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Giurisprudenza
n. 6-2002 - © copyright.

CONSIGLIO DI STATO, SEZ. VI - Sentenza 18 giugno 2002 n. 3338 - Pres. Giovannini, Est. Chieppa - Pica Ciamarra (Avv.ti G. Sartorio, V. Barone e L. Di Raimondo) c. Stazione zoologica "Anton Dohrn" (Avv. M. Sanino) e R.A. Consulting s.r.l. (Avv. L. Iannotta) - (riforma T.A.R. Campania-Napoli, Sez. II, n. 2832/2001).

1. Giustizia amministrativa - Ricorso giurisdizionale - Interesse all'impugnazione - Integrale esecuzione dell'appalto - Nelle more del giudizio - Non rende improcedibile il ricorso - Ragioni.

2. Giustizia amministrativa - Risarcimento dei danni - Per lesione di interessi legittimi - Presupposto della preventiva o contestuale impugnativa dell'atto lesivo (c.d. "pregiudiziale amministrativa") - Sussistenza - Necessità.

3. Giustizia amministrativa - Risarcimento dei danni - Per lesione di interessi legittimi - Accertamento incidentale dell'illegittimità dell'atto e disapplicazione dell'atto illegittimo non impugnato nei termini - Impossibilità.

4. Giustizia amministrativa - Risarcimento dei danni - Per lesione di interessi legittimi - Giurisdizione in materia dopo le modifiche al testo dell'art. 35 D.L.vo n. 80/1998 introdotte dall'art. 7 L. n. 205/2000 - Ha carattere generale e non riguarda le sole materie rientranti nella giurisdizione esclusiva.

5. Giustizia amministrativa - Risarcimento dei danni - Per lesione di interessi legittimi - Tutela risarcitoria - Ha funzione sussidiaria rispetto alla tutela giurisdizionale accordata con l'annullamento dell'atto impugnato.

6. Giustizia amministrativa - Generalità - Nozione di interesse legittimo - Individuazione.

7. Giustizia amministrativa - Risarcimento dei danni - Per lesione di interessi legittimi - Risarcimento in forma specifica - Finalità - Individuazione - Domanda tendente ad ordinare all'amministrazione l'emanazione di provvedimenti amministrativi, anche se di carattere vincolato (o ad accertare un obbligo in tal senso) - Inammissibilità.

1. L'intervenuta integrale esecuzione dell'appalto (nella specie si trattava di una gara per l'affidamento dell'incarico della progettazione di alcune opere), non rende inammissibile o improcedibile il ricorso tendente all'annullamento degli atti di gara, non tanto perché persiste un mero interesse morale all'accertamento delle eventuale illegittimità degli stessi, ma soprattutto in quanto l'eventuale statuizione giurisdizionale di annullamento della procedura di gara può assumere rilievo in un successivo giudizio risarcitorio diretto a ristorare il ricorrente del pregiudizio patito per effetto dell'illegittimità provvedimentale (1).

2. La decisione sulla illegittimità dell'atto contestato rappresenta un passaggio obbligato per affermare la responsabilità dell'amministrazione, dovendosi ritenere che è necessario il previo annullamento dell'atto impugnato ai fini dell'azione di risarcimento dei danni derivanti da un atto amministrativo illegittimo (2).

3. Nell'ordinamento amministrativo non appare possibile l'accertamento incidentale da parte del giudice amministrativo della legittimità di un atto non impugnato nei termini decadenziali al solo fine di un giudizio risarcitorio; l'azione di risarcimento del danno, pertanto, può essere proposta sia unitamente all'azione di annullamento o in via autonoma, ma è ammissibile solo a condizione che sia stato tempestivamente impugnato il provvedimento illegittimo e che sia coltivato con successo il relativo giudizio di annullamento (3).

4. Il legislatore, nel prevedere con l'art. 35, del D. Lgs. n. 80/98, nel testo novellato dell'art. 7 della legge n. 205/2000, che il Giudice amministrativo può condannare la P.A. al risarcimento del danno "nell'ambito della sua giurisdizione" ha chiarito che il potere di assicurare il risarcimento da parte del GA riguarda tutto l'universo della giurisdizione di quest'ultimo e non solo le materie rientranti nella giurisdizione esclusiva.

5. La tutela risarcitoria ha una funzione sussidiaria rispetto alla tutela giurisdizionale accordata con l'annullamento dell'atto impugnato, nel senso che gli effetti conformativi derivanti dal giudicato di annullamento garantiscono la tutela della posizione di interesse legittimo e che, qualora a causa del decorso del tempo o di altri motivi, tale forma di tutela non sia, in tutto o in parte, possibile o comunque residuino dei danni, la stessa posizione di interesse legittimo viene protetta (anche o solo) con la tutela risarcitoria.

6. L'interesse legittimo costituisce una posizione di vantaggio riconosciuta dall'ordinamento ad un determinato soggetto in ordine a un bene e consistente nell'attribuzione a quel medesimo soggetto di poteri idonei, non a realizzare in modo pieno e immediato l'interesse al bene, ma a realizzarlo in via indiretta e mediata attraverso il corretto esercizio dell'azione amministrativa; quest'ultima è contestabile entro i termini di decadenza previsti per la proposizione del ricorso (4).

7. E' inammissibile una domanda tesa nella sostanza ad ordinare all'amministrazione l'emanazione di provvedimenti amministrativi, anche se di carattere vincolato (o ad accertare un obbligo in tal senso, con domanda analoga a quella di condanna), atteso che scopo della reintegrazione in forma specifica non è quello di sostituire la tutela demolitoria (o conformativa) che si connette all'annullamento giurisdizionale, ma quello di integrare la tutela, colmando eventuali lacune (5) (alla stregua del principio è stata dichiarata inammissibile la domanda proposta dall'appellante tendente  ad ottenere la declaratoria del suo diritto all'aggiudicazione della gara).

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(1) Cfr. Cons. Stato, Sez. VI, sent. 20 dicembre 1999 n. 2117, in questa Rivista Internet.

Alla stregua del principio è stato escluso nella specie che l'intervenuta integrale esecuzione della progettazione, oggetto di procedura selettiva, rendeva inammissibile o improcedibile il ricorso per l'annullamento degli atti di gara, atteso che l'eventuale statuizione giurisdizionale di annullamento della procedura di gara assume necessariamente rilievo nel successivo giudizio risarcitorio (che nella specie era stato già proposto) diretto a ristorare la società ricorrente del pregiudizio patito per effetto dell'illegittimità provvedimentale, costituendo l'annullamento dell'atto un passaggio obbligato per affermare la responsabilità dell'amministrazione.

(2-3) Nello stesso senso v., per tutte, in questa Rivista Internet T.A.R. Campania - Napoli, Sez. I, 8 febbraio 2001, n. 603; id., 4 ottobre 2001 n. 4485; T.A.R. Puglia - Lecce, Sez. I, 16 aprile 1999, n. 416; T.A.R. Friuli, 26 luglio 1999, n. 903; id., 23 aprile 2001 n. 179.

La questione riguardante la necessità o meno del preventivo annullamento per ottenere il risarcimento è stata recentemente rimessa alla decisione dell'Adunanza Plenaria dalla Sez. V, con ordinanza 6 maggio 2002 n. 2406, in questa Rivista Internet, n. 5/2002.

