di responsabilità fondato sugli atti del Pubblico ministero (e dunque privo delle garanzie della prova dibattimentale), il patteggiamento, lungi dal prescindere dall'accertamento di responsabilità penale, interviene secondo l'id quod plerumque accidit proprio quando detto accertamento denota in maniera inequivoca e pressoché certa detta responsabilità: l'accertamento di responsabilità posto a base della sentenza di patteggiamento potendo dimostrarsi, in concreto, più o meno completo, più o meno sommario, a seconda del modo in cui, in concreto, siano state condotte le indagini del Pubblico ministero, e dello stadio in cui le stesse si trovino al momento della richiesta di patteggiamento.

Se, quindi, le indagini sono già pressoché complete e sono state condotte tenendo conto pure delle prove fornite a discarico, l'istruttoria dibattimentale si atteggia a mera ripetizione, per cui l'accertamento posto a base della sentenza di patteggiamento può dirsi, di fatto, pieno ed esaustivo; mentre, laddove in sede di indagini sia emerso solo un fumus di responsabilità a carico dell'imputato (e ricorra quindi l'esigenza di un completamento delle stesse in sede dibattimentale), l'accertamento posto a base della sentenza di patteggiamento avrà inevitabile carattere di sommarietà.

La maggiore o minore completezza delle indagini viene, per l'effetto, a dipendere anche dallo stadio procedimentale nel quale la richiesta di patteggiamento venga ad essere formulata: potendo la stessa essere, infatti, proposta o nel corso delle indagini preliminari, ovvero nella fase preliminare del dibattimento, prima della dichiarazione formale di apertura dello stesso (artt. 446 e 447 c.p.p.).

Nell'uno e nell'altro caso, il giudice (delle indagini preliminari, ovvero del dibattimento) deve verificare se vi è un accertamento di responsabilità penale o se invece vi sono elementi per emettere sentenza di proscioglimento, utilizzando, allo scopo, gli atti del fascicolo del Pubblico ministero (che viene depositato nella segreteria del G.I.P., in caso di richiesta di patteggiamento formulata in detta fase ex art. 447, I comma, c.p.p., ovvero viene acquisito dal giudice del dibattimento allo scopo di decidere sulla richiesta di patteggiamento, quando questa è formulata prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, ex art. 135, disp. att., c.p.p.).

Se dunque, è vero che la richiesta di patteggiamento può talora essere formulata dall'imputato anche per ragioni diverse dall'ammissione di responsabilità (vale a dire per evitare le spese e gli oneri del dibattimento, ovvero per evitare una misura restrittiva della libertà personale), tuttavia nella normalità dei casi la richiesta di patteggiamento consegue ad una valutazione di probabilità della condanna, e di conseguente esigenza di ridurne le conseguenze dannose, fruendo, con il patteggiamento, di una significativa riduzione di pena.

Anzi, di regola, più sono complete le indagini del P.M. - e più le stesse evidenziano la responsabilità penale dell'imputato - maggiore è la probabilità che quest'ultimo si determini a chiedere il patteggiamento: il quale, lungi dal prescindere dall'accertamento di responsabilità penale, interviene - come precedentemente sottolineato - proprio quando detto accertamento denoti in maniera inequivoca e pressoché certa siffatta responsabilità.

Si deve perciò concludere che la sentenza di patteggiamento, pur presupponendo un accertamento di responsabilità, può, in concreto, e a seconda dei casi, basarsi su un accertamento più o meno completo, ovvero più o meno sommario.

1.2 Consegue alle condotte considerazioni che, in sede di procedimento disciplinare aperto a seguito di una sentenza penale di patteggiamento, l'utilizzabilità o meno della sola sentenza penale per affermare la responsabilità disciplinare dell'inquisito discende caso per caso dalle circostanze concrete, vale a dire dal contenuto della specifica sentenza di patteggiamento e delle relative indagini penali.

Nella sentenza di patteggiamento, occorre infatti distinguere i due diversi profili dell'«affermazione di responsabilità» (dispositivo) e dell'«accertamento di responsabilità» (motivazione): il secondo dei quali, al pari del primo, immancabile, ma in concreto più o meno esaustivo a seconda della maggiore o minore completezza delle indagini del Pubblico ministero.

