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TAR CAMPANIA-NAPOLI, SEZ. I - Sentenza 22 novembre 2001 n. 4977
- Pres. Coraggio, Est. Carpentieri - Omnitel Pronto Italia s.p.a. (Avv. V. Minervini) c. Comune di Napoli (Avv. B. Crimaldi) e Dirigente del Servizio Edilizia Privata del Dipartimento edilizia interventi speciali del Comune di Napoli (n.c.).1. Silenzio della P.A. - Impugnativa - Presupposti - Notifica di una diffida ad adempiere - Ex art. 15 d.P.R. n. 3/1957 - A seguito della nuova disciplina introdotta dalla L. n. 205/2000 - Non occorre.
2. Giustizia amministrativa - Risarcimento del danno - Per lesione di interessi legittimi - Azione di risarcimento proposta cumulativamente con quella di annullamento del silenzio della P.A. - Inammissibilità.
3. Ambiente - Elettrosmog - Nuova disciplina prevista dalla legge 36 del 2001 - Previsione di atti di normazione secondaria e di pianificazione - Mancanza - Non può precludere ai Comuni di pronunciarsi sulle istanze di attivazione degli impianti soggetti alla nuova disciplina.
1. A seguito dell’entrata in vigore della legge 205/2000 - che, in materia di impugnativa del silenzio della P.A., ha aggiunto l’articolo 21 bis nella legge 1034/1971 – deve ritenersi escluso che l’accesso all’azione di impugnativa del silenzio sia tuttora condizionata dal previo esperimento della fase del sollecito a provvedere mediante notifica di apposita diffida e messa e mora ex articolo 25 del T.U. sugli impiegati civili dello Stato di cui al d.P.R. n. 3 del 1957 (presentazione di un’istanza; inutile decorso del termine di sessanta giorni dalla presentazione dell’istanza – o del diverso termine di regolamento o di legge per la conclusione del procedimento; notifica nelle forme degli atti giudiziari all’amministrazione di una diffida a provvedere entro un congruo termine, non inferiore a trenta giorni; ulteriore inerzia dell’amministrazione; impugnazione del "silenzio" a partire dallo spirare del trentesimo giorno assegnato in diffida) (1).
Deve pertanto ritenersi ammissibile l’impugnativa di un silenzio (nella specie, formatosi su alcune istanze per il rilascio di autorizzazione/concessione edilizia per la realizzazione di stazioni radio base per il servizio di telefonia GSM) non preceduta dalla preventiva diffida per costituire il silenzio prevista dall’articolo 25 del T.U. sugli impiegati civili dello Stato di cui al d.P.R. n. 3 del 1957.
2. E’ inammissibile – per evidente incompatibilità di rito – una domanda risarcitoria proposta in via cumulativa con un ricorso con il quale si impugna il silenzio della P.A.
3. Il mancato completamento del quadro normativo prefigurato dalla legge n. 36 del 2001 – d.P.R. sulle misure di tutela dell’ambiente e del paesaggio ex articolo 5 l. 36/2001, individuazione regionale dei siti di trasmissione e degli impianti per telefonia mobile ex articolo 8, comma 1, lettera a) stessa legge, regolamenti comunali ex articolo 8, comma 6 – in mancanza di un’espressa previsione legislativa introduttiva di misure di salvaguardia (del genere di quelle previste dalla legge 3 novembre 1952 n. 1902), nelle more dell’introduzione di tali atti di normazione secondaria e di pianificazione, non può tradursi nella sospensione sine die dell’obbligo di provvedere motivatamente – nei termini di legge – sulle istanze autorizzatorie medio tempore presentate dai soggetti legittimati, il cui esame dovrà essere assicurato alla stregua del diritto vigente e degli strumenti urbanistici positivamente efficaci nell’ordinamento, nello spirito della norma transitoria di cui all’articolo 16 della legge-quadro sulla protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici (2).
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(1) V. sul punto la nota di commento di G. SARTORIO, Ricorsi in materia di silenzio della p.A., riportata in calce al testo della sentenza in rassegna.
Ha osservato il TAR Campania che a tale conclusione si deve pervenire sulla scorta di due considerazioni, una di natura funzionale, l’altra di carattere sistematico.
Sul piano funzionale, infatti, la nuova legge, nel sancire anche formalmente la rilevanza puramente comportamentale del silenzio (come inerzia e/o inadempimento) consente di portare ancora più innanzi quel processo di superamento del formalismo legato alla visione tradizionale dell’atto presunto o tacito e alla necessità di rendere significativo – con la diffida – il silenzio (altrimenti "muto") dell’amministrazione.
Sul piano sistematico e dei principi, deve osservarsi inoltre che la previsione di cause di inammissibilità dell’azione deve di regola essere espressa nella legge di disciplina dell’azione medesima.
Sul piano dell’interpretazione teleologica, peraltro, secondo il TAR Campania, non si rinviene alcuno scopo pratico attuale della previa diffida e messa in mora che possa essere utile a giustificare il permanere di tale appesantimento degli oneri incombenti sul soggetto leso dall’inadempimento dell’amministrazione all’obbligo di provvedere.
In particolare, come si evince già dalla decisione n. 10 del 1978 dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, la diffida era, da una parte, legata ad esigenze di tutela del privato che, in una logica ancora impugnatoria – sia pur discussa – era esposto alla sopravvenienza di una inoppugnabilità di cui poteva essere incolpevole; dall’altra era finalizzata alla esigenza di dare all’amministrazione un’ultima possibilità di provvedere prima di essere spogliata dall’intervento del giudice (nell’ottica, molto diffusa nella giurisprudenza amministrativa, dell’estensione dell’oggetto del giudizio all’accertamento della fondatezza della pretesa).
Tutto ciò appare superato dalla interpretazione ormai prevalente dell’articolo 21 bis, incentrato sull’accertamento del mero obbligo di provvedere, in relazione al diritto soggettivo della parte di ottenere una pronunzia motivata dell’amministrazione (Tar Lazio, sez. I, 12 gennaio2001 n. 125 (ord.); Tar Campania, Napoli, sez. II, 16 dicembre 2000 n. 4726; Tar Sicilia, Catania, sez. II, 10 febbraio 2000 n. 293; Tar Abruzzo, Pescara, 26 gennaio 2001 n. 57; Cons. Stato, comm. speciale, 17 gennaio 2001 n. 1242/2000); interpretazione in base alla quale non è ipotizzabile una convalescenza del comportamento inerte della p.a., che è e resta per sé illegittimo e insuscettibile di consolidarsi (ciò che invece sarebbe ipotizzabile ove si trattasse azione di impugnazione di un tacito diniego-rigetto della domanda).