Sulla questione della c.d. "pregiudiziale amministrativa" v. in generale, sempre in questa Rivista Internet, da ult.:

P. VIRGA, Pregiudizialità dell'azione di annullamento rispetto a quella di risarcimento.

G. VIRGA, La dimidiazione dei termini prevista dall'art. 4 L. n. 205/2000 e la necessità dell'annullamento dell'atto per chiedere il risarcimento del danno innanzi al Giudice amministrativo (commento a TAR CAMPANIA-NAPOLI, SEZ. I - Sentenza 27 marzo 2002*)

G. CIARAVINO, Gli effetti della mancanza dei termini nella dichiarazione di p.u. ex art. 13 L. 2359/1865 e la pregiudiziale amministrativa ....

V. anche la pagina di approfondimento dedicata al tema della risarcibilità degli interessi legittimi.

La sentenza della Sez. VI in rassegna si segnala per la motivazione particolarmente approfondita che finisce per chiarire diverse questioni in materia.

Innanzitutto è stato ricordato che l'opposto indirizzo interpretativo (secondo cui non occorrerebbe il previo annullamento dell'atto illegittimo per ottenere il risarcimento dei danni innanzi al G.A.), è collegato ad un obiter dictum racchiuso nella sentenza n. 500/1999 delle Sezioni Unite della Cassazione.

Tuttavia la citata sentenza n. 500 della Cassazione riguarda le norme previgenti l'entrata in vigore della legge n. 205/2000, e si fonda sull'originaria versione dell'art. 35 del D. Lgs. n. 80/98, il quale prevedeva una concentrazione delle azioni (di annullamento e risarcitoria) davanti al giudice amministrativo, solo per le materie attribuite alla giurisdizione esclusiva di quest'ultimo, mentre nelle materie in cui il G.A. aveva la sola giurisdizione di legittimità la domanda risarcitoria doveva essere proposta davanti al giudice ordinario (v. in tal senso anche P. VIRGA, op. cit.).

La riformulazione dell'art. 35, ad opera dell'art. 7 della legge n. 205/2000, ha eliminato anche tale residuo spazio di tutela ripartita tra due giudici, attribuendo al G.A. in sede di giurisdizione esclusiva e di legittimità, tutte le questioni relative all'eventuale risarcimento del danno, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, e agli altri diritti patrimoniali consequenziali.

E' stato inoltre osservato che la scomparsa della c.d. "pregiudiziale amministrativa" si porrebbe in contrasto con l'ordinanza n. 165/1998 della Corte Costituzionale, la quale ha tratto il convincimento dell'irrilevanza della questione di legittimità costituzionale, sollevata in relazione alla irrisarcibilità dei danni da lesione di interessi legittimi, dalla circostanza che il diniego di concessione edilizia non era stato oggetto di annullamento da parte del giudice amministrativo, essendo stato incidentalmente inciso solo da provvedimento cautelare.

Si rileva pure che in un passaggio della ordinanza della Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 1/2000, la questione della pregiudiziale amministrativa viene affrontata incidentalmente con la seguente affermazione: "Ovviamente, nell'ambito della giurisdizione esclusiva conserva rilievo la distinzione tra diritti ed interessi, specie al fine di verificare se la tutela della posizione posta a base del ricorso possa essere chiesta entro il termine di prescrizione, ovvero entro il termine di decadenza, qualora si contesti un provvedimento costituente espressione di un potere (per il quale rileva la generale regola di certezza dei rapporti di diritto pubblico, che giustifica la previsione di un breve termine di decadenza, il cui superamento comporta l'inoppugnabilità in ogni sede del provvedimento).".

L'inoppugnabilità in ogni sede del provvedimento sembra escludere anche la sede risarcitoria.

Alla stregua di tali considerazioni, secondo la Sez. VI, la tempestiva domanda di annullamento del provvedimento amministrativo costituisce presupposto di ammissibilità della domanda di risarcimento del danno, che da quel provvedimento si assume essere derivato. La chiara l'elusione del termine decadenziale previsto per l'impugnazione degli atti amministrativi costituisce infatti ostacolo insuperabile ai fini dell'ammissibilità di un'azione risarcitoria autonoma rispetto all'azione di annullamento dell'atto, fonte del danno.

Non appare condivisibile la tesi contraria, secondo cui il termine decadenziale non rileva ai fini del risarcimento del danno, trattandosi di un termine previsto per garantire in breve tempo la certezza dell'intangibilità alla fattispecie provvedimentale, mentre la regolazione degli interessi in gioco non verrebbe posta in discussione da un'azione solo risarcitoria, nella quale la verifica della legittimità dell'atto è operata incidentalmente.

Non si ravvisano ragioni per cui il breve termine decadenziale per l'impugnazione degli atti amministrativi dovrebbe operare solo quando si chiede l'annullamento dell'atto, mentre non sarebbe applicabile quando la stessa posizione soggettiva di interesse legittimo viene tutelata in via risarcitoria in un giudizio in cui la legittimità del provvedimento fonte di danno costituisce sempre oggetto di cognizione da parte del giudice amministrativo, al pari dell'ipotesi della sola domanda di annullamento.

Peraltro, la tesi dell'autonomia tra azione di annullamento e azione risarcitoria determina alcune irragionevoli conseguenze.

Infatti, in presenza di un atto amministrativo, mai impugnato e ritenuto solo incidentalmente illegittimo dal giudice amministrativo, l'amministrazione avrebbe davanti due alternative:

La realizzazione dell'interesse individuale (in ogni forma) non può quindi che essere subordinata alla rimozione dell'atto provvedimentale autoritativo che ha inciso sulla posizione del privato, restando preclusa la tutela ogni volta che detto atto diventi inoppugnabile per il decorso del termine decadenziale, che assicura certezza e definitività alle situazioni giuridiche incise dal provvedimento, che è assistito dalla nota presunzione di legittimità.

Nello stesso senso della Sez. VI sembra porsi la Sez. IV, la quale, con sent. 15 febbraio 2002 n. 952, ha in particolare affermato che la scomparsa della pregiudiziale amministrativa comporterebbe l'elusione del termine decadenziale previsto per l'impugnazione degli atti amministrativi ed è preclusa dall'assenza di un potere di disapplicazione in capo al G.A., che può solo conoscere in via principale il provvedimento amministrativo.

(4) Sulla nozione di interesse legittimo v. in questa Rivista Internet S. GIACCHETTI, L'interesse legittimo alle soglie del 2000 e G. VIRGA, Interessi legittimi e diritti soggettivi: una distinzione ancora utile per conseguire una migliore tutela (nota a Corte Cost., ordinanza 21 luglio 1988 n. 867).

(5) V. in tal senso in questa Rivista Cons. Stato, IV, Sentenza 14 giugno 2001 n. 3169.

Ha rilevato la Sez. VI che parte della dottrina sostiene che con l'inciso "anche attraverso la reintegrazione in forma specifica", di cui all'art. 35 del D. Lgs. n. 80/1998, il legislatore abbia inteso introdurre nel nostro ordinamento un'azione di adempimento simile a quella prevista nell'ordinamento tedesco, che consente di agire in giudizio per ottenere la condanna dell'amministrazione all'emanazione di un atto amministrativo; il potere di ordinare all'amministrazione un facere, consistente anche nell'emanazione di atti amministrativi, sussisterebbe a condizione che si tratti di attività vincolata e non di attività con significativo tasso di discrezionalità.

A tale orientamento, che presuppone l'introduzione attraverso il rimedio della reintegrazione in forma specifica di una azione di adempimento esercitabile nei confronti della P.a., se ne contrappone un altro, che - secondo la Sez. VI - appare preferibile, maggiormente coerente con la natura risarcitoria, o riparatoria, dell'istituto, come risultante dall'art. 2058 c.c..