Deve quindi ritenersi che, in sede di procedimento disciplinare a seguito di sentenza di patteggiamento, in nessun caso l'Amministrazione possa recepire acriticamente l'«affermazione di responsabilità» contenuta nella pronuncia penale, dovendo invece valutarne l'«accertamento di responsabilità», la cui utilizzabilità in quanto tale e come fonte esclusiva di convincimento transita, con ogni evidenza, attraverso la verifica della completezza di detto accertamento (in caso contrario, incombendo all'Amministrazione il compimento di tutti gli accertamenti che il caso richiede).

Non può quindi escludersi che, a seguito della sentenza di patteggiamento, l'Amministrazione abbia necessità, in sede disciplinare, di compiere autonomi accertamenti: con la conseguenza che, se la sentenza di patteggiamento non sempre e in ogni caso comporta la necessità di nuovi accertamenti in sede disciplinare, questi ultimi possono - o meno - essere necessari, a seconda del concreto atteggiarsi dell'accertamento penale posto a base della sentenza (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 1° settembre 2000 n. 4647).

In tali termini ha avuto modo di esprimersi anche questa Sezione, rilevando che, se è vero che ai fini del giudizio disciplinare a carico del pubblico dipendente non è sufficiente, per affermarne la responsabilità, il solo fatto della condanna patteggiata (dovendo l'Amministrazione procedere ad un'autonoma valutazione della rilevanza dei fatti), è altrettanto vero che a tale pronunzia penale si può tuttavia fare riferimento per ritenere accertati quei fatti che, emersi nel giudizio penale, o non siano contestati, oppure, in base ad un ragionevole apprezzamento delle risultanze processuali, appaiano fondatamente ascrivibili al dipendente (T.A.R. Lazio, sez. I-bis, 25 giugno 2001 n. 5678).

1.3 Tutto ciò considerato, lo svolgimento, ad opera della procedente Amministrazione in sede disciplinare, di ulteriori ed autonomi accertamenti dei fatti necessita di ulteriori precisazioni in ordine al quando ed al quomodo.

Deve anzitutto ribadirsi che autonomi accertamenti non sono necessari allorché la sentenza penale di patteggiamento si basi su un accertamento completo, il che si verifica, di regola:

a) in caso di sentenza di patteggiamento pronunciata in esito al dibattimento di primo grado o nel giudizio di impugnazione, nell'ipotesi di cui all'art. 448, I comma, c.p.p., nella quale a base del patteggiamento vi è anche la istruttoria dibattimentale;

b) in caso di richiesta di patteggiamento formulata nell'udienza dibattimentale prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, ai sensi dell'art. 446 comma I e 135, disp. att., c.p.p., in cui il giudice utilizza tutti gli atti di indagine del Pubblico ministero.

Deve, in secondo luogo, osservarsi, utilizzando le parole della citata decisione della Corte costituzionale, che la pronuncia penale di patteggiamento può essere richiamata «per i fatti non controversi».

In ordine alle modalità con cui vanno condotti gli ulteriori accertamenti, deve muoversi dalla premessa che l'Amministrazione non ha la competenza, le strutture e gli strumenti per compiere indagini di tipo penale.

Pertanto, deve ammettersi che in sede disciplinare l'Amministrazione possa avvalersi delle risultanze delle indagini penali poste in essere nel procedimento sfociato nella sentenza di patteggiamento (in tal senso, cfr. anche Cons. Stato, sez. VI, 28 marzo 2000 n. 1803).

Inoltre, a fronte di una sentenza di patteggiamento che contenga un accertamento, sia pure sommario, di responsabilità, è onere del dipendente inquisito in sede disciplinare fornire all'Amministrazione il tema di indagine, indicando quali sono gli elementi a discarico su cui l'Amministrazione deve indirizzare i suoi accertamenti.

In sintesi, in sede di procedimento disciplinare a seguito di sentenza penale di patteggiamento, la necessità o meno di autonomi accertamenti da parte dell'Amministrazione discende dal concreto atteggiarsi della pronuncia penale, e dalla sommarietà o completezza dell'accertamento di responsabilità posto a base della stessa; autonomi accertamenti da parte dell'Amministrazione non dimostrandosi necessari:

- se l'accertamento dei fatti in sede penale è già esaustivo;

- per i fatti non controversi.