(2) Ha osservato in proposito il TAR Campania che l’inconveniente - costituito dalla possibilità che l’esame delle singole domande autorizzatorie prima della regolamentazione possa pregiudicare l’assetto territoriale e la localizzazione degli impianti de quibus - può essere adeguatamente evitato mediante il tempestivo esercizio del potere regolamentare comunale di cui al comma 6 dell’articolo 8 della legge 36/2001 che, riposando sugli ordinari poteri regolamentari comunali in materia di edilizia e di igiene locale, sembra prescindere dalla necessità del previo completamento del quadro normativo regolamentare statale e dall’esercizio delle funzioni pianificatorie regionali; nonché che il quadro normativo vigente non appare privo di sufficienti elementi e riferimenti in base ai quali l’ente locale possa garantire un’adeguata cura dei beni-interessi urbanistico-edilizi e sanitario-ambientali coinvolti dalla fattispecie, mediante una corretta localizzazione degli impianti generanti campi elettromagnetici significativi.
II
TAR CAMPANIA-NAPOLI, SEZ. IV - Sentenza 20 novembre 2001 n. 4875 - Pres. Corsaro, Est. Pascone - Società italiana alberghi e servizi (S.I.A.S.) (Avv.ti G. Sartorio e E. Patroni Griffi) c. Comune dì Forio d’Ischia (n.c.).
1. Silenzio della P.A. - Impugnativa - Disciplina prevista dall’art. 2 L. n. 205/2000 - Applicabilità anche ai casi di silenzio-rigetto - Fattispecie in materia di silenzio formatosi su istanza di accertamento di conformità ex art. 13 L. n. 47/1985.
2. Silenzio della P.A. - Impugnativa - Disciplina prevista dall’art. 2 L. n. 205/2000 - Decisione con sentenza in forma abbreviata - Possibilità solo per ciò che concerne la dichiarazione in astratto dell’obbligo di provvedere.
1.
La speciale procedura in materia del silenzio-rifiuto prevista dall’art. 2 della legge n. 205 del 2000 è da ritenere applicabile anche alle ipotesi in cui il silenzio-rifiuto sia in effetti un provvedimento di carattere negativo piuttosto che una mera omissione a decidere da parte dell’Amministrazione; tale procedura, pertanto, è in particolare applicabile anche nel caso del silenzio previsto dall'articolo 13 della legge n. 47 del 1985, che si forma dopo 60 giorni dalla data di presentazione dell’istanza di accertamento di conformità (1).2. Nel caso in cui sia stato impugnato il silenzio-rifiuto non solo per i profili relativi alla illegittimità del comportamento emissivo dell'Amministrazione ma anche per gli aspetti che ineriscono alla valutazione del merito della richiesta (nella specie, di accertamento di conformità ex art. 13 L. n. 47/1985), occorre distinguere, attesa la specialità della procedura di cui all’articolo 2 della legge n. 205 del 2000, la parte del ricorso per cui ricorrono gli estremi di carattere processuale e sostanziale per una disamina accelerata (e che pertanto può decidersi la controversia con sentenza in forma abbreviata) e gli aspetti del petitum che richiedono, per ovvie ragioni, l'esame in udienza pubblica con le formalità ivi prescritte e non certo nella misura meno formale della Camera di consiglio.
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(1) V. sul punto la nota di commento di G. SARTORIO, Ricorsi in materia di silenzio della p.A., riportata in calce al testo della sentenza in rassegna.
I
avverso
<<il silenzio serbato dal Comune di Napoli sulle seguenti istanze della OMNITEL, presentate al comune di Napoli nelle date di seguito indicate, per il rilascio di autorizzazione/concessione edilizia alla realizzazione di stazioni radio base per il servizio di telefonia GSM da installare nei siti di seguito indicati:
1) 13 dicembre 2000, prot. comunale n. 868, sito Rione Traiano Via Tertulliano n. 179, individuato all’U.T.E. di Napoli al fg.41, p.lla 21;
2) 4 ottobre 2000, prot. comunale n. 703 - lastrico solare di un fabbricato ubicato alla Via Foria n. 184, individuato all’U.T.E. di Napoli al fg.11, p.lla 231;
3) mese di gennaio 2001, prot. comunale n. 63 - lotto di terreno sito al Rione Chiaiano alla Via Arco di Polvica n. 35, individuato all’U.T.E. di Napoli al fg.4, p.lla 1234;
4) 17 gennaio 2001, - lastrico solare dell’edificio denominato "Palazzo Metropolis" sito al Centro Direzionale di Napoli;
5) 28 febbraio 2001, prot. comunale n. 132 - lastrico solare dell’edificio in Piazza degli Artisti n. 27, individuato all’U.T.E. di Napoli al fg. 8, p.lla 867;
6) 26 febbraio 2001, prot. comunale n. 131 - lotto di terreno sito al Rione Ponticelli alla Contrada Pignatiello, individuato all’U.T.E. di Napoli al fg. 92, p.lla 146;
7) mese di gennaio 2001, - lotto di terreno sito alla Via L. Bianchi, individuato all’U.T.E. di Napoli al fg. 50, p.lla 894, sez. CHA:
8) 16 gennaio 2001 - lastrico solare del fabbricato sito al Corso A. Lucci – Stazione Centrale Ferrovie dello Stato – Palazzo Amministrazione;
nonché per la declaratoria
dell’obbligo del Comune di Napoli di emanare i provvedimenti favorevoli in relazione alle istanze Omnitel sopra specificate,
e per la condanna
<<del Comune di Napoli, in persona del Sindaco p.t., in eventuale rapporto di solidarietà con il Dirigente del Servizio Edilizia Privata del dipartimento edilizia interventi speciali del Comune di Napoli, al risarcimento del danno derivante alla ricorrente dal comportamento omissivo>>;
(omissis)
FATTO E DIRITTO
Con i ricorsi in trattazione – che possono riunirsi e definirsi con un’unica decisione attesa la loro evidente connessione oggettiva e soggettiva – la Omnitel s.p.a. agisce ex articolo 21 bis l. 1034/1971 (e successive modifiche e integrazioni) avverso il silenzio serbato dal comune di Napoli su otto domande di concessione/autorizzazione edilizia presentate tra il mese di ottobre del 2000 e il mese di febbraio del 2001 per la realizzazione di altrettanti impianti fissi di telefonia cellulare (cd. stazioni radio-base) in diverse località ricadenti nel territorio comunale.