Infatti, ammettere che la reintegrazione in forma specifica costituisca il mezzo per impartire un ordine alla P.a. di emanare un determinato provvedimento o quanto meno di provvedere in un determinato modo, finisce per attribuire all'istituto caratteri che non corrispondono in realtà alla vera e propria tutela aquiliana, ma tengono assai di più della tutela ripristinatoria

Tale ricostruzione presuppone un concetto di reintegrazione in forma specifica del tutto diverso da quello affermatosi in sede civilistica sulla base dell'art. 2058 c.c..

In sede civilistica, il risarcimento in forma specifica consiste nella diretta rimozione delle conseguenze derivanti dall'evento lesivo tramite la produzione di una situazione materiale corrispondente a quella che si sarebbe realizzata se non fosse intervenuto il fatto illecito produttivo del danno.

Sempre nell'ottica civilistica la reintegrazione in forma specifica rimane un rimedio risarcitorio (o comunque riparatorio), ossia una forma di reintegrazione dell'interesse del danneggiato mediante una prestazione diversa e succedanea rispetto al contenuto del rapporto obbligatorio e non va confusa né con l'azione di adempimento (diretta ad ottenere la condanna del debitore all'adempimento dell'obbligazione) né con il diverso rimedio dell'esecuzione in forma specifica quale strumento per l'attuazione coercitiva del diritto e non mezzo di rimozione diretta delle conseguenze pregiudizievoli.

La forma specifica non è né una forma eccezionale né una forma sussidiaria di responsabilità, ma uno dei modi attraverso i quali il danno può essere risarcito, la cui scelta spetta al creditore salva l'ipotesi di eccessiva onerosità o l'oggettiva impossibilità.

Per quanto riguarda il processo amministrativo, si osserva che il legislatore ha chiaramente inserito l'inciso "anche attraverso la reintegrazione in forma specifica" all'interno della disposizione che prevede che il giudice amministrativo dispone il risarcimento del danno ingiusto, con la conseguenza che contrasta con il dato letterale ogni interpretazione che pone l'istituto al di fuori di una alternativa risarcitoria.

Lo strumento risarcitorio, sia per equivalente che in forma specifica, si caratterizza per l'imposizione al debitore (rectius, all'amministrazione) di una "prestazione" diversa in sostituzione di quella originaria.

Intesa in tal modo (definito "civilistico"), la reintegrazione in forma specifica trova applicazione nel diritto amministrativo soprattutto in caso di interessi di tipo oppositivo (es. riconsegna e ripristino del bene illegittimamente sottratto al privato; consegna di cosa uguale a quella illegittimamente distrutta; riparazione materiale dei danni cagionati in esecuzione di un provvedimento illegittimo).

Sui rapporti tra tutela risarcitoria e tutela reintegratoria v. da ult., in questa Rivista Internet, TAR CAMPANIA-NAPOLI, SEZ. I - Sentenza 29 maggio 2002* (secondo cui, in particolare, l'annullamento dell'aggiudicazione comporta la declaratoria di nullità del contratto nelle more stipulato e la conseguente stipula del contratto con l'impresa che ne aveva legittimo titolo, salvo il potere della P.A. di valutare l'eccessiva onerosità che tale stipula comporta ed il dovere di risarcire i danni).

 

 

F A T T O

Con il ricorso in appello in epigrafe Pica Ciamarra Massimo, in proprio e in qualità di capogruppo del raggruppamento di professionisti, ha chiesto l'annullamento della sentenza n. 2832/2001 con la quale il Tar per la Campania ha ricors propost avverso la deliberazione n. 65 del 13-7-99 del Presidente della Stazione Zoologica "Anton Dhorn", recante approvazione della rideterminazione della Commissione incaricata di esaminare i curricula per l'affidamento dell'incarico della progettazione preliminare, definitiva ed esecutiva dei lavori di straordinaria manutenzione dell'ala di levante dell'edificio sito in Napoli in Villa Comunale, con affidamento dell'incarico alla R.A. Consulting s.r.l. e di ogni atto presupposto.

L'appello viene proposto per i seguenti motivi:

1) violazione del giudicato di cui alla sentenza n. 370/99 della VI Sezione del Consiglio di Stato;

2) conseguente mancata declaratoria del diritto del gruppo Pica Ciamarra all'aggiudicazione dell'incarico di progettazione in oggetto.

e la società controinteressata si sono costituite in giudizio, chiedendo la reiezione dell'appello ed eccependone l'inammissibilità.

All'odierna udienza la causa è stata trattenuta in decisione.

D I R I T T O

1. Prima di esaminare i motivi di appello e le eccezioni sollevate appare opportuna una ricostruzione della vicenda oggetto del presente giudizio.

La selezione dei progettisti esterni per l'affidamento dell'incarico di progettazione dei lavori in precedenza indicati si concludeva con l'individuazione della R.A. Consulting s.r.l., mentre al secondo posto si classificava l'odierno appellante (gruppo Pica Ciamarra).

Quest'ultimo impugnava una prima volta gli atti di gara e il ricorso veniva accolto dal Tar Campania con sentenza n. 3307/98; tale decisione veniva riformata dal Consiglio di Stato con sentenza n. 370/99, con cui veniva accolto l'appello principale della Stazione Zoologica ma veniva anche accolto l'appello incidentale di Pica Ciamarra con conseguente conferma dell'annullamento degli atti impugnati, seppur sulla base dell'accoglimento di motivi diversi da quelli ritenuti fondati dal Tar.

In particolare, con la citata decisione, il Consiglio di Stato riteneva fondato il motivo, relativo all'attribuzione per il criterio D2 di punti 2,5 alla Consulting e di punti 1,5 a Pica Ciamarra, in quanto veniva rilevato che, se era consentito l'apporto (e la valutazione) anche di professionisti esterni, era anche necessario che la partecipazione effettiva alla progettazione di questi risultasse giuridicamente certa.

Veniva di conseguenza riscontrato che gli esperti indicati dalla Consulting non solo non avevano assunto alcun impegno in prima persona ma nemmeno risultavano obbligati in alcun modo ad una prestazione nell'ambito della progettazione oggetto della gara (non avevano neanche sottoscritto i propri curricula).

Dopo aver rilevato che la valutazione dei professionisti esterni aveva costituito un elemento decisivo per l'attribuzione del diverso punteggio tra i due partecipanti in relazione al criterio D2, venivano annullati gli atti impugnati con conseguente obbligo della stazione appaltante di rivalutare i curricula alla luce dei principi esposti.

Con gli atti, impugnati nel presente giudizio, la Stazione Zoologica ha rinnovato la procedura di gara, confermando l'affidamento dell'incarico alla R.A. Consulting, cui per il criterio D2 venivano attribuiti punti 2 rispetto ai punti 1,5 assegnati a Pica Ciamarra (la Commissione si era conformata alla sentenza del Consiglio di Stato non valutando i curricula dei quattro esperti esterni indicati dalla Consulting, ma considerando quelli dei due membri esterni del gruppo di progettazione della stessa Consulting.

Il Tar della Campania respingeva il ricorso di Pica Ciamarra avverso gli atti di rinnovazione della procedura di gara, ritenendo che il giudicato di cui alla citata sentenza n. 370/99 del Consiglio di Stato si limitasse a non consentire la valutazione dei curricula dei quattro esperti esterni e non anche dei due componenti esterni del gruppo di progettazione.