Qualora, invece, autonomi accertamenti si dimostrino necessari:

- l'Amministrazione può utilizzare gli atti di indagine penale posti in essere nel procedimento sfociato nella sentenza di patteggiamento;

- è - comunque - onere dell'inquisito indicare gli elementi a suo discarico su cui l'Amministrazione deve indirizzare i nuovi accertamenti.

2. Alla luce delle considerazioni che precedono, va esaminato il caso di specie.

Il ricorrente sig. Siviero Gianmarco Fabio veniva rinviato a giudizio, con decreto del G.I.P. presso il Tribunale di Torino, per rispondere dei reati:

- di cui agli artt. 110 e 314 c.p., in quanto, in concorso con altri, si impossessava di alcune stecche di sigarette appartenenti alla P.A., sequestrate per motivi di servizio ad un cittadino extracomunitario;

- di cui all'art. 196, I comma, c.p.m.p., in quanto, nella qualità di brigadiere dell'Arma dei carabinieri e capo pattuglia, minacciava un suo sottoposto perché rendesse dichiarazioni contrarie al vero.

Con sentenza n. 1169/95 del 16 novembre 1995, la III Sezione penale del Tribunale di Torino (investita della controversia a seguito del citato decreto di rinvio a giudizio), nel dare atto:

- che la qualificazione dei fatti è avvenuta in maniera conforme alle risultanze processuali e che non vi è spazio per un possibile proscioglimento dell'imputato ai sensi dell'art. 129 c.p.p.;

- che le risultanze degli atti di causa comprovano l'impossessamento, ad opera del Siviero, degli oggetti di cui al capo di imputazione (ottenuti durante una perquisizione a carico di cittadino extracomunitario), nonché delle minacce dall'imputato rivolte ad un suo sottoposto affinché questi non rivelasse quanto a sua conoscenza;

disponeva a carico dell'odierno ricorrente, su richiesta delle parti ed ai sensi dell'art. 444 c.p.p., l'applicazione della già menzionata pena di anni 1, mesi 4 e giorni 10 di reclusione, con concessione della sospensione condizionale della pena.

Di quanto sopra dato atto, deve escludersi che, relativamente alla sottoposta vicenda ed in considerazione del carattere esaustivo contenuto nella pronunzia di applicazione di pena patteggiata dei fatti ascritti alla responsabilità dell'odierno ricorrente, ricorresse - alla stregua di quanto sottolineato al precedente punto 1. - alcun obbligo in capo alla procedente Amministrazione della Difesa:

- di procedere ad un rinnovato ed autonomo accertamento delle circostanze a tali fini rilevanti, atteso che, anche nell'atto introduttivo del presente giudizio, il sig. Siviero non ha in alcun modo contestato la materialità dei fatti al medesimo ascritti in sede penale e che la stessa sentenza come sopra resa dal Tribunale di Torino, nel dare atto dell'assenza di presupposti idonei a fondare un possibile proscioglimento dell'imputato, ha ritenuto che la qualificazione dei fatti fosse avvenuta in maniera conforme alle risultanze processuali;

- di provvedere, altresì, all'escussione dei testi dal ricorrente indicati nell'ambito dell'avviato procedimento disciplinare, atteso che la relativa prova testimoniale era preordinata, come dal Siviero confermato (cfr. pag. 5 del ricorso), ad illustrare "alcune caratteristiche del ricorrente sotto il profilo della professionalità e del rendimento in servizio" e non già ad addurre elementi nuovi e/o ulteriori di giudizio riguardanti la vicenda penale (e la materialità dei fatti e delle circostanze in tale sede emersa) che ha dato luogo all'instaurazione del procedimento disciplinare stesso.

Quanto alla graduazione della misura disciplinare al ricorrente inflitta, si dimostra poi infondata la censura di mancato apprezzamento della gravità del fatto, atteso che, come reso palese dal contenuto della gravata determinazione, l'Autorità decidente ha ritenuto di discostarsi dalle conclusioni rese dalla Commissione di disciplina (che aveva ritenuto, con verbale di cui alla seduta del 9 luglio 1996, il ricorrente "non meritevole di conservare il grado"), valutando il giudizio da tale organo formulato "particolarmente severo in relazione agli addebiti mossi".