La società ricorrente ha altresì chiesto la condanna del comune intimato al risarcimento dei danni subiti per effetto del comportamento omissivo contestato.
Il comune di Napoli resiste eccependo in rito l’inammissibilità dei ricorsi poiché non risulta notificata la rituale e previa diffida per costituire il silenzio; contestando quindi nel merito la fondatezza dell’avverso assunto sul rilievo che l’amministrazione non avrebbe mantenuto un comportamento inerte e adducendo, a giustificazione del ritardo nel provvedere, il proprio impegno da alcuni anni in iniziative volte al coinvolgimento costante di tutti i soggetti pubblici e privati interessati onde prevenire ogni situazione di rischio per la salute umana, contemperando le esigenze di salvaguardia della popolazione con quelle dello sviluppo tecnoclogico, consistito nella promozione di numerosi incontri e riunioni, nella collaborazione con l’Università degli studi Federico II, con la Asl Na 1, con il CNR e con le stesse società di telefonia mobile, nella redazione del noto accordo quadro con i gestori di telefonia cellulare (approvato, con modifiche, dal consiglio comunale con delibera n. 273 del 26 luglio 1999, in parte sospesa in sede cautelare da questo Tar in relazione a talune modifiche restrittive unilateralmente apportate dall’organo consiliare). Ha altresì addotto il "vuoto normativo" tuttora perdurante nella materia (nonostante la legge quadro 36/2001 e in attesa del completamento del quadro normativo secondario di riferimento) ed ha riferito dell’avvio delle procedure per la modifica del regolamento edilizio comunale. La difesa comunale ha infine preannunciato la prossima ripresa del rilascio delle autorizzazioni, essa stessa ammettendo l’inammissibilità di una moratoria a tempo indeterminato.
Alla camera di consiglio del 19 settembre 2001 le cause in esame, previa discussione dei procuratori delle parti, sono state introitate in decisione.
Il Collegio osserva che la società ricorrente (come del resto eccepito dalla difesa comunale) non ha interposto, tra le originarie domande di provvedimenti autorizzatori edilizi e la notifica degli odierni gravami, alcuna intermedia diffida e messa in mora a provvedere nei confronti dell’amministrazione comunale convenuta.
Si pone dunque la questione se, dopo le innovazioni legislative più recenti (legge 241/1990 e l. 205/2000), debba ancora valere la tradizionale giurisprudenza che condiziona l’ammissibilità del ricorso avverso il silenzio dell’amministrazione al previo esperimento della fase del sollecito a provvedere mediante notifica di apposita diffida e messa e mora ex articolo 25 del t.u. sugli impiegati civili dello Stato di cui al d.P.R. n. 3 del 1957 (presentazione di un’istanza; inutile decorso del termine di sessanta giorni dalla presentazione dell’istanza – o del diverso termine di regolamento o di legge per la conclusione del procedimento; notifica nelle forme degli atti giudiziari all’amministrazione di una diffida a provvedere entro un congruo termine, non inferiore a trenta giorni; ulteriore inerzia dell’amministrazione; impugnazione del "silenzio" a partire dallo spirare del trentesimo giorno assegnato in diffida).
Ora, sul punto della attualità del tradizionale procedimento di formazione del silenzio-rifiuto elaborato dalla giurisprudenza amministrativa (Cons. St., ad. plen. n. 10 del 10 marzo 1978) pur dopo l’entrata in vigore della legge 241 del 1990 (che ha introdotto la obbligatoria conclusione, con atto espresso e motivato, dei procedimenti amministrativi iniziati d’ufficio o su istanza di parte, entro termini definiti dai regolamenti dei singoli enti e, in mancanza, entro il generale termine di trenta giorni), non vi è unanimità di vedute in giurisprudenza.
Affermano, ad esempio, l’impugnabilità immediata del silenzio e la non necessità della procedura ex articolo 25 l. 3/1957, Tar Calabria, Reggio Calabria, 23 maggio 2000 n. 774 (che cita TRGA Trento 4 novembre 1996 n. 305) e 23 novembre 2000 n. 1956; Tar Lazio, sez. II, 17 marzo 2000 n. 1970 (che evidenzia l’illegittimità intrinseca, dopo la legge 241 del 1990, dell’inerzia della p.a., che è direttamente lesiva della pretesa del soggetto a una pronuncia motivata sull’istanza). Con specifico riguardo all’incidenza sul tema della legge 205 del 2000, Tar Sicilia, Catania, sez. II, 10 febbraio 2001 n. 293.
Affermano invece la perdurante necessità di tale procedura, oltre a una recente pronuncia di questa stessa sezione I del Tar Campania, Napoli (20 ottobre 2000 n. 3897), Cons. St., sez. IV, 7 dicembre 2000 n. 6494; sez. V, 14 luglio 1997 n. 820; id., 18 novembre 1997 n. 1331; C.G.A. 23 dicembre 1999 n. 665; Cons. St., sez. III, parere 2 giugno 1998 n. 113/98; Tar Lombardia, Brescia, 11 novembre 1999 n. 956; Tar Campania, Napoli, sez. II, 30 gennaio 2001 n. 503, 4 gennaio 2000 n. 2 e 24 dicembre 1999 n. 3334; Tar Lazio, sez. III bis, 31 gennaio 2000 n. 530; Tar Sardegna, 2 maggio 2000 n. 352; Tar Campania, Salerno, sez. I, 6 ottobre 2000 n. 657; Tar Lazio, sez. I, 27 novembre 2000 n. 10280; Tar Lombardia, Milano, sez. II, 22 gennaio 2001 n. 134; Tar Lazio, Latina, 13 marzo 2001 n. 283.
Osserva il Collegio che la nuova legge 205/2000 - che ha aggiunto l’articolo 21 bis nella legge 1034/1971 – pur non introducendo novità testuali risolutive in via diretta della questione, offre nondimeno due argomenti – uno funzionale, l’altro sistematico – che impongono di rivedere la tradizionale posizione interpretativa e di escludere che l’accesso all’azione di impugnativa del silenzio sia tuttora condizionata dal previo esperimento della suddescritta procedura di messa in mora dell’amministrazione.