Deve infine essere aggiunto che: con sentenza n. 487/2000 questa Sezione ha dichiarato inammissibile il ricorso per l'esecuzione del giudicato, proposto da Pica Ciamarra, in considerazione del ricorso per revocazione proposto dalla Consulting avverso la sentenza n. 370/99; con sentenza n. 5606/2000 della Sezione è stato parimenti dichiarato inammissibile il ricorso per l'esecuzione della stessa sentenza, sempre proposto da Pica Ciamarra e che con decisione n. 922/2001 la Sezione ha dichiarato inammissibile il ricorso in revocazione presentato dalla Consulting..

2. Chiariti i fatti materiali e processuali oggetto della controversia, deve essere in via preliminare esaminata l'eccezione di inammissibilità dell'appello, sollevata dalla Consulting, che ha rilevato che, essendo ormai conclusa la progettazione affidata con gli atti impugnati, alcuna utilità potrebbe trarre Pica Ciamarra dall'annullamento degli atti di gara, tenuto anche conto che l'affidamento alla stessa Consulting dell'incarico di direzione lavori costituisce un provvedimento successivo ed autonomo, non consequenziale rispetto all'affidamento della progettazione.

L'eccezione è infondata.

Si deve prendere atto dell'estraneità all'oggetto del presente giudizio dell'affidamento del diverso incarico di direzione lavori (già iniziati), affidato alla stessa Consulting sulla base di successive determinazioni dell'amministrazione.

Deve però essere considerato l'interesse dell'appellante all'annullamento degli atti impugnati anche ai fini di una domanda risarcitoria, che peraltro Pica Ciamarra ha già proposto con separato ricorso allo stato pendente davanti al Tar Campania.

Il Collegio ritiene, infatti che l'intervenuta integrale esecuzione della progettazione, oggetto di procedura selettiva, non rende inammissibile o improcedibile il ricorso per l'annullamento degli atti di gara, non tanto perché persiste un mero interesse morale all'accertamento delle eventuale illegittimità degli stessi, ma soprattutto in quanto l'eventuale statuizione giurisdizionale di annullamento della procedura di gara può assumere rilievo in un successivo giudizio risarcitorio diretto a ristorare la società del pregiudizio patito per effetto dell'illegittimità provvedimentale (cfr. Cons. Stato, VI, n. 2117 del 20-12-1999).

Tale prospettiva, secondo cui l'esecuzione integrale del contratto non rende affatto improcedibile il ricorso proposto contro il provvedimento, presuppone che la decisione sulla dedotta illegittimità dell'atto contestato rappresenti un passaggio obbligato per affermare la responsabilità dell'amministrazione.

E' noto il diverso indirizzo interpretativo, diffuso in settori della dottrina e collegato ad un obiter dictum racchiuso nella sentenza n. 500/1999 delle Sezioni Unite della Cassazione.

Con la citata decisone della Cassazione con cui è caduto il dogma dell'irrisarcibilità dei danni derivanti da lesione di interesse legittimo, la Suprema Corte ha anche affrontato la questione della vigenza nel nuovo quadro normativo e interpretativo della pregiudiziale amministrativa, in base alla quale appunto si ritiene necessario ottenere il previo annullamento dell'atto per avanzare pretese risarcitorie per danni dallo stesso atto derivanti.

Ha affermato la Cassazione che: "Rispetto al giudizio che, nei termini suindicati, può svolgersi davanti al giudice ordinario, non sembra ravvisabile la necessaria pregiudizialità del giudizio di annullamento. Questa è stata infatti in passato costantemente affermata per l'evidente ragione che solo in tal modo si perveniva all'emersione del diritto soggettivo, e quindi all'accesso alla tutela risarcitoria ex art. 2043 Cod. civ., riservata ai soli diritti soggettivi, e non può quindi trovare conferma alla stregua del nuovo orientamento, che svincola la responsabilità aquiliana dal necessario riferimento alla lesione di un diritto soggettivo. E l'autonomia tra le due giurisdizioni risulta ancor più netta ove si consideri il diverso ambito dei giudizi, ed in particolare l'applicazione, da parte del giudice ordinario, ai fini di cui all'art. 2043 Cod. civ., di un criterio di imputazione della responsabilità non correlato alla mera illegittimità del provvedimento, bensì ad una più complessa valutazione, estesa all'accertamento della colpa, dell'azione amministrativa denunciata come fonte di danno ingiusto.

Qualora (in relazione ad un giudizio in corso) l'illegittimità dell'azione amministrativa (a differenza di quanto è avvenuto nel procedimento in esame) non sia stata previamente accertata e dichiarata dal giudice amministrativo, il giudice ordinario ben potrà quindi svolgere tale accertamento al fine di ritenere o meno sussistente l'illecito, poiché l'illegittimità dell'azione amministrativa costituisce uno degli elementi costitutivi della fattispecie di cui all'art. 2043 Cod. civ.".

Tali principi sono stati affermati dalla Cassazione con riguardo alle norme previgenti l'entrata in vigore della legge n. 205/2000, in quanto sulla base dell'originaria versione dell'art.. 35 del D. Lgs. n. 80/98 la concentrazione delle azioni (di annullamento e risarcitoria) davanti al giudice amministrativo. era stata attuata solo per le materie attribuite alla giurisdizione esclusiva di quest'ultimo, mentre nelle materie in cui il G.A. aveva la sola giurisdizione di legittimità la domanda risarcitoria doveva essere proposta davanti al giudice ordinario.

La riformulazione dell'art. 35, ad opera dell'art. 7 della legge n. 205/2000 ha eliminato anche tale residuo spazio di tutela ripartita tra due giudici, attribuendo al G.A. in sede di giurisdizione esclusiva e di legittimità, tutte le questioni relative all'eventuale risarcimento del danno, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, e agli altri diritti patrimoniali consequenziali.

L'inciso "nell'ambito della sua giurisdizione" chiarisce che il potere di assicurare il risarcimento da parte del GA riguarda tutto l'universo della giurisdizione di quest'ultimo e non solo le materie attratte nella giurisdizione esclusiva.

La definitiva attuazione della concentrazione delle due azioni davanti ad unico giudice, quello amministrativo, costituisce un elemento di rilievo da tenere presente anche con riferimento alla questione della pregiudiziale amministrativa, considerato che la stessa Cassazione, oltre a formulare in via ipotetica la tesi del superamento della pregiudizialità (".non sembra ravvisabile la necessaria pregiudizialità del giudizio di annullamento.."), ha espressamente riferito l'affermazione ai giudizi risarcitori, che, al tempo, erano attribuiti alla giurisdizione del G.O. e la cui cognizione spetta oggi al G.A.; la ricostruzione operata dalla Cassazione appare dettata principalmente dall'intento sostanziale di eliminare il regime del necessario ricorso a due forme di tutela per ottenere da un giudice l'annullamento dell'atto e da altro giudice il risarcimento del danno.

Peraltro, la scomparsa della pregiudiziale amministrativa si pone in contrasto con l'ordinanza n. 165/1998 della Corte Costituzionale, la quale ha tratto il convincimento dell'irrilevanza della questione di legittimità costituzionale, sollevata in relazione alla irrisarcibilità dei danni da lesione di interessi legittimi, dalla circostanza che il diniego di concessione edilizia non era stato oggetto di annullamento da parte del giudice amministrativo, essendo stato incidentalmente inciso solo da provvedimento cautelare.