La disposta sanzione della sospensione disciplinare dall'impiego per la durata di mesi dodici risulta poi adeguatamente motivata - previo apprezzamento della gravità degli addebiti all'interessato mossi - con riferimento alla "deplorevole condotta lesiva dell'immagine dell'Istituzione" tenuta dal ricorrente, incorso "in mancanza disciplinare di particolare gravità data la rilevanza dell'addebito connesso a fatto penale e commesso in violazione dei doveri d'ufficio"; dovendosi ulteriormente rammentare come, per consolidato insegnamento giurisprudenziale, la quantificazione della sanzione disciplinare costituisca tipica espressione di una valutazione discrezionale della Pubblica Amministrazione, sindacabile dal giudice amministrativo:

- solo quando sia ravvisabile una manifesta incongruità (cfr., fra le numerose pronunzie in tal senso, T.A.R. Lombardia, Milano, 6 aprile 2000 n. 2701 e 5 novembre 1998 n. 2543; T.A.R. Liguria, sez. II, 21 marzo 1997 n. 89);

- e con limitazione ai soli casi (non identificabili con la fattispecie in esame) in cui sussista una evidente sproporzione fra i fatti contestati ed accertati e la misura medesima (Cons. Stato, sez. VI, 12 novembre 1996 n. 1553; T.A.R. Calabria, Catanzaro, 31 maggio 2000 n. 637).

3. Se le considerazioni precedentemente rassegnate inducono ad escludere che le censure con il presente gravame dedotte dal ricorrente rivestano carattere di condivisibile fondatezza, va da ultimo decisamente confutata la giuridica praticabilità dell'operazione di "ponderazione comparativa" dalla parte ricorrente posta in essere con riferimento ad altre - ed eterogenee - vicende che, pur rilevanti in sede penale, non avrebbero dato luogo all'inflizione di analoghe sanzioni disciplinari; ovvero, a fronte delle quali l'Amministrazione della Difesa avrebbe addirittura omesso l'avvio di alcun procedimento disciplinare.

In linea di principio, deve innanzi tutto osservarsi che l'astratta configurabilità del vizio di eccesso di potere per disparità di trattamento, se può venire in considerazione in presenza di un illecito disciplinare al quale abbiano concorso più dipendenti, nel caso in cui il procedimento disciplinare si sia concluso con l'irrogazione di atti sanzionatori radicalmente diversificati (cfr. T.A.R. Piemonte, sez. I, 6 aprile 1995 n. 259), si dimostra, al contrario, improponibile in presenza di situazioni che non siano oggettivamente e soggettivamente identiche.

Quanto al caso di specie, deve decisamente escludersi che la graduazione della sanzione operata con l'inflizione della gravata misura disciplinare possa ritenersi inficiata alla luce del profilo di censura ora all'esame, in quanto:

- la radicale eterogeneità delle vicende, dal ricorrente evocate, rende concettualmente e giuridicamente inassimilabili posizioni individuali distinte, le quali abbiano formato oggetto di diversificata considerazione, da parte dell'Amministrazione, in sede di esercizio dell'azione disciplinare;

- conseguentemente non dimostrandosi configurabile alcun vizio nell'apprezzamento della gravità del fatto ascritto nella fattispecie al ricorrente, con riferimento ad elementi comparativi che non si dimostrano utilmente apprezzabili in ragione della divisata assenza di elementi fattuali aventi analogo rilievo e/o consistenza.

4. Conclusivamente ribadita l'infondatezza delle dedotte censure, non può esimersi il Collegio dal respingere l'impugnativa all'esame.

Sussistono giusti motivi per compensare fra le parti le spese di lite.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio - Sezione I-bis - respinge il ricorso indicato in epigrafe.

Spese compensate.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio dell'11 marzo 2002, con l’intervento dei signori giudici

Dr. Cesare MASTROCOLA - Presidente

Dr. Bruno Rosario POLITO - Consigliere

Dr. Roberto POLITI - Consigliere, estensore

Depositata in data 8 aprile 2002.

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