Sul piano funzionale la nuova legge, nel sancire anche formalmente la rilevanza puramente comportamentale del silenzio (come inerzia e/o inadempimento) consente di portare ancora più innanzi quel processo di superamento del formalismo legato alla visione tradizionale dell’atto presunto o tacito e alla necessità di rendere significativo – con la diffida – il silenzio (altrimenti "muto") dell’amministrazione. Ancorché la nozione comportamentale del silenzio della p.a. costituisca già da tempo acquisizione consolidata e costante nella giurisprudenza del g.a. (almeno dalle pronunzie dell’adunanza plenaria del Consiglio di Stato nn. 10 del 1978 e 16 del 1989, che ha ripreso le conclusioni di ad. plen. n. 8 del 1960, contro la tesi "attizia" di ad. plen. n. 4 del 1978), la consacrazione normativa di tale impostazione – avvenuta con la legge 205 - non può restare priva di conseguenze sul piano interpretativo.
Sul piano sistematico e dei principi, deve osservarsi che la previsione di cause di inammissibilità dell’azione deve di regola essere espressa nella legge di disciplina dell’azione medesima. Nel caso in esame, invece, il nuovo articolo 21 bis citato – che pure è il luogo normativo in cui l’azione avverso il silenzio trova la propria piena e diretta disciplina – nulla dice in ordine a una siffatta condizione dell’azione, che troverebbe dunque il suo unico fondamento in una tradizione giurisprudenziale formatasi prima e al di fuori della legge e in un contesto (quello dell’atto presunto e tacito da rendere significativo) del tutto diverso e incompatibile con quello attuale, nel quale la nuova azione contro il silenzio della p.a. – prevista dall’articolo 21 bis della legge 1034/1971 come novellata dalla legge 205/2000 – è volta a sanzionare il silenzio come fatto di inadempimento dell’obbligo di provvedere e prescinde dal qualsivoglia significato implicito possa attribuirsi all’atteggiamento passivo dell’amministrazione.
Sul piano dell’interpretazione teleologica, non si rinviene alcuno scopo pratico attuale della previa diffida e messa in mora che possa essere utile a giustificare il permanere di tale appesantimento degli oneri incombenti sul soggetto leso dall’inadempimento dell’amministrazione all’obbligo di provvedere.
In particolare, come si evince già dalla citata pronuncia 10 del 1978 dell’adunanza plenaria del Consiglio di Stato, la diffida era, da una parte, legata ad esigenze di tutela del privato che, in una logica ancora impugnatoria – sia pur discussa – era esposto alla sopravvenienza di una inoppugnabilità di cui poteva essere incolpevole; dall’altra era finalizzata alla esigenza di dare all’amministrazione un’ultima possibilità di provvedere prima di essere spogliata dall’intervento del giudice (nell’ottica, molto diffusa nella giurisprudenza amministrativa, dell’estensione dell’oggetto del giudizio all’accertamento della fondatezza della pretesa).
Tutto ciò appare superato dalla interpretazione ormai prevalente dell’articolo 21 bis, incentrato sull’accertamento del mero obbligo di provvedere, in relazione al diritto soggettivo della parte di ottenere una pronunzia motivata dell’amministrazione (Tar Lazio, sez. I, 12 gennaio2001 n. 125 (ord.); Tar Campania, Napoli, sez. II, 16 dicembre 2000 n. 4726; Tar Sicilia, Catania, sez. II, 10 febbraio 2000 n. 293; Tar Abruzzo, Pescara, 26 gennaio 2001 n. 57; Cons. St., comm. speciale, 17 gennaio 2001 n. 1242/2000); interpretazione in base alla quale non è ipotizzabile una convalescenza del comportamento inerte della p.a., che è e resta per sé illegittimo e insuscettibile di consolidarsi (ciò che invece sarebbe ipotizzabile ove si trattasse azione di impugnazione di un tacito diniego-rigetto della domanda).
Neppure dunque al fine di rendere inoppugnabile il comportamento inerte (il che è inconfigurabile, perdurando l’inadempimento dell’obbligo di provvedere), o di stabilire un dies a quo certo per il termine di impugnativa, soccorre utilmente la tesi della necessità di una preventiva diffida e messa in mora dell’amministrazione.
Salvo il caso in cui sia ragionevole ritenere che la domanda sia stata abbandonata e salvo il caso di atti successivi che la rendano priva di interesse, essa in realtà continua ad attivare l’obbligo di provvedere dell’amministrazione, del tutto indipendentemente dal fatto che il soggetto abbia "tempestivamente" impugnato il silenzio, poiché l’azione non ha natura impugnatoria (non c’è alcun atto tacito o implicito o presunto da impugnare), ma dichiarativa e di condanna.
Del resto l’articolo 21 bis nulla dice circa l’assoggettamento dell’azione al termine di decadenza e parla di ricorsi avverso il silenzio dell'amministrazione e non di ricorso di impugnazione del silenzio dell’amministrazione.
La speciale procedura dell’articolo 25 del d.P.R. n. 3 del 1957 deve essere dunque restituita alla sua funzione originaria di meccanismo volto alla ricostruzione di un titolo di responsabilità in capo al funzionario inadempiente, con esclusione di ogni suo strumentale significato sul diverso piano della ricostruibilità di un atto tacito possibile oggetto di impugnazione e con esclusione di una sua impropria utilizzabilità pretoria come causa di inammissibilità (extra legem) dell’azione avverso il silenzio della p.a..
Né a diverse conclusioni può indurre la considerazione dello specifico regime procedurale previsto per il rilascio dei titoli autorizzatori edilizi dall’articolo 4 del d.l. 5 ottobre 1993 n. 398 (conv. con modif. in l. 4 dicembre 1993 n. 493), come sostituito dall’articolo 2 della legge 23 dicembre 1996 n. 662.
Lo speciale procedimento de quo, in primo luogo, non introduce alcuna tipizzazione legale del silenzio dell’amministrazione, in relazione alla quale avrebbe potuto riproporsi l’esigenza di un’azione impugnatoria (dell’atto implicito tipizzato dalla legge).