Sul punto a fronte di posizioni divergenti della dottrina si rileva un orientamento dei giudici amministrativi di primo grado nel senso della permanenza della necessità del previo annullamento dell'atto impugnato ai fini dell'azione di risarcimento dei danni derivanti da un atto amministrativo illegittimo (v., fra tutte, Tar Campania 8-2-2001, n. 603; Tar Friuli - Venezia Giulia 23 aprile 2001 n. 179; T.A.R. Puglia - Lecce, sez. I, 16 aprile 1999, n. 416; T.A.R. Friuli, 26 luglio 1999, n. 903)

Una recente pronuncia della IV Sezione del Consiglio di Stato ha affermato che nell'ordinamento amministrativo non appare possibile l'accertamento incidentale da parte del giudice amministrativo della legittimità di un atto non impugnato nei termini decadenziali al solo fine di un giudizio risarcitorio e che l'azione di risarcimento del danno può essere proposta sia unitamente all'azione di annullamento o in via autonoma, ma è ammissibile solo a condizione che sia stato tempestivamente impugnato il provvedimento illegittimo e che sia coltivato con successo il relativo giudizio di annullamento. (Consiglio di Stato, Sezione IV, 15-2-2002 n. 952).

La sentenza richiama i due principi, tradizionalmente affermati dalla dottrina contraria alla tesi della scomparsa della pregiudiziale amministrativa:

- l'elusione del termine decadenziale previsto per l'impugnazione degli atti amministrativi;

- l'assenza di un potere di disapplicazione in capo al G.A., che può solo conoscere in via principale il provvedimento amministrativo.

La IV Sezione ha superato così quel precedente proprio orientamento, secondo cui "se è vero che è ormai venuta meno la necessaria pregiudizialità della pronunzia sulla illegittimità dell'atto rispetto alla domanda di risarcimento, non può tuttavia ritenersi che questa sia in ogni caso ammissibile allorché il provvedimento amministrativo sulla cui illegittimità si fonda sia divenuto inoppugnabile. Infatti, poiché l'illegittimità del provvedimento è uno degli elementi costitutivi dell'illecito causativo del danno, deve ritenersi precluso all'interessato di far valere la pretesa al risarcimento allorché egli non abbia esercitato i mezzi di tutela offerti dall'ordinamento che gli avrebbero consentito di ottenere la reintegrazione in forma specifica (nella specie, infatti, il ricorrente, qualora avesse proposto tempestivamente l'impugnazione, avrebbe potuto ottenere l'aggiudicazione). Conclusione, questa, che deriva, oltre che dall'applicazione dei principi civilistici (art. 1227 cod.civ.), dal doveroso contemperamento dei principi di civiltà giuridica conseguenti al riconoscimento della risarcibilità della lesione degli interessi legittimi con quelli di doverosa tutela degli interessi, anche patrimoniali, dell'amministrazione". (Cons. Stato, IV, n. 1684/2001).

Al riguardo, si osserva che la giurisprudenza ha finora escluso che l'art. 1227, comma 2, c.c., che prevede il dovere del danneggiato di evitare il danno, possa essere interpretato nel senso di richiedere che il danneggiato sia tenuto a far valere tempestivamente in giudizio il suo diritto nei confronti del danneggiante, in quanto il ricorso a rimedi processuali comporta pur sempre un apprezzabile sacrificio in termine di costi e di rischi (v. fra tutte Cass. Civ. 22-3-91 n. 3101 e 7-5-91 n. 5035).

Anche in un passaggio della ordinanza della Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 1/2000, la questione della pregiudiziale amministrativa viene affrontata incidentalmente con la seguente affermazione: "Ovviamente, nell'ambito della giurisdizione esclusiva conserva rilievo la distinzione tra diritti ed interessi, specie al fine di verificare se la tutela della posizione posta a base del ricorso possa essere chiesta entro il termine di prescrizione, ovvero entro il termine di decadenza, qualora si contesti un provvedimento costituente espressione di un potere (per il quale rileva la generale regola di certezza dei rapporti di diritto pubblico, che giustifica la previsione di un breve termine di decadenza, il cui superamento comporta l'inoppugnabilità in ogni sede del provvedimento).".

L'inoppugnabilità in ogni sede del provvedimento sembra escludere anche la sede risarcitoria.

Premessi i citati precedenti, il Collegio ritiene che la tempestiva domanda di annullamento del provvedimento amministrativo costituisca presupposto di ammissibilità della domanda di risarcimento del danno, che da quel provvedimento si assume essere derivato.

Tale conclusione si fonda sulle seguenti ragioni.

Innanzi tutto, l'assenza di un potere di disapplicazione in capo al G.A., che può solo conoscere in via principale atti amministrativi di natura non regolamentare e non anche disapplicarli, non costituisce argomento di carattere puramente processuale, ma assume una valenza sostanziale, in quanto è strettamente collegato con il principio della certezza della situazioni giuridiche di diritto pubblico, al cui presidio è posto il breve termine decadenziale di impugnazione dei provvedimenti amministrativi.

La chiara l'elusione del termine decadenziale previsto per l'impugnazione degli atti amministrativi costituisce infatti ostacolo insuperabile ai fini dell'ammissibilità di un'azione risarcitoria autonoma rispetto all'azione di annullamento dell'atto, fonte del danno.

Non appare condivisibile la tesi contraria, secondo cui il termine decadenziale non rileva ai fini del risarcimento del danno, trattandosi di un termine previsto per garantire in breve tempo la certezza dell'intangibilità alla fattispecie provvedimentale, mentre la regolazione degli interessi in gioco non verrebbe posta in discussione da un'azione solo risarcitoria, nella quale la verifica della legittimità dell'atto è operata incidentalmente.

Infatti, la tutela risarcitoria ha una funzione sussidiaria rispetto alla tutela giurisdizionale accordata con l'annullamento dell'atto impugnato, nel senso che gli effetti conformativi derivanti dal giudicato di annullamento garantiscono la tutela della posizione di interesse legittimo e che, qualora a causa del decorso del tempo o di altri motivi, tale forma di tutela non sia, in tutto o in parte, possibile o comunque residuino dei danni, la stessa posizione di interesse legittimo viene protetta (anche o solo) con la tutela risarcitoria.

Non si ravvisano ragioni per cui il breve termine decadenziale per l'impugnazione degli atti amministrativi dovrebbe operare solo quando si chiede l'annullamento dell'atto, mentre non sarebbe applicabile quando la stessa posizione soggettiva di interesse legittimo viene tutelata in via risarcitoria in un giudizio in cui la legittimità del provvedimento fonte di danno costituisce sempre oggetto di cognizione da parte del giudice amministrativo, al pari dell'ipotesi della sola domanda di annullamento.

Peraltro, la tesi dell'autonomia tra azione di annullamento e azione risarcitoria determina alcune irragionevoli conseguenze.

Infatti, in presenza di un atto amministrativo, mai impugnato e ritenuto solo incidentalmente illegittimo dal giudice amministrativo, l'amministrazione avrebbe davanti due alternative:

a) rimuovere necessariamente l'atto, ritenuto illegittimo dal giudice;

b) opporre l'inoppugnabilità del provvedimento non contestato nei termini e tenere quindi fermo l'assetto degli interessi regolato da quell'atto, pur in presenza di una condanna al risarcimento dei danni che da quell'atto sono derivati e che, in ipotesi soprattutto di atti di diniego, possono continuare a prodursi anche in futuro.