In secondo luogo, la normativa ora richiamata non prevede aliunde alcun onere di messa in mora dell’amministrazione, quale condizione della successiva azione avverso il silenzio. Essa introduce una tempistica rigorosa e dettagliata di svolgimento del procedimento per il rilascio della concessione edilizia e prevede, ai commi 5 e 6, che decorso inutilmente il termine per l'emanazione del provvedimento conclusivo, l'interessato può, con atto notificato o trasmesso in plico raccomandato con avviso di ricevimento, richiedere all'autorità competente di adempiere entro quindici giorni dal ricevimento della richiesta. 6. Decorso inutilmente anche il termine di cui al comma 5, l'interessato può inoltrare istanza al presidente della giunta regionale competente, il quale, nell'esercizio di poteri sostitutivi, nomina entro i quindici giorni successivi, un commissario ad acta che, nel termine di trenta giorni, adotta il provvedimento che ha i medesimi effetti della concessione edilizia.
Le trascritte previsioni normative, tuttavia, attengono al diverso profilo dell’attivazione dei poteri sostitutori regionali in funzione di rimedio all’inerzia dell’ente locale ordinariamente competente e attribuiscono al soggetto interessato una facoltà – la norma adopera la locuzione può -, ma non gli impongono un onere o un obbligo.
Esse quindi non implicano conseguenze dirette nel diverso campo delle condizioni e dei presupposti processuali per l’azione in sede giurisdizionale avverso il silenzio dell’amministrazione. Il rimedio endoamministrativo, mediante il ricorso ai poteri di controllo sostitutorio sugli enti e gli organi ordinariamente competenti rimasti inerti, è concorrente rispetto a quello giurisdizionale dell’impugnativa del silenzio, né vi sono norme processuali che condizionino il secondo rimedio all’infruttuoso esperimento del primo. Non pare dunque corretto inferire dalla speciale previsione dei commi 5 e 6 dell’articolo 4 del d.l. 398/1993 conseguenze dirette rilevanti sul diverso piano del rimedio giurisdizionale ex articolo 21 bis legge Tar avverso il silenzio del comune sulla domanda di concessione edilizia inoltrata dal privato.
Ne deriva che l’impugnativa in esame è ammissibile in rito e deve essere esaminata nel merito.
Resta invece inammissibile – per evidente incompatibilità di rito – la domanda risarcitoria proposta in via cumulativa nello stesso ricorso introduttivo di impugnativa del silenzio.
Nel merito le azioni proposte risultano in parte fondate, nei limiti dell’affermazione dell’obbligo di provvedere.
Nessun dubbio sussiste sull’astratta legittimazione della società ricorrente – operatore della telefonia mobile concessionario del servizio per la installazione e gestione della seconda rete nazionale di telefonia mobile con sistema GSM – a domandare la concessione e/o autorizzazione edilizia de qua per l’installazione di una stazione radio base finalizzata alla gestione del suddetto servizio.
Deve altresì evidenziarsi che, rispetto alle date di presentazione delle domande di concessione/autorizzazione edilizia per cui è causa, è ampiamente decorso il termine di legge (120 giorni +10+15) per la conclusione del procedimento e il rilascio della concessione, previsto dall’articolo 4, commi 2 e 4 (per i comuni con più di 100.000 abitanti) del d.l. 5 ottobre 1993 n. 398.
Il comune di Napoli si difende affermando di non essere rimasto inerte nel lasso di tempo intercorrente tra la presentazione delle domande e le odierne azioni giurisdizionali, poiché nel frattempo, come già innanzi esposto, avrebbe attivato consultazioni, incontri, studi, accordi e avrebbe altresì avviato la modifica del regolamento edilizio, e attenderebbe infine il completamento del quadro normativo di riferimento a seguito dell’introduzione della legge quadro n. 36 del 2001.
Di contro la Sezione ha già avuto modo di affermare che il mancato completamento del quadro normativo prefigurato dalla legge 36 del 2001 – d.P.R. sulle misure di tutela dell’ambiente e del paesaggio ex articolo 5 l. 36/2001, individuazione regionale dei siti di trasmissione e degli impianti per telefonia mobile ex articolo 8, comma 1, lettera a) stessa legge, regolamenti comunali ex articolo 8, comma 6 – in mancanza di un’espressa previsione legislativa introduttiva di misure di salvaguardia (del genere di quelle previste dalla legge 3 novembre 1952 n. 1902) nelle more dell’introduzione di tali atti di normazione secondaria e di pianificazione, non può tradursi nella sospensione sine die dell’obbligo di provvedere motivatamente – nei termini di legge – sulle istanze autorizzatorie medio tempore presentate dai soggetti legittimati, il cui esame dovrà essere assicurato alla stregua del diritto vigente e degli strumenti urbanistici positivamente efficaci nell’ordinamento, nello spirito della norma transitoria di cui all’articolo 16 della legge quadro sulla protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici.
La Sezione ha soggiunto che l’inconveniente - costituito dalla possibilità che l’esame delle singole domande autorizzatorie prima della regolamentazione possa pregiudicare l’assetto territoriale e la localizzazione degli impianti de quibus - può essere adeguatamente evitato mediante il tempestivo esercizio del potere regolamentare comunale di cui al comma 6 dell’articolo 8 della legge 36/2001 che, riposando sugli ordinari poteri regolamentari comunali in materia di edilizia e di igiene locale, sembra prescindere dalla necessità del previo completamento del quadro normativo regolamentare statale e dall’esercizio delle funzioni pianificatorie regionali; nonché che il quadro normativo vigente non appare privo di sufficienti elementi e riferimenti in base ai quali l’ente locale possa garantire un’adeguata cura dei beni-interessi urbanistico-edilizi e sanitario-ambientali coinvolti dalla fattispecie, mediante una corretta localizzazione degli impianti generanti campi elettromagnetici significativi.
Alla stregua di tali canoni di giudizio l’azione avverso il silenzio proposta dalla società Omnitel deve giudicarsi fondata e meritevole di accoglimento, con conseguente pronuncia dell’ordine di provvedere a carico del comune intimato, sulle istanze di parte ricorrente indicate in epigrafe, nel termine di giorni trenta dalla notifica di parte o dalla comunicazione amministrativa della presente sentenza.
Sussistono giusti motivi per disporre l’integrale compensazione tra le parti delle spese di causa.
P.Q.M.
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE DELLA CAMPANIA, SEZIONE I^, definitivamente pronunciando sui ricorsi in epigrafe indicati, letto ed applicato l’articolo 21 bis della legge 1034/1971 (e successive modifiche e integrazioni), ne dispone la riunione, li accoglie e, per l’effetto, ordina al Comune di Napoli, in persona del Sindaco p.t., di provvedere con atto espresso e motivato sulle istanze in epigrafe indicate inoltrate dalla società Omnitel Pronto Italia s.p.a., entro il termine di giorni 30 (trenta) decorrente dalla notifica di parte o dalla comunicazione amministrativa della presente sentenza.