Nel primo caso sarebbe evidente l'aggiramento dei termini decadenziali, posti dal legislatore, oltre che l'ulteriore inconveniente del mancato rispetto del contraddittorio con controinteressati che non rivestono la qualifica di parti necessarie nel giudizio risarcitorio e che possono aver beneficiato del provvedimento amministrativo, che in quel giudizio è stato ritenuto illegittimo.

Mentre nella seconda ipotesi sussisterebbe un'evidente contraddittorietà tra l'accertato obbligo di risarcimento e la permanente efficacia di un atto fonte di pretese risarcitorie anche ulteriori.

Rispetto alle esigenze di certezza delle situazioni giuridiche di diritto pubblico, cui il termine breve di impugnazione è funzionale, risulta di difficile compatibilità una fattispecie in cui il privato dopo essere rimasto silente (nel senso di non avere impugnato l'atto) dopo l'emanazione di un provvedimento amministrativo a lui sfavorevole agisca in via giurisdizionale nell'imminenza della scadenza del termine prescrizionale di cinque anni, chiedendo il risarcimento del danno.

A chi obietta che si tratta della stessa situazione prevista dall'art. 2043 c.c. nei rapporti interprivatistici, si può rispondere che, pur essendo unica la norma primaria di protezione per il risarcimento del danno sofferto da un soggetto per effetto dell'attività altrui, la natura generale della disposizione di cui all'art. 2043 c.c. impone di ricercare all'esterno della norma stessa la rilevanza giuridica della relazione tra soggetto e bene e di individuare sempre all'esterno gli interessi giuridicamente rilevanti e quindi risarcibili, se lesi.

In caso di danni derivanti dall'attività amministrativa e, in particolare, da atti amministrativi illegittimi, l'ordinamento assicura tutela all'interesse del danneggiato con disposizioni specifiche che prevedono un breve termine per contestare gli atti, al cui rispetto è subordinata la protezione di quell'interesse in ogni forma.

Del resto, il connotato essenziale della nozione di interesse legittimo resta quello del riconoscimento di una posizione di vantaggio riconosciuta dall'ordinamento ad un determinato soggetto in ordine a un bene e consistente nell'attribuzione a quel medesimo soggetto di poteri idonei, non a realizzare in modo pieno e immediato l'interesse al bene, ma a realizzarlo in via indiretta e mediata attraverso il corretto esercizio dell'azione amministrativa (che è appunto contestabile nei termini di decadenza).

La realizzazione dell'interesse individuale (in ogni forma) non può quindi che essere subordinata alla rimozione dell'atto provvedimentale autoritativo che ha inciso sulla posizione del privato, restando preclusa la tutela ogni volta che detto atto diventi inoppugnabile per il decorso del termine decadenziale, che assicura certezza e definitività alle situazioni giuridiche incise dal provvedimento, che è assistito dalla nota presunzione di legittimità.

Si osserva, infine, che anche dal dato testuale dell'art. 35 del D. Lgs. n. 80/98, nel teso novellato dalla legge n. 205/2000, possono essere tratti elementi a favore della tesi della permanenza della pregiudizialità.

Il nuovo testo dell'art. 7, comma 3, della L. Tar, come da ultimo modificato, prevede che "Il tribunale amministrativo regionale, nell'ambito della sua giurisdizione, conosce anche di tutte le questioni relative all'eventuale risarcimento del danno, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, e agli altri diritti patrimoniali consequenziali

Il comma 5 dell'art. 35 del D. Lgs. n. 80/98 stabilisce che "Sono abrogati l'articolo 13 della legge 19 febbraio 1992, n. 142, e ogni altra disposizione che prevede la devoluzione al giudice ordinario delle controversie sul risarcimento del danno conseguente all'annullamento di atti amministrativi".

In entrambe le disposizioni il legislatore, pur non affrontando direttamente la questione, ha qualificato le questioni risarcitorie collegate ad un provvedimento illegittimo, come questioni "consequenziali" rispetto all'annullamento di quest'ultimo, riconoscendo implicitamente che il risarcimento presuppone non un semplice accertamento incidentale dell'atto, ma il suo annullamento.

Come affermato nella citata decisione n. 952/2002 della IV Sezione, ovviamente la previa o contestuale proposizione dell'azione di annullamento del provvedimento amministrativo non costituisce presupposto di ammissibilità dell'azione risarcitoria nel caso in cui l'atto sia già stato caducato all'esito di un ricorso straordinario al Presidente della Repubblica o sia stato rimosso in via amministrativa prima della scadenza del termine di decadenza previsto per l'impugnazione (a seguito dell'esercizio dei poteri di autotutela o dei poteri di annullamento di organo sovraordinato) o nella diversa ipotesi in cui il danno da risarcire derivi da una illegittimità non già di un atto, ma dell'attività della P.a. (ad esempio, il danno da ritardo).

In tutte queste ipotesi non si pone la questione di dover rimuovere un atto esistente ed efficace per agire in via risarcitoria, pur trattandosi di fattispecie rientranti nella giurisdizione del giudice amministrativo, tenuto conto che è innegabile che la ratio della riforma, iniziata con il D. Lgs. n. 80/98 e completata con la Legge n. 205/2000, sia quella di concentrare davanti ad un unico giudice, quello amministrativo, ogni forma di tutela nei confronti della Pubblica amministrazione quando viene in gioco la lesione di interessi legittimi.

Ritornando al caso in esame, sulla base delle precedenti considerazioni deve quindi essere escluso che l'intervenuta integrale esecuzione della progettazione, oggetto di procedura selettiva, renda inammissibile o improcedibile il ricorso per l'annullamento degli atti di gara, in quanto l'eventuale statuizione giurisdizionale di annullamento della procedura di gara assume necessariamente rilievo nel successivo giudizio risarcitorio (già proposto) diretto a ristorare la società del pregiudizio patito per effetto dell'illegittimità provvedimentale, costituendo l'annullamento dell'atto un passaggio obbligato per affermare la responsabilità dell'amministrazione.

3.1. L'appello proposto da Pica Ciamarra si incentra nella sostanza su un unico motivo inerente l'illegittima valutazione dei curricula dei componenti esterni del gruppo di progettazione della Consulting ai fini dell'attribuzione del punteggio per il criterio D2 e la violazione sul punto del giudicato di sui alla citata sentenza della Sezione n. 370/99.

L'appello è fondato.

Non appare, infatti, condivisibile la tesi delle parti appellate, secondo cui dalla motivazione della sentenza n. 370/99, letta unitamente all'originario appello incidentale proposto da Pica Ciamarra ed accolto dal Consiglio di Stato, l'annullamento degli atti di gara sia stato disposto per la illegittima valutazione dei curricula dei soli consulenti esterni e non anche dei progettisti esterni (ing. Antonio Dori e Antonio Campopiano).

Le parti appellate richiamano diverse parti dell'appello incidentale di Pica Ciamarra per evidenziare come le censure siano state da questo mosse solo nei confronti dei consulenti esterni.

In realtà, le parti richiamate dimostrano solo che Pica Ciamarra ha illustrato il motivo anche in relazione ai consulenti esterni, ma un passo del suddetto appello incidentale è inequivoco per dimostrare che la censura era rivolta anche in ordine ai componenti esterni del gruppo di progettazione della Consulting: " avendo infatti accertato che la R.A. Consulting s.r.l. ha preso parte alla gara come società, è solo il curriculum di quest'ultima e dei suoi membri (soci o dipendenti) a poter essere preso in considerazione, non sussistendo alcuna possibilità per la Commissione di attribuire punteggi per i curricula di soggetti estranei alla società, che possono essere stati indicati a sproposito come componenti un gruppo di progettazione o come semplici consulenti" (pag. 20 dell'appello incidentale).

E' quindi chiaro che la censura era stata proposta in relazione ad entrambe le figure esterne indicate dalla Consulting (sia gli esperti che i progettisti esterni).

3.2. E' comunque risolutiva la lettura della sentenza n. 370/99, passata in giudicato, con cui la Sezione ha chiaramente accolto il motivo relativo al punteggio del criterio D2 con riferimento ad entrambe le figure.

Ciò si ricava da diversi passaggi della decisione: in primo luogo, la Sezione, nel respingere un diverso motivo proposto da Pica Ciamarra e relativo alla dedotta illegittimità della partecipazione alla gara della Consulting, in quanto inficiata dallo status dei soggetti esterni componendi del nucleo di progettazione, ha ritenuto che il ricorso a professionalità esterne non fosse di per sé precluso, affermando però poi che "tale modalità (di aggregazione alla società di progettazione) non può non assumere rilievo nella valutazione del loro apporto, come si dirà in proseguo" (pag. 10 e 11 della sentenza n. 370/99).

E' evidente che la Sezione si sia riferita in detto passaggio a tutte le professionalità esterne ed abbia poi rinviato proprio alla successiva parte della sentenza, in cui si esaminava il motivo (accolto) relativo alla valutazione dell'apporto degli esterni.

Proprio in detta ultima parte della sentenza, il Consiglio di Stato ha accolto il motivo relativo al criterio D2 (che come evidenziato era riferito ad esperti e componenti esterni del gruppo di progettazione), con una motivazione che è chiaramente riferita ad entrambe le figure di sterni: l'assenza di un impegno personale da parte di questi.

Del resto, non si pone in contraddizione con la citata lettura della decisione neanche la clausola del bando di gara che prevedeva la sottoscrizione del solo rappresentante legale delle società di ingegneria a nome di componenti del gruppo di progettazione, in quanto con la sentenza n. 370/99 è stato affermato il diverso principio, in base al quale per essere valutato ai fini del punteggio il ricorso a professionalità esterne all'organico di una società di ingegneria deve risultare da impegni certi che garantiscano l'effettiva partecipazione di tali soggetti alla progettazione.

3.3. Va infine sottolineato, a conferma della esposta interpretazione, che la stessa appellata Consulting ha fondato il precedente ricorso in revocazione della sentenza n. 370/99 (dichiarato, come già detto, inammissibile) proprio sul fatto che avrebbe errato il Consiglio di Stato nel ritenere fondato il motivo relativo al criterio D2 anche con riferimento ai progettisti esterni, accogliendo un motivo proposto per la prima volta in appello.

Nella sostanza la stessa Consulting ha condiviso in quella sede l'interpretazione del giudicato, su cui si fonda la tesi di Pica Ciamarra, chiedendo appunto la revocazione di quella sentenza.

Il definitivo passaggio in giudicato della decisione n. 370/99 rende irrilevanti in questa sede le considerazioni relative alla novità, o meno, del motivo di appello incidentale accolto dalla Sezione.

Ne consegue che, alla luce delle precedenti considerazioni, gli atti con cui la procedura di gara è stata rinnovata dalla amministrazione risultano illegittimi in quanto adottati in violazione del giudicato di cui alla sentenza della sezione n. 370/99.

La stazione Zoologica avrebbe dovuto rideterminare il punteggio per il criterio D2, senza considerare non solo gli esperti esterni indicati dalla Consulting, ma anche i componenti esterni del gruppo di progettazione della stessa società.

L'attribuzione di un punteggio maggiore per tale criterio D2 alla Consulting risulta quindi avvenuta in modo illegittimo, in quanto, non considerando i componenti esterni del gruppo di progettazione, lo stesso criterio utilizzato dalla Commissione (maggior numero di specifiche competenze dei componenti della Consulting; v. verbale n. 2 del 2-7-99) avrebbe condotto invece alla attribuzione di un punteggio a Pica Ciamarra maggiore di quello attribuito alla Consulting, poiché a seguito della corretta valutazione di curricula a fronte di una specifica competenza posseduta dalla sola Consulting (prelevamento, sollevamento, trattamento e smaltimento acqua) vi erano ben tre competenze, per le quali i curricula valutabili erano solo quelli del gruppo Pica Ciamarra (trattamento e condizionamento aria; impianto di diffusione acustica; sicurezza, impianti antincendio).

L'appello deve essere

4. Deve a questo punto essere esaminata l'ulteriore domanda di Pica Ciamarra, con cui si chiede che venga dichiarato il diritto del Gruppo appellante all'aggiudicazione dell'incarico di progettazione in oggetto.

La domanda dell'appellante non è tesa tanto a dimostrare che in assenza dell'illegittimità accertata Pica Ciamarra sarebbe stato l'aggiudicatario della gara, in quanto la questione delle conseguenze dell'annullamento sull'attribuzione dei punteggi di gara è già stata risolta nel paragrafo precedente nel senso della conseguente attribuzione per il criterio D2 a Pica Ciamarra di un punteggio maggiore rispetto alla Consulting, con prevalenza di Pica Ciamarra tenuto conto che la differenza di punteggio per il criterio D2 era risultata determinante ai fini dell'affidamento dell'incarico.

La domanda mira invece all'accertamento del contenuto dell'attività amministrativa conseguente all'annullamento attraverso una formula della parte dispositiva della presente decisione, che assumerebbe la sostanza di un ordine di un determinato facere all'amministrazione.

Si tratta di verificare se sia ammissibile nel processo amministrativo una domanda di tal genere.

Al riguardo, è noto che parte della dottrina sostiene che con l'inciso "anche attraverso la reintegrazione in forma specifica", di cui all'art. 35 del D. Lgs. n. 80/1998 il legislatore abbia inteso introdurre nel nostro ordinamento un'azione di adempimento simile a quella prevista nell'ordinamento tedesco, che consente di agire in giudizio per ottenere la condanna dell'amministrazione all'emanazione di un atto amministrativo; il potere di ordinare all'amministrazione un facere, consistente anche nell'emanazione di atti amministrativi, sussisterebbe a condizione che si tratti di attività vincolata e non di attività con significativo tasso di discrezionalità.

A tale orientamento, che presuppone l'introduzione attraverso il rimedio della reintegrazione in forma specifica di una azione di adempimento esercitabile nei confronti della P.a., se ne contrappone un altro, che appare preferibile, maggiormente coerente con la natura risarcitoria, o riparatoria, dell'istituto, come risultante dall'art. 2058 c.c..

Infatti, ammettere che la reintegrazione in forma specifica costituisca, come detto, il mezzo per impartire un ordine alla P.a. di emanare un determinato provvedimento o quanto meno di provvedere in un determinato modo, finisce per attribuire all'istituto caratteri che non corrispondono in realtà alla vera e propria tutela aquiliana, ma tengono assai di più della tutela ripristinatoria

Tale ricostruzione presuppone un concetto di reintegrazione in forma specifica del tutto diverso da quello affermatosi in sede civilistica sulla base dell'art. 2058 c.c..

In sede civilistica, il risarcimento in forma specifica consiste nella diretta rimozione delle conseguenze derivanti dall'evento lesivo tramite la produzione di una situazione materiale corrispondente a quella che si sarebbe realizzata se non fosse intervenuto il fatto illecito produttivo del danno.