Dichiara inammissibile la domanda di risarcimento danni.
Spese compensate.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità Amministrativa.
Così deciso in Napoli nelle Camere di Consiglio del 19 settembre e del 17 ottobre 2001.
Il Presidente
Il Relatore
Depositata il 22 novembre 2001.
II
per l'accertamento dell'illegittimità e conseguente annullamento
del silenzio serbato dai Sindaco del Comune di Foro d'Ischia sulla istanza prodotta dalla sig.ra Rosaria Lauro in data 2 gennaio 2001 ed assunta al protocollo dell’Ente in pari data, con il nr. 37, per il rilascio di una concessione edilizia in sanatoria relativa alle opere come evidenziate dall'ordinanza prot. 422 notificata in data 6,11.2000 a firma del Dirigente dell'Ufficio tecnico del Comune di Forio e per la declaratoria dell'obbligo del Comune di Forio d'Ischia ad emanare il provvedimento conclusivo di accoglimento della richiamata istanza presentata dalla sig.ra Rosaria Lauro in data 2.1.2001
(omissis)
FATTO e DIRITTO
La ricorrente, amministratrice della Soc. S.i.a.s s.r.l. con sede in Ischia alla Via Portosalvo n. 8 che è proprietaria dell' Hotel " La Bagatella" sito in Forio d'Ischia in località S. Francesco alla Via T. Cigliano ha impugnato il silenzio-rifiuto intervenuto sulla richiesta di concessione in sanatoria ex articolo 13 della legge n. 47 del 1985 e succ, mod. ed integrazioni dalla stessa avanzata in data 2 gennaio 2001 per la realizzazione di una tettoia in legno.
Presupposto di tale istanza di sanatoria è stata la ordinanza n. 422 del 6.11.2000 con la quale è stata ordinata la demolizione della tettoia con il ripristino dello stato dei luoghi.
Con ordinanza n. 1052 del 2001 in data 7 marzo 2001, il Tribunale amministrativo regionale per la Campania, nel respingere la richiesta cautelare, ha precisato che sussiste l'obbligo da parte del Comune, ancorché siano trascorsi i termini di cui all'articolo 13 della legge n, 47 del 1985 di definire la stessa pratica con un provvedimento espresso.
A tale fine si indirizza l'impugnativa della sig.ra Lauro per conto della soc. S.I.A.S la quale conclude per l'accoglimento della pretesa della ricorrente al rilascio della concessione in sanatoria richiesta e per la declaratoria dell'illegittimità del silenzio - rifiuto formatosi sull'istanza di sanatoria stessa.
L' amministrazione intimata non si è costituita.
In data 15 giugno 2001 la ricorrente ha presentato richiesta di cancellazione dal ruolo della causa ma, il Tribunale , nella Camera di consiglio del 20 giugno 2001 ha trattenuto , ai sensi dell’articolo 2 della legge n. 205 del 2000 , la causa in decisione.
Il via preliminare, passando all'esame in diritto del ricorso proposto occorre osservare come la legge n. 205 del 2000 all'articolo 2 abbia introdotto una disciplina speciale per quanto attiene alla materia del silenzio-rifiuto statuendo che , con sentenza succintamente motivata, siano decisi in Camera di consiglio, i ricorsi avverso il silenzio-rifiuto. E' opinione del Collegio che tale normativa sia applicabile anche alle ipotesi in cui il silenzio - rifiuto, come nel caso della disciplina dell'articolo 13 della legge n. 47 del 1985, sia in effetti un provvedimento di carattere negativo piuttosto che una mera omissione a decidere da parte dell’Amministrazione.
Ciò in quanto, la indicazione letterale del silenzio-rifiuto come istituto del diritto amministrativo non consente tale distinzione che , solo in via dottrinaria, è proponibile e non può, tuttavia travolgere una espressa prerogativa di legge.
Al riguardo, deve , inoltre, considerarsi come , nel caso del presente ricorso, ove la ricorrente ha impugnato il silenzio - rifiuto non solo per i profili relativi alla illegittimità del comportamento emissivo dell'Amministrazione ma anche per gli aspetti che ineriscono alla valutazione del merito della richiesta di concessione in sanatoria, occorre distinguere , attesa la specialità della procedura di cui all’articolo 2 della legge n. 205 del 2000 , la parte del ricorso per cui ricorrono gli estremi di carattere processuale e sostanziale per una disamina accelerata e gli aspetti del petitum che richiedono, per ovvie ragioni, l'esame in udienza pubblica con le formalità ivi prescritte e non certo nella misura meno formale della Camera di consiglio.
Alla luce di quanto precede, fermo restando il non luogo a procedere sulla domanda della ricorrente mirante ad ottenere l'accertamento del diritto a realizzare l’opera e , quindi, conseguire la concessione in sanatoria come effetto subordinato nel caso in cui si ravvedesse la necessità, in relazione alle opere effettuate, di un titolo autorizzativo specifico, deve , invece, ribadirsi, con sentenza, l'obbligo dell' amministrazione a provvedere, essendo il provvedimento finale del procedimento di esame dell' istanza di concessione in sanatoria, un vero e proprio diritto in capo al ricorrente -istante.
Alla luce di quanto espresso sopra, il Tribunale, accoglie il ricorso proposto dalla sig.ra Lauro Rosaria nella qualità di amministratrice della SIAS s.r.l. per la parte in cui mira alla declaratoria della illegittimità del silenzio serbato dall’ Amministrazione sull’ istanza di concessione in sanatoria presentata il 2.1.2001 e dichiara il non luogo a procedere, per mancanza dei presupposti processuali, in ordine alla domanda ....che mira all'accertamento del diritto a realizzare l’opera oggetto sanatoria ex articolo 13 della legge n. 47 del 1985.
Si demanda alla Segreteria, tenuto conto del ruolo delle cause attribuite alla Sezione e della istanza della parte ricorrente, perché il ricorso sia fissato in udienza pubblica per l'esame e decisione del merito.
Condanna alle spese l'amministrazione intimata per un importo o di L 1.000.000 (un milione).
(omissis)
Così deciso in Napoli il 20 giugno 2001, in Camera di consiglio.
Depositata il 20 nov. 2001.