Sempre nell'ottica civilistica la reintegrazione in forma specifica rimane un rimedio risarcitorio (o comunque riparatorio), ossia una forma di reintegrazione dell'interesse del danneggiato mediante una prestazione diversa e succedanea rispetto al contenuto del rapporto obbligatorio e non va confusa né con l'azione di adempimento (diretta ad ottenere la condanna del debitore all'adempimento dell'obbligazione) né con il diverso rimedio dell'esecuzione in forma specifica quale strumento per l'attuazione coercitiva del diritto e non mezzo di rimozione diretta delle conseguenze pregiudizievoli.

La forma specifica non è né una forma eccezionale né una forma sussidiaria di responsabilità, ma uno dei modi attraverso i quali il danno può essere risarcito, la cui scelta spetta al creditore salva l'ipotesi di eccessiva onerosità o l'oggettiva impossibilità.

Tornando al processo amministrativo, si osserva che il legislatore ha chiaramente inserito l'inciso "anche attraverso la reintegrazione in forma specifica" all'interno della disposizione che prevede che il giudice amministrativo dispone il risarcimento del danno ingiusto, con la conseguenza che contrasta con il dato letterale ogni interpretazione che pone l'istituto al di fuori di una alternativa risarcitoria.

Lo strumento risarcitorio, sia per equivalente che in forma specifica, si caratterizza per l'imposizione al debitore (rectius, all'amministrazione) di una "prestazione" diversa in sostituzione di quella originaria.

Se l'amministrazione era tenuta al rilascio di un determinato provvedimento, l'adozione di quell'atto costituisce il contenuto primario della "prestazione" cui la P.a. era appunto tenuta, e non assume una funzione risarcitoria.

Peraltro, quando il legislatore ha voluto configurare la possibilità da parte del giudice amministrativo di ordinare un facere all'amministrazione, lo ha fatto espressamente come nell'ipotesi di cui all'art. 25 della legge n. 241/90 (".il giudice amministrativo, sussistendone i presupposti, ordina l'esibizione dei documenti richiesti .").

I sostenitori dell'opposta teoria evidenziano come l'evoluzione del processo amministrativo contrasti con tale interpretazione "restrittiva", in base a cui permarrebbe la tradizionale sequenza annullamento - inerzia della P.a. - ottemperanza a fronte di un invece più rapido conseguimento del risultato ottenibile con l'ordine alla P.a. ad adottare un determinato atto a contenuto vincolato.

L'argomentazione, benché suggestiva, non appare risolutiva non solo per le suesposte considerazioni circa il dato letterale della norma, ma anche sotto il profilo delle effettività della tutela giurisdizionale, cui deve sempre tendere l'interprete sulla base dei principi costituzionali e di derivazione comunitaria.

Si osserva che l'obbligo per la P.a. di provvedere in un determinato modo è già presente nel giudizio amministrativo in virtù del legame tra parte dispositiva e parte motiva della decisione, cui la P.a. è tenuta a conformarsi.

Non vi è molta differenza tra una sentenza che disponga il rilascio di un determinato provvedimento e analoga decisione che annulli un diniego riconoscendo in parte motiva la fondatezza della pretesa sostanziale del privato, imponendo così all'amministrazione di conformarsi. Il rimedio alla mancata attuazione sarebbe pur sempre, in entrambi i casi, il giudizio per l'esecuzione del giudicato.

L'adozione da parte dell'amministrazione di un determinato atto amministrativo attiene più ai profili di adempimento e di esecuzione che non a quelli risarcitori: in presenza di un illegittimo diniego e di accertata spettanza del provvedimento amministrativo richiesto, il rilascio dello stesso costituisce non una misura risarcitoria, ma la doverosa esecuzione di un obbligo che grava sull'amministrazione, salvi gli eventuali danni causati al privato (esso viene infatti accordato a prescindere sia dall'esistenza di un danno patrimonialmente apprezzabile, che, soprattutto, dall'indagine sull'elemento soggettivo dell'illecito).

Riportare anche tale fase nell'ambito della reintegrazione e quindi della tutela risarcitoria significa estendere a tale fase anche tutti i limiti di tale tutela, che sono più rigorosi rispetto ai limiti previsti per l'esecuzione.

Infatti, mentre la reintegrazione in forma specifica richiede una verifica in termini di onerosità ai sensi dell'art. 2058, comma 2, c.c., tale verifica non è richiesta in relazione alle forme di esecuzione in forma specifica della prestazione originariamente dovuta, per le quali può rilevare la sola sopravvenuta impossibilità.

Costituisce, pertanto, una diminuzione di tutela per il privato la conseguenza cui giungono le tesi criticate, in quanto quello che prima costituiva il c.d. effetto conformativo per la P.a., assoggettato al solo limite della sopravvenuta impossibilità, verrebbe invece ingiustificatamente condizionato anche alla verifica di onerosità ai sensi dell'art. 2058, comma 2, c.c..

Va inoltre considerato che l'effettività della tutela giurisdizionale non dipende tanto dalla formale statuizione contenuta nelle decisioni, ma piuttosto dal grado di eseguibilità delle decisioni stesse; tale tutela avviene nel nostro ordinamento nella incisiva forma del giudizio di ottemperanza, che consente finanche la nomina di un commissario che provveda secondo le indicazioni del giudice in luogo dell'amministrazione.

Intesa in tal modo (definito "civilistico"), la reintegrazione in forma specifica trova applicazione nel diritto amministrativo soprattutto in caso di interessi di tipo oppositivo (es. riconsegna e ripristino del bene illegittimamente sottratto al privato; consegna di cosa uguale a quella illegittimamente distrutta; riparazione materiale dei danni cagionati in esecuzione di un provvedimento illegittimo).

Peraltro, in una recente decisione, la IV Sezione del Consiglio di Stato, nel rimarcare la funzione sussidiaria del risarcimento rispetto alla tutela giurisdizionale accordata con l'annullamento dell'atto impugnato, ha precisato che lo scopo della reintegrazione in forma specifica non è quello di sostituire la tutela demolitoria (o conformativa) che si connette all'annullamento giurisdizionale, ma quello di integrare la tutela, colmando eventuali lacune (Cons. Stato, IV, n. 3169 del 14-6-2001).

Sulla base della disciplina vigente non appare quindi ammissibile una domanda tesa nella sostanza ad ordinare all'amministrazione l'emanazione di provvedimenti amministrativi, anche se di carattere vincolato (o ad accertare un obbligo in tal senso, come richiesto nel caso di specie, con domanda sostanzialmente analoga a quella di condanna).

Di conseguenza, la domanda proposta dall'appellante di declaratoria del proprio diritto all'aggiudicazione della gara, deve essere dichiarata inammissibile.

5. delle parti appellate

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta,.

Dichiara inammissibile la domanda dell'appellante di declaratoria del proprio diritto all'aggiudicazione dell'incarico di progettazione in questione

ciascuna parte resistente dell'appellante 2.000,00

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, il 7-5-2002 dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale - Sez.VI -, riunito in Camera di Consiglio, con l'intervento dei Signori:

Giorgio Giovannini Presidente

Alessandro Pajno Consigliere

Giuseppe Romeo Consigliere

Giuseppe Minicone Consigliere

Roberto Chieppa Consigliere Est.

Il Presidente

L'Estensore

Depositata in segreteria il 18 giugno 2002.

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