GIUSEPPE
SARTORIO
(Avvocato)
Ricorsi in materia di silenzio della p.A.
(nota a T.A.R. Campania-Napoli, Sez. I, 22 novembre 2001, n. 4977 e Sez. IV Sezione, 20 novembre 2001, n. 4875)
1. La questione della natura, dei presupposti e della portata del nuovo schema processuale in materia di silenzio della p.A., introdotto dalla legge n. 205/2000, si arricchisce di due nuovi contributi che vale la pena di segnalare per la puntualità della ricostruzione ermeneutica svolta e per la novità delle soluzioni procedimentali attuate.
2.0 La prima delle decisioni in commento (T.A.R. Campania, Napoli, I Sezione, 22.11.2001, n. 4977), resa sulla materia del c.d. elettrosmog, affronta in maniera chiara e risolutiva ben due problemi ricorrenti che si erano posti prepotentemente alla ribalta all’indomani dell’entrata in vigore della novella del 2000: quello riguardante la necessità o meno della previa notificazione, alla Amministrazione inerte, di un atto "di diffida e messa in mora", quasi alla stregua di presupposto processuale e l’altro, riguardante l’applicabilità di termini decadenziali all’esercizio dell’azione.
La soluzione proposta è negativa, per entrambe le questioni.
2.1 L’Amministrazione resistente (il Comune di Napoli, restato inerte su ben otto istanze di autorizzazione edilizia inoltrate dalla OMNITEL PRONTO ITALIA S.P.A., oggetto di distinti ricorsi, tutti riuniti con la sentenza in commento) aveva eccepito l’inammissibilità dei ricorsi, in quanto non preceduti dalla notifica della "rituale e previa diffida per costituire il silenzio".
Il Tribunale, però, al termine di una puntuale ed esaustiva rassegna delle più recenti decisioni a sostegno dell’una tesi e dell’altra, ha rigettato l’eccezione, facendo leva su due distinti argomenti –l’uno funzionale, l’altro sistematico-, così riassumibili.
Nel momento in cui la novella del 2000 ha attribuito rilevanza, sia pure meramente comportamentale, al silenzio (come inerzia e/o come inadempimento), essa rende possibile un ulteriore passo avanti nel processo di abbandono di teorie basate su un eccessivo formalismo, legate alla visione dell’attività amministrativa rilevante esclusivamente in termini di "atto" – inteso come punto d’arrivo del procedimento - già peraltro superate nelle più recenti ricostruzioni, anche processual-amministrativistiche, che hanno identificato il giudizio amministrativo come processo "sul rapporto" anziché "sull’atto".
Sotto il profilo sistematico, partendo dal punto fermo che le cause di inammissibilità dell’azione devono messere espresse nella legge che quella azione disciplina (e non v’è dubbio che l’art. 21 bis della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, come introdotto dall’art. 2 della legge 21 luglio 2000, n. 205 è la norma che disciplina in maniera diretta ed immediata quell’azione), il Tribunale osserva come tale disposizione nulla dica al riguardo; per cui – si rileva – non appare sistematicamente corretto estrapolare una causa di inammissibilità dell’azione (ovvero, enucleare un presupposto processuale dell’azione) da una tradizione giurisprudenziale formatasi al di fuori della legge, nell’ambito di un contesto previgente, del tutto incompatibile con quello attuale, che addirittura prende le mosse dalla risalente applicazione estensiva dell’art.25 del T.U. degli impiegati civili dello Stato (D.P.R. 10.1.1957, n.3, elaborata quindi in tempi cronologicamente anteriori, e di molto, anche all’entrata in vigore della stessa legge n.241/90, che tanto ha innovato in tema di obbligo di conclusione del procedimento e di motivazione degli atti amministrativi).
Sul piano teleologico, infine, il Tribunale amministrativo napoletano sottolinea l’inutilità di un adempimento che servirebbe solo ad ulteriormente appesantire gli oneri imposti al soggetto privato, "vittima" dell’inerzia dell’amministrazione.
La legge, infatti, riconosce anche un’ulteriore spatium temporis all’amministrazione per "ravvedersi", attribuendole non solo la possibilità di pronunciarsi entro quel termine "non superiore a trenta giorni", prima del quale non è neppure possibile la nomina di un Commissario ad acta in funzione sostitutiva, ma prevedendo espressamente che quest’ultimo, all’atto del suo insediamento e prima di emanare il provvedimento finale, accerti "se anteriormente alla data dell’insediamento medesimo l’amministrazione abbia provveduto, ancorché in data successiva al termine assegnato dal giudice".
Allora, è evidente che la diffida perde anche la sua funzione di "dare all’amministrazione l’ultima possiblità di provvedere prima di essere spogliata dall’intervento del giudice" (sent. cit., pag.8).
2.2 Allo stesso modo, la diffida non può essere neppure vista nell’ottica di rendere inoppugnabile il comportamento inerte, il che non appare configurabile, perdurando l’inadempimento dell’obbligo di provvedere, ovvero di stabilire un dies a quo certo per il termine dell’impugnativa in quanto, sancisce la sentenza, "Salvo il caso in cui sia ragionevole ritenere che la domanda sia stata abbandonata e salvo il caso di atti successivi che la rendano priva di interesse, essa in realtà continua ad attivare l’obbligo di provvedere dell’amministrazione, del tutto indipendentemente dal fatto che il soggetto abbia "tempestivamente" impugnato il silenzio, poiché l’azione non ha natura impugnatoria (non c’è alcun atto tacito o implicito o presunto da impugnare), ma dichiarativa e di condanna" (pag.9, sent. cit.).
2.3 Il discorso, poi, non cambia, se applicato al procedimento dettato dall’art.4 del d.l. 5 ottobre 1993, n.398 (convertito con modif. in legge 4 dicembre 1993, n. 493), come sostituito dall’art. 2 della legge 23 dicembre 1996, n. 662, in tema di rilascio di concessioni edilizie, in quanto, afferma il Tribunale, le disposizioni suddette in tema di diffida "attengono al diverso profilo dell’attivazione dei poteri sostitutori regionali in funzione di rimedio all’inerzia dell’ente locale ordinariamente competente e attribuiscono al soggetto interessato una facoltà – la norma adopera la locuzione può -, ma non gli impongono un onere o un obbligo. Esse quindi non implicano conseguenze dirette nel diverso campo delle condizioni e dei presupposti processuali per l’azione in sede giurisdizionale avverso il silenzio dell’amministrazione. Il rimedio endoamministrativo, mediante il ricorso ai poteri di controllo sostitutorio sugli enti e gli organi ordinariamente competenti rimasti inerti, è concorrente rispetto a quello giurisdizionale dell’impugnativa del silenzio, né vi sono norme processuali che condizionino il secondo rimedio all’infruttuoso esperimento del primo. Non pare dunque corretto inferire dalla speciale previsione dei commi 5 e 6 dell’articolo 4 del d.l. 398/1993 conseguenze dirette rilevanti sul diverso piano del rimedio giurisdizionale ex articolo 21 bis legge Tar avverso il silenzio del comune sulla domanda di concessione edilizia inoltrata dal privato" (pag.11 della sentenza).
3. La seconda delle sentenze esaminate (T.A.R. Campania, Napoli, IV Sezione, 20.11.2001, n. 4875) è stata, invece pronunciata sull’impugnativa di un silenzio-rifiuto formatosi su di un’istanza di accertamento di conformità ex art. 13, legge 28.2.1985, n. 47 (c.d. "sanatoria") di un intervento edilizia realizzato in assenza di autorizzazione edilizia.
In questo caso, dopo la proposizione del ricorso, il difensore presentava un’istanza di cancellazione della causa dal c.d. "ruolo silenzi" della Sezione, precisando che il ricorso riguardava l’impugnazione di un silenzio-rifiuto e non di un mero silenzio-inadempimento, per cui il rito applicabile (secondo al Giurisprudenza prevalente) doveva ritenersi quello ordinario e non già quello speciale introdotto dall’art. 2 della legge 21 luglio 2000, n. 205.
3.1 Il Collegio, invece, andando di contrario avviso, introitava la causa per la decisione, specificando, nella motivazione della sentenza all’esito pronunciata, i due distinti petita di cui si componeva la domanda del ricorrente: a) la richiesta di una pronuncia di illegittimità del silenzio-rifiuto, come comportamento meramente omissivo, tale da non far venire meno l’obbligo di una pronuncia espressa, da dichiararsi in sentenza; b) la richiesta di una pronuncia sul merito della richiesta avanzata dalla ricorrente, ossia sul suo diritto a "sanare"l’opera realizzata, perché conforme agli strumenti urbanisitici vigenti.
Ebbene, il Tribunale, ha ritenuto che il nuovo rito sul silenzio sia sicuramente applicabile anche alle (invero poche) residue figure di "silenzio-rifiuto", in quanto "la indicazione letterale del silenzio-rifiuto come istituto del diritto amministrativo non consente tale distinzine che, solo in via dottrinaria, è proponibile e non può tuttavia travolgere una espressa prerogativa di legge" (pag.3 della sentenza).
Così facendo, però, il Tribunale, ha deciso la sola domanda sub a), accogliendola e dichiarando l’illegittimità del silenzio-rifiuto formatosi sull’istanza della ricorrente (pronunciando anche la condanna dell’amministrazione resistente alla rifusione delle spese); sulla domanda sub b) ha, invece, dichiarato il non luogo a procedere, per mancanza dei presupposti processuali, sul punto mandando "alla Segreteria, tenuto conto del ruolo delle cause attribuite alla Sezione e della istanza della parte ricorrente, perché il ricorso sia fissato in udienza pubblica per l’esame e decisione del merito" (pag.4 della sentenza).
In altre parole, il Tribunale ha effettuato una applicazione del tutto innovativa dell’art. 279, 2º comma, n.4) del codice di procedura civile, il quale prevede la possibilità di pronunciare le cc.dd. "sentenze parziali", tra l’altro quando il Giudice, decidendo solo alcune questioni (di competenza, di giurisdizione, pregiudiziali di rito o preliminari di merito) "non definisce il giudizio, e impartisce distinti provvedimenti per l’ulteriore istruzione della causa".
3.2 E’ evidente la novità di una tale pronuncia, soprattutto perché essa interviene allorquando dinanzi all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato è tuttora pendente la questione sulla ammissibilità o meno di pronunce che, in sede di ricorso avverso il silenzio della p.A., possano spingersi fino ad accertare il fondamento della pretesa del ricorrente (Cons. Stato, sez. VI, ord. 10 luglio 2001, n. 3803, in questa rivista Internet. n. 7-8/2001).
Da tale intervento gli Operatori del diritto credo siano concordi nell’attendersi un’apertura, nel senso di un processo sul silenzio che, superati i rigidi formalismi legati alla natura impugnatorio-demolitoria dell’atto, possa aprirsi alla ammissibilità di pronunce positive in relazione al chiesto provvedimento satisfattorio per il privato, tenuto anche conto della inutilità –per altro verso- di una sentenza che imponga alla p.A. di pronunciarsi anche in presenza di una pretesa manifestamente infondata del privato.
V. in argomento in questa rivista:
CONSIGLIO DI STATO, SEZ. VI – Ordinanza 10 luglio 2001 n. 3803*
CONSIGLIO DI STATO, COMMISSIONE SPECIALE - Parere 17 gennaio 2001 n. 1242*
CONSIGLIO DI STATO, SEZ. VI - Sentenza 10 agosto 1999 n. 1028*
TAR LAZIO, SEZ II BIS - Sentenza 10 aprile 2001 n. 3093*
TAR LAZIO, SEZ. I – Sentenza 14 gennaio 2001 n. 114
TAR LAZIO, SEZ. II TER - Sentenza 28 febbraio 2001 n. 1597*
TAR LOMBARDIA-BRESCIA – Sentenza 1 giugno 2001 n. 397
TAR LOMBARDIA-MILANO, SEZ. III – Decreto 28 dicembre 2000 n. 472
TAR ABRUZZO, SEZ. PESCARA - Sentenza 26 gennaio 2001 n. 57*
N. SAITTA,
Ricorsi contro il silenzio della p.a.: quale silenzio?
S. PELILLO,
Il ricorso avverso il silenzio dell'amministrazione.
G. GIOVANNI PESCE, I processi “speciali” nella legge 205/2000 (artt. 2 e 4)
M. FERNANDEZ SALMERON e C. CIERCO SEIRA, Riforma del procedimento amministrativo in Spagna: la Legge 4/1999, del 13 gennaio, di modifica della Legge 30/1992, del 26 novembre, de Régimen Jurídico de las Administraciones Públicas y del Procedimiento Administrativo Común